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Paradise Lost! So What?

Christophe Solioz

Intervento presentato al seminario “L’Islam nella ex Jugoslavia” organizzato dal Dipartimento


di Ricerche Europee (DIRE) dell’Università degli studi di Genova il 12 aprile 2007

1. Paradiso perduto!1

René Char, riflettendo sulla sua esperienza partigiana nei Fogli d’Ipnos (1946)2, note, scritte nel 1943-
1944, che registrano “la resistenza di un umanesimo consapevole dei suoi doveri” – parla della sua
esperienza nella resistenza francese come del “tempo dei monti furenti e dell’amicizia fantastica”
(verso 142)… che divenne, nel dopo guerra, un tesoro perso (vedi verso 195). Questa esperienza fu
condivisa da partigiani d’altri tempi, i membri dell’Associazione per l’iniziativa democratica jugoslava
(UJDI)3. Nel 1989 furono troppo pochi, troppo tardi e invece di una transizione democratica e pacifica,
dovettero affrontare una transizione militare (di guerra):

Le discours politique sur les questions de la démocratisation du pays, le passage à l’économie


de marché, la libéralisation des médias, une organisation syndicale indépendante, etc., a été
écarté. Il fallait organiser la guerre, puis obtenir une place prépondérante dans cette guerre.
Il fallait la contrôler. (…) La transition guerrière apparaît à la fois comme l’aspect militaire
du changement social et un modèle analytique qui nous aide à distinguer un processus social
« caché » derrière ce qu’on appelle communément la démocratisation économique et
politique.4

La speranza di una via d’uscita democratica come alternativa alla guerra – e per la quale m’impegnai a
fianco degli amici dell’iniziativa democratica jugoslava – era purtroppo un’utopia che non si
concretizzò.

Questo studio introduttivo sull’Islam in Bosnia ed Erzegovina5 si riferisce ad una conoscenza dell’ex-
Jugoslavia (dal 1985 in poi) e ad una esperienza in Bosnia (dal 1994 ad oggi). Se fino al 1998 si
trattava suprattutto di un impegno socio-politico, dal 1999 in poi la parte analitica divenne una
priorità. Potei osservare, negli anni dal 1994 al 1997 a Tuzla, poi a Sarajevo, le strategie delle varie
comunità “etniche” e religiose, dei vari partiti, così come della società civile senza dimenticare quelle
della comunità internazionale.

Il mio intervento si riferisce a quest’esperienza, e a vari studi sull’argomento che comprendono le


analisi pubblicati dalla stampa internazionale come quelli diffusi su siti internet di varie tendenze.
Devo mettere in rilevo le ricerche di Xavier Bougarel alle quali mi riferisco spesso6; esse permettono

1
Il titolo si riferisce anche ad un brano jazz di Calin Vallon “Paradise Lost! So What?”, dall’album Ailleurs, Colin Vallon
Trio 2006.
2
Poeta francese (1907-1988); René Char, Fogli d'Ipnos. 1943-1944, Einaudi, Torino, 1968 (tradotto in italiano da Vittorio
Sereni).
3
Vedi “Udruženje za Jugoslavensku Demokratsku Inicijativu”, Republika, Zagabria, vo. 1, no 1, marzo 1989 (pubblicato in
Dejan Djokić (ed.), Yugoslavism: Histories of a Failed Idea, 1918-1992, Londra, Hurst, 2003, pp. 300-303).
4
Marina Glamocak, La Transition guerrière yougoslave, Parigi, L’Harmattan, 2002, p. 207 e p. 268.
5
In seguito il termine Bosnia fa riferimento alla Bosnia ed Erzegovina.
6
Vedi la bibliografia.

1
una lettura qualitativa assolutamente indispensabile per chi vuole distanziarsi da un discorso
ideologico.

Devo precisare che non sono un islamologo, e che – a dire la verità – mi sono impegnato durante la
guerra per una Bosnia democratica e multiculturale, e dunque contro tutti i partiti nazionalisti, bosniaci
musulmani compresi. La sola eccezione fu l’organizzazione musulmana bosniaca (MBO),7 in ragione
del suo chiaro approccio “multietnico”, con la quale ebbi sempre rapporti cordiali, in modo particolare
col suo vice-presidente Mujo Kafedžić. Tenendo presente questo quadro critico di riferimento, tenterò
di sviluppare un approccio coerente sull’Islam in Bosnia.

Infine, il titolo – che non si deve leggere in senso religioso – esprime la mia convinzione che oggi
bisogna guardare la realtà in faccia. Questo significa che, per quel che riguarda la Bosnia, è necessario
prendere atto di una serie di fatti: la divisione interna del paese secondo linee “etniche”, il ritorno dei
rifugiati e degli sfollati interni (alla Bosnia) confermato soprattutto in aree dove le persone della
propria comunità vivono in maggioranza, un nuovo “equilibrio” tra zone rurali e zone urbane, conflitti
tra ex combattenti e rifugiati, un sentimento d’insicurezza che nutre una nostalgia della Jugoslavia
titoista.8 Queste considerazioni vanno aldilà di un’analisi che spesso si concentra esclusivamente
sull’ordinamento dello stato, sulla presenza straneria, dimenticando il laboratorio sociale di una
Bosnia che deve ancora darsi un futuro accettato da tutti.9

2. La diversità dei musulmani nel mondo, in Europa e nei Balcani

Ritengo utile un rapido sguardo alla presenza musulmana al livello mondiale. Parliamo di 1,2 miliardi
(su un totale di 6 miliardi) di persone di fede musulmana. L’Islam si espande in Africa e, soprattutto,
in Asia (vedi carta no 1). Allo stesso tempo si tenga presente una sua notevole diversificazione: c’è
una maggiore diversità etnica, culturale, politica e anche religiosa. Ciò spiega l’esistenza di diversi
modi di concepire e praticare la propria fede.10 Questa diversità rappresenta certo un arricchimento
dell’Islam ma anche un pericolo in quanto la fitna, la discordia e la divisione, può influire in modo
negativo sull’espansione dell’Islam. In questo senso, il radicalismo wahhabita potrebbe essere un
sintomo del declino dell’Islam.

Molto in futuro dipende dall’evoluzione dei conflitti tra le varie correnti e, soprattutto,
dall’assimilazione delle culture locali come dei trend transnazionali. Emerge certamente un “Islam
globalizzato” del quale è però presto descriverne i contorni – si può solo dire che la sua influenza sarà
limitata, che non ci sarà una rivoluzione musulmana mondiale, ma che le forze tradizionaliste – magari
anche fondamentaliste – avranno un ruolo determinante.

Di questa popolazione musulmana, solo il 5 per cento vive in Europa (vedi carta no 2), per una cifra
che oscilla tra i 14 e i 17 milioni di musulmani. Si tratta, fatta eccezione per i Balcani, di un Islam
legato da una parte al colonialismo (per cui si parla di un Islam post-coloniale) e, dall’altra parte
derivato dall’immigrazione (soprattutto nei anni 60 e 70 del XX secolo). Questa presenza non può che
rispecchiare le diversità dell’Islam presenti a livello mondiale ma essa non deve essere interpretata
quale caratteristica esclusiva del mondo attuale solo in virtù di un maggior livello di visibilità
acquisito dal fenomeno. Se si registra indubbiamente una maggiore visibilità dell’Islam in Europa, è
ancora troppo presto per parlare di un Islam europeo oppure di un’europeizzazione dell’Islam. In ogni
caso, i Balcani e la Turchia giocheranno un ruolo di rilevo. In un certo senso, l’Islam nei Balcani

7
Muslimanska Bošnjačka Organizacija. Adil Zulfikarpašić fece parte del SDA nel 1990; quando ne fu espulso in settembre
1990, creò il MBO.
8
Vedi Xavier Bougarel, “Dayton, dix ans après: le leurre des bilans?”, Critique internationale, no. 29, octobre-dicembre
2005,
9
pp. 9-24.
Vedi Tihomir Loza, “Unlocking the future”, Dayton and Beyond: Perspectives for the Future of Bosnia and Herzegovina,
pubblicato da Christophe Solioz & Tobias K. Vogel, Baden-Baden, Nomos Verlagsgesellschaft, 2004, pp. 205-19.
10
Vedi Sabrina Mervin, Histoire de l’Islam. Doctrines et fondements, Paris, Flammarion, 2000.

2
prefigura quello che potrebbe essere un Islam europeo.11

La maggior parte dei Balcani è popolata da ortodossi e la popolazione musulmana rappresenta infatti
solo il 13.5 per cento del totale della popolazione balcanica. Bisogna però mettere in rilevo l’Albania,
dove circa il 70 per cento della popolazione è d’origine musulmana,12 e due zone popolate da una
chiara maggioranza musulmana (vedi carta no 3): la Federazione della Bosnia ed Erzegovina (75 per
cento) e il Kosovo (90 per cento). Per completezza, bisogna aggiungere che esiste anche una
popolazione musulmana legata alla migrazione economica in Slovenia (30,000 persone) ed in Croazia
(presso 60,000 persone).

La diversità dei musulmani dei Balcani si rispecchia anche nell’appartenenza a varie aree linguistiche:
i musulmani nei balcani parlano albanese (4,355,000), una lingua slava (2,635,000), il turco
(1,040,000), il rom o lingue simili (300,000).13 Questa diversità, così come la dispersione geografica
dei musulmani nei Balcani e soprattutto le varie correnti esistenti non permette di parlare di una vera e
propria “dorsale verde” che mirerebbe a costruire uno spazio geopolitico unitario per i musulmani nei
Balcani.14

L’ordine balcanico fu sconvolto dalla sconfitta dell’Impero Ottomano nel 1878: le comunità
musulmane sperimentarono allora un nuovo statuto di minoranza – eccetto in Albania dove i sunniti
conservarono il potere e in Bosnia, paese nel quale la comunità musulmana si mobilitò sin dagli anni
’30 del XX secolo per difendere il suo paese in quanto entità distinta. Rivisitiamone brevemente la
storia.

3. I musulmani bosniaci nella Jugoslavia

La storia della Bosnia fu influenzata da varie dominazioni: prima romana, poi bizantina (fino al 1180)
e, infine, dopo un “breve” periodo d’indipendenza (1180-1463 ), ottomana (1463-1878). Come è ben
noto, sono presenti in Bosnia le tre religioni monoteiste: ebraica, cristiana (cattolica e ortodossa) e
musulmana. Quando si parla di musulmani autoctoni nei Balcani, ci si riferisce a diversi gruppi,
principalmente turcofoni, fatti insediare dall'Impero Ottomano nel periodo del suo dominio e gruppi
inizialmente cristiani convertiti all'Islam.

Questo si verificò in modo particolare in Bosnia, dove l’assenza di una chiesa forte, così come
l’antagonismo tra cattolici ed ortodossi favorì numerose conversioni all’Islam. Si deve notare che
l’identificazione religiosa non fu affatto stabile (persino all’interno di una stessa famiglia), così come
la relazione tra appartenenza ad una religione e appartenenza ad uno stato.

Numerose sono da tempo le fratture all’interno della comunità musulmana bosniaca. La maggioranza
dei musulmani bosniaci sono sunniti della madhhab (scuola) fondata da Abu Hanafi (si parla
dell’Islam sunnita Hanafi, notoriamente tollerante e pacifico); ma è presente in Bosnia anche un
sufismo che ebbe soprattutto nel passato un ruolo importante15 e che oggi, come all’inizio
dell’islamizzazione della Bosnia nel 1463, viene importato dalla Turchia.

11
Questa è l’ipotesi di Xavier Bougarel e Nathalie Clayer (eds.), Le Nouvel Islam Balkanique: Les musulmans, acteurs du
post-communisme, Paris, Maisonneuve & Larose, 2001. Vedi anche Olivier Roy, Vers un Islam européen, Parigi, Seuil, 1999.
12
Vedi Nathalie Clayer, Aux origines du nationalisme albanais. La naissance d’une nation majoritairement musulmane en
Europe, Parigi, Karthala, 2007.
13
Al livello dello stato: sono 46 per cento. Le chiffre si riferiscono all’inizio degli anni 1990 e provengno da Xavier Bougarel
& Nathalie Clayer, Le Nouvel Islam Balkanique: Les musulmans, acteurs du post-communisme, Parigi, Maisonneuve &
Larose, 2001, pp. 16-19.
14
Vedi Kiro Nikolovski, “Come nasce la ‘dorsale verde’”, liMes, no. 3, 1998, p. 15-27. Nikolovski lega la “rinascita
islamica” a rete mafiose, ich che minaccia gli interessi europei e americani (vedi pp. 22-26). Questa teoria nega anche le
notevole divisioni tra albanesi del Kosovo e albanesi d’Albania.
15
Mi riferisco alle numerose tekke (monasteri) e centri d’assistenza fondati dai ordini monastici dervisci (dunque sufi)
appartire dal 1463.

3
Bisogna anche tenere conto della differenza tra una comunità musulmana urbana, fortemente
secolarizzata, ed una comunità rurale – oggi neo-urbana – maggiormente attaccata a valori e pratiche
religiose tradizionali. Ma quest’ultima sta per evolvere essendo più facilmente a contatto con nuove
pratiche e correnti islamiche dati i contatti facilitati con la popolazione urbana, un’emigrazione più
aperta a cambiamenti, e la presenza di vari gruppi islamici (non tutti wahhabiti) di paesi musulmani
(non tutti arabi).

3.1. La Bosnia sotto amministrazione austro-ungarica (1878-1918)

Nel 1879, ai tempi del Congresso di Berlino, i musulmani bosniaci rinunciarono ad un progetto
nazionale proprio per riconoscere l’autorità Austro-Ungarica: esso può essere interpretato quale segno
di una necessità di definirsi in rapporto ad un governo che professava una religione diversa oppure
anche come una volontà di inserirsi nella modernità europea rafforzata dalla consapevolezza della
decadenza dell’Impero Ottomano. Di qui l’interesse per altri modelli musulmani tra cui cito il
movimento dei salafisti di Jamaluddin al-Afghani a Muhammad Abduh capace di influenzare i
riformisti come anche il secolarismo musulmano.

Queste correnti furono poi influenzate nel 1923 dal kemalismo, e ovviamente in un’altra direzione,
dopo la seconda guerra mondiale, dal comunismo di stampo jugoslavo. Assieme a tale
condizionamento, l’inizio dell’industrializzazione ed una progressiva urbanizzazione la
secolarizzazione dei musulmani bosniaci subì una forte accelerazione. Il clima stagnante sviluppatosi
sotto il giogo della Jugoslavia titoista e l’esplosione frenetica degli avvenimenti a partire dagli anni 90,
stimolarono una controreazione basata sulla riscoperta delle proprie radici musulmane: nel contesto
della dissoluzione della Jugoslavia questa rinascita stava gettando le basi per ogni successivo tentativo
di omogeneizzazione di una comunità islamica che, non dimentichiamolo, era caratterizzata da
molteplici fratture (vedi documento no 1).

Torniamo adesso all’inizio del ventesimo secolo per ricordare che Benjámin Kállay – governatore
della Bosnia dal 1882 al 1903 – tentò di promuovere il ‘bosnismo’ (bošnjaštvo), cioè un’identità
bosniaca nazionale comune a tutti. Nel 1901, il suo successore cambiò strategia, riconoscendo e
promuovendo le varie comunità religiose e quindi anche la comunità bosniaca musulmana. Nascono
allora varie istituzioni musulmane: nel 1903, gajret, associazione di mutuo soccorso (d’orientamento
filo-serbo), e nel 1906, l’organizzazione popolare musulmana.16 Le divisioni interne alla comunità
musulmana bosniaca vanno allora lette in chiave filo-croata o filo-serba: questo significa che i
musulmani bosniaci si proclamavano o Serbi o Croati di fede islamica.

3.2. La Bosnia nella prima Jugoslavia (1918-1941)

Dopo il crollo dell’Impero Austro-Ungarico, le guerre balcaniche (1912-1913) e la prima guerra


mondiale (1914-1918), nasce nel dicembre del 1918 il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, prima
federazione degli stati della Jugoslavia. Nel dopoguerra, l’organizzazione musulmana jugoslava
(JMO)17, in cambio del suo sostegno – del tutto tattico – alla Costituzione del regno, ottenne nel 1921
un’autonomia per le istituzioni religiose islamiche. Per la seconda volta dunque, si abbandona il
progetto di uno stato bosniaco indipendente e si favorisce una creazione federale.

Lo jugoslavismo bosniaco – Mehmet Spaho ne era allora il portavoce – era anche una scelta strategica
per sfuggire alle pressioni serbe e croate pur preservando l’identità bosniaca musulmana.18
Quest’autonomia fu però presto persa, nel gennaio del 1929, quando il Regno dei Serbi, Croati e
Sloveni si trasformò in Regno di Jugoslavia e la Bosnia venne allora divisa in quattro banovine. Gli

16
Muslimanska Narodna Organizacija (MNO).
17
Jugoslovenska Muslimanska Organizacija (JMO), vero partito creato nel 1920.
18
“Program Jugoslovenske Muslimanske Organizacije”, 1920, in Atif Purivatra, Jugoslovenska Muslimanska Organizacija u
političkom životu Kraljevine Srba, Hrvata i Slovenaca, Sarajevo 1974, pp. 596-7.

4
ulemas bosniaci dominarono però la Comunità religiosa islamica (IVZ)19 creata al livello centrale con
sede a Belgrado.

Opponendosi sia alle correnti filo-serbe che a quelle filo-croate, emerge nel 1939 un neo-bosnismo,
portavoce del qualificativo bosgnacco (Bošnjak): fu la prima manifestazione di nazionalismo
musulmano rivendicando una autonomia per la Bosnia. Nello stesso periodo si sviluppano varie
organizzazioni panislamiste, come i Giovani Musulmani20 ed altre, che promuovono un islamismo
bosniaco o balcanico. Si può dunque già constatare, grazie alla presenza di correnti riformiste (di
Džemaludin Čaušević), tradizionaliste (di Mehmed Handžić) e panislamiste (Giovani Musulmani),
una notevole diversità dell’Islam in Bosnia e nei Balcani.

La seconda guerra mondiale contribuì sicuramente ad aumentare la confusione: alcuni leader della
comunità musulmana bosniaca aderirono allo Stato indipendente croato (NDH) mentre altri, come i
Giovani Musulmani e i membri della Via Giusta, erano pronti a collaborare col Terzo Reich pensando
di ottenere così uno stato bosniaco indipendente. Alla fine, furono i comunisti ad offrire maggiori
garanzie per la protezione dei musulmani bosniaci e il futuro riconoscimento politico di una
repubblica bosniaca.

3.3. La Bosnia nella seconda Jugoslavia (1945-1990)

La Bosnia divenne nel 1945 una Repubblica costitutiva della Federazione delle repubbliche Jugoslave
nella quale veniva ufficialmente riconosciuta l’esistenza dei musulmani bosniaci. Nel 1946 però, il
partito comunista volle fare della Repubblica Socialista Federale Jugoslava uno stato unitario e mutò
politica attraverso una forte laicizzazione dello stato: sopprime i comitati musulmani (Muslimanski
Odbor), abolisce nel 1947 i tribunali islamici, nazionalizza i vakufs (fondazioni caritatevoli) e chiude
le madrasas (scuole religiose) tranne che a Sarajevo. Nel 1948 anche la società culturale musulmana
Preporod venne chiusa. Più che i musulmani bosniaci, furono dunque i comunisti a strumentalizzare la
situazione. Ma l’effetto paradossale risulta nel fatto che questo contribuì all’affermazione dei
musulmani bosniaci.

La rottura con Stalin, nel 1948, la politica di “non allineamento” (iniziata nel 1955), e il progressivo
decentramento (negli anni sessanta) contribuirono ad un lento riconoscimento dei Musulmani, prima
come “appartenenza etnica” (nel censimento del 1961), e successivamente come nazione costituente
(nel censimento del 1971) così come confermato dalla Costituzione del 1974 che riconobbe al livello
federale la nazione Musulmana in quanto nazione costituente.21 Questo favorì l’appoggio alla
Jugoslavia di Tito da parte dell’intellighenzia musulmana bosniaca. Analogamente si registrò in questi
anni una rinascita culturale che si concretizzò nell’impegno di promuovere la cultura, la letteratura
bosniaca musulmana e lo studio della storia.

Questo rifiorire della comunità islamica bosniaca negli anni ottanta fu accompagnata dalle nuove
correnti di minoranza panislamiche bosniache attorno a Hasan Čengić, Husein Djozo e alla sua rivista
Preporod e, soprattutto, Alija Izetbegović. La reazione del partito comunista fu – siamo nel 1983 –
quella di arrestare e processare queste persone accusate di appoggiare il terrorismo e di ostruire il
processo di democratizzazione del paese!

L’islamologo Alexander Popović qualificò queste correnti come “radicalismo islamico abituale”22.
L’intento di Alija Izetbegović era quello di costruire un progetto politico e sociale: uno stato ispirato

19
Islamska Vjerska Zajednica.
20
Mladi Musulmani – sostenuta dall’associazione fortemente tradizionalista degli ulema della corrente El-Hidaje (la Via
Giusta).
21
Bisogna distinguere tra la nazionalità Musulmana – che non si riferisce all’elemento confessionale – e la religione
musulmana. Sull’evoluzione dei dati demografici della Bosnia, vedi Xavier Bougarel, Bosnie: Anatomie d’un conflit, Parigi,
La Découverte, 1996, pp. 140-5.
22
Alexandre Popovic, “Le ‘radicalisme islamique’ en Yougoslavie”, L’autre Europe, no. 10, 1986, pp. 50-56.

5
ad un Islam tollerante, cioè non radicale, ma che necessitava un rinnovamento della fede religiosa.23
Conosce poco la Bosnia chi pensa che uno stato nazionale islamico radicale, ispiratosi al principio
coranico della ummah (comunità dei credenti) e dal modello afghano potesse sorgere sulle rive della
Miljacka. Nella sua – cosiddetta24 – conquista della Bosnia, Bin Laden non ha avuto più successo di
Slobodan Milošević!

Assieme a Fikret Abdić ed Ejup Ganić, membri del partito, Alija Izetbegović creò il Partito
dell’Azione Democratica (SDA) il 27 marzo 1990. Nonostante vi siano attivi parecchi panislamismi,
questo partito fu creato più su una base comunitaria (o etnica) che religiosa. Si evince dunque una
chiara politicizzazione dell’Islam bosniaco. Il progetto è apertamente politico: si rifiuta di
accontentarsi di uno statuto di minoranza non sovrana, per rivendicare, in Bosnia come in Kosovo, una
sovranità politica. Di conseguenza, nel settembre del 1993, la denominazione – che si riferiva
chiaramente alla religione – “Musulmano”, viene scambiato con il termine “bosgnacco”. Questo però
non fu sufficiente per impedire una riaffermazione del legame tra identità nazionale e religione
islamica.

Va ricordato che le istituzioni religiose vengono strumentalizzate a favore di un processo chiaramente


politico. Bisogna leggere in questa chiave le posizioni dello SDA: quando esso non mette in
discussione, cioè fino al 1991, l’utilità istituzionale della federazione jugoslava , attacca però in modo
virulento le fondamenta del progetto jugoslavo – in particolare l’alleanza delle forze riformiste
jugoslave di Ante Marković che raccolse particolare consenso in Bosnia. Questa presa di posizione era
certo ambigua, ma è chiaro che in questo contesto non si parla di religione ma di lotta per il potere!

3.4. Guerra in Bosnia (1991-1995)

Siamo ormai a pochi mesi della guerra.25 La leadership dello SDA rifiuta l’accordo negoziato
nell’agosto del 1991 tra il partito democratico serbo (SDS)26 e l’organizzazione musulmana bosniaca
(MBO) per dare la priorità all’affermazione della nazione Musulmana.27 La risposta viene dal campo:
nel settembre 1991, lo SDS proclamò in Bosnia varie zone “regioni autonome serbe”, dando così
inizio ad una guerra terribile. Per compensare uno stato in decomposizione, lo SDA organizza una
potente rete di potere parallelo: Preporod (associazzione culturale), Merhamet (associazione
umanitaria) e la Patriotska Liga (organizzazione paramilitare). Lo SDA fu poi capace – controllando
l’Armija28 – di mantenere la sua autorità sul territorio controllato dallo stesso esercito fino al dicembre
1995, partecipando però alla divisione della Bosnia secondo linee “etniche”.29 Infatti, per parte, lo
SDA non abbandonò mai completamente l’idea di fare della Bosnia uno stato ad esclusiva presenza
musulmana.30

La guerra ebbe come consequenza di attribuire una importanza assoluta alle appartenenze e pratiche
religiose in Bosnia in modo da suscitare così una maggiore omogeneità della comunità musulmana
bosniaca (vedi documento no 1). Vengono così recuperati – spesso solo per ragioni utilitaristiche –
comportamenti strettamente dettati dalla fede come il digiuno durante il periodo di ramadan, le

23
Vedi The Islamic Declaration, Sarajevo, 1970 (1990), 78 pp. Tradotto parzialmente in italiano in “Dichiarazione Islamica”,
liMes, no. 1 e 2, 1993, pp. 259-274. Vedi anche Alija Izetbegović in Oslobodjenje, 28 settembre 1990.
24
Vedi la serie di articoli pubblicato dal quotidiano belgradese Politika il 4, 5 e 6 ottobre 2001; traduzione in inglese sul sito
http://www.serbian-translation.com/translations.htm
25
Sull’importanza delle religioni per questa guerra vedi: Srđan Vrcan, “The War in ex-Yugoslavia and religion”, Social
Compass, vol. XLI, no 3, 1994, pp. 413-22; Michael Sells, The Bridge Betrayed: Religion and Genocide in Bosnia, Bekerley,
University of California Press, 1966, e Xavier Bougarel, “L’islam et la guerre en Bosnie-Herzégovine”, L’autre Europe, no.
36-37, 1998, pp. 106-116.
26
Srpska Demokratska Stranka.
27
Vedi la testimonianza di Adil Zulfikarpašić in Milovan Đilas, & Nadežda Gace, Un Bosniaque: Adil Zulfikarpašić, Zurigo,
Bosniakisches Institut, 1996, 294 pp.
28
Armija Republike Bosne i Hercegovine, ossia l’Esercito di Bosnia ed Erzegovina fu il braccio armato dello SDA.
29
Condivido l’analisi di Marko Attila Hoare, How Bosnia Armed, Londra, Saqi, 2004, pp. 129-30.
30
Vedi Xavier Bougarel “L’Islam bosniaque, entre identité culturelle et idéologie politique”, Le Nouvel Islam Balkanique:
Les musulmans, acteurs du post-communisme, publicato da Xavier Bougarel & Nathalie Clayer, Parigi, Maisonneuve &
Larose, 2001, pp. 96-102.

6
moschee sono più frequentate e in certi strati sociali si diffondono in modo crescente saluti arabi come
esselam aleikum. Bisogna però ricordare che i musulmani bosniaci non sono mai stati fervidi credenti
e che le nuove usanze spesso non significano un “gran ritorno” alla fede.

L’aiuto dell’Iran nel 1992 (sotto il “controllo” degli USA)31, poi della Turchia e del Pakistan (nel
1993), senza dimenticare l’aiuto economico delle monarchie del Golfo Persico e la presenza d’alcune
migliaia di mujahiddin – per la maggiore parte nella VII brigata di Zenica32 – sono realtà ben note. Si è
scritto molto sulla presenza di mujahiddin in Bosnia, sulla loro presenza in Bosnia dopo la guerra.
Bisogna riconoscere che persone di cittadinanza francese, inglese, tedesca, americana hanno raggiunto
le file d’al-Qaeda, ma finora nessun cittadino bosniaco.33

Numerose furono le moschee, scuole coraniche e centri sociali finanziati da paesi musulmani, in
particolare da un’istituzione saudita, l’Alto commissariato per la raccolta degli aiuti ai musulmani in
Bosnia.34 Queste iniziative rafforzano la presenza dell’Islam, contribuiscono ad una maggiore visibilità
e diversificazione dell’islam bosniaco e, conseguentemente, l’effetto che ne scaturisce è
l’indebolimento della comunità musulmana bosniaca controllata fino a quel momento dallo SDA e dai
panislamisti vicini a questo partito.

Tutto questo non deve fare dimenticare che lo SDA giocava anche la carta degli USA in quanto ben
consapevole dei limiti dell’aiuto proveniente da paesi islamici. Questa posizione viene confermata da
una diffusa opinione musulmana:

Tutti sanno che il mondo islamico non ha fatto nulla di veramente costruttivo e serio per
aiutare i musulmani della Bosnia durante la guerra. Non ci fu anzitutto intesa tra i paesi
islamici per concordare una risposta comune ai crimini commessi dai serbi ai danni dei
musulmani. Non va certamente sottovalutato l’aiuto iraniano e quello di alcuni paesi
musulmani al governo bosniaco durante le fasi più acute del conflitto, ma perché potesse
tornare una relativa calma nella regione sono stati sicuramente più utili l’intervento degli
americani e il pragmatismo degli europei.35

4. Alcuni aspetti della religiosità musulmana contemporanea

Una caratteristica della religiosità postmoderna europea è quella di sfuggire, in buona parte, al
controllo delle Chiese e alle istituzioni religiose.36 Questo accade anche in Bosnia dove bisogna però
anche tenere conto dell’opposizione tra Islam tradizionale bosniaco e nuove versioni – spesso, ma non
solo, come già puntualizzato, di tendenza wahhabita – importate durante e dopo la guerra.
Ovviamente, le istituzioni religiose dominanti non mancano di reagire cercando di affermare la loro
autorità. Questo aspetto non è sufficiente per spiegare la complessità degli effetti della de-
territorializzazione dal fatto religioso. Olivier Roy ha insistito sull’apparente paradosso che sia proprio
la secolarizzazione che rinforzi la specificità del fatto religioso; è questo un dato legato strettamente al
processo di una ricostruzione della propria identità religiosa che vede il suo punto di partenza
nell’affermazione di un’identità di minoranza e transnazionale, quindi distaccata dallo stato.37

31
Vedi Bijan Zarmandili, “La frustrazione iraniana: troppo poco, troppo tardi per i fratelli di Sarajevo”, liMes, no. 3, 1998, p.
243-47.
32
Vedi Marko Attila Hoare, How Bosnia Armed, Londra, Saqi, 2004, pp. 110-11 & 131-5.
33
Vedi Wolfgang Petritsch, “Islam is part of the West, too”, The New York Times, 20 novembre 2001.
34
Cioè la “Supreme Commission for the Collection of Donations for the Muslims in Bosnia”. Vedi J. Millard Burr & Robert
O. Collins, Alms for Jihad Charity and Terrorism in the Islamic World, Santa Barbara, University of California, 2006, pp.
133-4. Nel dicembre del 1995, il totale racolto fu pressoché di 313 milioni di USD. Il sito dell’ambasciata saudita a
Washington evoca che 2/3 dei fondi avvno diretamente al governo bosniaco; vedi il communicato del 19 gennaio 1996 sul
sito http://www.saudiembassy.net/1996News/News/ForDetail.asp?cIndex=4213
35
Farsam Ramand in Fahrang Tosseé, gennaio 1998; citato da Zarmandili, op. cit., p. 247.
36
Vedi Danièle Hervieu-Léger, Le pèlerin et le converti, Parigi, Flammarion, 1999.
37
Vedi Olivier Roy, La laïcité face à l’islam, Paris, Hachette (pluriel), 2006.

7
Questa analisi permette di capire la logica di quello che accade oggi in Bosnia – che non è un paese
che vive nel passato; al contrario: il dopo guerra confronta questo paese in modo schiacciante colla
mondializzazione e l’ultramodernità. Infatti, come altrove, il fatto religioso non scompare – non è
dunque la fine della religione – ma s’inserisce, in quanto network-community in un mondo, non post-
moderno, ma ultramoderno.38 La Bosnia s’inserisce dunque in un trend mondiale nel quale
ipersecolarizzazione e ultramodernità permettono proprio un ritorno del fatto religioso.39 Su questo
sfondo, che permette di capire i nuovi radicalismi – e non solo nella religione musulmana – come
conseguenza di un’occidentalizzazione ultramoderna, propongo di discutere di alcuni episodi
contemporanei dello sviluppo dell’Islam in Bosnia.

In questi ultimi mesi, sono i wahhabiti presenti in Bosnia (notevolmente a Gornja Maoča e Kakanj) e
nel vicino Sangiaccato che hanno suscitato l’interessi dei mass media. Gli incidenti sono stati
numerosi e la tensione è salita quando Abu Hamza – uno dei capi del movimento wahhabita in
Bosnia40 – ha insultato il reis Cerić accusandolo di essere un traditore dell’Islam originale che sputa in
faccia ai musulmani bosniaci perché spiega loro che “l'Islam in Bosnia è ufficiale, ma gli imam sono
comunisti”.41

Gli incidenti più recenti si sono registrati a Kalesija (vicino di Tuzla) dove seguaci di Jusuf Barčić42,
auto-proclamato sheikh che fa capo ad un gruppo wahhabita43, hanno occupato i locali della comunità
musulmana per predicare una fede diversa della tradizione musulmana bosniaca prima di tentare, un
mese fa, di penetrare in varie occasioni nella moschea dello Zar (Careva Džamija ) a Sarajevo. Per
evitare ulteriori problemi, la comunità musulmana ha deciso di chiudere questa moschea per la prima
volta in 500 anni.44

La risoluzione del rijaset – vale a dire il consiglio degli anziani – del 7 novembre 2006 si riferisce agli
scontri avvenuti tra la comunità musulmana locale e gruppi di wahhabiti a Novi Pazar (Sangiaccato). 45
In questa risoluzione il rijaset dà pieno appoggio al mešihat (organismo amministrativo ed esecutivo
della comunità musulmana) della comunità islamica del Sangiaccato nell’interpretazione dell’Islam e
invita i leader della comunità musulmana locale ad “essere coscienziosi e responsabili nel mantenere e
nel conservare le tradizioni religiose e culturali dei musulmani”. Con riferimento esplicito all’offesa,
conclude: “il rijaset della comunità islamica ribadisce nuovamente che coloro i quali, in qualsiasi
modo, generino disordine nelle moschee con il pretesto di applicare ‘la vera religione’ verranno
dichiarate persone dalle non buone intenzioni”.

Per Vildana Selimbegović, giornalista del settimanale bosniaco Dani, queste parole sono deboli:

Il nodo è all'origine: se il reis-ul-ulema e la Comunità islamica della Bosnia insieme


all’establishment dello SDA di allora avessero avuto il coraggio di chiamare gli uomini di
buone intenzioni con i veri e puri nomi a prescindere dall’origine, oggi non ci sarebbe stato

38
Vedi Anthony Giddens, The Consequences of Modernity, Londra, Polity Press, 1990, p. 3
39
Vedi le stimolantissime analisi di Jean-Paul Willaime, “Religion in Ultramodernity”, Theorising Religion: classical and
contemporary debates, ed. by in James A. Beckford & John Wallis, Aldershot, Ashgate Publishing, 2006, pp. 77-89.
40
Abu Hamza, ossia Al-Hussein Imad nato in Siria, arrivò in Bosnia nel 1992 dove comandò un’unità di mujahiddini.
41
Vedi Dani, Sarajevo, 10 novembre 2006.
42
Jusuf Barčić iniziò a predicare un islam radicale dopo avere ricevuto una formazione nel 1996 in Arabia Saudita (è morto
in un incidente di strada nel marzo 2007). Questi avvenimenti sono guidati da Kamel bin Ali, alias Abu Hamza, un cittadino
bosniaco nato però in Tunisia.
43
Il wahhabismo – movimento islamico del XVII secolo a favore di una lettura testuale della shari’a (cioè la legge divina
contenuta del Corano – diventò la dottrina ufficiale dell’Arabia Saudita nel 1932, anno della fondazione di questo paese).
44
Anes Alic, “The Ringleaders of the Bosnia-Herzegovina Wahhabi Movement”, Terrorism Focus, vol. 4, no. 6, 20 marzo
2007, pp. 4-5.
45
Il Sangiaccato, diviso tra Serbia e Montenegro (Novi Pazar si trova in Serbia), ha mantenuto una certa omogeneità etnico-
culturale con una popolazione costituita a maggioranza da bosniaci musulmani (45.30 per cento). Fece parte dapprima della
provincia ottomana della Bosnia, poi di quella del Kosovo. Il Sangiacco ebbe un ruolo importe durante la “conquista” della
Bosnia nel 1463. Isa Išeković, beg del Sangiaccato di Novi Pazar, portò nella regione ordini dervisci che fondarono dei
monasteri (tekke).

8
bisogno di risoluzioni e addendi. La cosa più triste e più dolorosa per la realtà bosniaco-
erzegovese è la nota verità che la loro origine da molto tempo ha smesso di essere
importante: dall’ultimo decennio e più, da quando divulgano il vero e puro islam in tutta la
Bosnia hanno radunato un numero sufficiente di membri dei nuovi abu muamera e abu
vedada e che adesso sono loro gli abu hamza. La vera domanda è quanto in realtà le moschee
siano già state ripulite e quando sarà il momento per ripulire - se necessario con le botte -
anche lo stesso rijaset.46

Si ritrova una tale dura presa di posizione anche in un articolo firmato da Zlatko Dizdarević47 che si
riferisce alle recenti iniziative diplomatiche del Reis Cerić: “sono sempre più quelli che credono che il
Reis in senso politico, richiamandosi alla tolleranza e all’amore, con tutte le recenti dichiarazioni stia
tirando la corda in un paese dove oggi molte di queste cose sono messe peggio di qualche anno fa. In
nome del cielo la terra trema sempre di più”.48

Zlatko Dizdarević fa riferimento alla dichiarazione del Reis presentata alla conferenza internazionale
“Islam in Europa” tenutasi a Vienna (23 marzo 2007), alla sua visita quasi “da Capo di Stato” a
Belgrado (24 marzo 2007), poi alla sua presenza al congresso dei musulmani serbi a Novi Pazar (27
marzo 2007). In queste occasioni, il Reis affermò non solo la necessità di mantenere l’Islam in Europa,
ma anche la sua autorità, minimizzando l’importanza dell’Islam radicale d’impronta wahhabita
affermando che i “wahhabiti non esistono” e che si tratta “solamente di singoli estremisti, che per la
Bosnia sono pericolosi come una zanzara lo è per un elefante”. Il che non è del tutto falso in quanto, al
massimo, si tratta di un centinaio di persone legate probabilmente a gruppi terroristi islamici come al-
Qaeda.49

Questa mossa del Reis va collegata ad altre iniziative che mirano a marginalizzare la comunità
wahhabita, attaccandosi direttamente al suo vertice, in modo particolare a Adnan Bužar, Senad
Podojak e Jusuf Barčić.50 Questo spiega anche le recenti visite del Reis a Vienna e a Novi Pazar: si
tratta chiaramente di isolare, o caso mai di escludere, questi leader della comunità musulmana. Si
pensa anche che sia proprio il Reis o i suoi collaboratori ad avere ‘incoraggiato’ l’intervento della
polizia a Novi Pazar e l’arresto di Mirsad Prentić, di Fuad Hodžić, Vahid Vejsilović e Senad
Vejsilović il 16 marzo del 2007.51

Le recenti prese di posizione di Zlatko Dizdarević, ma anche quelle di Resid Hafizović ed Esad
Draković (tutti due islamologhi presso l’Università di Sarajevo), contrastano con quelle di vari esperti
stranieri come Massimo Moratti, Xavier Bougarel oppure Daniela Heimerl.52 Pertanto, se da una parte
tale contesto richiede di non sottovalutare la rilevanza di una presenza wahhabita nonostante la
realistica necessità di relativizzarne l’importanza e d’altra parte non si può dare neppure troppo rilievo
alla reazione del Reis, possiamo constatare: se I wahabiti ci sono, sono poco numerosi; la maggiore
parte dei gruppi panislamisti sono considerati neo-salafisti53 che tentano di richiamare i bosniaci

46
Vildana Selimbegović, “Vehabije osvajaju BiH” (I wahabiti alla conquista della Bosnia), Dani, Sarajevo, 10 novembre
2006; http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/6427/1/42
47
Zlatko Dizdarević, “Il reis all’attacco”, Osservatorio sui Balcani, 30 marzo 2007;
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/6970/1/51/
48
Zlatko Dizdarević, “Il reis all’attacco”, Osservatorio sui Balcani, 30 marzo 2007;
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/6970/1/51/
49
Si parla di 6000 volontari arabi, presenti in Bosnia durante la Guerra, dei quali 1000 sono stati naturalizzati (e vivono o a
Sarajevo o in Bosnia centrale – Zenica, Tuzla e Travnik). Su questi, lo stato bosniaco a aperto delle inchieste, revocando la
cittadinanza di alcuni 100 persone. Si pensa che alcune di queste persone possono avere un legame con al-Qaeda. Vedi Anes
Alic, “Al-Qaeda’s Recruitment Operations in the Balkans”, Terrorism Monitor, vol. 4, no. 12, 15 giugno 2006.
50
Adnan Bužar e Senad Podojak sono attivi a Vienna nell’ambito della Comunità musulmana in Austria
(http://www.derislam.at); vedi Adnan Buturović, Slobodna Bosna, 12 aprile 2007.
51
Vedi Nicolas Wood, “Serbs raid ‘radical Islamist’camp”, International Herald Tribune, 5 aprile 2007, p. 3; Adnan
Buturović, Slobodna Bosna, 12 aprile 2007
52
Vedi Daniela Heimerl, “Bosnie: une resolution contre les Wahabites”, Regards sur l’Est, Parigi, 10 novembre 2006;
http://www.regard-est.com/home/breves.php?idp=610&PHPSESSID=991b3f543327fa5a26b96232b02cc7c7
53
Come l’organizzazione della gioventù islamica: Organizacija Aktivne Islamske Omladine (OAIO) .

9
musulmani ai valori islamici opponendosi alla politica e alle rete dello SDA; il Reis sembra essere
adesso cosciente della situazione e, pur esprimendosi con cautela, agire in modo appropriato.

Questa riflessione fa sì che ci si dimentichi spesso della presenza notevole della Turchia sia a livello
statale che non-governativo. Si potrebbe infatti parlare dell’attivismo nel neo-sufismo (dei fethullahci
ma non solo). Ovviamente c’è in gioco una dimensione storica (vedi sopra quello che si è detto
rispetto al sufismo in Bosnia) che vede la Turchia quale seconda patria dei musulmani nei Balcani e
una dimensione politica che lega l’Islam europeo al processo di integrazione della Turchia all’Unione
Europea. Possiamo costatare un aumento della diversificazione delle correnti e delle pratiche
islamiche in Bosnia – come più in generale nei Balcani.

5. Islam bosniaco tra rifondazione e diversificazione

Vorrei concludere con alcune considerazioni non specificatamente dirette ai Balcani. La religione, i
monoteismi (ma non solo questi), la fede in Dio sono da sempre fonte di creazioni, proteste e
trasformazioni, negazioni e distruzioni incluse. Questo è particolarmente vero in un periodo
caratterizzato da vitalità religiose che ingenera – sullo sfondo di un processo di globalizzazione e di
individualizzazione – nuove pratiche religiose, nuovi rapporti di forza tra le varie religioni, e un altro
equilibrio tra Stato e Chiesa, tra politica e religione e, infine, tra spazio pubblico e quello privato.

In poche parole, siamo di fronte al paradosso: “uscire della religione” e, al medesimo tempo,
“reinventare la religione”. Per questo i termini “laicismo” e “secolarizzazione” possono indurre in
errore.54 Di questo, l’abbiamo appena visto, la Bosnia fornisce un’illustrazione esemplare.

Non dimentichiamo che se la religione musulmana è in crescita, l’irruzione sta avvenendo altrove.
Sarebbe proprio il cristianesimo a diventare la religione più diffusa (nel 2050) – avendo come nuovo
centro di gravita Kinshasa, Buenos Aires, Addis Abeba e Manilla.55 Il lobbying cristiano non ha niente
da invidiare all’attivismo musulmano!

Vorrei andare a concludere centrandomi sull’Europa. Con l’allargamento dell’Unione Europa che ha
visto includere la Grecia (1981) e Cipro (2004), la Romania e la Bulgaria (2007) sono circa 40 milioni
i cristiani ortodossi che vivono ormai nell’Unione. “Essi sono dunque” – come ha sottolineato papa
Giovanni Paolo II – il secondo polmone d’Europa”. Non dobbiamo dimenticare che da secoli le chiese
ortodosse sono a contatto con il mondo musulmano e quest’esperienza è davvero di capitale
importanza in una situazione nuova nella quale i musulmani d’Europa hanno una maggiore visibilità.

In un’epoca nella quale bisogna costruire nuovi equilibri, l’esperienza ortodossa e l’esistenza di un
Islam occidentale sono punti di riferimento per questo e per la possibilità di sviluppo di un Islam che
entri in sintonia con la modernità e trovi il suo posto dell’Unione Europea. Ne abbiamo avuto un
esempio nel 2005 con le provocazioni e scontri legati alle vignette su Maometto56. Queste caricature
furono pubblicate nel febbraio 2006 dal periodico Preporod, organo ufficiale della Comunità Islamica
della Bosnia ed Erzegovina. Il reis-ul-ulema Mustafa Efendi Cerić57 – capo della comunità islamica
bosniaca – condannò sia le vignette sia le proteste violente. Anche lo SDA si è allineato su queste
posizioni, richiamandosi a principi di tolleranza e comprensione reciproca.

54
Vedi Marcel Gauchet, Le religion dans la démocratie. Parcours de la laïcité, Parigi, Gallimard (le débat), 1998, pp. 11-30.
55
Vedi Blandine Chelini-Pont, “Le réenchantement discret des mondialisations religieuses”, Esprit, no. 3-4, 2007, pp. 161-8.
56
Pubblicate dal giornale danese Jylland-Post nell’ottobre del 2005.
57
Reis-ul-ulema Mustafa efendi Cerić fu dal 1981 al 1986 imam al centro islamico di Chicago; poi, dal 1986 al 1993, imam
principale della moschea di Zagabria.

10
Pochi giorni dopo, reis Cerić pubblicò il 24 febbraio 2006 a Zagabria la “Dichiarazione dei musulmani
europei”58: un appello per la convivenza pacifica e contro l’intolleranza. Questa dichiarazione, da un
lato, auspica l’uguaglianza dell’Islam nel contesto europeo con la possibilità di avere scuole religiose e
sviluppare partiti politici di ispirazione islamica e, dall’altro, obbliga i musulmani europei a rispettare i
diritti dell’uomo, il contratto sociale, riconoscere la ricchezza delle diverse tradizioni religiose e
culturali e soprattutto a sviluppare la consapevolezza del contesto secolare in cui si trova ad esistere la
religione al giorno d’oggi.

Per Massimo Moratti questo “è il messaggio dei musulmani europei, dalla Bosnia e dalla Croazia, il
loro modo di dire no al terrorismo e alla violenza. In un periodo in cui a provocazioni e comportamenti
irresponsabili da una parte fanno eco violenza e intolleranza dall’altro, sono i Balcani, la “polveriera
d’Europa” a mandare un segnale di tolleranza.”59 Quest’analisi conferma l’opinione di Olivier Roy,
ossia che “l’evoluzione dell’Islam occidentale sia una fortuna per l’evoluzione dell’Islam in
generale”.60

58
“A Declaration of European Muslims”, Zagabria, 24 febbraio 2006; accessibile sul sito del Center for Islamic Pluralism:
http://www.islamicpluralism.org/texts/2006t/bosnianclericsdeclaration.htm
59
Massimo Moratti, “Noi, musulmani europei”, Osservatorio sui Balcani, 24 febbraio 2006;
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/5311
60
Olivier Roy, “La difficile acclimatation de l’islam”, Esprit, no. 3-4, 2007, p. 94. Vedi anche dallo stesso autore: Vers un
Islam européen, Parigi, Esprit, 1999.

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