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Alcune grandezze fisiche (tempo, massa, temperatura, carica elettrica, etc…) sono misurabili
associandovi semplicemente un valore numerico: tali grandezze sono definite come scalari.
Esistono poi grandezze fisiche che richiedono una maggiore quantità di dati sperimentali per
essere definite e, in particolare, necessitano di specificare una direzione e un verso: le grandezze di
questo tipo sono dette grandezze vettoriali.
vettoriali
Per compiere operazioni con le grandezze vettoriali utilizziamo l’astrazione di vettore, individuato
nello spazio a 2 e 3 dimensioni come una freccia orientata
orientata giacente su una retta, che ne individua
la direzione, ed avente il verso in una delle due orientazioni possibili
possib individuate da tale retta.
L’altra entità che caratterizza la natura di un vettore è il modulo,, uno scalare che esprime l’intensità
l’
della quantità fisica individuata come grandezza vettoriale.
vettoriale. Più grande è il modulo e “più lungo”
è il vettore: la maggiore
ore o minore lunghezza della freccia individuante il vettore è infatti il modo
visivo con il quale si visualizza il concetto di intensità.
Le grandezze vettoriali vengono indicate:
• con una lettera in grassetto ad es. v ;
• con una lettera sormontata da una freccia o da un trattino ad es. v o v .
Due vettori a e b sono uguali se hanno lo stesso modulo, la stessa direzione e lol stesso verso. Se,
invece, hanno stesso modulo, stessa direzione ma verso opposto, i due vettori in questione si
dicono opposti:: ciò significa che hanno segno opposto e quindi, ad esempio, a e −a sono opposti.
La somma di più vettori si ottiene con una facile estensione. Prendiamo ad esempio tre vettori, a ,
b e c ; quindi, calcoliamone la somma:
d =a+b+c
1 In realtà la regola del parallelogramma vale sempre, non solo se i due vettori sono consecutivi,
consecutivi come nell’esempio. Si veda
l’esempio successivo, che è un estensione di quello appena illustrato.
È presto detto2:
1.3 – Prodotto di un vettore per uno scalare (e quoziente fra un vettore e uno scalare)
1.4 – Versori
Il rapporto fra un vettore qualsiasi e il suo modulo e per definizione un vettore adimensionale, di
modulo unitario, che ha la stessa direzione e lo stesso verso del vettore; esso prende il nome di
versore3:
a
ua = ⇒ a = a ua
a
Così come un vettore, anche una retta orientata (ad esempio, un asse cartesiano) è caratterizzata
da un versore ur ; questo versore coincide con il versore di un qualsiasi vettore parallelo alla retta
lio: un qualsiasi versore u rappresenta una direzione orientata
stessa e con verso concorde. Meglio: orientat ed
è quindi lo stesso per tutte le rette parallele ad una data retta e orientate allo stesso modo; dal
2
Si noti che l’equazione scritta poco fa è una relazione fra
fra vettori: non avrebbe avuto senso scrivere una relazione di uguaglianza
fra un vettore e uno scalare.
3 Il vettore viene espresso esplicitamente come prodotto del suo modulo per il suo versore, che sono poi le due parti caratterizzanti
caratteri
il vettore stesso (la prima parte ha informazioni sull’intensità,
sull’ la seconda parte caratterizza verso e direzione); essendo il versore
adimensionale, le dimensioni della grandezza vettoriale sono attribuite al suo modulo. Si faccia attenzione al fatto che mentre un
versore è un vettore con modulo unitario, non è vero necessariamente il viceversa.
punto di vista geometrico, quindi, un versore rappresenta una fascio
fascio di rette orientate, parallele ed
equiverse.
Consideriamo due rette orientate (versori u1 e u2 ) aventi un punto in comune: sia σ il piano da
esse individuato. Un qualsiasi vettore a , complanare con σ ,
può essere espresso come somma di due vettori componenti,
diretti come le rette date (vedi figura).
figura)
Si definisce prodotto scalare (o prodotto interno) di due vettori a e b la grandezza scalare che si
ottiene moltiplicando fra di loro i moduli dei due vettori e il coseno dell’angolo compreso5:
a ⋅ b = ab cos ϑ 6
Il risultato è una grandezza scalare,
scalare, cioè un numero reale accompagnato da un’unità di misura.
Osserviamo che:
a ⋅ a = aa cos ϑ = a2 cos0 = a2
Quindi
uindi il prodotto scalare di un vettore con sé stesso è uguale al quadrato del suo modulo.
4 Si faccia attenzione al fatto che il componente è un vettore, mentre la componente è una grandezza scalare!
5 Siccome è sempre possibile trasportare i due vettori in modo che abbiano la stessa origine, l’angolo è facilmente valutabile e può
essere indifferentemente uno dei due angoli formati dai vettori, la cui somma è 2π. 2
6
Si noti che il prodotto scalare di due vettori ortogonali è nullo, perché il coseno di 90° è nullo e porta a zero il prodotto.
il prodotto scalare è positivo; altrimenti, il prodotto scalare ha segno negativo.
Dati due vettori a e b , formanti fra loro un angolo ϑ , si definisce come prodotto vettoriale (o
prodotto esterno), il vettore
c = a×b
avente le seguenti caratteristiche:
• Modulo pari al prodotto dei moduli
moduli dei due vettori, moltiplicato per il modulo del seno
dell’angolo ϑ :
c = ab sin ϑ
• Direzione perpendicolare al piano individuato da a e b .
• Verso nel quale disporsi (lungo c ) per vedere che a deve ruotare in verso antiorario, di un
angolo minore di π , per sovrapporsi a b 9.
7 Fatte queste considerazioni, si possono utilizzare le proprietà del prodotto scalare per ottenere il teorema di Pitagora. Possiamo
Pos
infatti ottenere il quadrato del modulo di a calcolandone il prodotto scalare con se stesso
a 2 = a ⋅ a = ( a1 + a2 ) ⋅ ( a1 + a2 )
e utilizzare la proprietà distributiva:
a 2 = ( a1 + a 2 ) ⋅ ( a1 + a 2 ) = a1a1 + a1a 2 + a 2a1 + a 2a2 = a12 + a22
8
teorema di Carnot)
Possiamo poi ricavare la legge del coseno (teorema Carnot per un triangolo qualsiasi. Basta considerare la differenza di due
vettori:
c = a −b
Sfruttiamo lo stesso procedimento utilizzato nella nota 7 e…
c2 = ( a − b )( a − b ) = aa − ab − ba + bb = a2 − 2ab + b2 = a 2 + b2 − 2ab cos ϑ
9
Questa definizione fissa un verso convenzionale per c ; la convenzione è detta regola della mano destra.
destra Ponendo ortogonalmente fra
loro il medio, l’indice e il pollice della mano destra, allora (ad esempio) a è il medio, b è l’indice e c il pollice.
1.8 – Rappresentazione cartesiana ortogonale
Le relazioni appena scritte mostrano come sia possibile ottenere le componenti cartesiane di un
vettore, qualora ne siano noti il modulo e i coseni degli angoli formati con i tre assi (coseni
( direttori
della
la retta cui appartiene il vettore). La conoscenza delle componenti cartesiane di un vettore, a
sua volta, permette di determinarne modulo, direzione e verso.
Il modulo può essere ricavato col teorema di Pitagora:
v2 = vx2 + v2y + vz2 ⇒ v = vx2 + v2y + vz2
La direzione orientata (direzione + verso) del vettore v è rappresentata dal versore uv che ha
come componenti cartesiane i coseni direttori:
uv = cos α i + cos β j + cos γ k
È quindi equivalente descrivere un vettore:
• in termini di componenti cartesiane ortogonali;
• tramite modulo, direzione e verso.
i j k
• Eseguire il prodotto vettoriale10: v × w = vx vy vz (notazione matriciale sintetica)
wx w y wz
• Eseguire il prodotto scalare11,12: v ⋅ w = vx wx + v yw y + vzwz
Un vettore può essere funzione di una variabile, come il tempo13 t. Chiamiamo un generico vettore
di questo tipo
w = w (t )
Come abbiamo visto poco fa, è possibile esprimere w (t ) attraverso le sue tre componenti dello
spazio tridimensionale, che sono funzioni scalari, in cui sicuramente compare il tempo: siccome
associamo all’entità vettoriale w (t ) delle quantità scalari, allora risulta possibile estendere alle
funzioni vettoriali alcune definizioni e proprietà valide per le funzioni scalari. Tra queste,
l’operazione di derivazione. Si può definire la derivata14 di w (t ) rispetto a t come
d ∆w
w = lim
dt ∆t → 0 ∆t
Estendendo il caso a due vettori dipendenti dal tempo e applicando le note regole di derivazione,
si dimostrano le seguenti relazioni:
d dw ( t ) dv ( t )
• w (t ) + v (t ) = + (linearità rispetto alla somma);
dt dt dt
d dλ dw ( t )
• λw (t ) = w (t ) + λ;
dt dt dt
d dw ( t ) dv ( t )
• w (t ) ⋅ v (t ) = ⋅ v (t ) + ⋅ w (t ) ;
dt dt dt
d dw ( t ) dv ( t )
• w (t ) × v (t ) = × v (t ) + × w (t ) ;
dt dt dt
10 Dimostrazione:
( ) ( ) ( )
v × w = vx i + vy j + vz k × wx i + wy j + wzk = vxwy ( i × j) + (vxwz )( i × k ) + vywx ( ) ( j × i) + (vywz ) ( j × k) + (vzwx )( k × i ) + (vzwy ) (k × j) =
= (vywz − vzwy ) i + (vzwx − vxwz ) j + (vxwy − vywx ) k
11 Dimostrazione:
( )( ) ( )
v ⋅ w = vx i + vy j + vz ⋅ wx i + wy j + wz k = (vx wx )( i ⋅ i ) + vywy ( j ⋅ j) + (vzwz )( k ⋅ k ) = vx wx + vywy + vzwz
=1 =1 =1
(tutti gli altri termini sono spariti perché contenevano un prodotto scalare fra versori ortogonali: tale prodotto dà 0 come risultato)
12 Come caso particolare, si ha che
v ⋅ v = v2 = vx2 + v2y + vz2
.
13
Un esempio potrebbe essere il vettore associato all’intensità del vento in un certo punto: col tempo il vento cambia direzione,
verso, intensità e – con esso – il vettore a lui associato.
14
A patto di aver generalizzato il concetto di limite.
dw ( t ) dw ( s ) ds
• w (t ) = w ( s (t ) ) ⇒ = (funzione composta);
dt ds dt
dw ( t )
• dw ( t ) = è il differenziale di w , il quale rappresenta l’incremento della funzione
dt
w (t ) nell’intervallo infinitesimo dt
d (a meno di infinitesimi di ordine superiore).
lim
∆u
= lim
∆u
⋅ lim
∆ϕ
= lim
2sin ∆ϕ
2
lim
∆ϕ ( )
= lim
sin ∆ϕ
2
lim
∆ϕ d ϕ
=
( )
∆t →0 ∆t ∆t →0 ∆t ∆ ϕ → 0 ∆ϕ ∆ϕ →0 ∆ϕ ∆t →0 ∆t ∆ϕ →0 ∆ϕ ∆t →0 ∆t dt
2
tanto non cambia
nulla... =1 (limite notevole)
Quindi:
du dϕ dϕ
= n (nota: è una quantità positiva)
dt dt dt
15
Dimostrazione:
w (t ) ⋅ w(t ) = w2 (t ) = costante
d 2 d d
w (t ) = w(t ) ⋅ w(t ) = 2 w(t ) ⋅ w(t ) = 0
dt dt dt
perpendicolari
16
Abbiamo sfruttato il fatto che il triangolo è isoscele e che la sua base può essere trovata con la trigonometria.
du
Possiamo poi dare un’espressione equivalente di
dt
introducendo un opportuno vettore avente modulo che
caratterizza la rotazione del versore u .
dϕ
Definiamo il vettore ω, avente modulo
, direzione
dt
perpendicolare al piano di rotazione e verso tale da vedere la
perpendicolare
rotazione infinitesima di u (t ) come antioraria17. Per costruzione, abbiamo ottenuto che
ω = u×n
Dunque, ricordando le proprietà del prodotto vettoriale,
du dϕ
= n = ω×u
dt dt
(definizione della derivata di un versore)
Nel caso generico in cui un vettore w (t ) possa variare nel tempo direzione, verso e modulo,
allora, una volta definito uw come il versore di w (t ) , si ha18
dw d dw d uw dw
= wuw =
uw + w= uw + ω × w
dt d t dt dt dt
Possiamo poi definire un momento (assiale) dello stesso vettore v rispetto ad un asse
a di versore u
la grandezza scalare:
mu = ( r × v ) ⋅ u (dove r è il vettore che congiunge Ω con A)
17
Un altro modo per tirare fuori la regola della mano destra.
destra
18
Abbiamo incrociato le proprietà di derivata di un prodotto con la formula della derivata di un versore, trovata poco prima. È
chiaro che nell’espressione in questione il primo addendo riflette l’eventuale variazione del modulo di w , mentre il secondo è
presente solo se w cambia direzione.
19
È, ad esempio, esperienza comune che, se vogliamo far ruotare una porta spingendola, a parità di effetto la fatica che facciamo
faccia
dipende dal punto in cui spingiamo. Sappiamo mo bene che la rotazione avviene più facilmente se il punto di applicazione dell’azione
(cioè del vettore forza)) è più distante dai cardini, cioè dall’asse di rotazione della porta.
20
Un vettore libero è un vettore non applicato.
21
Se la retta lungo cui agisce v passa per il polo, il momento risulta nullo.
essendo Ω un punto qualsiasi dell’asse considerato; il momento assiale è la proiezione ortogonale
del momento vettoriale rispetto a Ω , sulla direzione orientata di u 22. Proprio perché il momento
vettoriale non cambia,, anche il momento assiale non si modifica scegliendo
cegliendo un punto diverso
sull’asse.
asse. Se chiamiamo infatti (vedi figura):
• mu ( Ω1 ) il momento assiale riferito al punto Ω1 (che si trova
sull’asse);
• r1 il vettore che congiunge il punto d’applicazione di v a Ω1 ;
• mu ( Ω ) il momento assiale riferito al punto Ω (che si trova
sempre sull’asse);
• r il vettore che congiunge il punto d’applicazione di v a Ω ;
• R il vettore che congiunge Ω1 con Ω .
Allora abbiamo che:
mu ( Ω1 ) = ( r1 × v ) ⋅ u = ( r × v ) ⋅ u − ( R × v ) ⋅ u = ( r × v ) ⋅ u = mu ( Ω )
=0 perché R è
perpendicolare a u
22
Si noti che, se il vettore applicato v e il versore u sono sullo stesso piano, il momento assiale è nullo.
23
Possiamo quindi concludere che il momento assiale di un vettore rispetto ad una retta assegnata si annulla se:
• il vettore è parallelo alla retta;
• la retta d’azione del vettore incontra la retta.
24
Possiamo quindi scrivere il vettore posizione di P come r = rur
r = x 2 + y2
x = r cos ϑ
y
y = r sin ϑ ϑ = arctan
x
È facile accorgersi che i versori radiale e trasverso dipendono
dall’angolo ϑ :
Dato un sistema di N vettori applicati ed un polo Ω , si possono definire due vettori liberi25:
N
vettore risultante V = ∑ v i
i =1
N
momento risultante M = ∑ ri × v i
i =1
Come caso particolare, solo se tutti i vettori del sistema hanno lo stesso punto di applicazione
(vettori concorrenti), i vettori ri sono tutti uguali26 per cui si ha:
N N N
M = ∑ ri × vi = ∑ r × v i = r × ∑ v i = r × V
i =1 i =1 i =1
• se R è parallelo a V .
Dati
ati due sistemi di vettori applicati, con relativi risultante e momento risultante (rispetto ad uno
stesso punto Ω ), si dice che essi sono equivalenti se hanno lo stesso risultante e lo stesso momento
25
Le somme sono eseguite trattando i vettori come liberi.
26
Possiamo traslare i vettori lungo la loro retta d’applicazione che tanto il momento non cambia, vedi par. 1.13.
risultante. Se due sistemi di vettori sono equivalenti rispetto ad un polo Ω , allora lo sono rispetto
a qualsiasi altro polo.
Si dimostra inoltre che:
• ogni sistema di vettori applicati, avente invariante scalare27 non nullo, è riconducibile ad un
vettore applicato più una coppia;
• ogni sistema di vettori applicati, avente invariante scalare nullo, è riconducibile ad un
vettore applicato o ad una coppia.
Il prodotto misto ha tale nome perché contiene sia il prodotto vettoriale che quello scalare:
u ⋅ ( v × w ) = (v2w3 − v3w2 ) u1 + (v3w1 − v1w3 ) u2 + (v1w2 − v2w1 ) u3
Per ricordarsi tutti i termini su può fare il determinante di una matrice speciale:
u1 u2 u3
u ⋅ ( v × w ) = det v1 v2 v3
z1 z2 z3
In particolare, nelle due dimensioni si ha:
30
Si ha anche ( u × v )( w × z) = ( u ⋅ w )( v ⋅ z) − ( u ⋅ z )( v ⋅ w )
Per verificarlo, si può usare direttamente il prodotto triplo:
( u× v)( w× z) = u ⋅ v × ( w× z) = u ⋅ ( v × z) w − ( v × w) z = ( u ⋅ w)( v ⋅ z) − ( u ⋅ z)( v ⋅ w)
II – CINEMATICA
2.1 – Introduzione
La Cinematica si occupa della descrizione spazio-temporale del moto dei corpi, senza occuparsi
delle cause che generano il moto e assumendo che esso avvenga con continuità.
I corpi possono avere le più varie forme, dimensioni e caratteristiche, di modo che risulta molto
complessa una trattazione completa del loro moto, sia dal punto di vista cinematico che dinamico.
In molte situazioni è però possibile adottare un’opportuna schematizzazione, che consente
notevoli semplificazioni senza essere troppo riduttiva. Essa consiste nel trascurare le dimensioni
reali dei corpi, rappresentandoli, ai fini della descrizione cinematica, come un punto geometrico,
cioè un’entità astratta priva di dimensioni; a essa, per studiarne la dinamica, viene associata la
proprietà caratteristica del corpo chiamata massa. In questi casi si parla quindi di schema del punto
materiale. Quest’approssimazione è generalmente accettabile quando le dimensioni lineari dei
corpi sono trascurabili rispetto alle distanze che vengono percorse1.
È esperienza comune il fatto che la posizione e il moto di un corpo devono essere riferiti ad altri
corpi e, quindi, sono concetti relativi2. Non ha senso la semplice affermazione che un corpo è in
moto, ma bisogna dire rispetto a cosa: in pratica, è necessario fissare un sistema di riferimento. La
scelta del sistema di riferimento è del tutto arbitraria, quindi viene fatta generalmente con criteri
di comodità e semplicità3.
Si dice che un corpo è in moto rispetto ad un dato sistema di riferimento ad S quando la sua
posizione in S cambia col tempo. Possiamo conoscere tutte le informazioni sulla traiettoria e sul
moto del corpo in questione se conosciamo le caratteristiche del vettore posizione r del punto in
funzione del tempo4. Se ciò avviene, allora disponiamo della cosiddetta equazione vettoriale del moto
r = r (t )
ove r (t ) è espressa mediante funzioni continue del tempo (per t variabile entro l’intervallo di
tempo cui si riferiscono le osservazioni sperimentali). Tale funzione vettoriale può essere
rappresentata per mezzo delle tre funzione scalari5
x = x (t ) y = y (t ) z = z (t )
che danno l’andamento nel tempo delle coordinate cartesiane del punto P nel riferimento S.
Queste equazioni descrivono completamente il moto del corpo; è tuttavia opportuno notare che,
all’interno di esse, sono presenti due tipi di informazioni: alcune di tipo puramente geometrico
(quelle relative alla traiettoria) e altre che caratterizzano le modalità con cui il corpo percorre nel
1 Ad esempio, lo studio del moto dei pianeti del Sistema Solare può essere affrontato considerando Sole e pianeti come punti
materiali.
2 Ad esempio, quando viaggiamo in automobile, il sedile è fermo rispetto a noi; invece si muove, insieme con tutta l’automobile e
con il conducente, rispetto al suolo o a una qualunque persona che si trovi a terra.
3 Questi criteri di semplicità non vanno certo sottovalutati; si pensi alla descrizione del moto dei pianeti del Sistema Solare. Quando
l’uomo, per ragioni filosofiche, si considerava il centro dell’Universo, era ovvio descrivere tale moto rispetto ad un sistema di
riferimento terrestre. Tuttavia, in questa situazione, le traiettorie dei vari pianeti apparivano estremamente diversificate e incapaci
di suggerire una legge fisica che ne desse una spiegazione unitaria. Semplificando un po’, possiamo dire che bastò un semplice
cambiamento del sistema di riferimento (da geocentrico ad eliocentrico) per illuminare il quadro sperimentale.
4 L’unica ipotesi da fare è quella di continuità del moto.
5 Rappresentazioni equivalenti possono essere fornite dalle analoghe equazioni corrispondenti ad altri sistemi di coordinate, per
esempio polari.
tempo la traiettoria. Per distinguere questi due aspetti è conveniente un approccio basato sulla
rappresentazione intrinseca della traiettoria.
traiettoria. Supponiamo di conoscere la traiettoria di un punto
materiale (una curva qualsiasi); ogni posizione su tale curva può essere individuata utilizzando un
opportuno sistema di riferimento. Dopodiché rettifichiamo la curva,, e trasformiamola in una
successione di segmenti infinitesimi: definiamo un’origine della curva, un suo verso e scegliamo,
infine, un’unità di misura per la lunghezza. Ad ogni punto P sulla traiettoria potremo allora fare
corrispondere un numero reale s,, detto ascissa curvilinea,, il cui modulo fornisce, nell’unità scelto, la
lunghezza dell’arco di curva (rettificato). Con l’introduzione della variabile s, la descrizione del
moto di P si può effettuare conoscendo le due funzioni
funzion 6
r = r (s) Informazioni sulla traiettoria7
s = s (t ) Informazioni sulla fisica del moto (legge
legge oraria)
oraria
2.3 – Velocità
Una descrizione più fedele e puntuale delle caratteristiche del moto può essere ottenuta quando si
hanno ulteriori informazioni su ciò che accade tra t e t + ∆t ; se cioè possiamo studiare come si
dursi della durata dell’intervallo temporale ∆t . In altri termini, ci
comporta il vettore v m al ridursi
aspettiamo che tale descrizione possa essere data dal valore limite della velocità media per ∆t che
tende a zero. Definiamo quindi come velocità istantanea al tempo t il vettore:
r (t + ∆t ) − r (t ) dr (t )
v = lim vm = lim ≜
∆t → 0 ∆t →0 ∆t dt
Quindi la velocità istantanea è la derivata del vettore posizione rispetto al tempo.
6 È importante che i due aspetti vengano adeguatamente disaccoppiati; facciamo un esempio per capire perché: fissiamo un punto
P da cui far partire la traiettoria del moto di un certo oggetto; dopo un certo tempo t,, l’oggetto in questione potrebbe aver percorso
perco
centinaia di metri (aspetto da riferire alla legge oraria) ed essersi tuttavia spostato di pochi centimetri da P (aspetto da riferire alla
traiettoria molto arzigogolata che ha permesso un tale risultato).
x = x (s) , y = y (s) , z = z (s)
7
Scrittura equivalente
8
Naturalmente si tratta solo di un’informazione media su quanto è accaduto alla pallina fra t e t + ∆t ; la sola conoscenza delle
posizioni P e P’ non ci permette di sapere se la pallina si sia effettivamente mossa in linea retta lungo la direzione di ∆r oppure
lungo una qualsiasi altra traiettoria, né se il moto è avvenuto con rapidità variabile (velocità non costante) o uniforme (velocità
(ve
costante).
Cerchiamo le caratteristiche principali di questo vettore
esaminando la figura qui di seguito; per definizione, la velocità
media tra t e t + ∆t è un vettore parallelo allo spostamento da P a
P’: al ridursi di ∆t , P’ tende a P e si avvicina sempre di più alla
retta tangente in P alla traiettoria ( ut è il versore tangente alla
traiettoria9).. La velocità istantanea al tempo t ha, di conseguenza,
direzione lungo la retta tangente alla traiettoria nel punto P10.
Un’espressione formale, che esplicita le citate caratteristiche del vettore v , può essere facilmente
ottenuta ricorrendo alla rappresentazione intrinseca della traiettoria.
traiettoria Possiamo, cioè, utilizzare la
legge oraria per stabilire un legame fra velocità ed equazioni della traiettoria:
dr dr ds dr ds ds
v= = = = ut
dt dt ds ds dt dt
ds
( ut è il versore tangente alla traiettoria, definito nella nota 9; è il modulo della velocità)
dt
Il verso della velocità coincide con quello del versore tangente [o con quello opposto], a seconda
che il moto avvenga istantaneamente nell verso scelto come positivo per le ascisse curvilinee11 [o nel
verso opposto]. La grandezza
ds
vs =
dt
è detta velocità scalare12.
La grandezza vettoriale velocità fornisce le informazioni necessarie per seguire gli spostamenti
elementari di un corpo in movimento. Il moto può essere infatti considerato come una successione
di spostamenti (rettilinei) infinitesimi
dr = v dt
9 Ha la direzione della secante e verso concorde con quello positivo della corda ed è espresso nella forma:
for
∆ r dr
ut = lim =
∆s →0 ∆s ds
10 D’altra parte, al ridursi di
∆t , lo spostamento ∆r tende ad avvicinarsi alla traiettoria e il suo modulo, che rappresenta la
lunghezza della corda corrispondente, è sempre meglio approssimato dalla lunghezza dell’arco di traiettoria ∆s da esso sotteso. Si
ha dunque
∆r
lim =1
∆s → 0 ∆s
In termini più sintetici, possiamo quindi dire che la direzione della secante tende a diventare quella della tangente e la corda
co tende
a confondersi con l’arco elementare.
11 Quando, cioè, si ha ds
>0
dt
12 È infatti una quantità (con segno) misurata in [m/s], senza alcuna informazione su direzione e verso.
Tali spostamenti hanno, in ogni stante, la direzione e il verso (in generale variabili) della
corrispondente velocità istantanea: hanno inoltre intensità proporzionale a dt, tramite il modulo
della velocità stessa.
Dunque, lo spazio percorso è la somma delle lunghezze elementari
d s = v dt = v dt
Possiamo quindi fare un integrale:
t2 t2
Questa quantità è in generale diversa14 dalla somma degli archi infinitesimi ds, cioè dall’integrale
definito della velocità scalare, che dà la differenza fra i valori finale e iniziale dell’ascissa
curvilinea del punto materiale:
t2 t2 t 2
ds
∆s = s2 − s1 = ∫ vs (t ) dt = ∫ dt = ∫ ds
t1 t1
dt t1
Quest’ultima differenza potrebbe essere nulla anche se il corpo è in movimento, come nel caso del
moto di andata e ritorno alla posizione iniziale.
Essendo la velocità una quantità vettoriale, possiamo scomporla a seconda del sistema di
coordinate scelto. Se utilizziamo un sistema di coordinate ortogonale, allora possiamo scrivere v
in questo modo15,16:
dr dx dy dz
v= = i+ j+ k
dt dt dt dt
Le componenti cartesiane di v sono quindi le derivate rispetto al tempo delle corrispondenti
componenti del vettore posizione:
dx dy dz
vx = vy = vz =
dt dt dt
La conoscenza dell’equazione vettoriale del moto r = r (t ) permette così di determinare la v (t )
attraverso la formula
dr ( t )
v≜
dt
Da qui possiamo poi ottenere le componenti cartesiane della velocità e il modulo attraverso il
teorema di Pitagora:
v = vx2 + vy2 + vz2
2.6 – Accelerazione
In generale, durante il moto, il vettore velocità v non resta costante al trascorrere del tempo.
13 Per definizione lo spazio percorso è non negativo (al limite nullo se il corpo è fermo). Infatti v(t) è il modulo della velocità, che è
sempre positivo.
14 La differenza è notevole: un corpo può percorrere 100 metri (spazio percorso, primo integrale) e, sulla traiettoria, aver percorso
10 metri dalla posizione iniziale a quella finale (secondo integrale). Un esempio? Spostamento di +55 m – 45 m: spazio totale
percorso 55 + 45 = 100 m; avanzamento nella traiettoria 55 – 45 = 10 m.
15 È chiaro che i versori degli assi ortogonali
( i, j, k ) non dipendono dal tempo.
16 Una scrittura più sintetica può essere: v = xɺi + yɺ j + zɺk .
Poiché le variazioni di velocità risultano importanti ai fini dello svolgimento del moto, s’introduce
un vettore che tiene conto di tali cambiamenti17.
Se all’istante t la velocità è v (t ) , e all’istante t + ∆t la velocità è v (t + ∆t ) , si definisce accelerazione
media nell’intervallo ∆t il vettore:
v (t + ∆t ) − v (t )
am =
∆t
Questa grandezza vettoriale dà un’informazione media sul cambiamento del vettore velocità e
non tiene conto degli effettivi valori di v in tale intervallo. Una migliore rappresentazione si
ottiene quindi utilizzando intervalli ∆t sempre più piccoli e considerando quindi il valore limite
di a m per ∆t che tende a zero. Tale limite definisce l’accelerazione istantanea:
∆v
a = lim am = lim
∆t →0 ∆t →0 ∆t
Questo vettore, essendo il limite di un rapporto incrementale, è la derivata prima del vettore
velocità e anche la derivata seconda18 del vettore posizione:
dv ( t ) d 2 r ( t )
a= =
dt dt 2
Ripetiamo poi quello che abbiamo già detto per la velocità e troviamo l’espressione cartesiana
dell’accelerazione19:
dv dv dv d2x d2 y d2z
a = x i + y j+ z k = 2 i + 2 j+ 2 k
dt dt dt dt dt dt
Il vettore accelerazione riflette le diverse possibili variazioni elementari del vettore velocità
(variazioni del suo modulo, cambiamenti nella sua direzione orientata). Possiamo, partendo dalla
definizione di accelerazione e dall’espressione intrinseca della velocità, dare a questo parametro
una forma che tenga conto dei singoli contributi dati da variazione di modulo e variazione di
direzione. Possiamo dimostrare facilmente che a si può esprimere come somma di due vettori
componenti:
• Uno parallelo alla velocità collegato alla rapidità di variazione della sua parte scalare
• Uno perpendicolare alla velocità dipendente dalla rapidità di variazione della sua
direzione
Infatti, applicando la regola di derivazione del prodotto, si ha
d (vs ut ) dvs dut
v = vs ut a= = ut + vs = at + a n
dt dt dt
ds 20
A sua volta vs è , dunque possiamo porre il primo termine dell’equazione soprastante in
dt
questa forma:
dv d2s
at = s ut = 2 ut = ɺɺ sut
dt dt
17Il procedimento è del tutto analogo a quello seguito per la definizione della velocità, passando attraverso la definizione di una
grandezza media e di un successivo passaggio al limite quando l’intervallo temporale tende a zero.
18 Poiché v ≜
dr ( t )
dt
19 Una scrittura più sintetica può essere: a = xɺɺi + ɺɺ
yj + zɺɺk .
20 È la definizione di velocità scalare, quindi ci stiamo riferendo alla parte scalare della grandezza.
Tale componente ha lo stesso verso di ut se la velocità scalare cresce, o verso opposto se la
velocità scalare diminuisce. Esso è il componente di a che riflette le variazioni del modulo e/o del
verso di v , e viene anche detto componente tangenziale di a o brevemente accelerazione tangenziale,
in quanto ha direzione tangente alla traiettoria di v .
Passiamo ora al termine che riguarda la variazione di direzione e verso (che è quello riferito alla
parte perpendicolare) e riferiamoci dunque a
dut
vs
dt
Dobbiamo anzitutto definire cosa sia la derivata del versore ut rispetto al tempo. A tale scopo
dr
ricordiamo che il versore tangente ut = dipende dalla scelta del verso positivo per le ascisse
ds
curvilinee s sulla traiettoria, e non dalle effettive caratteristiche istantanee del moto. Conviene
indi esprimere la dipendenza di ut dal tempo attraverso la variazione di ut al variare di s (che
quindi
dipende dalla forma della traiettoria) e di quella di s al cambiare di t (più direttamente collegata al
moto del punto). Si ha quindi:
dut dut ds dut ds dut
= = = sɺ
dt dt ds ds dt ds
La derivata del versore ut rispetto ad s rappresenta una caratteristica intrinseca della traiettoria,
dipendente dalle sue proprietà locali in P, e può essere espressa tramite la
formula21
d u dϕ dut dϕ
= n⇒ = un
ds ds ds ds
È noto dalla geometria che un elemento di
curva attorno a un generico punto P può
essere approssimato con un elemento di arco
di una circonferenza, il cui cerchio associato
è detto cerchio osculatore (vedi figura): tale cerchio ha il centro nel
cosiddetto centro di curvatura C(P) della curva in P e ha raggio ρ . La retta perpendicolare alla
tangente in P alla curva, giacente nel piano (del cerchio) osculatore è chiamata normale principale e
il versore della sua direzione, orientata da P verso il centro di curvatura,
curvatura, è proprio il versore
normale un22.
ds
Poiché dϕ è uguale all’angolo 23
sotto il quale viene visto
ρ
l’elemento di arco di curva, si ha infine:
ds dut dϕ 1 ds 1
= dϕ ⇒ = un = un = u n
ρ ds ds ds ρ ρ
Ora abbiamo tutti gli elementi per poter definire del tutto
l’espressione
espressione intrinseca dell’accelerazione:
dv dut
a = s ut + vs = at + an = at ut + an un
dt dt
21 Ricordiamo che, in tale formula: dϕ è la derivata dell’angolo di rotazione rispetto al tempo e un è il versore perpendicolare a ut .
dt
22 Tutti questi elementi si riferiscono a proprietà locali della curva.
sɺ0 è la velocità scalare, in questo caso costante, ed è positiva se il punto materiale percorre la traiettoria nel verso prescelto come
positivo per l’ascissa curvilinea, negativa in caso contrario.
Se t0 = 0 28, l’equazione ha la semplice forma29,30:
s (t ) = sɺ0t + s0
(legge oraria del moto uniforme)
Si tratta di ripetere il ragionamento effettuato nel paragrafo precedente. Sappiamo che in questo
caso abbiamo:
dsɺ
= ɺɺ
s = ɺɺ
s0 = costante
dt
Questa volta utilizziamo direttamente il metodo di separazione delle variabili e scriviamo che:
dsɺ = ɺɺ
s0 dt
∫ dsɺ = ɺɺs ∫ dt
0
Scegliamo t0 = 0 in modo da fare sì che la costante di integrazione C valga sɺ0 (velocità del punto
materiale nel tempo t0 = 0 ). Otteniamo la legge con cui la derivata temporale dell’ascissa
curvilinea (cioè, la velocità scalare) varia nel tempo:
∫ dsɺ = ɺɺs0 ∫ dt
ds
= sɺ = ɺɺ
s0t + sɺ0
dt
Ora possiamo integrare nuovamente applicando, per la seconda volta, la separazione delle
variabili:
ds
= ɺɺ
s0t + sɺ0
dt
∫ ds = ∫ ( ɺɺs0t + sɺ0 ) dt s = ∫ ɺɺ
s0t dt + ∫ sɺ0 dt
1 2
s (t ) =
s0t + sɺ0t + s0
ɺɺ
2
(legge oraria dei moti con accelerazione costante31)
Lo studio dei moti rettilinei è importante anche perché, utilizzando la rappresentazione cartesiana
dell’equazione vettoriale del moto, possiamo sempre considerare il moto generico di un punto
28 Dunque scegliamo come istante iniziale di osservazione quello dell’origine dei tempi. Conoscere la posizione di un corpo
all’istante iniziale (in questo caso, all’istante iniziale il corpo sta in s0 ) è importantissimo; non ha infatti senso il quesito: “Sapendo
che una particella si muove lungo una curva data con velocità scalare costante 1 m/s, è possibile determinare la posizione di tale particella dopo 5
s dalla prima osservazione?”. Non sappiamo infatti dove si trova la particella al tempo zero: essa potrebbe essere ovunque, a ‒100 m
come a +5 m.
29 In questo caso è evidente che C =
s0 .
30 Metodo alternativo per ricavare la formula del moto uniforme:
• Definizione di differenziale ds = sɺ0 dt
• Integrazione e separazione delle variabili
∫ ds = sɺ ∫ dt
0
sɺ (t ) = ɺɺ
s0 ⋅ (t − t0 ) + sɺ0
31 Possiamo estendere la discussione ad un caso generale ( t0 ≠ 0 )
1
s (t ) = ɺɺ s0 ⋅ (t − t0 ) + sɺ0 ⋅ (t − t0 ) + s0
2
2
ɺɺ
s0
v = (t − t0 ) + 2at ( s − s0 )
2
Da qui possiamo, eliminando t dal sistema di equazioni, ricavare la relazione: 2
2
Tale equazione esprime il modulo della velocità in funzione dell’ascissa curvilinea.
materiale come la combinazione ne lineare di tre moti rettilinei, quelli delle proiezioni del punto sugli
assi cartesiani.
Se la traiettoria è rettilinea, abbiamo le seguenti proprietà:
• Il versore ut è parallelo alla retta che costituisce la traiettoria.
• Velocità, accelerazione e spostamenti, essendo paralleli a ut , sono tutti fra loro paralleli.
Per questo, possiamo scegliere, per semplicità, di far coincidere la traiettoria rettilinea con uno
degli assi cartesiani del nostro sistema
siste di riferimento32.
• Se il moto è rettilineo uniforme,
uniforme, allora l’equazione oraria risulta essere
s (t ) = sɺ0t + s0 ⇒ x (t ) = vx 0t + x 0
• Se il moto ha accelerazione costante siamo nel caso di moto rettilineo uniformemente accelerato:
in tal caso l’equazione oraria è
1 2 1
s (t ) = ɺɺ
s0t + sɺ0t + s0 ⇒ x (t ) = a0t 2 + vs 0t + x0
2 2
L’equazione che esprime la dipendenza temporale della parte scalare della velocità è invece
data da:
xɺ (t ) = a0t + vs 0
2.12 – Moti circolari
Il moto circolare
lare ha un ruolo importante in Fisica
F 33,34.
32 Scegliamo, per esempio, l’asse x: dunque x(t) = s(t).. Inoltre, mettiamoci nella condizione per la quale t0 = 0 .
33 Circolari (o quasi) sono le traiettorie di molti pianeti intorno al sole; di questo tipo sono anche le traiettorie degli elettroni
elet atomici
attorno al nucleo del modello semiclassico
lassico di Bohr. Nelle applicazioni tecniche, inoltre, molti sono i dispositivi che si comportano
come corpi rigidi in rotazione attorno a un asse fisso: i loro punti si muovono su traiettorie circolari.
34
Naturalmente, anche per questo tipo di moto è possibile utilizzare le relazioni viste fin’ora, espresse in termini del parametro
“ascissa curvilinea”.
35 Ricordiamo le espressioni scritte nel paragrafo 1.14:
v
Se la velocità scalare è costante (e quindi lo è anche la cosiddetta velocità angolare ϑɺ (t ) = s 0 ), il
R
moto si dice circolare uniforme e dunque si può utilizzare una relazione analoga a quella del moto
rettilineo uniforme36:
ϑ (t ) = ϑɺ0t + ϑ0
Ora esaminiamo l’accelerazione, scomponendola nelle sue componenti normali:
1 1
a = at + a n = ɺɺ Rϑɺɺ ⋅ ut + sɺ2 un
sut + sɺ2 un =
ρ =0 ρ
Come si vede, rimane soltanto la componente normale, che è pari a
1 R2ϑɺ 2
sɺ2 un = un = Rϑɺ 2un
ρ
R
=R
Dunque, nel moto circolare uniforme, l’accelerazione è diversa da zero ed è centripeta; essa ha
modulo costante, così come la velocità, alla quale è continuamente perpendicolare.
Se vogliamo trovare l’equazione vettoriale allora dobbiamo usare queste altre formule:
vettore posizione37 r = R cos (ωt ) i + R sin (ωt ) j
velocità38 v = −ω R sin (ωt ) i + ω R cos (ωt ) = jω R − sin (ωt ) i + cos (ωt ) j = ω Rut
versore tangente ut
accelerazione 39 a = −ω R cos (ωt ) i − ω R cos (ωt ) j = −ω R cos (ωt ) i + R cos (ωt ) j = −ω 2r
2 2 2
In questo caso la velocità scalare (e quindi anche quella angolare) variano linearmente nel tempo;
dunque l’equazione oraria ha la forma40:
1
ϑ (t ) = ϑɺɺ0t 2 + ϑɺ0t + ϑ0
2
L’accelerazione ha sia la componente tangenziale (che ha modulo costante) sia quella normale (il
cui modulo, invece, varia nel tempo).
Il moto circolare uniforme è l’esempio più classico di moto periodico. Un moto è periodico se, a
partire da un istante qualsiasi t, le sue caratteristiche si ripetono inalterate41 dopo un certo periodo
di tempo T (che viene detto periodo del moto)42. Dunque deve essere soddisfatta la relazione:
r (t + nT ) = r (t ) (per ogni n)
2
41 Il moto si ripete effettivamente, in tutto e per tutto, con le medesime modalità. In particolare, oltre ad r , v ed a , risulta
periodica anche la legge oraria s(t).
42 Questo ci fa inoltre capire che un moto periodico non può che essere su una traiettoria chiusa! Ogni moto uniforme su traiettoria
Consideriamo un punto materiale che si muove lungo una retta, che scegliamo come asse x,
secondo la legge oraria45 (graficata in figura):
figura)
x (t ) = A cos (ω0t + ϕ0 )
In questa equazione:
• x(t) è detta elongazione;
• A è detta ampiezza e corrisponde al massimo valore che
può avere l’ascissa x(t);
• ω0 è la pulsazione e si misura in [1/s];
• ϕ0 è la fase iniziale.
Questo moto è evidentemente periodico; il coseno è infatti una
funzione periodica con periodo 2π : poi, visto che l’angolo sotto
la funzione di coseno contiene la variabile t, possiamo dire che x(t) è periodica in t, con periodo:
2π
T =
ω0
Il diagramma orario intercetta l’asse t = 0 per il valore dell’elongazione:
x0 = A cos ϕ0
La traiettoria è rettilinea e, su tale retta, il corpo si muove in modo che la sua distanza dall’origine
(centro dell’oscillazione) sia al più uguale ad A46.
Conoscendo la legge oraria, possiamo calcolare la velocità e l’accelerazione47 per ogni valore di t:
velocità (derivata di x) vx = xɺ = −ω0 A sin (ω0t + ϕ0 )
accelerazione (derivata di xɺ ) ax = xɺɺ = −ω02 A cos (ω0t + ϕ0 ) = −ω02 x
Qui di seguito riportiamo i grafici riguardanti:
• La velocità nei confronti dell’elongazione (quello a sinistra).
• L’accelerazione nei confronti dell’elongazione (quello a destra).
45
A e ω0 sono costanti reali positive e ϕ0 è una costante reale.
46 A e –A vengono detti estremi dell’oscillazione.
47 Si noti che l’accelerazione ha sempre segno opposto a quello dell’elongazione.
VELOCITÁ ACCELERAZIONE
Notiamo che:
• Velocità ed accelerazione hanno entrambi andamenti periodici, con lo stesso periodo T
della legge oraria.
• Rispetto all’elongazione, velocità ed accelerazione sono sfasate (in anticipo) di π/2 la prima
e di π la seconda.
• Il modulo della velocità è massimo in O e nullo in ± A (dove il moto si inverte).
• Negli estremi è massimo il modulo dell’accelerazione.
I valori delle costanti A e ϕ0 dipendono dalle condizioni iniziali48 della posizione e della velocità:
x = A cos (ω0t + ϕ0 ) x ( 0 ) = A cos ϕ0
poniamo t = 0
v
x = ɺ
x = −ω0 A sin ( ω0t + ϕ 0 ) vx ( 0 ) = −ω0 A sin ϕ0
Con semplici passaggi algebrici si ottiene:
v0 x vx20
tan ϕ0 = − A = x 02 +
ω0 x0 ω02
Tali valori consentono di determinare 49 , a partire dalla soluzione generale dell’equazione
differenziale
xɺɺ + ω02 x = 0
la soluzione particolare corrispondente alle assegnate condizioni iniziali
x ( 0 ) = x0
vx ( 0 ) = vx 0
L’equazione differenziale scritta poco sopra è detta equazione differenziale del moto oscillatorio
armonico.
In effetti, si parla di moto oscillatorio armonico anche su una traiettoria curva qualunque, quando
la funzione s(t), che esprime la legge oraria, soddisfa la corrispondente equazione:
s + ω02s = 0
ɺɺ
Fra i moti periodici, quello armonico ha un importanza fondamentale; ogni altro moto periodico,
infatti, può essere ricondotto ad un’opportuna combinazione di moti oscillatori armonici50.
f(t) può essere espressa come somma di funzioni sinusoidali (armoniche semplici), secondo lo sviluppo:
c0 N
f (t ) = + ∑ c sin ( nω0t + ϕn )
2 n =1 n
Come si vede, si tratta di sommare tante armoniche semplici, aventi diverse ampiezze cn , diverse fasi iniziali ϕn , ma con
pulsazioni tutte multiple di una pulsazione fondamentale ω0 .
2.17 – Il problema inverso della cinematica
Nella trattazione fin’ora svolta ci siamo posti dal punto di vista di chi ha misurato le posizioni del
corpo al passare del tempo, ricavandone la legge del moto. Abbiamo mostrato che si ottiene la
velocità derivando r , e l’accelerazione derivando v (sempre rispetto al tempo).
Consideriamo ora la situazione in cui si abbiano informazioni sperimentali sulla velocità in un
certo intervallo di tempo (t0 ,t f ) , chiedendoci se sia possibile
possibile determinare l’equazione vettoriale
del moto in tale intervallo. La risposta è positiva, purché si abbiano informazioni sufficienti51 e sia
noto il vettore posizione r (t0 ) all’istante iniziale52. Supponiamo infatti di conoscere le velocità agli
istanti t0 , t1 , ..., tf −1 , tf , separati ∆t l’uno dall’altro. Sappiamo che lo spostamento
∆r1 = r (t1 ) − r (t0 )
può essere espresso53 attraverso la corrispondente velocità media:
∆r1 = v m ∆t = v m (t1 − t0 )
Dunque lo spostamento totale lo possiamo esprimere così:
∆r = ∆r1 + ∆r2 + ... + ∆rf = r (t1 ) − r (t0 ) + r (t2 ) − r (t1 ) + ... + r (tf ) − r (tf −1 )
E questa è invece l’espressione del vettore posizione nel punto finale:
r (tf ) = r (t0 ) + r (t1 ) − r (t0 ) + r (t2 ) − r (t1 ) + ... + r (tf ) − r (tf −1 )
Esprimendo il tutto secondo la velocità media:
f −1
r (tf ) ≈ r (t0 ) + ∑ v (tk ) ∆t
∆t →0
k =0
Lo stesso identico ragionamento può essere effettuato fra velocità e accelerazione; possiamo infatti
scrivere che, sotto le stesse ipotesi di generico istante t > t0, si ha:
t v( t )
Gli integrali di vettori che compaiono in tali relazioni sono generalmente riconducibili a integrali
di funzioni scalari. Infatti, se rappresentiamo un generico vettore w (t ) in forma cartesiana
w ( t ) = wx ( t ) i + w y ( t ) j + wz ( t ) k
51
v dev’essere noto in un sufficiente numero di istanti nell’intervallo.
52 Ciò dipende dal fatto che dalle velocità si ottengono gli spostamenti, e che da questi si ottiene una posizione finale solo so
conoscendo quella iniziale.
53 Stiamo compiendo un’approssimazione, tanto migliore quanto è piccolo l’intervallo di tempo
∆t
54 Chiamiamo t’ la variabile di integrazione per evitare confusione fra i simboli.
55 Si ottiene il vettore posizione all’istante generico t sommando al vettore posizione (iniziale) la somma (integrale) di tutti gli
Tutti i corpi nelle vicinanze della superficie terrestre si muovono con un’accelerazione che può
essere considerata come costante57, diretta verticalmente verso il basso58. Per tale vettore costante,
detto accelerazione di gravità,, viene comunemente utilizzato il simbolo g .
Trattiamo quest’importante problema come esempio di problema inverso e otteniamo, per
a (t ) = g = costante :
t t
v (t ) = v (t0 ) + ∫ a (t′ ) dt′ = v 0 + ∫ g dt′ = v 0 + g ⋅ (t − t0 )
t0 t0
t t
1
r (t ) = r (t0 ) + ∫ v (t′ ) dt′ = r0 + ∫ v 0 + g ⋅ (t − t0 ) dt′ = r0 + v 0 ⋅ (t − t0 ) + g ⋅ (t − t0 )
2
t0 t0
2
Osserviamo anzitutto che sia v sia r − r0 si ottengono sommando
due vettori che hanno le direzioni di v 0 e di g , e stanno quindi
costantemente nel piano da essi definito, cioè nel piano verticale
che contiene la velocità iniziale59. In particolare, essa è rettilinea se
v 0 = 0 60, cioè se il corpo è lasciato cadere da fermo, oppure se v0
viene inizialmente lanciato verticalmente verso l’alto o verso il
basso. In tutti gli altri casi, la traiettoria è una parabola. Risulta
particolarmente conveniente l’utilizzazione di un sistema di
coordinate cartesiane, con gli assi x e y rispettivamente orizzontale e verticale. È usuale scegliere il
verso positivo dell’asse y verso l’alto; detto questo, così diventa l’espressione dell’accelerazione
a = g = − gj
Se assumiamo che all’istante iniziale il punto si trovi sia all’origine dei tempi61 sia all’origine del
sistema cartesiano62, e se indichiamo con α l’angolo che il vettore v0 forma con l’asse x, all’istante
generico t le equazioni vettoriali per v e per r hanno la forma:
v (t ) = (v0 cos α ) i + (v0 sin α − gt ) j
1 2
r (t ) = ∫ v (t ) dt = (v0 cos α ) t ⋅ i + v0t sin α − gt j
2
Se scindiamo il tutto nelle componenti cartesiane63 x e y (il calcolo è immediato, basta copiare):
59 La traiettoria
oria è dunque una curva che giace in un piano verticale.
60 Questo significa che non vi è componente iniziale lungo l’asse x,, quindi il corpo non può che muoversi sulla retta verticale in cui
si trova.
61 Dunque t = 0.
62 Quindi x = y = 0.
63 Le componenti lungo z non le consideriamo perché non ci sono: abbiamo infatti detto che la traiettoria giace su un piano
verticale, il che significa che z = costante (o, meglio, z = 0 siccome abbiamo scelto come origine del moto l’origine degli assi).
x = (v0 cos α ) t
vx = v0 x = v0 cos α
velocità: posizione: 1 2
vy = v0 y − gt = v0 sin α − gt y = v0t sin α − gt
2
Notiamo che64:
• La proiezione del moto del corpo sull’asse x genera un moto (rettilineo) uniforme.
• La proiezione del moto del corpo sull’asse y genera un moto (rettilineo) uniformemente
accelerato,, con accelerazione scalare –g.
Tali equazioni sono anche le equazioni parametriche della traiettoria: se infatti eliminiamo
elimi il
parametro t
x
x = (v0 cos α ) t t=
v0 cos α
1 2
y = v0t sin α − gt
2
2
x 1 x g
y = v0 sin α − g = x tan α − x
2
Tale forma quadratica è l’equazione esplicita di una parabola65 che giace nel piano z = 0, con l’asse
parallelo all’asse (verticale) y e la concavità rivolta verso il basso66.
64 Le caratteristiche dei due moti di cui si parla nell’elenco per punti sono del tutto scorrelate fra loro e si può quindi rappresentare
rappres
il moto del punto come la composizione di due moti rettilinei indipendenti, lungo le suddette direzioni.
65 L’assenza del termine di grado zero in x dipende dalla scelta delle condizioni iniziali
x0 = y0 = 0
66 Essendo negativo il segno del coefficiente di x 2
67 Un corpo appoggiato al suolo terrestre è fermo rispetto a un sistema di riferimento solidale con la superficie terrestre, ma non lo è
d t S
vτ = V (t ) + ω (t ) × r (t ) − R (t )
Per chiarire il significato fisico della grandezza ω , consideriamo due casi particolari:
a. ω = 0 71
In ogni istante, vτ è indipendente dalla posizione:
posizione tutti i punti
solidali con S’ si muovono rispetto ad S con la medesima
velocità dall’origine O’ (eventualmente variabile nel tempo).
tempo)
Si ha dunque:
vτ = V ( t )
S’ effettua un moto di traslazione rispetto a S, con velocità
istantanea V (t ) . I versori di ogni terna T’ solidale con S’ si
mantengono costantemente paralleli a se stessi.
b. ω ≠ 0 72
Se siamo in questo caso, vt varia da punto a punto ed è uguale alla somma vettoriale della
velocità di O’ e del vettore ω × ( r − R ) . Il significato di questo ultimo termine risulta più chiaro
se consideriamo il caso particolare in cui O’ è fisso in S; allora si ha:
vτ = ω × ( r − R )
Questo esempio ci mostra chiaramente che tale vettore rappresenta la velocità di un punto
materiale che si muove in S di moto circolare, con velocità angolare ω (t ) , sulla circonferenza
di asse (variabile nel tempo) parallelo a ω (t ) e passante per O’. S’ è quindi animato rispetto ad
S di un moto di rotazione caratterizzato da velocità angolare ω (t ) .
Il caso più generale può essere ricondotto al moto di rototraslazione, composizione di un moto di
traslazione e di un moto di rotazione. In questo caso, l’asse istantaneo intorno al quale avviene la
rotazione può essere individuato to come luogo dei punti solidali con S’ la cui velocità (di
trascinamento) è uguale a V (t ) .
Per quanto riguarda le accelerazioni, si dimostra che la connessione fra a e a′ è più complessa di
quella fra v e v′ . Infatti risulta:
a = a′ + aτ + aco
In questa relazione:
68
Possiamo leggere tale relazione anche così: la velocità di un generico punto materiale in S è data dalla somma vettoriale della
del
velocità v′ in S’ e della velocità vt in S del punto solidale con S’ istantaneamente coincidente con il punto mobile.
69Il suo significato risulta evidente considerando il caso di un punto che sia in quiete nel riferimento S’. Riferendoci all’esempio
all’es
della barca: se l’uomo a bordo è fermo (è cioè solidale con la barca), allora la sua velocità in S sarà v = v′ + vτ = 0 + vτ = vτ
70 La velocità di trascinamento dipende dal moto relativo dei due sistemi di riferimento e inoltre dalla particolare posizione
occupata dal punto mobile all’istante considerato.
71 Vedi paragrafo 2.20 per approfondimenti
Se poi V (t ) è indipendente dal tempo (cioè costante), il moto di traslazione di cui S’ è animato
dispetto ad S è di tipo rettilineo e uniforme76,77.
Illustriamo
llustriamo ora il caso in cui il moto relativo di S e S’ coinvolga la sola
rotazione della terna di assi del sistema S’ rispetto a quella di S.
Consideriamo un punto materiale che si muove su una piattaforma,
ed esaminiamo il suo moto in due sistemi di riferimento:
rif uno (S)
rispetto al quale la piattaforma ruota con velocità angolare ω =
costante, diretta lungo l’asse z; l’altro (S’)
solidale con la piattaforma (che ruota).
Supponiamo che il moto del punto
avvenga lungo la direzione dell’asse x ′ , con velocità v′ costante, di
modulo v0′ 80. Si dimostra che in S la traiettoria è curva e quindi il moto
è accelerato. Se facciamo rilevazioni sulla posizione x,y del punto81
allora si ha la traiettoria che possiamo vedere in figura qui a fianco.
Infatti la distanza r del punto mobile dall’origine cresce
proporzionalmente al tempo:
r = v0′ t
Analoga dipendenza ha anche l’angolo ϑ che il suo vettore posizione forma con l’asse x del
riferimento S:
ϑ = ωt
77 Per semplicità, assumiamo che le origini dei due sistemi di riferimenti coincidano a un istante, che viene assunto come
com origine dei
tempi, sia in S che in S’.
78 Tale vettore posizione è
R.
79 È invece invariante la differenza fra le velocità di due punti materiali diversi (velocità
( relativa fra due punti).
80 Tale moto è dunque rettilineo uniforme in S’.
APPENDICE
La relazione di proporzionalità −ω 2r che c’è tra a ed r può essere considerata uno degli aspetti
caratteristici del moto circolare uniforme ed è opportuno riscriverla nella forma
d 2r
2
= −ω02r
dt
Dopodiché possiamo scomporla nelle componenti del piano cartesiano:
d 2 x (t ) d 2 y (t )
= −ωx x (t )
2
= −ω y2 y (t )
dt 2 dt 2
Tali equazioni hanno la medesima struttura, del tipo:
d 2 f (t )
2
+ ω y2 f (t ) = 0
dt
Questo è un tipico esempio di equazione differenziale. Essa stabilisce, infatti, un legame fra la
derivata (in questo caso seconda) della funzione f(t) e la funzione stessa. Solo alcune funzioni, le
soluzioni dell’equazione differenziale, potranno soddisfare tale condizione.
È facile verificare che una funzione del tipo
f (t ) = A cos (ω0t + δ )
ove A e δ sono costanti arbitrarie, è il cosiddetto integrale generale dell’equazione differenziale di
cui sopra.
il primo punto; l’altro punto si trova su una superficie sferica di raggio d (e centro nel primo punto) sulla quale (con due gradi di
libertà) si può individuare il secondo punto. Usati quindi i 5 gradi di libertà per definire questi due punti, il terzo punto ha soltanto
un grado di libertà (sta su una circonferenza che ha centro nella retta congiungente i due punti di prima, come in figura).
di n punti materiali (con n qualsiasi): tale sistema è detto di corpo rigido, ed ha sempre e comunque
6 gradi di libertà.
Se consideriamo i sistemi di riferimento di cui si parla nei paragrafi 2.19-22 come sistemi di
riferimento solidali con un qualsiasi corpo rigido (un punto del corpo rigido può essere
univocamente determinato da un vettore di posizione), allora abbiamo in qualche modo definito
una cinematica del corpo rigido.
90 La posizione del quarto punto è fissata dagli altri tre (non vi sono ulteriori gradi di libertà rispetto al caso di 3 punti materiali).
FORZE - STATICA
3.1 – Forze
Il concetto primitivo di forza è connesso alla sensazione (ampiamente soggettiva) di sforzo che si fa
nello spingere o nel trascinare oggetti, cioè nell’interagire con essi1. Dall’analisi di molti fenomeni
che rientrano nell’esperienza quotidiana, si può desumere che:
• Le forze si presentano in coppie, nel senso che i corpi interagenti esercitano forze l’uno
sull’altro.
• È naturale caratterizzare le forze con un’intensità, una direzione orientata e una regione di
applicazione.
• Le forze possono produrre variazioni dello stato del moto dei corpi sui quali esse agiscono.
• Le forze possono deformare i corpi su cui agiscono.
• Le forze si possono compensare a vicenda, assicurando l’equilibrio 2 di corpi soggetti a
molteplici interazione
one con altri corpi che li circondano.
Le forze considerate finora vengono comunemente denominate forze a contatto, contatto perché dal punto
di vista macroscopico sono associate a un contatto fisico esistente fra i corpi che interagiscono; ne
esistono altre, denominate forze a distanza,
distanza, che si manifestano anche se i corpi non si toccano3.
In sintesi, le forze hanno due tipi di effetti:
• Modificano lo stato di moto dei corpi su cui agiscono.
• Deformano i corpi su cui agiscono.
1 Quando dobbiamo spingere un’automobile, stiamo applicando ad essa una forza; se trasciniamo una cassa sul pavimento,
tirandola con una corda, applichiamo una forza alla cassa tramite la corda. Se poi la cassa è talmente pesante da non poter esseree
spostata,a, l’azione esercitata, pur se non genera movimento, ha come risultato una certa deformazione nel punto in cui la corda è
attaccata alla cassa. Ogniqualvolta su agisce su un corpo, esso subisce una deformazione, piccola o grande che sia.
2 Di questo si occupa la statica: dello studio delle forze nei sistemi in stato di equilibrio.
3 Fra queste ultime, di grande rilievo è la forza peso con cui la Terra attrae tutti i corpi che la circondano. Un altro esempio
esempi è la
forza magnetica, quella – ad esempio – di una calamita che attira a sé oggetti ferromagnetici.
4 Ci stiamo riferendo alla proprietà di deformare i corpi.
Le interazioni di un corpo con quelli presenti nell’ambiente circostante presentano diversi tipi di
caratteristiche: alcune forze (come il peso) agiscono in modo attivo, per esempio mettendo il corpo
in movimento, se è fermo, oppure obbligandolo a cambiare direzione del moto; in alcune
circostanze, invece, le forze esercitate da altri corpi limitano il moto (a volte solo in alcune
direzioni), oppure impediscono di accedere a particolari zone dello spazio 13 . Un corpo, non
trattenuto, cade sotto l’azione (attiva) del suo peso w ; se invece viene appoggiato su un piano
7 Non è però detto che il corrispondente allungamento della molla risulti risulti essere doppio, perché il dinamometro potrebbe anche non
avere una scala lineare. Questo però non ha importanza, perché noi stiamo semplicemente cercando di stabilire una scala graduata gradu
per la misurazione delle forze.
8 Per analizzare il carattere vettoriale
iale delle forze, è utile far uso di elementi come fili e carrucole (ideali), che consentono di cambiare
la direzione in cui agisce la forza senza cambiarne il modulo.
9 Esercitano, cioè, la stessa forza peso.
•
il dinamometro ostacola lo scivolamento del corpo lungo
la direzione parallela al piano inclinato e misura una forza
pari a w sin α (“verso l’alto”,
l’alto” cioè opposta a quella di
prima);
• il piano inclinato esercita una reazione diretta
diretta lungo la perpendicolare al piano
inclinato, con forza pari a w cos α (anche questa reazione vincolare del piano ha
direzione opposta a quella che esercita il corpo).
corpo)
La somma vettoriale di tutte le forze in campo dà zero e dunque il corpo è in equilibrio.
Come abbiamo anticipato nel paragrafo 3.3, condizione necessaria e sufficiente per l’equilibrio di
un punto materiale è che si annulli la somma vettoriale (cioè la risultante)
risultante delle forze ad esso
applicate .
19
R=0
14 Si osservi che, nella situazione descritta, un corpo (il tavolo) si deforma per effetto di un’azione attiva esterna e agisce, a sua
volta, in senso inverso all’azione che l’ha deformato.
15 Il vincolo viene detto liscio se è grado di reagire soltanto con una forza perpendicolare alla superficie, nel punto di contatto: in
questa situazione, l’azione ne del vincolo consiste esclusivamente nel rendere inagibili al punto materiale alcune configurazioni
spaziali. In caso opposto il vincolo è detto scabro e il componente tangenziale della reazione vincolare prende il nome di forza
attrito (radente).
16 È un vincolo liscio.
17 Per il sistema costituito da Terra e Sole, l’attrazione gravitazionale esercitata dal Sole sulla Terra è una forza interna.
18 Per il sistema costituito dalla sola Terra, l’attrazione gravitazionale esercitata dal Sole sulla Terra è una forza
f esterna.
19 Questo non significa necessariamente che non vi siano forze applicate al punto materiale: potrebbero altresì esserci, ad esempio,
esem
una coppia di forze uguali e contrarie.
Se invece ci riferiamo a un corpo rigido, la condizione necessaria e sufficiente per l’equilibrio è che
si annullino sia la risultante delle forze (esterne)
Re = 0
sia il momento risultante delle forze (esterne) ad esso applicate:
Me = 0
3.5 – Baricentro
1 n
G
y = ∑ Fi yi
R i =1
1 n
zG = ∑ Fi zi
R i =1
Diamo alcune caratteristiche del baricentro:
• per un sistema costituito da due soli punti materiali, il baricentro si trova sul segmento che
congiunge i 2 punti, a distanza da essi inversamente proporzionale al loro peso;
• per un sistema di n punti materiali che giacciono su di una retta, il baricentro si trova sulla
medesima retta;
• per un sistema di n punti materiali che giacciono su di un piano, il baricentro si trova sul
medesimo piano;
• se un sistema può essere diviso in più parti, il suo baricentro coincide col baricentro dei
baricentri spaziali.
Per un corpo omogeneo21, diviso in n parti sufficientemente piccole, si ha che22:
1 n 1 n 1 n
G R ∑ i i nF ∑ i n ∑ x i
x = F x = Fx =
i =1 i =1 i =1
1 n
1 n
1 n
yG = ∑ Fi yi = ∑ i n∑Fy = yi
R i =1 nF i =1 i =1
1 n 1 n 1 n
zG = ∑ Fi zi = ∑ Fzi = ∑ zi
R i =1 nF i =1 n i =1
L’esperienza di tutti i giorni ci insegna che un corpo, una volta messo in movimento su un piano
orizzontale, non si muove di moto uniforme, ma rallenta (più o meno rapidamente) fino a
fermarsi. Ciò avviene per una forza che ha la prerogativa di fermare i corpi in movimento:
l’attrito. È l’attrito, peraltro, che ci permette di camminare e consente a una ruota di rotolare
invece di slittare.
Consideriamo il caso classico di un corpo che può strisciare lungo un piano orizzontale,
supponendo che esso sia inizialmente fermo e che gli venga applicata una forza fτ parallela al
piano.. Se la forza non è abbastanza intensa il corpo non si muove23: questo vuol dire che il piano
agisce con una forza sul corpo in modo da bilanciare da un lato (componente verticale) il peso,
ll’altro (componente orizzontale) la forza fτ . Provando ad aumentare il modulo di fτ notiamo
dall’altro
che ancora non succede nulla: evidentemente è aumentata anche la componente orizzontale della
reazione R , in modo da continuare ad equilibrare fτ . Se aumentiamo uniformemente fτ , ad un
certo punto il corpo si metterà in movimento: R non è più in grado di bilanciare
bilanci l’azione di fτ . In
altre parole, la forza di attrito dipende dall’azione da bilanciare, ma non può superare un certo
valore massimo24 Rτmax .
Malgrado la complessità del fenomeno, fenomeno si trova
sperimentalmente che in molti casi il massimo valore
dell’attrito può essere scritto come:
Rτmax = µs Rn
Dove il coefficiente 25 µs ingloba l’effetto dei vari fattori
citati ed Rn è la reazione vincolare del piano diretta
perpendicolarmente ad esso (vedi figura). La legge
dell’attrito risulta quindi:
Rτ < µs Rn
Da cosa ha origine questa forza d’attrito? Il fatto è che solo apparentemente la superficie scabra
corrisponde
onde a quella (macroscopica) di contatto: se potessimo vedere la situazione macroscopica,
ci accorgeremmo che il contatto avviene in zone molto più limitate, data l’irregolarità della
L’esperienza suggerisce che, una volta che un corpo sia stato messo in movimento, l’attrito
permane, ma basta una forza di modulo inferiore per mantenerne costante la velocità. Questo vuol
dire che l’attrito dinamico è (di norma) inferiore all’attrito statico26: ciò è comprensibile in quanto,
con il corpo in movimento, i fenomeni di saldatura microscopici diventano meno probabili.
Misurando così la forza di attrito dinamico, si trova che anch’essa può essere espressa sovente
nella forma
Rτ = µd Rn
cioè attraverso una costante caratteristica, che prende il nome di coefficiente di attrito dinamico
µd ≤ µ s
La forza Rτ è diretta in verso opposto al vettore uv della velocità v, per cui:
Rτ = − µd Rn uv
L’esistenza di forze di attrito è fondamentale per il movimento, sia delle persone che degli animali
e dei veicoli dotati di ruote27.
Un cilindro che rotola senza strisciare su un piano è soggetto alla forza di attrito radente statico
che impedisce lo strisciamento: tale forza non ostacola però il rotolamento del cilindro. Il
rallentamento del moto di rotolamento è invece dovuto a una coppia di forze: la coppia di attrito
volvente28. L’attrito volvente ha origine in una asimmetria delle forze elastiche vincolari: quando il
cilindro rotola su di una superficie, si crea sulla superficie un avvallamento che procede insieme al
cilindro. Dove si forma tale avvallamento sono presenti forze che si oppongono alla deformazione;
dove invece tale avvallamento scompare sono presenti forze di ripristino. Se le forze che si
oppongono alla deformazione non sono perfettamente uguali alle forze di ripristino, si ha
un’asimmetria che è la vera causa dell’attrito volvente.
I principi della dinamica sono intrecciati in modo indissolubile con il problema dei sistemi di
riferimento. Mentre dal punto di vista della Cinematica non ci sono differenze sostanziali tra un
sistema di riferimento e un altro, se non di comodo, la situazione è molto diversa in Dinamica.
Esiste infatti una classe specifica di sistemi di riferimento nei quali le Leggi fondamentali
assumono la stessa forma; in essi, inoltre, l’interpretazione fisica delle cause del moto dei corpi
rientra in un quadro di particolare semplicità ed eleganza.
Il processo intellettuale della scienza verso la formulazione dei Principi della Dinamica ebbe una
svolta storica con gli studi di Copernico, il quale per primo ebbe la grande intuizione di collocare
il Sole, e non più la Terra, al centro dell’Universo. Questo fu l’inizio del crollo del mondo
aristotelico, un mondo nel quale ogni moto, se si escludono quelli che Aristotele chiamava moti
spontanei, richiede una causa, cioè una forza. I contributi di Galileo e di Keplero dettero al sistema
copernicano la definitiva consacrazione. Gli esperimenti fondamentali di Galileo portarono alla
prima formulazione di un Principio d’inerzia. Da ciò deriva l’esistenza di una particolare classe di
sistemi di riferimento, detti inerziali. In tali sistemi, e solo in essi, è possibile esprimere i tre Principi
con i quali Newton organizzava definitivamente e in forma compiuta una teoria sulle cause del
moto.
Si è detto che un punto materiale è in equilibrio (in quiete) quando il risultante di tutte le forze che
su di esso agiscono è nullo. Questa condizione è sicuramente necessaria, ma non è sufficiente1: il
fatto è che in tutti gli esempi considerati fin’ora, il corpo considerato era inizialmente fermo.
È esperienza quotidiana il fatto che, per far muovere un corpo lungo un piano2, è necessario
continuare ad applicargli una forza. Osservazioni di questo tipo portarono Aristotele ad affermare
erroneamente che, perché un corpo non sia in quiete (stato naturale), occorre agire con una forza:
questo significa che servirebbe una forza costante per provocare un moto uniforme. È un grande
risultato degli studi di Galileo l’aver compreso i limiti di questa descrizione della Natura,
mettendo in rilievo il ruolo delle forze d’attrito. Egli intuì, in sostanza, che quando un corpo
scivola lungo una superficie esso è costantemente rallentato da una forza (non equilibrata), che è il
componente tangenziale della reazione vincolare.
In Natura è impossibile creare una situazione in cui la forza d’attrito sia rigorosamente nulla;
estrapolando però i dati sperimentali, ottenibili in situazioni sempre più vicine al caso limite di
attrito nullo, si ha l’indicazione che, in tal caso, il corpo non rallenterebbe. Il corpo si muoverebbe
cioè di moto uniforme senza bisogno di una forza costante da applicare ad esso, ma per inerzia3. Da
qui il nome del nostro principio (Principio di inerzia). Una prima formulazione (un po’ grezza) di
1 Infatti, non è sufficiente dire che il risultante è nullo per poter affermare che un corpo è in quiete! Potrebbe benissimo, come
vedremo, essere in movimento.
2 Per esempio, una cassa su un pavimento (scabro).
3 Galileo arrivò a tale conclusione realizzando una serie di esperimenti (condotti su distanze abbastanza modeste). Questi
esperimenti mostrarono anche che, nei limiti degli errori sperimentali, la traiettoria di un corpo come quello considerato è
rettilinea: in altre parole, la velocità non cambia né in modulo né in direzione e verso; il vettore velocità si mantiene costante. Le
conclusioni di Galileo furono successivamente generalizzate da Newton, che ne fece un Principio valido in tutto l’Universo.
tale principio può quindi essere questa: quando un punto materiale non è soggetto a forze, esso ha
velocità costante4.
4.3 – Sistemi di riferimento inerziali: una formulazione più compiuta del Primo Principio.
Tuttavia è abbastanza evidente che un Principio come quello esposto non può valere in tutti i
sistemi di riferimento. Sappiamo infatti che la traiettoria di un corpo dipende proprio dalla scelta
di tale sistema di riferimento5, e non in tutti si verifica ciò che Galileo ha per primo suggerito:
dobbiamo allora pensare che viene meno la validità del Principio? O esiste almeno un sistema di
riferimento, che chiamiamo inerziale, in cui questo Principio vale esattamente?
Per verificare se un sistema di riferimento è inerziale, bisogna che un osservatore di tale sistema di
riferimento individui almeno un corpo libero, cioè non soggetto a forze (isolato), oppure soggetto a
forze con risultante nullo, e ne studi il moto: se il corpo libero è in quiete o si muove con velocità
costante6 il sistema è inerziale; in caso contrario non lo è.
Supponiamo ora di essere riusciti nel nostro intento e di aver trovato un sistema in cui vale il
Principio di inerzia: quel che si verifica è che, in realtà, esistono infiniti sistemi con le stesse
caratteristiche, ovvero tutti quelli che traslano con moto rettilineo uniforme da quello
precedentemente individuato.
Se in un sistema inerziale S0 un punto materiale si muove con velocità v k , allora un osservatore
di un qualsiasi sistema di riferimento, in moto di traslazione rettilinea uniforme rispetto a S0 ,
vede lo stesso punto materiale muoversi con velocità (costante7!):
v = vk + V
Dunque anche il secondo sistema di riferimento gode delle stesse proprietà del primo: anch’esso,
quindi, è inerziale.
Possiamo infine dire che esistono infiniti sistemi di riferimento, detti inerziali, rispetto ai quali
ogni punto materiale libero ha velocità costante8.
4 Il fatto di essere costretti a spingere continuamente un corpo, per farlo muovere su un piano, s’interpreta con la necessità di
applicare una forza che bilanci quella di attrito.
5 Ad esempio, una traiettoria vista come rettilinea da un osservatore immobile potrebbe non essere tale se vista da un osservatore
che si trova su una piattaforma rotante. In effetti, esperimenti famosi, come quello del pendolo di Foucault, hanno mostrato che
neppure il sistema di riferimento terrestre soddisfa completamente il Principio di inerzia.
6 Compie, cioè, un moto rettilineo uniforme.
Newton elevò questa relazione al rango di Principio, assumendo che tutte le volte che un corpo è
accelerato, in un sistema di riferimento inerziale, c’è almeno una forza che genera tale
accelerazione9.
Abbiamo definito in maniera dinamica cosa sia la massa inerziale: si trova sperimentalmente che
questa grandezza è caratteristica di ogni corpo e che non dipende dalla sua forma ma, come
talvolta viene detto, dalla “quantità di materia del corpo stesso”10. L’aggettivo inerziale riflette la
proprietà per cui, a parità di forza applicata a corpi diversi, quello con massa inerziale maggiore
ha accelerazione minore. Dunque il valore di questa grandezza è una misura di come il punto
materiale tenda a conservare la propria velocità.
Fatto sperimentale è che, nell’ambito della Meccanica classica, le masse inerziali sono additive. Se,
per esempio, applichiamo una forza f a un primo corpo, misurandone la conseguente
accelerazione a1 , possiamo ottenere la sua massa inerziale dalla relazione:
f
m1 =
a1
Analogamente, applicando la stessa forza ad un secondo corpo possiamo misurare:
f
m2 =
a2
Unendo i due corpi e applicando la stessa forza f , possiamo ricavare la massa inerziale del corpo
complessivo e risulta sperimentalmente che
m = m1 + m2
Un’altra proprietà è che la massa dei corpi è costante durante il moto. Si ha poi che la massa
inerziale è sempre positiva e non dipende né dalla posizione, né dalla velocità11.
9 Questa relazione costituisce la Legge fondamentale per lo studio del moto dei corpi, in ambito classico. Essa, in linea di principio,
permette di conoscere e prevedere ogni dettaglio del moto di una qualsiasi particella, una volta che siano note le condizioni iniziali
e che si conosca la legge della forza, cioè l’espressione analitica di f durante il moto.
10 In realtà tale denominazione è impropria, dato che la quantità di materia è una grandezza fisica collegata con il numero di
12 Che è la grandezza che caratterizza la capacità dei corpi di interagire fra loro mediante forze gravitazionali.
13 La massa gravitazione è una grandezza intrinseca che caratterizza la capacità di un corpo di interagire con altri corpi mediante
forze attrattive gravitazionali. Il peso, invece, esprime lo stato di cose prodotto in P da tali corpi a causa della presenza di una
accelerazione di gravità.
14 Intendiamo la misura fatta col dinamometro.
La massa è anche una delle grandezze fondamentali (assieme a lunghezza e tempo) e si misura in
g (grammi) e multipli.
Si osserva sperimentalmente che tutte le volte che un corpo subisce l’azione (forza f1 ) da un altro
corpo, anche quest’ultimo è soggetto a una forza (forza f2 ) per effetto del primo. Già Newton15
giunse alla conclusione che le due forze sono opposte 16 . Questa caratteristica delle forze è
denominata Principio di azione e reazione: esso mette in risalto l’origine materiale delle forze e
costituisce una prima enunciazione del Terzo Principio della Dinamica.
L’importante è non generare equivoci: si faccia bene attenzione, infatti, che le due forze di cui si
parla sono applicate a corpi diversi. Prendiamo un punto materiale che interagisce con la Terra;
esso, avendo una forza peso w , agirà sulla Terra17 e riceverà, da essa, una reazione (vincolare, in
questo caso) che sarà opposta (vettore −w ) e agirà sul punto materiale18.
Una formulazione più moderna dei Principi della Dinamica richiede che si introduca una nuova
grandezza.
Dato un corpo19 di massa m avente velocità v in un istante generico t, si definisce quantità di moto
del corpo (all’istante t) il vettore
q = mv
In un riferimento inerziale, una particella non soggetta a forze non equilibrate si muove con
velocità costante. Poiché la sua massa è costante, tale risulta pure la quantità di moto.
Ecco quindi una formulazione moderna del Primo Principio della Dinamica: esistono infiniti
sistemi di riferimento, detti inerziali, nei quali ogni punto materiale libero ha quantità di moto
costante.
Se sul punto materiale agiscono forze non bilanciate, è evidente che si avrà un cambiamento della
quantità di moto. La variazione nel tempo della quantità di moto si può esprimere nella seguente
forma:
dq d dm
f= = ( mv ) = ma + v
d
t d t d t
*
La relazione individuata con l’asterisco (*) è la generalizzazione del Secondo Principio della
Dinamica: possiamo dunque affermare che in un sistema di riferimento inerziale, ogni volta che
15 L’impostazione di Newton ha però dei limiti: per Newton l’azione e reazione erano esattamente opposte, istante per istante. Ciò
significa che le interazioni hanno propagazione istantanea (principio di azione a distanza) anche se i corpi coinvolti sono lontani. Con
tale assunto, ogni cambiamento dello stato di un corpo viene istantaneamente percepito da tutti gli altri, comunque distante sia.
Sappiamo oggi che ciò non accade, in quanto le interazioni si propagano con una velocità che non può essere maggiore di quella
della luce nel vuoto. Nell’approssimazione della Meccanica classica, tuttavia, l’ipotesi di interazione istantanea è largamente
accettabile.
16 Dunque hanno stesso modulo, stessa direzione (agiscono sulla stessa retta d’azione), ma verso opposto.
J = ∫ f dt
t1
J = ∫ f d t = ∫ ∑ f i d t = ∑ ∫ f i dt = ∑ J i
t1 t1 i i t1 i
dq
D’altra parte, la relazione f = ci permette di scrivere:
dtt
f dt = dq
Da cui:
t2 t2
J = ∫ f dt = ∫ dq = q2 − q1 = ∆q
t1 t1
ione va sotto il nome di Teorema della quantità di moto (oppure Teorema dell’impulso):
Tale relazione
l’impulso della forza risultante che agisce su un punto materiale, durante un intervallo di tempo
∆t , è uguale alla variazione di quantità di moto in ∆t .
Vogliamo ora definire una nuova grandezza dinamica, il momento della quantità di moto,
moto spesso
denominato anche momento angolare. Abbiamo già detto che il
momento di un vettore v (applicato in A), rispetto a un punto Ω ,
chiamato polo o centro di riduzione, è il vettore m definito da:
∑ f ( t ) = ma ( t ) e dq
i f=
i dt
coincidono.
21 Possiamo scrivere questa grandezza anche nella forma cartesiana
t2 t2 t2 t2
J = ∫ f dt = i ∫ fx dt + j∫ fy dt + k ∫ fz dt
t1 t1 t1 t1
Risulta così facile capire che , se la forza è costante nell’intervallo di tempo considerato, l’impulso assume la semplice espressione
22 es
J = f∆t .
Facciamo ora in moto che il vettore applicato v sia quello della
quantità di moto di un punto materiale. Tale grandezza vale
pΩ = ( r − rΩ ) × q = r * × q
dove r * = ( r − rΩ ) è il vettore che congiunge il polo col punto
materiale e q = mv è la quantità di moto.
Ora deriviamo rispetto al tempo:
dpΩ d ( r − rΩ ) dq
= × q + ( r − rΩ ) ×
dt dt dt
dpΩ
= ( v − v Ω ) × q + ( r − rΩ ) × f
dt
[abbiamo applicato il Secondo Principio della Dinamica e derivato il vettore ( r − rΩ ) ]
dpΩ
= − v Ω × q + ( r − rΩ ) × f
dt
[questo siccome v × q sono paralleli]
dp Ω
= −v Ω × q + m Ω
dt
In questa formula, il termine
m Ω = ( r − rΩ ) × f
è il momento della forza f (vedi la definizione).
definizione)
Se poi scegliamo come polo Ω un punto fisso, la derivata del momento della quantità di moto di
un punto materiale23 è uguale al momento
momento risultante delle forze agenti su tale punto:
dpΩ
mΩ =
dt
Da tale formula è immediato ottenere un risultato analogo al teorema dell’impulso. Infatti,
separando le variabili e integrando rispetto al tempo, si ottiene:
+∞
∫ m (t ) dt = p
−∞
Ω Ω
Una situazione in cui tale relazione dimostra la propria efficacia è quella dei corpi puntiformi
soggetti esclusivamente a forza centrale:
centrale: con ciò si intende che la particella si muove in una regione
dello spazio sotto l’azione di forze il cui risultante ha ha in ogni punto la direzione della retta
congiungente la particella con un dato punto (centro
( di forza, che
scegliamo come polo).
polo Se la forza risultante ha dunque sempre la
direzione del vettore congiungente un punto qualsiasi e il polo, e
cioè
r − rΩ
allora il suo momento rispetto al centro di riduzione/di forza è
nullo e quindi il momento angolare è costante nel tempo.
23 Da queste stesse relazioni segue anche che, se il momento risultante delle forze è nullo, il momento angolare è costante.
• i moti centrali sono piani: la conservazione di p = r × mv implica che il piano
istantaneamente individuato da r e v , cui p è perpendicolare, resti invariato nel tempo.
Ciò significa che i vettori r (t ) , che identificano le posizioni successivamente occupate dal
punto materiale durante il suo moto, giacciono tutti nel medesimo
medesimo piano (che è quello del
moto);
• i moti centrali avvengono con velocità aerolare costante. La
velocità aerolare σ è definita come un vettore che ha
direzione perpendicolare al piano del moto, modulo
uguale alla rapidità con la quale il vettore r “spazza” il
piano e verso tale da vedere ruotare r in senso antiorario.
In un intervallo di tempo dt , lo spostamento del punto è
dato da
dr = v dt
d corrispondentemente spazzata da r è, a meno di infinitesimi
e quindi l’area elementare dA
di ordine superiore, quella del triangolo elementare della figura, cioè uguale alla metà
dell’area del parallelogramma individuato dai vettori r e dr . Ricordando che il modulo
del prodotto vettoriale di due vettori ha proprio questo significato, possiamo scrivere:
r × dr r × v dt
dA = =
2 2
quindi, per il modulo di σ si ha
dA r × v p
σ= = =
dt 2 2m
Questa relazione è scalare; tuttavia vale anche la relazione vettoriale
p
σ =
2m
la quale mostra la proporzionalità fra velocità aerolare e momento angolare. Ciò implica la
conservazione della velocità aerolare nei moti centrali.
5 – GRAVITAZIONE
Il modello copernicano del Sistema Solare segnò una svolta cruciale per l’interpretazione del
mondo in cui viviamo. Ma l’opera di Copernico sarebbe stata insufficiente senza il contributo di
altri scienziati: Ticho Brahe, Keplero e Newton.
Brahe, astronomo olandese, effettuò una lunga serie di accurate misure delle posizioni occupate
dai pianeti nei loro moti di rivoluzione attorno al Sole; Keplero, allievo di Brahe, analizzando i
risultati del suo maestro 1 , arrivò alla formulazione di tre leggi empiriche che descrivono le
caratteristiche dei moti dei pianeti. Schematizzando Sole e pianeti come punti materiali2, le leggi
sono così enunciate:
• Prima legge: le orbite descritte dai pianeti intorno al Sole sono ellissi di cui il Sole occupa
uno dei due fuochi.
• Seconda legge: il raggio vettore che congiunge il centro del Sole col centro di ogni pianeta
spazza aree proporzionali ai tempi impiegati per descriverle3.
• Terza legge: i quadrati dei periodi di rivoluzione (dei pianeti del Sistema Solare) sono
proporzionali ai cubi dei semiassi maggiori delle orbite ellittiche4.
Prima di Newton si riteneva che i moti dei corpi celesti fossero governati da leggi diverse da
quelle responsabili dei moti dei corpi sulla Terra. Newton intuì che la forza che provoca la caduta
dei corpi sulla Terra è la stessa che governa il moto dei pianeti attorno al Sole e della Luna attorno
alla Terra, e che gli effetti, cioè le accelerazioni, sono diversi perché diversa è la distanza dal centro
di forza. Se supponiamo che la traiettoria della Luna sia circolare e che il suo moto sia uniforme
(come suggerito dalla seconda legge di Keplero), conoscendo il raggio medio dell’orbita lunare
RTL e il periodo di rivoluzione T della Luna attorno alla terra, si può calcolare il modulo della
velocità della Luna lungo la sua orbita
2π RTL
v=
T
Questa è l’espressione dell’accelerazione centripeta
v2 4π 2 RTL
a= =
RTL T2
Newton valutò il rapporto fra l’accelerazione di gravità g sulla Terra5 e l’accelerazione a della Luna
nel suo moto attorno alla Terra6 e ottenne un risultato pari a
g
= 3603
a
Newton si accorse che tale rapporto era molto prossimo a
4 Nel caso in cui le orbite siano approssimate come traiettorie circolari, nella terza legge “i semiassi maggiori delle orbite ellittiche”
7 Va tuttavia precisato che la conclusione cui Newton pervenne richiede che per un corpo sferico, la cui densità dipenda soltanto
dalla distanza dal centro della sfera (schematizzazione abbastanza accettabile per la Terra), l’effetto complessivo gravitazionale sia
lo stesso che si avrebbe se l’intera massa fosse concentrata nel centro.
8 Utilizziamo, in particolare, il Secondo Principio.
9 Tale relazione vale per corpi schematizzabili come puntiformi, quando cioè le loro dimensioni sono trascurabili rispetto alla
distanza r, e anche per corpi sferici e omogenei; in tal caso, si può considerare la massa concentrata nel centro del corpo.
m1m2
10 Questa relazione può essere scritta anche così: f1→2 = G u( r1 −r2 ) = −f2→1 , dove u(r1 −r2 ) è il versore del vettore ( r1 − r2 ) .
r2
5.3 – Legge di Newton e leggi di Keplero
Se la legge di Newton è universale, allora deve anche permettere di giustificare le leggi di Keplero:
tale verifica ne rappresentò il primo, essenziale banco di prova. In questo paragrafo mostreremo
come dalla legge di Newton possano dedursi la seconda e la terza legge di Keplero.
Seconda Legge - Poiché la forza gravitazionale fra due corpi schematizzabili come puntiformi è
diretta come il vettore che li congiunge, il momento angolare nel moto relativo di un corpo
rispetto all’altro si conserva, essendo nullo il momento della forza rispetto al secondo corpo scelto
come polo11. Dunque si conserva la velocità aerolare, cioè vale la proprietà enunciata dalla seconda
legge di Keplero, secondo cui il raggio vettore diretto dal Sole verso il pianeta spazza aree
proporzionali ai tempi impiegati per descriverle.
Terza legge – Consideriamo un sistema, che supporremo isolato, costituito da due corpi che
interagiscono per effetto dell’attrazione gravitazionale12. Poniamo che i due corpi siano un pianeta
(massa mp , distanza r dal Sole) e il Sole (massa ms ). Applicando i Principi della Dinamica, risulta
che la forza che attrae l’uno verso l’altro è pari, in modulo, a
F = mpa
Ora dobbiamo trovare un modo conveniente per esprimere l’accelerazione. Ci ricordiamo che13:
2π r
v=
T
Siccome l’accelerazione legata a questa velocità è centripeta, possiamo dire che la definizione di
quest’ultima è:
v2
a=
r
E dunque, sostituendo, si ha:
2π r
2
T
= 4π r
2
a=
r T2
Se ora utilizziamo la terza legge di Keplero14:
T 2 = kr 3
Se, anche qui, sostituiamo l’espressione del periodo all’interno di quella del modulo
dell’accelerazione, otteniamo:
4π 2r 4π 2
a= = 2
kr 3 kr
Dunque la forza sarà, in modulo, pari a:
4π 2
f =m 2
kr
11 Si tratta di un moto centrale. Vedi il paragrafo 4.9 per capire meglio cosa si intende.
12 Nel nostro caso, per noi che stiamo esaminando i corpi del Sistema Solare, i due corpi in questione possono essere il Sole e uno
dei suoi pianeti. L’ipotesi che il sistema sia isolato implica che siano trascurabili le azioni esercitate su questi due corpi da altri
pianeti del Sistema Solare: tale situazione non è rigorosamente veritiera, tuttavia non abbiamo scelta, perché estendendo il
problema ad n corpi che si attraggono non riusciamo a risolvere la questione analiticamente.
13 Nella formula seguente T è il periodo di rivoluzione del pianeta considerato ed r la distanza dal pianeta stesso al Sole.
14 Si noti che k è caratteristica del pianeta preso in considerazione e non è uguale per tutti i pianeti!
Se facciamo ora l’ipotesi15 che la costante k sia (all’incirca16) pari a:
4π 2
≈ Gms
k
Otteniamo proprio la legge di gravitazione universale17:
mm
f = G p2 s
r
La conoscenza della costante G della legge di gravitazione permette di determinare la massa della
Terra. Trascurando gli effetti non inerziali dovuti alla rotazione della terra attorno al proprio
asse18, il peso mg dei corpi può essere interamente attribuito all’attrazione gravitazionale.
gravitazional Si ha
così, per una Terra sferica e omogenea:
mM T gRT2
mg = G ⇒ M T =
RT2 G
15 Tale ipotesi è dimostrabile e l’approssimazione è possibile grazie al fatto che la massa del Sole è molto più grande di quella
quell di
ogni pianeta del sistema solare, maa non approfondiamo questo aspetto.
16 La relazione completa (e corretta, a rigore) sarebbe: T
2
4π 2 .
=
r 3
(
G mp + ms )
17 Espressa con i moduli delle quantità in gioco (non ci sono grandezze vettoriali).
18 Essi influiscono al massimo per il 3 per mille.
6 – DINAMICA: APPLICAZIONI E PROBLEMA FONDAMENTALE
Il problema fondamentale della dinamica del punto materiale consiste nel prevedere il moto di un
punto materiale sottoposto a forze tutte conosciute, in un prestabilito sistema di riferimento. In
pratica, dobbiamo arrivare a conoscere le caratteristiche di questo secondo sistema1:
posizione
velocità
1
xɺɺ (t ) = f x (t ) , y (t ) , z (t ) , xɺ (t ) , yɺ (t ) , zɺ (t ) , t
m
x
tempo
y (t ) = fy ( x (t ) , y (t ) , z (t ) , xɺ (t ) , yɺ (t ) , zɺ (t ) ,t )
1
ɺɺ m
( ) m z ( ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) )
zɺɺ t = 1 f x t , y t , z t , xɺ t , yɺ t , zɺ t ,t
Le situazioni più semplici sono quelle in cui tutte le forze applicate al corpo da studiare sono
costanti e non dipendono né dalla posizione, né dalla velocità, né dal tempo.
Prendiamo un corpo di massa m, schematizzabile come un punto materiale, appoggiato su un
piano orizzontale liscio e sul quale è applicata una forza costante f che ha direzione parallela al
piano.
È evidente che sul corpo agiscono tre forze:
• La forza peso w , diretta verso il basso.
• La reazione vincolare del piano R , uguale e contraria a w .
• La forza costante f .
1 Useremo, per la situazione iniziale (cioè per i dati a tempo t = 0), la seguente notazione
x ( 0 ) = x0 xɺ ( 0 ) = v0 x
y ( 0 ) = y0 yɺ ( 0 ) = v0 y
z ( 0 ) = z0 zɺ ( 0 ) = v0 z
Impostando la relazione:
f = ma
Otteniamo che si ha:
f = mxɺɺ
fris = w + R + f = ma
R − w = my
ɺɺ = 0
Se la forza non è applicata al corpo, ma ad un filo inestensibile
inesten orizzontale (di lunghezza L e massa
trascurabile),, è sufficiente sostituire ad f la forza T corrispondente alla tensione del filo,filo ma il
risultato non cambia:
T = mxɺɺ
fris = w + R + T = ma
R − w = my
ɺɺ = 0
Spesso, tuttavia, la massa dei fili non può essere trascurata rispetto
alle altre variabili in gioco: così il corpo è ancora soggetto a forze
costanti, ma la tensione del filo è diversa da punto a punto e,
precisamente, cresce linearmente con la coordinata2 d (vedi figura).
In questo caso possiamo:
• Considerare il sistema corpo + filo e calcolare la sua
accelerazione scrivendo
f
f = ( m + mfilo ) a ⇒ a =
m + mfilo
• Calcolare la forza ffc che il filo applica al corpo di massa m:: se l’accelerazione del corpo è a ,
allora deve essere:
f fc = ma
• Calcolare la tensione della fune in funzione della coordinata d: con la stessa accelerazione a
calcolata nel punto precedente si muove infatti anche un elemento del filo, di lunghezza
L − d e massa3 λ ⋅ ( L − d ) . Si ha che
f + T = λ ⋅ (L − d)a
Visto che le forze agiscono tutte sulla stessa retta d’ d’azione
azione si possono considerare le
quantità in modulo:
f
f − T (d ) = λ ⋅ ( L − d ) a = λ ⋅ ( L − d )
m + mfilo
Dunque abbiamo ottenuto la tensione della corda in funzione della coordinata4:
m d
T ( d ) = m + filo
L
m
• All’inizio del filo d = 0, T ( 0 ) = ma = f
m + mfilo
Un classico esempio di applicazione del Secondo Principio della Dinamica è quello del pendolo
semplice.. Si tratta di una particella di massa m,, attaccata ad un sostegno rigido tramite un filo
inestensibile
le di massa trascurabile e lunghezza L.. Il sistema, spostato dalla posizione verticale di
equilibrio ed abbandonato con velocità iniziale nulla, si mette in movimento sotto l’azione attiva
del peso della particella; assumendo, per semplicità, che non agiscano attriti dovuti all’aria o allo
sfregamento del punto di attacco del filo, le forze che agiscono sul corpo sono il suo peso e la forza
dovuta al filo13. Dunque:
w + R = ma
Per effetto del filo, il moto del corpo è vincolato a svolgersi
svolger lungo
una circonferenza di raggio L,, per cui conviene utilizzare le
coordinate intrinseche. Facendo riferimento alla figura per i versi
dei versori e i segni delle componenti, l’equazione vettoriale scritta
equivale alle equazioni:
−mg sin θ = msɺɺ
sɺ2
−mg cos θ + R = m
L
Utilizzando la relazione θ = s la prima delle equazioni precedenti diventa:
L
s s
−mg sin θ = msɺɺ ⇒ −mg sin = msɺɺ ⇒ sɺɺ + g sin = 0
L L
Questa è una equazione differenziale trascendente, che non può essere risolta per via analitica;
conviene invece sviluppare il termine sin s
L ( )
in serie di Taylor, per studiarne una soluzione
9 Il valore della costante elastica di una molla è determinato da svariati parametri, quali ad esempio la natura del materiale e il
numero delle spire. Per quanto riguarda la dipendenza da quest’ultimo, consideriamo due molle ideali identiche, ciascuna di
costante elastica k,, poste in serie: la molla complessiva, che ha il doppio delle spire, ha una costante elastica che è la metà di quella
originaria. Per due molle poste in parallelo si ha invece l’effetto opposto: il sistema delle due molle ha una costante elastica
complessiva che è il doppio di quella di ciascuna molla.
10 La molla agisce in ambedue gli estremi con forze uguali e opposte.
Consideriamo un corpo in caduta libera che, muovendosi entro un fluido (ad esempio l’aria),
viene continuamente frenato dalla resistenza del mezzo. Si tratta di una forza che dipende da
numerosi parametri che caratterizzano sia il corpo17, sia il fluido in cui si muove18; dipende inoltre
dalla loro velocità relativa.
In casi particolari, con il corpo di forma semplice, con bassa velocità e assenza di turbolenze (moto
laminare), la forza di resistenza del mezzo è ben approssimata dalla legge di Stokes
fR = −β v
In tali casi, e trascurando per semplicità di trattazione la forza dovuta al fluido (spinta di
Archimede), possiamo dunque scrivere:
w + f R = ma
Se il corpo è inizialmente fermo a una quota h rispetto a terra, il moto avviene lungo la verticale.
Conviene quindi scegliere un asse (x) verticale, orientato verso l’alto e con l’origine a terra;
proiettando l’equazione vettoriale su questo asse si ha:
β
−mg + ( − β xɺ ) = mxɺɺ ⇒ xɺɺ +
xɺ + g = 0
m
Questa è un equazione differenziale lineare, non omogenea, a coefficienti costanti; il suo integrale
generale è un’equazione lineare in t, del tipo
mg
− t
β
D’altra parte, l’equazione caratteristica dell’equazione omogenea associata (cioè con g = 0) è:
β β
δ2 + δ = 0 ⇒ δ1 = 0, δ 2 = −
m m
La soluzione generale dell’equazione omogenea è:
s
14 Per oscillazioni piccole, cioè per θ = abbastanza piccolo.
L
15 Dicasi proprietà di isocronismo del pendolo.
16 Tuttavia, diversamente da quanto accade con una molla, il periodo del pendolo non dipende dalla massa del punto materiale, ma
solo da L e da g. Quest’ultima proprietà, in particolare, è utilizzata per determinare l’accelerazione gravitazione, misurando il
periodo di un pendolo di lunghezza nota. L’indipendenza del periodo dalla massa trova la sua origine fisica nel fatto che
l’accelerazione gravitazionale è la stessa per tutti i corpi, e cioè nella proporzionalità fra massa gravitazionale e massa inerziale.
17 Forma geometrica, dimensioni, etc…
18 Viscosità, etc…
β
− t
x = C1 + C2 e m
x = − 1 − e m
β
Si noti che la parte scalare xɺ della velocità è negativa, in quanto il corpo si muove nel verso
opposto a quello di i . Se facciamo un limite per t → ∞ , otteniamo:
mg
β
− t mg
lim − 1 − e m
=−
t →∞
β β
Questo valore è quello limite della velocità19. A parità di fluido, il modulo della velocità limite è
più grande al crescere di m e minore al crescere di β 20.
Vogliamo ora esaminare alcuni casi di moti circolari di un punto materiale, in un riferimento
inerziale. Consideriamo anzitutto casi di moto circolare uniforme. Il vettore accelerazione, essendo
nullo il componente tangenziale, è centripeto e ha modulo costante
v2
a=
ρ
Per il Secondo Principio della Dinamica, il risultante delle forze agenti
sul punto è proporzionale all’accelerazione e quindi è diretto anch’esso
Pendolo conico
Esempio in cui è presente una forza
verso il centro: per questo viene detto centripeto21.
centripeta, esplicata tramite un filo.
19 La forza peso tende ad accelerare il corpo ma quest’ultimo, più cresce la velocità, più subisce l’azione dell’attrito del fluido.
Raggiunta una certa velocità (quella calcolata col limite) la resistenza del fluido diventa uguale all’accelerazione del corpo ed esso
continua la sua caduta con quella stessa velocità costante.
20 Quest’ultimo coefficiente dipende sia dalla forma del corpo sia dalle caratteristiche del mezzo (coefficiente di viscosità η ): nel
22Questa volta trascurando le condizioni della strada (e dei pneumatici), il ché significa – per un attimo – ignorare l’attrito.
23Con i calcoli appena fatti abbiamo trovato il valore dell’inclinazione del piano che permette all’automobilista di percorrere
perfettamente la curva, senza sbandare: considerando l’attrito la situazione sarebbe stata più complessa.
7 – DINAMICA – SISTEMI DI RIFERIMENTO NON INERZIALI
È essenziale osservare che, nello schema della Fisica classica non relativistica, le interazioni fra
corpi (puntiformi), quando dipendono solo dalla loro distanza, sono indipendenti dal sistema di
riferimento; viceversa, salvo il caso dei sistemi di riferimento inerziali, per i quali valgono le
trasformazioni di Galileo, l’accelerazione è in generale dipendente dal sistema di riferimento.
Di conseguenza, la legge fondamentale della Dinamica
f = ma
mentre ha la stessa forma in tutti i sistemi di riferimenti inerziali, non risulta valida nei riferimenti
non inerziali, se f rappresenta il risultante delle forze dovute a corpi agenti sul punto materiale
considerato.
D’altra parte, se conosciamo le caratteristiche del moto di un sistema di riferimento (non inerziale)
S’, rispetto a un sistema di riferimento inerziale S, utilizzando la relazione di trasformazione
cinematica
a = a′ + aτ + a co
possiamo scrivere
f = m ( a′ + aτ + a co ) = ma
e dunque
ma′ = f − m ( aτ + a co ) = f − maτ − ma co
Ora chiamiamo:
• Forza di trascinamento il termine fτ = −maτ
• Forza di Coriolis il termine f co = −ma co = −2mω × v′
A questo punto possiamo riformulare l’espressione precedente, in cui erano presenti tutte le
accelerazioni, e far comparire le forze:
ma′ = f − m ( aτ + a co ) f ′ = f + fτ + f co = f + f in
I componenti aggiuntivi, che nel Secondo Principio della Dinamica non compaiono, sono detti
forze inerziali1. Tali termini hanno un’origine puramente cinematica: nella loro espressione non
compare alcuna grandezza riconducibile, in modo fisicamente evidente, ad altri corpi. Per questo
motivo queste forze vengono chiamate anche forze fittizie.
1 O pseudo-forze.
situazioni considerate sono facilmente spiegabili: un oggetto appoggiato sul tavolo è “libero” “l 2
.
uniforme cioè con a = 0 .
Quindi, per il Principio di inerzia,, in S il corpo si muove di moto rettilineo uniforme,
Essendo inizialmente fermo rispetto al vagone, esso continuerà a restare in equilibrio sul tavolo,
anche se il vagone si muove di moto rettilineo uniforme rispetto ad S. Se invece il vagone accelera
rispetto ad S,, con accelerazione pari ad a , l’oggetto (che continua a muoversi come prima, in S) si
mette in movimento rispetto al tavolo.
Per un osservatore posto sul vagone, il moto accelerato dell’oggetto, non trattenuto, sarà
interpretato come conseguenza dell’azione di una forza aggiuntiva, quella di trascinamento
fτ = −ma
Supponiamo ora che al soffitto del vagone sia appeso un pendolo di
massa m.. Se il vagone è fermo rispetto ad S (o si muove di moto
rettilineo uniforme), il pendolo si dispone lungo la direzione della forza
gravitazionale w . Se invece il vagone si muove con accelerazione
costante A , si osserva che il pendolo si inclina nella direzione opposta.
Si nota poi che l’angolo di inclinazione dipende solo dall’accelerazione
del vagone.
[OSSERVATORE S]
Infatti, rispetto all’osservatore iniziale S, il punto materiale di
di massa m, soggetto al peso e
all’azione del filo, si muove (insieme al vagone), con accelerazione A . Per il Secondo Principio
della Dinamica si ha:
w + T = mA
La somma dei due vettori w e T deve dare un vettore diretto come A , cioè un vettore
orizzontale; essendo w verticale, T (tensione del filo) dev’essere inclinato rispetto alla verticale. È
immediato calcolare l’angolo θ proiettando la formula sopra scritta lungo le direzioni orizzontale
e verticale:
T sin θ = mA A
⇒ tan θ =
T cos θ − mg = 0 g
[OSSERVATORE S’]
Rispetto al vagone il corpo sta fermo; quindi, per interpretare la situazione di equilibrio in S’,
l’osservatore sul vagone deve ipotizzare l’esistenza di una forza orizzontale aggiuntiva che
equilibri la somma di w e T . Tale forza è la forza (fittizia) di trascinamento:
fτ = −maτ = −mA
Siccome ora il pendolo si trova in una posizione fissa, vuol dire che le forze ad esso applicate si
equilibrano e quindi si ha:
w + T + fτ = 0 ⇒ w + T − mA = 0 ⇒ T = −w + mA
Consideriamo una piattaforma rotante ed un sistema di riferimento S’ solidale con essa, avente
origine nel centro e asse z coincidente con l’asse di simmetria. Supponiamo che il sistema S,
rispetto al quale la piattaforma e S’ ruotano con velocità angolare costante
3 Gli esempi discussi mettono in rilievo che i sistemi di riferimento non inerziali sono fisicamente distinguibili da quelli iniziali.
Infatti, mentre le osservazioni condotte unicamente all’interno di un sistema di riferimento inerziale non permettono di mettere in
evidenza il suo moto rispetto a un altro sistema inerziale, la Fisica studiata in un riferimento non inerziale fornisce modi per
determinarne alcune caratteristiche del moto in un sistema inerziale.
4 Se il segno della parte scalare Ay è positivo, l’ascensore sta salendo; in caso contrario sta scendendo.
6 L’osservatore che si trova nell’edificio interpreta il fenomeno sulla base delle sole due forze w e Φ , tenendo conto del moto
7 Ciò è illustrato nell’esempio seguente: A e B si trovano fermi su una giostra in rotazione: A al centro e B alla periferia della stessa.
Un terzo amico C osserva la scena dal piazzale rispetto al quale la giostra ruota. Ad un certo istante A, lancia la palla radialmente
rad
verso B, ma quest’ultimo non la riceve. Dal punto di vista di C (che è un osservatore inerziale), il lancio è stato effettuato verso la
posizione inizialmente occupata da B; ma questi, che si muove di moto circolare uniforme in senso antiorario, si è spostato insieme
i
alla giostra e sfuggege alla palla, la cui proiezione sulla piattaforma si muove invece praticamente di moto rettilineo uniforme. Dal
punto di vista di un osservatore (non inerziale) posto sulla giostra, invece, B non si sposta, ma è la palla che compie un moto
mo un po’
complicato.to. Essa infatti compie una traiettoria verso destra; ciò indica che essa ha una componente orizzontale dell’accelerazione,
come se su di essa agisse una forza orizzontale, perpendicolare alla velocità e diretta verso la destra di A: tale forza è appunto
ap la
forza di Coriolis.
7.5 – Sistema di riferimento terrestre
La forza di Coriolis ha tantissimi effetti che magari non saltano subito all’occhio, ma che sono
certamente notevoli, oltre che curiosi:
• Le sponde destre (sinistre, nell’altro emisfero) dei fiumi e le rotaie destre (sinistre) dei treni
sono più consumate.
• Sono determinati dalla forza di Coriolis e dalle differenze di pressione i moti orizzontali
delle grandi masse d’aria, che avvengono nella libera atmosfera10.
10La forza di Coriolis permette anche di spiegare perché le grandi correnti di tali masse d’aria vanno da occidente a oriente: le
perturbazioni che raggiungono l’Italia provengono generalmente dall’oceano Atlantico. Tali movimenti sono generati dalla
differenza di temperatura fra Equatore e Poli: se la Terra non ruotasse attorno al proprio asse, avremmo flussi d’aria proprio
dall’Equatore verso i due Poli. Per effetto della forza di Coriolis, invece, tali movimenti vengono deviati.
8 – TERZO PRINCIPIO DELLA DINAMICA,
DINAMICA DEI SISTEMI
Dato un sistema, schematizzato come se fosse costituito di n punti materiali di masse mi , le cui
posizioni sono individuate (in un dato sistema di riferimento) dai vettori ri , si definisce centro di
massa1 C come il punto geometrico individuato dal vettore
n n
∑ miri ∑m r i i n
rC = i =1
n
= i =1
M
(M = ∑m i è la massa totale del sistema)
∑m
i =1
i
i =1
1 n
yC = ∑ mi yi
M i =1
1 n
zC =
∑ mi zi
M i =1
Si dimostra che la posizione del centro di massa3 di un sistema può essere trovata suddividendolo
in un certo numero di sottosistemi, ciascuno dei quali viene sostituito da un punto materiale,
avente la massa del sottosistema e la posizione del corrispondente centro di massa; il centro di
massa dell’intero sistema coincide con quello di tali particelle4.
L’estensione della definizione e delle proprietà del centro di massa a un modello continuo può
essere eseguita suddividendo il sistema in sottosistemi, ciascuno di massa ∆mi , l’espressione
precedente diventa
∑ ∆m r i i
1
rC ≈ i
= ∑ ∆m r
∑ ∆mi
i M i
i i
Se facciamo tendere a zero le dimensioni dei sottosistemi possiamo, nella relazione precedente,
sostituire le sommatorie con degli integrali5
1 Per corpi non molto estesi, il centro di massa coincide con il baricentro.
2 Detto questo e tenuto conto che il centro di massa di due corpi puntiformi di masse uguali si trova nel loro punto di mezzo, è
semplice provare che, se il sistema possiede uno o più assi di simmetria (materiale), il centro di massa si trova su ciascuno di essi e,
nel caso siano più di uno, sul loro punto d’incontro. Per asse di simmetria (materiale) si intende una retta che gode della proprietà
per cui ad ogni massa appartenente al sistema ne corrisponde una seconda (sempre facente parte del sistema), uguale alla
precedente e collocata alla stessa distanza dall’asse, sulla perpendicolare dal punto all’asse.
3 Si noti che la posizione del centro di massa è spostata sempre verso la regione in cui è distribuita la parte preponderante della
5 Si osservi che il metodo utilizzato è del tutto generale, e quindi si applica ad ogni grandezza fisica definita per un insieme di
punti. Inoltre, nel passaggio al limite, le masse finite ∆mi sono state sostituite dalla massa infinitesima dm , mentre le sommatorie
sono state sostituite dagli integrali. Il passaggio al limite va inteso in un senso un po’ diverso dal normale significato matematico, in
∫ r dm = 1 r dm
∫
i
rC =
∫ dm M
Anche qui possiamo scindere questa relazione nelle coordinate cartesiane ortogonali:
xC ≈
∫ x dm yC ≈
∫ y dm zC ≈
∫ z dm
∫ dm ∫ dm ∫ dm
Per eseguire gli integrali appena scritti si esprime la massa attraverso il volume e la densità. La
densità media è definita dal rapporto fra la massa ∆m e il volume ∆V che essa occupa:
∆m
ρm =
∆V
Localmente, la densità si definisce come il limite a cui tende il suo valor medio, al tendere a zero
del volume6:
∆m dm
ρ = lim =
∆V →0 ∆V dV
Da questa relazione si può quindi ottenere, per la massa infinitesima dm , il valore7:
dm = ρ dV
Si noti che, se il sistema è omogeneo, la posizione del centro di massa dipende esclusivamente
dalla forma geometrica del sistema. Infatti, si ha:
∫ r dm = ∫ rρ dV ρ ∫ r dV ∫ r dV 1
V∫
rC = = = = r dV
∫ dm ∫ ρ dV ρ ∫ dV ∫ dV
8.3 – Quantità di moto e centro di massa
Per un sistema di punti materiali, si definisce quantità di moto il vettore libero ottenuto sommando
le quantità di moto dei suoi costituenti:
Q = ∑ qi = ∑ mi vi
i i
Nel caso di una schematizzazione di tipo continuo, tale relazione si trasforma in:
Q = ∫ v dm
n
1
Se ora deriviamo la relazione rC =
M
∑m r
i =1
i i otteniamo
n
1
vC =
M
∑m v
i =1
i i
quanto i volumi ∆Vi , che contengono le masse ∆mi devono essere sufficientemente piccoli, continuando però a contenere al loro
interno un numero non trascurabile di atomi o di molecole. Infine, il centro di massa, in generale, non coincide con alcun punto
materiale del sistema.
6 In maniera del tutto analoga, nel caso il sistema si schematizzato con una superficie S o con una linea l, si definiscono:
∆m d m
Densità superficiale: σ = lim =
∆S →0 ∆S dS
∆m dm
Densità lineare: λ = lim =
∆l →0 ∆l dl
7 Ovviamente, relazioni simili si hanno anche per la densità superficiale e la densità lineare:
dm = σ dS dm = λ dl
8 Tale relazione mette in evidenza la caratteristica estensiva della quantità di moto, cioè la sua proprietà di essere proporzionale alla
Ciò premesso, si dimostra che la derivata temporale della quantità di moto è uguale al risultante
delle sole forze esterne:
dQ
F( ) = ∑ fi( ) =
e e
i dt
Questa relazione è la prima equazione della dinamica dei sistemi di punti materiali. Essa è valida nei
sistemi di riferimento inerziali per ogni sistema materiale, comunque complesso9.
dt
Tale relazione è nota con il nome di teorema del moto del centro di massa (o, anche, secondo teorema del
centro di massa), e mostra che il centro di massa di un sistema si muove come un punto materiale
nel quale sia concentrata l’intera massa del sistema e sul quale agisca il risultante delle forze
esterne11.
9 L’aspetto essenziale di tale legge è che essa coinvolge solo le forze esterne, con ciò permettendo d’ignorare le forze interne nello
studio della variazione temporale della quantità di moto del sistema. La sua utilizzazione risulta quindi di particolare utilità ed
efficacia nelle situazioni in cui, definendo opportunamente ciò che si intende come sistema, si fa sì che le forze note e quelle da
studiare siano forze esterne, mentre quelle che non interessano risultino forze interne.
dq
10 Che è sostanzialmente analoga alla generalizzazione dell’espressione
∑ f i (t ) = m a (t ) e cioè f =
i dt
11Ad esempio, se lanciamo in aria un corpo di una forma qualsiasi, essendo il peso l’unica forza che agisce su di esso, il centro di
massa del corpo si muove come una particella di massa M soggetta al suo peso; cioè, di moto parabolico. Il moto del centro di
massa fornisce quindi informazioni sulla parte traslatoria del moto del sistema. Ciò conferma che, per alcuni aspetti, è possibile
sostituire un sistema di punti materiali con un solo punto materiale, di massa M, posto nel centro di massa. Per altre grandezze
dinamiche, come il momento della quantità di moto e l’energia cinetica, tale semplice sostituzione non è permessa.
8.4 – Conservazione della quantità di moto
Quando il sistema è isolato, e quindi le forze esterne hanno risultante nullo, deduciamo facilmente
che si ha:
dQ dQ
F( ) = F( ) = = 0 Q = costante.
e e
dt dt
Ovvero, la quantità di moto totale si conserva. La conservazione di Q in un sistema isolato
stabilisce un collegamento fra le quantità di moto dei singoli punti del sistema,
indipendentemente dall’azione delle forze interne al sistema12.
L’equazione
dQ
F( ) =
e
dt
che può essere utilizzata per studiare le caratteristiche del moto traslatorio dei sistemi di punti
materiali, non esaurisce le possibilità di studio del moto, perché non fornisce indicazioni sui moti
di tipo rotatorio: a tal fine, è necessaria l’introduzione di una seconda equazione che, assieme a
quella appena ricavata, costituisce l’insieme delle equazioni della dinamica dei sistemi.
Per un in sistema di punti materiali, il momento angolare totale è definito come la somma dei
momenti angolari dei singoli punti che costituiscono il sistema:
PΩ = ∑ ( ri − rΩ ) × qi = ∑ ri* × qi = ∑ pi
i i i
Il momento angolare:
• È una grandezza estensiva, come la quantità di moto.
• Dipende dalla scelta del polo Ω .
Si dimostra che la derivata del momento angolare di un sistema di punti materiali è legata al
momento delle forze esterne dalla relazione:
dP
= M( ) − Mv Ω × vC
e
dt
Nei casi particolare in cui il polo Ω sia un punto fisso (nel sistema di riferimento utilizzato),
oppure coincida con il centro di massa C, oppure abbia velocità parallela a quella del centro di
massa, l’equazione assume la forma semplificata di cui generalmente si cerca di fare uso:
dP
M( ) =
e
dt
( e)
dove M è il momento risultante delle forze esterne. Essa rappresenta la seconda equazione della
dinamica dei sistemi.
12 Esempio: un fucile che, sostenuto da un cacciatore, spara un colpo. Il peso del fucile è equilibrato dalla forza con cui l’arma viene
sorretta per cui il sistema (arma-proiettile) risulta inizialmente isolato. Prima che venga sparato il colpo, la quantità di moto del
sistema, che è fermo rispetto a un riferimento terrestre, risulta nulla. La partenza del proiettile è determinata da forze interne al
sistema, dovute alla rapida combustione della polvere da sparo, che non possono alterare la quantità di moto. Se indichiamo con m
ed M le masse del proiettile e dell’arma, e con v e V le loro velocità immediatamente dopo che è partito il colpo, si deve avere:
mv + MV =0
Di conseguenza l’arma si muove in verso opposto a quello in cui viene sparato il proiettile (“rinculo”).
13 Dove dq = v dm rappresenta la quantità di moto dell’elemento di massa infinitesima dm , e l’integrale deve essere esteso alla
Le equazioni
uazioni cardinali della Meccanica si riducono ad una forma particolarmente semplice nel
caso di sistemi isolati. Infatti, se F( ) = 0 e M( ) = 0 , si ha16
e e
Q = costante
P = costante
La Fisica moderna assume come principi le proprietà che nei sistemi isolati si conservano Q e P e
deduce da questi il Principio di azione e reazione.
Consideriamo, ad esempio, un sistema isolato costituito di due sole particelle. Per i principi
appena enunciati, abbiamo:
q1 + q2 = costante
p1 + p2 = costante
Ora deriviamo rispetto al tempo:
d d d
dt q1 + dt q 2 = dt costante = 0
d p + d p = d costante = 0
dt 1 dt 2 dt
14Questa formula fa anche vedere come si possibile calcolare il momento angolare, rispetto a un qualsiasi polo, sommando quello
valutato rispetto al centro di massa con il termine rC × M v C .
15 Sono valide nei sistemi di riferimento inerziali e anche in quelli non inerziali, a patto di tenere conto delle pseudo forze.
16 In questo caso la conservazione di P purché fisso o coincidente con il centro di massa.
Quindi, ricordiamoci che
dq dp Ω
f= e mΩ =
dt dt
E scriviamo:
f1 + f2 = 0
m1 + m 2 = 0
La prima delle due relazioni ci mostra che alla forza eventuale che agisce sul primo corpo
corrisponde una forza che agisce sul secondo, parallela e con verso opposto17.
La seconda relazione implica che le due forze devono agire sulla stessa retta d’azione, ovvero che
la coppia abbia braccio nullo.
Fatte queste considerazioni possiamo quindi dedurre il Principio di azione e reazione di Newton,
la cui formulazione è sostanzialmente legata all’idea di azione a distanza, un concetto ormai
superato nella Fisica moderna.
La prima equazione cardinale consente di ottenere informazioni sul moto del centro di massa in
un riferimento inerziale S; abbiamo poi visto che nella seconda equazione cardinale si può
prendere come polo il centro di massa C, anche se questo è in moto rispetto ad S. Possiamo quindi
aspettarci ragionevolmente di avere informazioni sul moto del sistema rispetto al suo centro di
massa; per chiarire questo importante aspetto, è opportuno studiare le espressioni che le varie
grandezze dinamiche assumono in sistemi di riferimento con origine nel centro di massa.
Anzitutto osserviamo che, in ogni riferimento di questo tipo, visto che ri′ = ri − rC , sussistono
relazioni piuttosto semplici:
• Definizione di centro di massa:
n
∑m r i i
rC = i =1
M
Se ora applichiamo la relazione ri′ = ri − rC si ha
n n n n
∑ m r′ = 0
i =1
i i
∑ ii ∑
dt i =1
m r ′ =
i =1
mi v′i = Q′ = 0
Ciò mostra che, in un sistema di riferimento con origine nel centro di massa, la quantità di
moto totale del sistema materiale è sempre nulla.
Derivando ancora:
d2 n d n n
∑ m r ′ = ∑ m v ′
dt 2 i =1 i i dt i =1 i i i =1 i i
= ∑ m a′ = 0
= ∑ ( ri − rC ) × mi vi − ∑ ( ri − rC ) × mi vC
i i
ri′ ri′
Il momento angolare rispetto al centro di massa è dunque una grandezza intrinseca del
sistema, che può essere calcolata in modo equivalente sia in un generico sistema di
riferimento S, che nel particolare sistema S’ con origine nel centro di massa (in traslazione
rispetto ad S). Si parla così di momento angolare intrinseco del sistema. Il terzo teorema del
centro di massa, cioè
PO = PC + rC × MvC
può quindi essere espresso in una forma ancora più significativa, introducendo PC′ al posto
di PC :
PO = PC′ + rC × MvC = PC′ + rC × Q
Questa relazione si chiama teorema di König per il momento angolare ed evidenzia la
separazione del momento angolare in una parte intrinseca (cioè rispetto al centro di massa)
ed una che riguarda il moto del centro di massa19.
18 Come importante conseguenza la seconda equazione cardinale vale anche nel sistema di riferimento S’, che ha origine nel centro
di massa, benché esso sia in generale un sistema di riferimento non inerziale. Infatti si ha
d d (e ) (e)
P = P ′ = M C = M ′C
dt C dt C
19 Nel caso del moto della Terra, ad esempio, si può separare la parte associata al moto di rotazione diurna da quella orbitale,
relativa alla rivoluzione intorno al Sole. Analogamente, nello studio delle particelle elementari, si considera una parte intrinseca del
momento angolare, detta di spin, e una orbitale, corrispondente al moto della particella.
9 – CORPI RIGIDI
Si definisce sistema rigido un corpo assolutamente indeformabile, nel quale le distanze fra ogni
coppia di punti materiali si mantengono inalterate, indipendentemente dalle azioni esterne su di
esso; ne segue, in particolare, che la posizione del centro di massa rimane inalterata rispetto ai
punti materiali del sistema1.
Ad ogni sistema rigido, viste le caratteristiche di indeformabilità, possiamo associare una terna
cartesiana ortogonale che lo segue fedelmente, come se fosse un vestito, scegliendo l’origine in
uno dei suoi punti materiali e gli assi in modo tale da collegare l’origine con gli altri punti del
sistema.
L’impostazione testé adottata fa intravedere come lo studio del moto in un sistema rigido possa
essere ricondotto a quello del moto di una terna cartesiana rispetto all’altra (vedi il capitolo
“Cinematica”).
Grazie a questa relazione possiamo esprimere la velocità di due punti arbitrari A e B del sistema
rigido3:
v B = v A + ω × ( rB − rA )
Se scegliamo, come punto A, il centro di massa C, otteniamo per ogni generico punto P la seguente
relazione4:
v = vC + ω × ( r − rC )
1 È però evidente che nessun oggetto, neppure quelli che ne hanno le sembianze, è assolutamente rigido; sappiamo che l’azione
delle forze deforma i corpi su cui esse agiscono. Trattare quindi come rigido un sistema reale, tipicamente un solido, significa
effettuare una schematizzazione, che però ha il grande vantaggio per permettere lo studio completo del suo moto: infatti, in tale
situazione, il sistema ha un numero di gradi di libertà (6) uguale a quello delle equazioni scalari ottenibili dalle equazioni cardinali
(2 equazioni, 3 coordinate cartesiane per ciascuna).
2 Ricordiamo che:
dR
• V (t ) = è la derivata del vettore R, il quale congiunge le origini dei sistemi S ed S’ (cioè O’ – O);
dt S
• ω ( t ) è la velocità angolare che caratterizza la (eventuale) rotazione di S’ rispetto ad S;
• r è il vettore posizione riferito al sistema S.
3 Si noti che la velocità ω non dipende né dalla coppia di punti né dall’origine del riferimento.
4 Questa relazione mostra che il moto di tutti i punti del sistema rigido è noto se, oltre alle loro posizioni all’interno del sistema,
= ∑ mi ri × vC − ∑ mi rC × vC = ∑ mi ri × vC − MrC × vC = ∑ mi ri − MrC × vC = 0
i i
i i
=M
Il momento angolare rispetto a qualsiasi altro polo diverso da C può essere ottenuto attraverso
due relazioni:
• Una generale6: M ( Ω1 ) = M ( Ω ) + R × V
• Una più specifica7: PΩ = PC + ( rC − rΩ ) × Q
vi = ω (t ) × ri
I punti del sistema rigido, immobili nel riferimento S’, descrivono in S traiettorie circolari, con il
centro sull’asse di rotazione. La quantità di moto del sistema Q = MvC è nulla o diversa da zero a
secondo che il centro di massa si trovi sull’asse di rotazione o fuori di esso. Nel secondo caso
l’accelerazione
razione del centro di massa è diversa da zero: ciò richiede un risultante non nullo delle
5 Si ricordi che la quantità di moto di un sistema con origine nel centro di massa è pari a zero. Inoltre, è nullo anche il prodotto
pro
vettoriale di un vettore per sé stesso.
6 In questa relazione:
Il momento angolare di un sistema rigido ruotante attorno ad un asse fisso non è in generale
parallelo alla velocità angolare ω , avendo anche un componente ad esso perpendicolare:
P = P + P⊥
Infatti, se utilizziamo come polo un punto fisso, per esempio
e l’origine O
del sistema S, dalla definizione di P si ha:
P = ∑ ri × qi = ∑ ri × mi ( ω × ri )
i i
= ∑ ( zi k + ρi ) × ( miω × zi k ) + ( miω × ρi ) =
i
paralleli
= ∑ mi zi k × ( ω × ρi ) + ∑ mi ρi × ( ω × ρ i ) = −∑ mi zi ρi ( ωk ) + ∑ mi ρi2ω
i
= ω ( ρi2 ) − ρi
i i i
( kρi ) − ρi ( ωk ) =ω
=ω
( ωρi )
perpendicolari perpendicolari
• La componente parallela P : ∑m ρ ω
i
i
2
i
Nell’espressione della componente parallela compare una quantità che ora introdurremo è che si
chiama momento d’inerzia (assiale):
∑ mi ρi2ω = Iω i
Per la sua definizione, il momento d’inerzia I è una grandezza scalare estensiva, il cui valore, per
un sistema scomponibile in più parti, può essere calcolato come somma dei contributi delle
singole parti. Come sarà reso evidente fra poco, il momento di inerzia gioca nelle rotazioni un
ruolo analogo a quello che ha la massa inerziale nei moti traslatori: da questa proprietà ha origine
il suo nome.
Seguendo lo stesso procedimento utilizzato per il centro di massa (capitolo 8) si può trovare
l’espressione del momento di inerzia per un sistema continuo8:
I = ∫ ρ 2 dm
Il momento d’inerzia cambia al variare dell’asse rispetto
rispetto al quale calcolato; in particolare, se l’asse
viene allontanato dal centro di massa del sistema, il momento di interzia aumenta.
Ciò può essere mostrato attraverso una semplice relazione (Teorema (Teorema di Huygens-Steiner)
Huygens fra i
momenti di inerzia relativivi ad assi paralleli. Essa stabilisce che il momento d’inerzia rispetto a una
retta qualsiasi si può scrivere come la somma di due termini:
• Il momento d’inerzia calcolato rispetto alla retta parallela alla prima, passante per il centro
di massa del sistema I C
• Il prodotto fra la massa totale del sistema e il quadrato della distanza fra i due assi Md 2
Dunque:
I = I C + Md 2
Tale teorema è così dimostrabile: consideriamo un sistema di punti
materiali e una qualsiasi retta non passante per il centro di massa del
sistema (vedi figura). Scegliamo un sistema di riferimento avente
l’asse z coincidente con tale retta, l’asse x passante per il centro di
massa C e l’asse y determinato dalla scelta degli
gli altri due. Un generico
punto Pi di massa mi ha coordinate:
Pi = ( xi , yi , zi )
Il piede della perpendicolare condotta da Pi verso l’asse z ha invece
coordinate:
H i = ( 0,0, zi )
Possiamo così esprimere il quadrato della distanza di Pi dall’asse z sfruttando il teorema di
Pitagora:
2
Pi H i = xi2 + yi2
Il momento d’inerzia rispetto all’asse z è quindi dato da9:
I = ∑ mi xi2 + yi2
i
( )
Ora prendiamo un secondo riferimento CXYZ con l’origine nel centro di massa e assi X, Y e Z
paralleli (rispettivamente) a x, y, z.
z. Seguenti saranno le relazioni di trasformazione delle
coordinate da un sistema all’altro:
xi = X i + d
yi = Yi
z = Z
i i
In quest’ultima somma:
• il primo termine rappresenta il momento d’inerzia rispetto all’asse Z;
• il secondo è il prodotto della massa totale per il quadrato
quadrato della distanza fra gli assi z e Z;
• il terzo è nullo perché è proporzionale all’ascissa del centro di massa in un sistema di
riferimento che ha tale punto come origine.
dt
Il momento assiale Pz è quindi espresso da:
Pz = P ⋅ k = ( Iω + P⊥ ) ⋅ k = I ω
L’equazione
equazione assiale a cui siamo interessati diventa:
d d
M z( ) = P = ( I ω )
e
dt dt
Nei caso dei sistemi rigidi, per i quali I è costante, si ha anche11:
d d2
M z( ) = I ω = I 2 ϑ
e
dt dt
(e)
Il momento assiale M z può essere ottenuto proiettando sull’asse sull asse della rotazione il momento
polare delle forze esterne, calcolato rispetto a un polo qualunque scelto sull’asse.
sull In particolare, se
il momento polare è perpendicolare all’asse,
all il momento assiale si annulla.
il risultante delle forze esterne è proporzionale all’accelerazione del centro di massa: quest’ultimo,
se si trova fuori dell’asse di rotazione, si muove su una traiettoria circolare, e deve quindi avere
una componente centripeta dell’accelerazione, che può essere fornita solo dai vincoli. Allo scopo
di minimizzare le reazioni vincolari, è dunque opportuno che il centro di massa si trovi sull’asse
di rotazione, soprattutto se la velocità di rotazione è elevata.
Consideriamo la seconda equazione cardinale
dPΩ d ( Iω + P⊥ ) dω dP⊥
M Ω( ) = = =I +
e
dt dt dt dt
Si nota che il vettore P ruota insieme al sistema con la stessa velocità angolare.
Vediamo due componenti:
dω
• I è parallela all’asse di rotazione ed è responsabile delle variazioni di intensità della
dt
velocità angolare;
dP⊥
• risulta perpendicolare allo stesso asse: quest’ultimo contributo è fornito dalle reazioni
dt
vincolari e deve essere resto il più piccolo possibile al fine di ridurre l’usura delle cerniere e
dei cuscinetti incaricati di mantenere l’asse nella corretta posizione, in modo da aumentare
la sicurezza del sistema.
Se consideriamo un sistema rigido avente un punto fisso, soggetto a forze esterne con risultante e
momento risultante nulli. Dalla formula
dω dP⊥
M Ω( ) = I +
e
dt dt
otteniamo che
dω dP⊥ dω
0=I + ⇒ =0
dt dt dt
e cioè che tale sistema mantiene costante la velocità angolare.
Per tale motivo gli assi di simmetria sono denominati anche assi liberi di rotazione12: nei casi in cui
la rotazione avvenga attorno ad uno degli assi centrali di inerzia, il sistema può ruotare attorno ad
esso senza che occorra l’azione di vincoli.
Consideriamo il caso di un sistema rigido, vincolato a ruotare, sena attrito, attorno a un asse fisso
orizzontale, non passante per il centro di massa del corpo. Le forze agenti su tale sistema sono
costituite dai pesi di tutte le particelle che ne fanno parte e dalle reazioni vincolari che il sostegno
esercita sul corpo rigido per mantenerlo vincolato all’asse. L’ipotesi di mancanza di attrito
dt
si scrive
d 2θ w
M z( ) = I 2 = ∑ ri × mi g ⋅ k = ( rC × Mg ) ⋅ k
e
dt i
In questa equazione il momento assiale è stato espresso come la
proiezio sull’asse z del momento totale di tutte le forze peso, che
proiezione
può essere scritto,
scritto appunto, come
rC × Mg
Scegliamo ora come variabile che individua la posizione del sistema
angolo θ formato dal vettore rC con la verticale discendente
l’angolo
passante per O; nel caso della figura, esso risulta positivo, perché
antiorario rispetto all’asse
all z.. Il modulo del momento assiale della
forza peso si può calcolare moltiplicando il modulo della forza Mg per il suo braccio
b = rC sin θ
In conclusione, si può scrivere:
d 2θ
M z( ) = I 2
e
dt
d 2θ
− Mgd sin θ = I
dt 2
Nelle ipotesi che le oscillazioni siano di piccola ampiezza, per cui è accettabile l’approssimazione
l
sin θ = θ
possiamo riscrivere la nostra formula 14
d 2θ d 2θ Mgd
I 2 + Mgdθ = 0 + θ =0
dt dt 2 I
la cui soluzione è quella
lla tipica del moto armonico
Mgd
θ (t ) = θmax cos (ω0t + ϕ0 ) pulsazione ω0 =
I
Il sistema trattato prende il nome di pendolo fisico o pendolo composto . 15
Quando il momento assiale delle forze esterne agenti su un sistema è nullo, il corrispondente
momento angolare assiale del sistema resta costante
costan durante ill moto, cioè si conserva. Da tale
proprietà di conservazione si possono ottenere utili informazioni sul moto del sistema. La
Per una forza f che non cambi né da punto a punto, né con il tempo, e il
cui punto di applicazione effettua uno spostamento AB , si definisce
lavoro il prodotto scalare della forza per lo spostamento del suo punto di
applicazione:
LAB = f ⋅ AB = f ⋅ ( rB − rA ) = f ⋅ ∆r
Si osservi che lo spostamento ∆r è quello del punto materiale su cui agisce
la forza. Per le proprietà del prodotto scalare, il lavoro di una forza può
essere positivo, negativo o nullo1, a seconda dell’angolo θ ≤ π formato dai
vettori f e ∆r .
La formula poco fa scritta è riferita ad una forza costante e costituisce un
caso molto particolare della definizione di lavoro. Non è difficile
tuttavia la sua estensione a una forza che cambi al variare della
posizione, suddividendo lo spostamento ∆r nella somma di tanti
spostamenti ∆ri sufficientemente piccoli in modo che lungo ciascuno di
essi la forza si mantenga ragionevolmente costante (vedi figura).
Abbiamo così un approssimazione, che funziona anche quando
qu la forza
non è costante:
LAB ≈ ∑ f ( ri ) ⋅ ∆ri
i
Per avere una formulazione esatta del lavoro è sufficiente calcolare il limite
dell’espressione precedente al tendere a zero di tutti gli intervalli ∆ri .
spostamenti finiti con spostamenti infinitesimi dr e
Sostituendo tali spostamenti
definendo il lavoro elementare δ L 2 di una forza f , corrispondente allo
spostamento infinitesimo dr , mediante la relazione
δ L = f ⋅ dr
Si ottiene:
B B
LAB = ∫δ L = ∫ f ⋅ dr
γ A γ A
1Il lavoro positivo è detto lavoro motore,, il lavoro negativo lavoro resistente.
2Utilizziamo il simbolo δ L invece del più familiare dL d per esplicitare il fatto importante che, in generale, questa forma
differenziale non rappresenta un differenziale esatto.
Dunque il lavoro dipende, in generale, oltre che dagli estremi del percorso, anche dalla particolare
linea γ seguita3. Per il principio di indipendenza delle azioni simultanee, quando più forze fi
agiscono contemporaneamente su un corpo, il lavoro compiuto dalla forza risultante f è uguale
alla somma dei lavoro LiAB delle singole forze. Infatti
B B B
LAB = ∫ f ⋅ dr = ∫ ∑ fi ⋅ dr = ∑ ∫f i ⋅ dr = ∑ LiAB
γ A γ A i i γ A i
L’unità di misura del lavoro è il joule [ J ]: il joule è il lavoro compiuto dalla forza di un newton
quando il suo punto di applicazione si sposta di un metro nella direzione della forza.
3 I casi in cui esso non dipende dalla traiettoria corrispondono a forze con caratteristiche particolari, dette conservative.
4 Poiché possiamo qualitativamente comprendere che una forza agente su un corpo inizialmente fermo ne provoca una variazione
di velocità, argomenti fisici e dimensionali portano ad aspettarci che l’energia cinetica sia espressa attraverso il prodotto della
massa e del quadrato della velocità.
5 Il risultante (maschile): quindi stiamo parlando di una quantità vettoriale.
dK = δ L
otteniamo
B B
∫ dK = ∫δL
γ A γ A
K B − K A = LAB
Le formulazioni
dK = δ L
K B − K A = LAB
rappresentano la formulazione analitica del Teorema delle forze vive 6, rispettivamente, in forma
differenziale e integrale. Esso vale, come precisato, se la massa del corpo si mantiene costante.
Le relazioni appena trovate possono essere utilizzate in due modi:
• per ottenere vB dalla conoscenza di vA e del lavoro LAB ;
• per ottenere LAB noti vA e vB .
Il Teorema appena trovato mostra che, se da un lato una forza agente su un corpo inizialmente
fermo ne aumenta l’energia cinetica, dall’altro è vero anche il viceversa: si può quindi sottrarre
energia cinetica da un corpo in movimento per produrre lavoro7.
Esistono alcune forze, dette conservative, per le quali vale l’importante proprietà che il lavoro
dipende soltanto dagli estremi del percorso. Perché questo accada è necessario e sufficiente che
esista una funzione scalare della sola posizione V ( r ) tale che sia verificata la condizione8
δ L = − dV
Dunque in questo caso deve valere che il lavoro elementare sia un differenziale esatto.
Se questa condizione è soddisfatta allora il lavoro lungo un qualsiasi percorso finito che colleghi il
punto A con il punto B risulta:
B B
LAB = ∫ δ L = − ∫ dV = VA − VB = −∆V
A A
Da questa relazione si deduce che il lavoro è indipendente dal percorso: tale grandezza dipende
infatti solo dal valore che la funzione V assume negli estremi del percorso (e non nel percorso
effettuato).
La grandezza V ( r ) prende il nome di energia potenziale9: inoltre, se esiste una funzione V ( r ) che
soddisfa le condizioni
dK = δ L
K B − K A = LAB
allora ne esistono infinite, le quali differiscono dalla prima per una costante arbitraria.
6 Il Teorema delle forze vive è piuttosto utile quando la traiettoria è nota a priori, oppure quando il lavoro non dipende dalla
traiettoria, ma solo dalla posizione iniziale e finale. Questo teorema, inoltre, è valido anche nei sistemi di riferimento non inerziali
purché, oltre al lavoro delle forze, si consideri anche il lavoro delle pseudo forze. Fra queste, la forza di Coriolis non fa mai lavoro
perché è sempre perpendicolare alla velocità del corpo.
7 Una volta, ad esempio, si utilizzava l’energia cinetica dell’acqua dei fiumi per far girare le pale dei mulini a vento (e quindi per
compiere un lavoro).
8 La scelta del segno – è puramente convenzionale.
9 Il significato fisico dell’energia potenziale (associata alla posizione P di un punto materiale in un campo di forze conservativo) si
osserva nel fatto che essa è uguale al lavoro che (in presenza di campo) altre forze devono compiere per portare il punto materiale
da Q a P senza che l’energia cinetica cambi dalla situazione iniziale a quella finale.
È poi evidente che, se gli estremi del percorso coincidono, cioè se il percorso è chiuso, il lavoro di
una forza conservativa risulta nullo, in quanto:
LAA = K A − K A = 0
Tale proprietà è una delle caratteristiche delle forze conservative e si esprime formalmente
affermando che, per ogni linea chiusa γ , dev’essere10
∫γ f ⋅ dr ≡ 0
Un integrale di questo tipo è detto integrale di circuitazione di f lungo la curva γ .
Se esiste l’energia potenziale, il lavoro elementare può essere scritto nella forma
∂V ∂V ∂V
fx dx + fydy + fz dz = − dx + dy + dz
∂x ∂y ∂z
Nella quale si è usata l’espressione del differenziale esatto dV .
Segue allora che le componenti della forza sono legate alle derivate parziali della funzione energia
potenziale dalle relazioni:
∂V ( x , y, z )
fx = −
∂x
∂V ( x , y, z ) ∂V ( x , y, z ) ∂V ( x , y, z ) ∂V ( x , y, z )
fy = − f = −
i+ j+ k
∂y ∂x ∂y ∂z
∂V ( x , y, z )
fz = −
∂z
E cioè :
11
f = −gradV ( x , y, z ) = −∇V ( x , y, z )
Infine, per il differenziale si ha:
∂V ∂V ∂V
δ L = f ⋅ dr = −
dx + dy + dz = −dV (esatto)
∂x ∂y ∂z
Teoricamente il discorso appare piuttosto chiaro. In pratica, tuttavia, non è sempre comodo
verificare che il lavoro è indipendente dal percorso su tutte le infinite possibili. In alcuni casi si
può però utilizzare una proprietà locale che una forza conservativa deve possedere: si vede infatti
che una forza, se è conservativa, ha rotore nullo; cioè
i j k
∂ ∂ ∂
∇×f = =0
∂x ∂y ∂z
fx fy fz
Infatti, quando f = −∇V si ha ∇ × ∇V = 0 purché l’insieme di definizione di fx , fy , fz sia
semplicemente connesso12,13.
Ricapitolando, abbiamo quattro modi – tutti equivalenti – per vedere se un campo di forze è
conservativo:
• verificare se il lavoro non dipende dal percorso;
• verificare che la circuitazione è nulla per qualsiasi linea chiusa nel campo;
• verificare che esiste l’energia potenziale;
13 Cioè, ogni linea chiusa, i cui punti appartengono tutti all’insieme, può essere contratta in un solo punto, senza uscire
dall’insieme.
• controllare se il rotore è nullo e se l’insieme di definizione è semplicemente connesso.
Una conseguenza di tale conservatività è che, se un corpo si muove sotto l’azione di forze solo
conservative, l’energia cinetica riacquista lo stesso valore tute le volte che il corpo transita per la
stessa posizione, come conseguenza del Teorema delle forze vive.
Come si vede, il lavoro è indipendente dal percorso effettuato, perché dipende soltanto dalle quote
dei punti iniziale e finale: la forza peso è dunque conservativa.
Inoltre, abbiamo appena mostrato come la differenza dell’energia potenziale, fra i punti A e B, sia
B
LAB = ∫ δ L = −∆V = VA − VB = mg ( z A − z B )
A
B B B
LAB = ∫ f ⋅ dr = ∫ −kx dx = −k ∫ x dx = −
2
(
k 2
)k
(
x B − x A2 = x A2 − x B2
2
)
A A A
14 La seconda riga della matrice di calcolo del rotore è fatta di derivate parziali, tutte nulle in presenza di forza costante.
15 Applicando una convenzione.
Anche in questo caso è evidente che il lavoro della forza elastica dipende solamente dalle
posizioni iniziale e finale, e non dalle configurazioni intermedie16.
Come nel caso della forza peso, anche qui siamo in grado di ricavare l’energia potenziale:
B
LAB = ∫ δ L = −∆V = VA − VB =
k 2
2
(
x A − x B2 )
A
Se scegliamo come punto di energia potenziale nullo quello di molla non deformata abbiamo17:
k
V (x ) = x2
2
L’espressione ottenuta, con la sola condizione che la f ( r ) ammetta una primitiva è il differenziale
(esatto) di una funzione della sola variabile r; si può scrivere, pertanto:
dV
δ L = f ( r ) dr = −dV ( r ) ⇒ f ( r ) = −
dr
Dunque quest’ultima relazione prova che le forze centrali a simmetria sferica sono conservative.
Calcolando o il lavoro da A a B si ottiene
B B
LAB = ∫ f ⋅ dr = ∫ f ( r ) dr = VA − VB
A A
che, come viene fatto notare, è pari anche alla differenza di energia potenziale.
Come caso particolare notevole, esaminiamo come opera la forza di attrazione gravitazionale
(vedi figura). Come già discusso, fra due corpi puntiformi aventi masse gravitazionali m1 ed m2 ,
16 In altri termini, durante il processo, la molla potrebbe avere assunto anche deformazioni minori di xA o maggiori di xB senza che
ciò abbia influenza sul risultato finale.
17 Si noti che l’energia potenziale elastica dipende dall’entità della deformazione, ma non dal suo segno.
Consideriamo
Consider iamo un sistema di riferimento non inerziale (ad esempio,
quello terrestre), rotante con velocità angolare ω costante rispetto ad
un riferimento inerziale. Una massa m che si trovi a distanza ρ
dall’asse della rotazione sentirà l’effetto di una pseudo forza f , la
forza centrifuga, la cui intensità vale mω 2 ρ , diretta dall’asse di
rotazione verso l’esterno. Scelto l’asse di rotazione come l’asse z, in
coordinate cilindriche, si può scrivere
f = mω 2 ρ ⋅ u ρ
f ( ρ ) dρ
La differenza di energia potenziale fra le due posizioni è quindi:
Ora scegliamo un punto in cui la forza centrifuga è nulla: la scelta più ovvia è quella di utilizzare
come punto di zero VB = 0 , ovvero il punto per cui ρ B = 0 ; otteniamo quindi20
1
V ( ρ ) = − mω 2 ρ 2
2
Nei campi di forze conservativi è spesso utile individuare i punti in cui l’energia potenziale
assume lo stesso valore. Il luogo geometrico di tali punti (nello spazio) è generalmente una
superficie, detta equipotenziale. Per ogni spostamento elementare su tale superficie il lavoro
elementare è nullo: da ciò ne segue che la forza è perpendicolare alla superficie equipotenziale, in
ogni suo punto.
Trattiamo infine un caso tipico di forza con conservativa, la forza di attrito radente (dinamico).
L’espressione di tale forza è data dalla relazione
Rτ = − µd Rn uv
dove uv è il versore della velocità. Il lavoro della forza di attrito lungo un percorso che colleghi la
posizione A a quella B è
B B B
LAB = ∫ Rτ ⋅ dr = ∫ − µ d Rn uv ⋅ dr = − µd Rn ∫u v ⋅ dr
γ A γ A γ A
∫ v ( uv ⋅ uv ) dt = − µd Rn
(γ )
LAB = − µd Rn ∫ uv ⋅ dr = − µd Rn ∫ vd t = − µ R l d n AB
γ A γ A γ A
(γ )
Sorpresa: in quest’espressione compare lAB , che è la lunghezza del percorso! Appare quindi
scontato che questa forza non è conservativa 21 : dipende infatti dal percorso (cioè dalla sua
lunghezza) e, inoltre, il lavoro fatto dall’attrito su un punto materiale che scorre in una linea
chiusa è negativo22 e quindi tutt’altro che nullo23.
Abbiamo visto che, per il punto materiale, il teorema delle forze vive
δ L = dK
la cui validità è del tutto generale per i corpi di massa costante, ai quali faremo riferimento in
questo paragrafo. Abbiamo inoltre mostrato che è possibile esprimere il lavoro di ogni forza
conservativa anche mediante la variazione della corrispondente energia potenziale:
20 Questa conclusione è strettamente legata all’ipotesi che la velocità angolare sia costante; in caso contrario, infatti, la forza dipende
dal tempo e non è conservativa.
21 Così come non è conservativa la forza dovuta alla resistenza di un mezzo viscoso.
22 L’affermazione che il lavoro delle forze di attrito è negativo (come si vede dall’ultima relazione scritta) vale solo nel sistema di
riferimento solidale con il supporto scabro su cui avviene lo scivolamento del corpo considerato. Infatti, l’espressione della forza di
attrito dinamico contiene il versore della velocità relativa di un corpo rispetto al supporto. In un altro sistema di riferimento,
rispetto al quale sia in moto anche il supporto, il lavoro della forza d’attrito è diverso e potrebbe risultare anche positivo.
23 In generale, si può dimostrare che le forze (di qualsiasi forma e natura) dipendenti in modo esplicito dal tempo (o anche dalla
velocità, visto che tali grandezze sono estremamente legate fra loro dalla Cinematica) non possono essere conservative.
δ L = −d V
Infatti, se tutte le forze sono conservative, il lavoro elementare totale è:
δ L = ∑ ( −dVi ) = −d ∑ Vi = −dV
i
i
energia potenziale
totale
La grandezza
EM = K + V
viene chiamata energia meccanica totale: è evidente che ad essa contribuiscono un termine legato al
moto e uno alle interazioni del corpo con l’ambiente. Se vi sono solo forze conservative, l’energia
meccanica è costante, e cioè
dE M = d ( K + V ) = 0
Da ciò deduciamo un risultato importantissimo, valido se tutte le forze agenti sono conservative25:
l’energia meccanica si conserva.
Se, invece, tra le forze agenti che fanno lavoro, alcune son conservative e altre non lo sono, si ha
(con ovvio significato dei simboli e facendo appello al Teorema delle forze vive):
dK = δ L = δ L( ) + δ L(
nc )
= −dV + δ L(
c nc )
dK + dV = δ L( ) = dEM
nc
Con questa equazione 26 abbiamo reso esplicito il fatto che l’eventuale variazione di energia
meccanica di un punto materiale è dovuta soltanto al lavoro delle forze non conservative27.
24 Meglio: K + ∑ V i = costante
i
25 In realtà tale relazione vale anche se sono presenti forze non conservative, purché risulti nullo il loro lavoro su tutta la traiettoria
seguita dal punto materiale.
26 Rispetto al Secondo Principio della Dinamica, l’equazione soprascritta ha il vantaggio di poter essere espressa attraverso funzioni
fu
delle coordinate e delle loro derivate prime, cioè di non contenere derivate seconde. Questo la rende particolarmente interessante
inter
per la risoluzione di molti problemi in cui sia necessario conoscere il valore del modulo della velocità e non la legge oraria.
orari
27 Si presti attenzione al fatto che il lavoro, come l’energia cinetica, è una grandezza che dipende dal sistema di riferimento.
rifer Può
infatti capitare che le forze (abbiamo già fatto l’esempio con le forze di attrito) non facciano lavoro in un sistema di lavoro,
lavo ma lo
facciano in un altro. Il fatto che l’energia meccanica di un punto materiale (non isolato) si possa conservare
conservar in un sistema di
riferimento inerziale e non conservare in un altro, potrebbe apparire a prima volta inconsistente con l’equivalenza di tutti i sistemi
di riferimento inerziali. In realtà, il Principio di relatività implica che in tutti i sistemi di riferimento
riferimento inerziali abbiamo la stessa
forma le leggi fondamentali della fisica: tale ruolo è posseduto dal Principio di conservazione dell’energia in un sistema isolato,
is ma
non dalla conservazione dell’energia meccanica di un punto materiale non isolato.
1
E M = K A + V A = K B + VB = 0 +mgh = 2 mvB + 0
2
posizione posizione K A +V A
iniziale finale K B +VB
L’energia meccanica, pur restando costante, durante il moto si ripartisce in modi diversi tra la
forma cinetica e quella potenziale.. Questa proprietà dell’energia si riscontra in molte situazioni:
esistono poi fenomeni in cui tale trasformazione avviene ininterrottamente (in assenza di attrito).
armonico un oggetto puntiforme di massa m,, sottoposto all’azione di una
Nel caso dell’oscillatore armonico,
forza elastica −kxi , si muove di moto armonico secondo la legge
k
x (t ) = A cos (ω0t + ϕ0 ) con ω0 = e ϕ = ω0t + ϕ0
m
Se scriviamo l’energia cinetica e l’energia potenziale in funzione del tempo abbiamo:
1 1 1
• energia potenziale (elastica): V (t ) = kx 2 = k A cos (ω0t + ϕ0 ) = kA 2 cos2 (ω0t + ϕ0 )
2
2 2 2
2
1 1 d 1
• energia cinetica: K (t ) = mxɺ 2 = m A cos (ω0t + ϕ0 ) = mA 2ω02 sin 2 (ω0t + ϕ0 ) =
2 2 dt 2
1 k
= kA 2 sin2 (ω0t + ϕ0 ) (perché se ω0 = allora ω02m = k )
2 m
Dunque, ad ogni istante, l’energia meccanica totale, somma di V (t ) e
K (t ) , è:
1 1 1
EM = kA 2 cos2 (ω0t + ϕ0 ) + kA 2 sin 2 (ω0t + ϕ0 ) = kA 2
2
2
2
elastica cinetica
Il risultato ottenuto mostra che l’energia oscilla continuamente tra la forma potenziale e quella
cinetica: vi sono istanti in cui l’energia è tutta potenziale, altri in cui è tutta cinetica,
cineti altri ancora in
cui si distribuisce tra le due forme. La somma, in ogni caso, risulta però costante.
costante
28In
n effetti, se avessimo utilizzato il solo Secondo Principio della Dinamica, avremmo dovuto risolvere un equazione molto più
brutta:
mzzɺɺɺ+ mgzɺ = 0
La quale ammette due soluzioni, etc…
Possiamo quindi concludere che:
• La conservazione dell’energiaa meccanica può rappresentare un’alternativa molto conveniente, per la soluzione dei
problemi, rispetto all’equazione fondamentale del moto. Trattasi infatti di un metodo rapido ed elegante.
• Tale relazione contiene l’equazione fondamentale del moto, che da essa può essere ottenuta; al fine della risoluzione dei
sistemi, si tenga quindi presente che la conservazione dell’energia meccanica non può quindi fornire un’equazione
indipendente da quella fondamentale.
• Partendo dalla conservazione dell’energia meccanica
meccanica si possono dedurre in modo molto rapido e diretto alcune
informazioni sulle caratteristiche del moto.
Attenzione, però, ad un uso troppo indiscriminato delle relazioni ottenibili con la conservazione dell’energia meccanica. In
particolare, in presenza di reazioni vincolari, non si possono ignorare le limitazioni imposte dalla particolare natura dei vincoli.
L’esempio seguente (sulla macchina di Atwood) mostra invece che la somma dei lavori delle forze di
tensione, esercitate sui fili sui due corpi, è nulla, nulla, per cui, essendo le forze
peso conservative, è possibile estendere la conservazione del’energia
meccanica all’intero sistema. A ciascuno dei due corpi sono applicate le
rispettive forze peso e forze dovute al filo. Sulla base del teorema delle
forze vive,
ive, i due corrispondenti lavori sono dunque:
L1 = ( w1 + T1 ) ⋅ ∆r1 = ∆K1
L2 = ( w2 + T2 ) ⋅ ∆r2 = ∆K 2
Se il filo è inestensibile e ha massa trascurabile, i due corpi hanno la stessa
variazione di quota ∆z (a meno del segno) e le due tensioni sono uguali; quindi si può scrivere
(T − w1 ) ∆z = ∆K1
(T − w2 )( −∆z ) = ∆K 2
Se sommiamo membro a membro si ha:
T ∆z − w1∆z − T ∆z + w2 ∆z = ∆K1 + ∆K 2
∆z ( −w1 + w2 ) = ∆K1 + ∆K 2
− ( ∆V1 + ∆V2 ) = ∆K1 + ∆K 2
Ponendo E M = E M 1 + E M 2 = (V1 + K1 ) + (V2 + K 2 ) si ottiene
ttiene immediatamente che
∆E M = 0
Dunque l’energia meccanica dell’intero sistema si conserva.
L’analisi di funzionamento della macchina di Atwood aiuta a comprendere meglio il significato
della conservazione dell’energia meccanica, nel caso sistemi complessi. Se durante il moto il corpo
di massa m2 (massa supposta maggiore di m1 ) scende, la sua energia potenziale diminuisce,
mentre le forza peso w2 compie lavoro positivo;
positivo; questo lavoro viene trasformato, in parte in
aumento dell’energia potenziale della massa m1 , in parte in aumento dell’energia cinetica
dell’intero dispositivo. Siamo quindi in presenza di un fenomeno in cui, attraverso il lavoro,
l’energia di posizione viene scambiata da un corpo all’altro29.
29Le precedenti considerazioni mettono infine in luce un altro importante aspetto delle energie potenziali. Il fatto che un corpo
cor
possieda energia potenziale,
otenziale, per esempio dovuta alla forza peso, è una conseguenza dell’esistenza della forza di attrazione che la
Terra esercita sul corpo: in assenza di tale attrazione, non occorrerebbe alcun lavoro – ad esempio – per sollevare una certa quantità
d’acqua da un bacino a un altro a quota più elevata, non si potrebbe accumulare alcuna energia potenziale, né si otterrebbe energia
cinetica muovendo l’acqua verso il basso. In altri termini, le variazioni della stessa energia potenziale sono dovute alle variazioni
va
della configurazione di tutto il sistema. Ne segue che non è possibile estrarre energia da un campo conservativo a meno di non no
modificare le posizioni dei corpi che danno origine al campo.
solleva di un tratto h, l’estremo libero della fune si sposta di un tratto 2h. Poiché
w
L = 2hf − hw = 0 ⇒ f =
2
la forza necessaria per effettuare il sollevamento risulta la metà 30 di quella che si dovrebbe
impiegare per sollevare direttamente il corpo31: ciò si esprime dicendo che il vantaggio meccanico è
2. Il risultato ottenuto discutendo questo esempio può essere enunciato dicendo che ciò che si
guadagna in forza si perde in percorso e viceversa.
10.11 – Potenza
In Meccanica la potenza è la grandezza (scalare) che caratterizza la capacità delle macchine e dei
sistemi (attraverso le forze che essi sviluppano) di compiere lavoro in un certo tempo.
Supponiamo che una macchina possa compiere il lavoro ∆L nell’intervallo temporale ∆t . Si
definisce potenza media il rapporto:
∆L
Wm =
∆t
Come già abbiamo fatto per altre grandezze, facciamo tendere a zero l’intervallo temporale ∆t per
definire una controparte istantanea di questa grandezza:
∆L δ L
W = lim =
∆t →0 ∆t dt
Nel caso in cui il lavoro sia effettuato da una forza che agisce su un punto materiale si ha anche:
δ L f ⋅ dr
W= = = f ⋅v
dt dt
La potenza, nel sistema internazione, si misura in W [Watt] 32 : un watt è la potenza di una
macchina capace di svolgere il lavoro di 1 joule al secondo33,34.
Per il Primo Principio della Dinamica, in un riferimento inerziale ogni punto materiale libero (o
isolato) si muove mantenendo costante la velocità, e quindi l’energia cinetica. Ciò è consistente con
il collegamento stabilito fra la variazione di energia cinetica e il lavoro complessivo delle forze
(Teorema delle forze vive). In assenza di forze non c’è lavoro e l’energia cinetica non cambia;
viceversa, ogni variazione di energia cinetica (in un riferimento inerziale) implica l’interazione con
altri corpi. Se le interazioni sono espresse da forze conservative (Principio di conservazione
30 In realtà si tratta di un risultato ideale, valido in assenza di attriti, la cui presenza riduce l’effettivo vantaggio meccanico.
31 Tuttavia un prezzo è stato pagato: il tratto di cui si è spostato il punto di applicazione di f è il doppio di quello di cui è stato
sollevato il corpo.
32 Ovviamente si utilizzano anche i multipli (kiloWatt, MegaWatt, GigaWatt). Un altro modo è quello di esprimere il lavoro
sviluppato da una macchina di potenza 1kW in un ora di tempo: tale lavoro è pari a
1 kwh (kilowattora) = 1000 ⋅ 3600 = 3,6 milioni di J
33 Un’altra unità di misura della potenza che viene talvolta utilizzata, al di fuori del sistema SI, è il cavallo vapore (CV): 1 cavallo
vapore equivale a 735,5 W. L’origine di tale unità risale alla diffusione delle prime macchine, la cui potenza veniva così espressa in
numero di cavalli equivalenti: un cavallo vapore rappresentava una stima della potenza media che poteva essere fornita da un
buon cavallo, che lavorasse per un intera giornata.
34 Un modo per misurare l’ordine di grandezza della potenza sviluppata da un veicolo è quello di misurare l’intervallo di tempo
che il veicolo impiega per superare un dislivello h noto. Conoscendo la massa m del veicolo, e trascurando sia il lavoro delle forze
non conservative, sia le variazioni di energia cinetica, risulta
mgh
W≈
∆t
dell’energia meccanica), resta costante l’energia meccanica, somma dell’energia cinetica del corpo e
dell’energia potenziale (la cui variazione esprime il lavoro delle forze d’interazione35).
Consideriamo un sistema isolato di due corpi i quali esercitano su loro stessi delle forze (di tipo
conservativo): se cambia la loro configurazione relativa, e quindi la loro energia di interazione, si
ha anche una variazione della loro energia cinetica
dK 1 + dK 2 + dV = 0
Se per uno di essi tale variazione è trascurabile 36 si può affermare che si conserva l’energia
meccanica dell’altro (nella quale è conglobata anche l’energia di interazione):
dK 2 ≈ 0 ⇒ d ( K 1 + V ) ≈ 0
Se le forze in gioco sono tre, ma sono ancora tutte conservative, lo scenario rimane immutato e si
hanno ancora trasformazioni di energia da cinetica a potenziale, senza che l’energia meccanica
totale del sistema subisca delle variazioni.
Tuttavia non si è “persa” energia: essa sembra mancare all’appello perché non è più energia di
tipo meccanico, ma in realtà si è trasformata in qualcos’altro (energia termica: l’aria e il pendolo si
sono leggermente scaldati). Insomma, in un sistema isolato, non può cambiare l’energia totale né –
ovviamente – la somma di tutte le energie, perché esse non scompaiono (qualsiasi sia la loro
forma). Questa affermazione è universale e costituisce uno dei più solidi principi della Fisica: il
Principio della conservazione dell’energia39.
Per estensione della definizione40 relativa a un punto materiale, per un sistema di punti materiali
si definisce l’energia cinetica totale del sistema come:
1
K = ∑ mivi2
2 i
35 Proprio per come è stata introdotta, a rigore l’energia potenziale non descrive una proprietà del singolo corpo (come fa invece
l’energia cinetica), ma è evidentemente associata al sistema dei corpi interagenti: si potrebbe più propriamente chiamarla energia di
interazione.
36 È questo il caso di un corpo che interagisce con la Terra: la massa inerziale della Terra è gigantesca e quindi possiamo ignorare la
dell’energia meccanica della particella, la forza corrispondente viene chiamata dissipativa. Le forze dissipative, come l’attrito, sono
non conservative.
38 Si può osservare che, al lavoro negativo dell’attrito corrisponde un modificarsi della struttura interna e del corpo in questione, il
quale non può più essere considerato come una semplice particella (punto materiale): è invece necessario esaminare effetti di tipo
macroscopico per capire dove è andato a finire la parte mancante di energia.
39 “Nulla si distrugge: tutto si trasforma”.
2 i 2 i 2 i 2 i
L’ultimo termine della somma finale è nullo perché in un sistema di riferimento con origine nel
centro di massa la quantità di moto totale del sistema è nulla:
∑ mi v′i = Q′ = 0
i
Dunque si ha:
1 1 1
2 i
∑
K= mivi′2 + MvC2 = K ′ + MvC2
2 2
L’energia cinetica di un sistema si può quindi sempre scrivere come la somma di due parti
(teorema di König per l’energia cinetica):
• l’energia K’, calcolata in un opportuno sistema di riferimento con origine nel centro di
massa;
1
• il termine K C = MvC2 che rappresenta l’energia che competerebbe a un punto materiale di
2
massa uguale alla massa totale del sistema e coincidente con il centro di massa.
In altre parole: l’energia cinetica di un sistema meccanico è la somma dell’energia cinetica del
centro di massa (cioè che avrebbe il centro di massa se in esso fosse concentrata tutta la massa) e
dell’energia cinetica relativa al centro di massa41.
In questo paragrafo ragioniamo come nel paragrafo precedente, solo che questa volta ammettiamo
che il sistema S’, oltre ad avere tutte le caratteristiche del sistema descritto in 10.a, sia rigido
(quindi siamo in un caso meno generale). Sappiamo che questa è l’espressione che caratterizza la
velocità dei punti di un sistema rigido (vista da S):
v = vC + ω (t ) × ( r − rC )
Ora possiamo calcolare l’energia cinetica, che è data da:
1 1
K = ∑ mivi2 = ∑ mi vC + ω (t ) × ( ri − rC ) =
2
2 i 2 i
1
{
= ∑ mi vC2 + 2vC ⋅ ω (t ) × ( ri − rC ) + ω (t ) × ( ri − rC )
2 i
2
}
In questa espressione:
1
• il termine 2vC ⋅ ω (t ) × ( ri − rC ) dà contributo nullo, perché se moltiplichiamo per ∑ mi
2 i
quel che otteniamo è
41
Il risultato ottenuto mostra inoltre che, nel calcolo dell’energia cinetica generalmente non è corretto limitarsi a supporre l’intera
massa collocata nel centro di massa.
vC ⋅ ω (t ) × ∑ mi ( ri − rC ) = 0
i
= 0 per la definizione
di centro di massa
(ωρi )
2
2 i 2 i
2
1 1 1 1
= MvC2 + ∑ mi ρi2ω 2 = MvC2 + I Cω 2
2 2 i 2 2
Quella che abbiamo ricavato è l’espressione generale dell’energia cinetica di un sistema rigido.
Nel caso particolare in cui il sistema stia traslando,, il secondo termine è nullo; ne segue che, c
solamente in questo caso,, l’energia cinetica possa essere calcolata trattando l’intero sistema come un
punto materiale coincidente con il centro di massa. Dunque possiamo dire che
1
K = MvC2
2
42 Nella relazione scritta IC è il momento di inerzia rispetto all’asse passante per il centro di massa, parallelo al vettore ω . Si
osservi che né la direzione, né il modulo di ω sono necessariamente costanti nel sistema di riferimento S’, quello che ha origine nel
centro di massa.
11 – URTI
Si ha un urto quando due corpi, che si muovono a velocità diverse, interagiscono e in un intervallo
di tempo relativamente breve modificano in maniera sostanziale le proprie velocità, in modo che
si possa operare una chiara distinzione tra ciò che è avvenuto “prima” e “dopo” l’urto. D’altronde,
nei problemi d’urto, non siamo interessati alle dinamiche dell’interazione, ma soltanto alle
quantità dinamiche presenti in tale “prima” e tale “dopo”. Le forze d’urto agiscono per un tempo
molto breve e, prima della collisione, sono assenti: se i corpi non sono soggetti ad altre forze, essi
si muovono quindi di moto rettilineo uniforme (sempre nel “prima” e nel “dopo”).
Facciamo ora alcune distinzioni fra le forze interne e quelle esterne che agiscono in un urto:
• FORZE ESTERNE:
o Durante l’urto le forze esterne (non impulsive) possono essere trascurate (ma
debbono per forza essere considerate prima e dopo l’urto).
o Durante l’urto possono agire anche forze esterne non impulsive, come la forza peso.
Tuttavia, di solito, esse sono trascurabili rispetto alle forze d’urto.
o Le forze vincolari esterne non possono essere trascurate, in quanto esse, durante
l’urto, hanno carattere impulsivo e possono essere molto intense.
• FORZE INTERNE:
o Sono da considerarsi forze interne le forze che agiscono durante l’urto tra due corpi
non vincolati. L’intensità di tali forze d’urto è tanto più intensa quanto più piccolo è
l’intervallo di tempo in cui le forze agiscono.
Ci ricordiamo infatti che questa è la definizione dell’impulso:
t2
J = ∫ f dt
t1
Il fatto che molte forze esterne possano essere trascurate durante i fenomeni d’urto ci permette di
dire che il sistema d’urto può essere considerato (quasi) isolato. Dunque, in questi casi, in un
sistema di riferimento inerziale, si ha la conservazione della quantità di moto, del momento
angolare e dell’energia propria del sistema. In presenza, tuttavia, di una forza vincolare esterna, si
conserva il momento angolare riferito al punto d’applicazione della reazione vincolare1.
1 Ad esempio, nel caso di una sbarra vincolata a ruotare attorno ad un punto O, si conserva il momento angolare rispetto ad O,
mentre non si conserva la quantità di moto, né il momento angolare rispetto ad altri centri di riduzione.
11.2 – Urto collineare
Consideriamo ora il caso di urto collineare2 fra due punti materiali di massa m1 ed m2 : prima
dell’urto, il corpo 1 sta andando verso il corpo 2 con una velocità3 pari a v01 e il corpo 2 sta
facendo la stessa cosa verso il corpo 1 con velocità −v02x . Supponiamo che
v01x + ( −v02 x ) > 0
Allora sperimentalmente si verifica che, dopo l’urto, se chiamiamo v1x la nuova velocità del corpo
1 e v2 x la nuova velocità del corpo 2, si ha:
−e v01x + ( −v02 x ) = v1x + ( −v2 x ) < 0
Il termine e è detto coefficiente di restituzione ed è un numero compreso tra 0 e 1. Se e:
• È pari a 0 l’urto si dice perfettamente anelastico4 (esiste un lavoro non nullo delle forze
interne non conservative, l’energia cinetica non si conserva).
• È pari ad 1 l’urto si dice perfettamente elastico (si conserva l’energia cinetica5)
Se applichiamo il teorema della conservazione della quantità di moto6, otteniamo tale sistema:
m1v1x + m2v2 x = m1v01 + m2v02
v1x − v2 x = −e (v01x − v02x )
Risolvendo questo sistema abbiamo:
m1 − em2 m (1 + e )
v1x = v01x + 2 v02 x
m1 + m2 m1 + m2
m1 (1 + e ) m2 − em1
v2 x = m + m v01x + m + m v02 x
1 2 1 2
2
2
2 m1 + m2
dopo l'urto prima dell'urto
VARIAZIONE DI ENERGIA CINETICA
termine che dipende dalla maggiore o minore
elasticità dell'urto in questione
5 Ancora meglio: si conserva l’energia meccanica. Questa definizione ci permette di fare distinzione fra urti elastici ed anelastici
2 m1 + m2