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Nicola Landi

Memoria
sull'Artiglieria
Napoletana
1837
"Mermoria economico-amministrativa sulla prima direzione di artiglieria (arsenale di costruzione) dimostrante i
rapporti fra le spese ed i prodotti dell'esercizio 1835, non che le valutazioni dei lavori costruiti durante l'esercizio
stesso", in Antologia Militare, II, n. 3, 1837, pp. 70-95.

Landi, Nicola, (1786-1836), all. alla Nunziatella (1796), alfiere d’art. (1801), ten. con Masséna (1806), cap. ADC di
Tugny (1809), in missione amministrativa presso le truppe nap. in Germania (F a Dresda), CB sotto dir. delle ferriere
e della R. fabbrica di canne della Mongiana (1814-16), ODS (1813). Landi Nicola, Sul nuovo sistema di campagna
adottato dall'artiglieria napolitana nel 1835, per Nicola Landi tenente colonnello di artiglieria e direttore dell' arsenale
di costruzione, Napoli, Stamperia dell'Aquila, 1838. http://nascidinuovo.xoom.it/fraienco/mongiana/mongstory.htm V. Ilari,
Crociani, Boeri, Storia Militare del Regno Murattiano, II, capp. 21 e 22; III cap. 38, § B.
Annali Civili delle Due Sicilie, XI, sett.-ott. 1834, pp. 148-150.
Da Annali Civili deller Due Sicilie, 1836, vol. XI, fasc. XXI, mag.-giu., pp. 82-84
Appendice 5

Lo stabilimento della Mongiana

Le ferriere delle Serre Calabre (1771-1805)


L’estrazione del ferro dalle miniere delle Serre calabresi (al confine tra le province di Catanzaro e
Reggio) è attestata fin dal medioevo. L’industria aveva sede inizialmente a Stilo, sul versante ionico del
Monte Pecoraro, con vista sull’omonima Punta e con l’omonimo bosco alle spalle. Date in concessione
agli eredi di Ettore Fieramosca, le ferriere furono in seguito riprese dalla corona e l’8 marzo 1771
trasferite alla Mongiana (14 km a NO di Stilo), per l’esaurimento delle acque. Il trasferimento sotto la
cima del Pecoraro comportò un aggravio dei costi di trasporto del combustibile (legno e carbone) e dello
stesso prodotto. Infatti, pur trovandosi sul versante tirrenico del monte, la Mongiana non era collegata
direttamente con la costa, per cui anche il ferro destinato agli stabilimenti militari di Napoli e Torre
Annunziata e imbarcato (per ragioni di sicurezza) sulla costa tirrenica (a Pizzo), continuava a passare per
Stilo.
Amministrata da Massimiliano Conty, già direttore a Stilo, nel 1785 produceva 5.313 cantaia (473,4
ton) di ferro crudo e 1.938 (172,7 ton) di malleabile, con un ricavo di 13.000 ducati. Secondo il Bianchini
il ricavo delle altre ferriere del regno (Terra di Lavoro e Principato) era in diminuzione da 25.704 ducati a
17.371. Nel periodo 1791-98 la produzione di crudo della Mongiana diminuì del 30 per cento, con una
media annua di 330 ton: ma il rendimento aumentò al 65 per cento, mantenendo la produzione di ferro
dolce su una media annua di 167 ton.
Nel 1798 la direzione delle finanze vi destinò 4 mineralogisti con 12 scavatori tedeschi, ma il loro
impatto sulla direzione e sull’indotto socio-economico della ferriera provocò contrasti e tensioni, tanto
che nel 1799, durante la spedizione sanfedista, Conty fu arrestato (sembra su ordine del preside di Reggio
Winspeare) e sostituito da Vincenzo Squillace. I mineralogisti segnalarono al direttore delle finanze la
convenienza di riportare la ferriera a Stilo (nel frattempo ripresasi dal terremoto che l’aveva distrutta nel
1783). L’artiglieria, maggiore acquirente della ferriera, ottenne, nel luglio 1800, il mantenimento della
ferriera alla Mongiana e il suo trasferimento alla segreteria di guerra e nel 1801 vi distaccò il capitano
Giuseppe Ribas (in seguito direttore della fonderia militare di Palermo). I mineralogisti non si
rassegnarono e a loro volta ottennero nel 1803 il ritorno della ferriera alla direzione delle finanze, che vi
distaccò due di loro. Nel dicembre 1805, temendo un linciaggio nel clima creato dai venti di guerra, i
minatori tedeschi preferirono andarsene.

L’appalto ai “ferrazzuoli” e il rendimento del lavoro


Dotata di due miniere, altiforni (“alto-fornelli”) per la produzione di ferro acre, fonderie e officine per
la lavorazione del ferro dolce, d’estate la Mongiana doveva sospendere il lavoro per mancanza d’acqua. I
metodi di scavo e lavaggio del minerale ferroso erano arcaici e sotto l’amministrazione Conty la resa in
“ferro acre” era appena del 24%. La raffinazione (“dolcificazione”) era appaltata a “ferrazzuoli” locali per
un compenso di 19 carlini e mezzo (1 ducato e 95 grana) al cantaio (circa 89 kg) di ferro raffinato, con
obbligo di consegnare quantità pari ai due terzi del ferro acre ricevuto, più 16 rotola (14.2 kg) di raffinato
per cantaio acre (che venivano retribuiti a parte, al prezzo forfetario di ducati 7:20). Tali compensi (a
stento 20 ducati per tonnellata di ferro acre) non consentivano la sussistenza di una famiglia, benché le
tariffe del rimborso del carbone impiegato fossero gonfiate: 35-45 grana a salma, a seconda della distanza
dalla carbonaia, mentre il costo reale era di 25 (0.25 ducati).
I nuovi metodi introdotti dai mineralogisti aumentarono la resa del minerale al 38 per cento e quella del
ferro acre al 75, incrementando la produzione annua a 366 ton di acre (+11%) e 204 di dolce (+22%).
Aumentarono però anche i costi di gestione (+14%). Il nuovo governo dette inoltre un considerevole aiuto
alla ferriera di stato, cedendole (decreto N. 121 del 1° maggio 1807) il ferro depositato nei magazzini
calabresi della soppressa amministrazione del cosiddetto “stralcio dei ferri” [il resto fu venduto per
costituire un capitale da investire in speculazioni finanziarie a vantaggio delle ferriere del regno.]

La militarizzazione dello stabilimento (D. N. 326 del 26 nov. 1807)


L’artiglieria non era però soddisfatta della qualità della produzione e, a seguito dei suoi reclami, con
decreto N. 326 del 26 novembre 1807 la ferriera, “con fornaci e officine annessi”, fu “unicamente e
specialmente adibita alla fabbricazione di proiettili, mitraglia e pezzi per uso dell’artiglieria”, trasferita
alle dipendenze del ministro della guerra e posta sotto l’amministrazione in economia del sottodirettore
d’artiglieria in Calabria, dipendente dalla direzione di Napoli. Gli impiegati in servizio erano confermati
previo esame d’idoneità. I fondi per l’estrazione del minerale, l’acquisto di combustibile (legna e
carbone) e il soldo degli impiegati erano anticipati dalla cassa del materiale d’artiglieria, col vincolo di
mantenere in attività almeno uno degli altiforni “nella stagione abbondante di acque”. Il minerale fuso
doveva esser subito impiegato nella fabbricazione di proiettili, quello eccedente il fabbisogno convenuto
convertito in verghe. La quantità eccedente il fabbisogno militare era venduta all’asta dall’intendenza
militare e il ricavo versato alla cassa del materiale a rimborso degli anticipi. Il ferro in deposito nei
magazzini della Mongiana e della Dogana del Pizzo era messo a disposizione del comandante
dell’artiglieria in Calabria, incaricato di proporre i mezzi opportuni per perfezionare la fabbrica e
l’amministrazione dei ferri.

L’amministrazione di Ritucci (1808-11)


La direzione della Mongiana passò in tal modo al capobattaglione Vincenzo Ritucci, mentre Squillace
fu declassato a cassiere. Ritucci ridusse il consumo di carbone, costruì un forno a riverbero, migliorò i
macchinari. Nel triennio 1808-10 la fabbrica rese 10.371 ducati, con un guadagno netto della cassa del
materiale. Il costo del ferro forgiato era di 8:75 ducati al cantaio (meno di 10 grana al kg), il prezzo di
vendita nei magazzini dello stabilimento di 21:50, con un utile netto del 145 per cento. Nel quadriennio
1808-11 la resa del minerale grezzo aumentò al 41% e la produzione media della ghisa a 415 ton (+13%);
tuttavia quella del ferro dolce crollò a 113 (-45%) e aumentarono il costo di gestione (+26%) e degli
impiegati (+10%) e i prezzi della ghisa (+24%) e del ferro dolce (+10%).

Il rapporto Ritucci e la commissione di trasferimento (1810)


Nel 1810 Ritucci propose di rimettere in piedi le «vecchie e dirute» ferriere del Piano della Chiesa di
Stilo per ridurre le spese di trasporto e combustibile da 7:24 a 5:78 ducati al cantaio di ferro acre, con
un’economia di 16.011 ducati per 30.000 cantaia (2.673 ton). Murat, che si trovava in Calabria per la
spedizione in Sicilia, accolse il suggerimento e, con decreto N. 846 del 12 settembre dal campo di Piale,
istituì una commissione per il trasferimento della ferriera, presieduta da Ritucci e composta da Vincenzo
Ramondini [uno dei mineralogisti che si erano già occupati della Mongiana e che il 15 gennaio 1807
aveva ottenuto la cattedra di mineralogia e metallurgia all’università di Napoli], dall’ingegnere dei ponti e
strade Paolotti e dal perito forestale Melograni. La commissione era incaricata di calcolare i costi degli
impianti (forni a riverbero, fonderie, officine, canale per la condotta delle acque, strade di collegamento
tra gli stabilimenti e col porto d’imbarco a Pizzo) in rapporto alle possibili alternative (certosa di S.
Stefano del Bosco o edificio di S. Domenico Soriano), nonché di “divisare l’estensione da darsi
all’esplotazione (sfruttamento) delle miniere di Parzano e dei boschi” e calcolare il prodotto lordo annuo.

La punizione dei minatori di Serra (dicembre 1810)


Coinvolte solo marginalmente nella grande insurrezione del 1806-07, le Serre erano tuttavia diventate
un santuario dei latitanti, che sopravvivevano taglieggiando le popolazioni, inclusa quella di Serra,
definito da L. M. Greco «uno dei più industrianti paesi in Calabria, il più accosto alle fabbriche di
Mongiana, il più perito in tali lavori». Nel novembre 1810, con la scusa di voler trattare la resa, i latitanti
vi attirarono e trucidarono il tenente di gendarmeria Girard. A rigor di legge (e di prassi) Serra avrebbe
dovuto subire la rappresaglia, ma, trattandosi non già di miserabili contadini e pastori bensì di minatori e
operai insostituibili, perfino Manhès ci andò coi piedi di piombo. Informato dal telegrafo costiero, Murat
fu preso invece da uno dei suoi accessi di collera e spedì l’aiutante di campo Cerulli a intimare
l’esemplare punizione dei serrani. Costretto a fare qualcosa, Manhès salvò capra e cavoli con una
messinscena: piombò al galoppo in paese con 50 cavalleggeri della guardia, rifiutò l’omaggio delle
autorità locali e l’indomani, riuniti in piazza i pochi abitanti non fuggiti durante la notte, li dichiarò
indegni di appartenere alla società civile, ordinò la chiusura della chiesa e il trasferimento dei preti al
seminario di Maida e confinò gli abitanti nel paese sotto la guardia dei legionari dei paesi vicini, con
l’ordine di abbattere chi tentasse di uscirne. La fama sanguinaria di Manhès amplificò l’effetto: all’uscita
dal paese gli abitanti, scalzi, in camicia, coronati di spine, gli si gettarono ai piedi implorando perdono.
Finalmente, illuminati da qualche giorno di confino, capirono quel che ci si attendeva da loro, si armarono
ed andarono ad ammazzare i latitanti. Consegnate le teste, perdonati i serrani e fatto cavaliere delle Due
Sicilie il loro duce (tale Scimadi), le miniere e la fabbrica poterono riprendere il lavoro.
Salari, cassa mutua, esonero dalla leva
Nel rapporto del 1810 Ritucci criticava l’organizzazione del lavoro Il salario troppo basso dei
ferrazzuoli li costringeva, per sopravvivere, a frodare sul tempo di lavoro e sul consumo del combustibile
e ad alimentare il contrabbando. «La qualità e perfezione del ferro – scriveva Ritucci – non si credé mai
uno scopo né fu mai tentata. Quindi il ferro delle Calabrie, conservando le imperfezioni che lo distinsero,
restò sempre il rifiuto di quello del commercio (…) un personale avvilito nella miseria non poteva
conoscere, né poteva curare che le mere pratiche dei propri avi». Su istanza di Ritucci, furono assegnati
allo stabilimento un medico, un farmacista e un giudice di pace e, con decreto N. 976 del 2 giugno 1811,
gli addetti alle miniere e fonderie della Mongiana furono esonerati, come quelli della polveriera di
Gioacchinopoli, dalla leva, vincolati per 10 anni al lavoro, sotto pena di essere chiamati alle armi in caso
di abbandono. Nel luglio 1811 Ritucci lamentava però la mancanza di manodopera: erano rimasti solo 10
minatori anziani, deboli o malati. Proponeva di assumere i lavoratori rimasti senza impiego a seguito della
chiusura delle saline, esentandoli dalle tasse della patente e del testatico.

Le gestioni Carrascosa e Landi (1812-15)


Nel dicembre 1811 Ritucci fu richiamato a Napoli per malattia (in seguito divenne direttore della
fonderia dell’arsenale) e sostituito alla Mongiana dal tenente colonnello Raffaele Carrascosa.
Quest’ultimo riprese il progetto di riportare la fabbrica a Stilo, con un investimento di 79.545 ducati
(350.000 lire) e ammortamento triennale a rendita annua di 34.898 (153.544). Alla fine il governo
avrebbe avuto, oltre al capitale e agli interessi, una rendita di 9.632 (42.382). Proponeva inoltre di
impiantarvi anche una manifattura di canne da fucile, con un risparmio di 3.164 ducati (13.922 lire)
rispetto alla produzione di Torre Annunziata (costo d’impianto 12.183 ducati, ammortamento in 5 anni e
rendita di 1.480). Con altri investimenti e accorgimenti la Mongiana poteva assicurare in breve tempo una
rendita di 200.852 ducati. Progettava infine di creare una cassa mutua per gli operai con la ritenuta dell’un
per cento sui salari.
Murat approvò l’officina delle canne da fucile. Con decreto N. 2042 del 23 febbraio 1814 vi ammise,
previo esame d’idoneità, tutti i forgiatori e limatori non soggetti a coscrizione, con l’obbligo però di
costruirsi a proprie spese una piccola abitazione e di servire per 10 anni. Gli apprendisti (“ragazzi”)
barenatori (traforatori) e i raffinatori necessari per “tirare le maquettes ecc. e le lame” erano ammessi
senza clausole, col solo obbligo di costruirsi una baracca in pietra. Con decreto N. 2286 del 29 settembre
fu istituito anche alla Mongiana un capitano di residenza a vita.
Il preventivo di Carrascosa per il 1814 prevedeva la produzione di 16.000 cantaia (1.425,6 ton) di
ghisa, 4.000 (356,4 ton) di ferro battuto (di cui un quarto mitraglia), 100 aste diverse a palanchetti, 700
cantaia (62,4 ton) di piombo, 10.666 proiettili (metà pieni e metà vuoti) e 1.334 granaglia, per un totale
di 238.171 ducati (1.047.938 lire), con un profitto del 150 per cento sul capitale impiegato.
Tuttavia già nel 1814 la ferriera di stato cominciò a vacillare sotto la concorrenza delle private: a quelle
in Terra di Lavoro e nei due Principati s’erano aggiunte altre più vicine a Pizzo Calabro (Cardinale e
Razzona, nell’alta valle dell’Ancinale), di proprietà del maresciallo di campo Carlo Filangieri principe di
Satriano, che producevano il miglior ferro malleabile del regno. Alla fine del 1814 Carrascosa fu
richiamato a Napoli (come sottocapo di stato maggiore dell’artiglieria d’armata) e sostituito alla
Mongiana da Nicola Landi (rientrato invalido dalla campagna di Germania, dove si era rotto una gamba).
Toccò a Landi subire l’effetto della fine del blocco continentale e della riapertura dei porti: il regno fu
invaso dal ferro inglese, di pessima qualità ma a prezzi di dumping e la maggior parte delle ferriere
nazionali dovette chiudere. Nel 1815 la produzione di ghisa crollò da 25.197 cantaia (2.245 ton) a 4.066
(362) e quella di ferro dolce da 5.244 (467) a poche centinaia.
La crisi archiviò anche il progetto di trasferimento a Stilo. Solo dopo la restaurazione lo stabilimento fu
spostato a metà strada tra la Mongiana e Stilo, nell’edificio detto “Ferdinandea”. Soppresso il 18
dicembre 1864 lo stabilimento metallurgico, l’edificio fu acquistato nel 1878 dal colonnello garibaldino
Achille Fazzari; ospita oggi un piccolo museo, con lapide commemorativa della notte trascorsavi da
Garibaldi nel 1860.
Tab. 816 – Rendimento delle ferriere della Mongiana 1791-1811
Periodi 1791-99 1799-1807 1808-11
Direttore M. Conty V. Squillace V. Ritucci
Spese di gestione
Totale spese di gestione (ducati) 199.713 228.851 144.175
Media annua 24.964 28.606 36.043
Incrementi 100 114 144
Soldo annuo degli impiegati 2.858 2.745 3.208
Variazioni 100 96 122
Incidenza sulle spese di gestione 11,5% 9.6% 8.9%
Produzione di ghisa
Resa del minerale non lavato 24% 38% 41%
Produzione nel periodo (ton) 2.641 2.928 1.659
Media annua (ton) 330 366 415
Prezzo (ducati al cantaio = 89 kg) 4:47 4:40 5:46
Costo totale (ducati) 132.513 144.610 101.676
Produzione di ferro dolce
Resa della ghisa impiegata 65% 75% 75%
Produzione nel periodo (ton) 1.334 1.635 453
Media annua (ton) 167 204 113
Prezzo (ducati al cantaio = 89 kg) 4:47 4:57 5:03
Costo totale (ducati) 66.943 83.868 25.582
Consumo di carbone
Consumo per la ghisa (some) 173.930 111.032 65.265
Consumo per il ferro (some) 127.239 128.164 39.858
Consumo totale (some) 301.169 239.196 105.123
Prezzo per soma (ducati) 0:36 0:42 0:43
Spesa totale per il carbone 108.421 100.462 45.203
Incidenza sulle spese totali 54.3% 43.9% 31.3%
Composizione del prezzo della ghisa
Minerale 31 26 23
Carbone 47 32 27
Amministrazione 17 15 13
Fattura, Utensili, Macchine 5 27 37
Totale 100 100 100

• Arsenali, manifatture d’armi e ferriere. – BELTRAMI, E., «La fonderia di Napoli», in Italia artistica e
industriale, Roma, 1893-94, I, fasc. V. «CENNI storici della Fonderia di Napoli», in Rivista d’artiglieria e
genio, Roma, 1890, III, pp. 296-300. CIMINO, Silvio, «La Manifattura Reale di Mongiana», in Armi Antiche,
bollettino dell’Accademia di San Marciano, Torino, 1977, pp. 177-196. ID., «La Real Fabbrica d’armi bianche
di Sparanise», in ABITA, Salvatore (cur.), Le armi al tempo dei Borbone, mostra–evento di Pizzofalcone, 13
giugno–31 luglio 1998, promossa dalla Regione Campania (Assessorato al Turismo) – Procura Militare della
Repubblica –Regione Militare Meridionale – Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici di Napoli,
Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1999, pp. 99-104. ID., «Per la ‘linea’ di Re Gioacchino», in Diana Armi,
giugno 2006, pp. 8-11. DE STEFANO MANNO, B. e G. MATACENA, Le Reali Ferriere ed officine di Mongiana,
Napoli, 1979. MARZANO, M., La Real Fabbrica d’Armi in Torre Annunziata, Salerno, 1992. RUBINO, Gregorio
E., «La Real Fabbrica d’Armi a Torre Annunziata e l’opera di Sabatini, Vanvitelli e Fuga (1753-1773)», in
Napoli Nobilissima, XIV, 1975, nn. 5/6, pp. 101-118. ID., Archeologia industriale e Mezzogiorno, Roma,
1978, pp. 47-119 (industria siderurgica di Stilo e Mongiana). ID, «L’artiglieria e le fabbriche d’armi al tempo
di Carlo Filangieri di Satriano», in ABITA, Salvatore (cur.), Le armi al tempo dei Borbone, Napoli, E. S. I.,
1999, pp. 19-56. Vincenzo Falcone, Le ferriere di Mongiana. Un'occasione mancata, cittàcalabria edizioni,
2007. pp. 194 ISBN 978-88-88948-48-5
MERCOLEDÌ 24 MARZO 2010
Ferriera di Mongiana - Calabria - Un esempio che dice tutto sull'unità d'Italia

Di Pino Aprile
da La Stampa di Lunedì 19 Gennaio 2009, pag.19

L’Unità d’Italia uccise la più grande acciaieria del Sud “Artigiani del ferro qui a mongiana? Nemmeno uno. Dopo quel che gli hanno
fatto…”. Il dottor Vito Scopacasa, cardiologo, è sindaco del paese. “Qui c’erano le più grandi e moderne acciaierie d’Italia, sino al
1860”, spiega Sharo Gambino, da poco scomparso, cantore delle Serre calabresi. “Importavano maestranze bresciane, tecnici inglesi,
francesi, svizzeri, tedeschi, in aggiunta ai locali”. Ora, non un fabbro, dov’erano sino a 1500 operai siderurgici.
L’Unità d’Italia comportò smantellamento e svendita (come ferrovecchio) degl’impianti, fine d’una tradizione millenaria, migrazione
nel bresciano, a Terni, negli Stati Uniti, in Canada.“E adesso potremo raccontarlo”, dice il dottor Scopacasa. “Fatto questo, smetterò
di fare il sindaco”.“Questo” è recuperare gli stabilimenti, farne un museo, ridare vita e memoria a Mongiana. Per messa in sicurezza
degli ambienti, acquisto di arredi e materiali sono arrivati 600mila euro dalla Regione Calabria(dai beni culturali, mai niente). “In
estate dovremmo avere i turisti al museo. Lo gestirà una Fondazione privata, il comune avrà funzioni di controllo. Ci sono voluti 34
anni”.L’Orgoglio
Come racconti il quieto orgoglio di questo professionista, mentre entra, fra due storiche colonne di ghisa, nella fabbrica risorta;
mostra l’area-altiforni, dove, in estate, hanno fatto concerti? “Gente che non si è mai mossa da Mongiana non sapeva cosa c’era qui:
e fabbrica, altiforni sono fra le case di periferia! Rimozione mnemonica. Si è voluto dimenticare, per difesa di un dolore troppo forte.
Non tutti ci sono riusciti. “Sorse la ferriera, più di 200 anni fa, poi il paese”, ricordava la signora Marisa Tripodi, originaria di
Mongiana(amministrava una fonderia a Lumezzane, Brescia).“Chiuso lo stabilimento, iniziò a morire il paese. Lo lasciai a 19 anni,
negli anni sessanta, Un secolo prima, spenta la ferriera, partirono per le Americhe solo uomini, chè speravano del ritorno. Noi no: via
a famiglie intere; ci chiudevamo la porta alle spalle e un’altra casa restava muta. Mia nonna e la mia bisnonna lavoravano in ferriera.
La campana della chiesa annunciava la paga.
Noi mongianesi sradicati ci siamo ritrovati nelle fonderie del bresciano: 150 famiglie di Mongiana, circa 500 persone, solo a
Lumezzane che è ormai la vera Mongiana, per noi delle Serre: quella originale, nel parlare comune, è ridotta a “Mongianella”. Le
nostre migliori forze e intelligenze le abbiamo spese lontano. Mi dispiace non averlo fatto per il mio paese. E’ un rammarico, sa?
Un rammarico che sfiora la colpa: ma cosa potevamo fare?”Si sale a Mongiana, dallo Jonio o dal Tirreno, per strade, storte e strette;
sul fianco di monti instabili, distanze che il tempo dilata. Era il più ricco distretto minerario e siderurgico del Regno delle Due Sicilie.
I Fenici già producevano ferro qui; nei 900 anni prima dell’Unità, la siderurgia fù l’industria delle Serre, alimentata da minerali
ferrosi di queste rocce, tecnici e operai locali, energia ricavata da boschi, cadute d’acqua e carbon fossile del posto. Solo Cesare
Fieramosca, fratello scemo di Ettore, (l’eroe della disfida di Barletta), che ebbe in feudo l’intero distretto siderurgico, non seppe che
farsene.Ci capitò nel 1974, l’architetto Gennaro Matacena, napoletano, specialista in archeologia industriale e restauro
monumentale(suo il recupero delle Fonderie Medicee di Follonica): “Mi impressionarono le colonne di ghisa. In paese, nessuno
ricordava nulla: reticenza, imbarazzo, pudore… Dissi all’allora sindaco, Vincenzo Rullo: “Sa che lei ha un tesoro?” Lui spuntò un
finanziamento dalla Cassa per il Mezzogiorno e acquistò la parte di fabbrica divenuta privata. Nell’antica residenza del capitano-
sindaco ci indicarono una cassa: “Ci sono carte, lì…”: la pianta del paese e degli stabilimenti(poi restaurata nell’abbazia di Cava dei
Tirreni)!”I BorboniFerriere e fonderie sono sul salto dell’Alaro. “Che emozione”, dice Matacena, “rinvenire, negli archivi di
stato(grazie burocrazia borbonica!), lettere e documenti che raccontano vita e lavoro di quegli uomini”.Gli operai si sistemarono in
baracche a ridosso degl’impianti. La bidonville conquistò, pian piano, pareti di pietra, poi un prete, la chiesa, adeguamento delle
paghe, medico, farmacista, giudice di pace, esenzione della leva militare per gli operai e la prima cassa mutua per operai siderurgici,
al mondo, ricordano Brunello De Stefano Manno e Gennaro Matacena(prossimi direttore e presidente della Fondazione), nel loro
prezioso volume ‘Le Reali Ferriere ed Officine di Mongiana’. Gli abitanti salirono a quasi duemila. “Oggi meno della metà”, dice il
sindaco. “Si campa di foresta e Forestale”.“Attenti ai … bisogni degli operai, i Borboni fecero costruire ‘luoghi immondi’: gabinetti,
roba da signori, mica cespugli!”, narrava Gambino. “Ferdinando II si recò a Mongiana, per sancirne, con la sua presenza, l’interesse
strategico. Aveva ordinato di gettare un ponte su un torrente. “Guagliò e ‘o ponte addò sta?”, chiese al funzionario incaricato.
“L’avimme passato, maestà”. E il re: “M’avite futtuto!”L’acciaio delle Serre rese autono il Regno per la produzione di armi, i primi
ponti sospesi in ferro d’Italia, la cantieristica della seconda flotta mercantile al mondo, dopo quella inglese, e l’industria ferroviaria di
Pietrarsa: la più grande della Penisola(molti Paesi inviarono tecnici a studiarla; lo zar la fece copiare e riprodurre identica, in Russia:
sorsero così le celebrate Officine di Kronstadt; i Savoia mandarono un generale; unificato il Paese, la fabbrica fu ridimensionata e si
sparò sugli operai che protestavano: una strage).I riconoscimentiAncora nel 1861, gli acciai di Mongiana sono premiati
all’Esposizione Industriale di Firenze el’anno dopo, a quella Internazionale di Londra. Ma per Torino, la ‘Ruhr calabrese’ è da
chiudere. La scoperta genera incredulità, risentimento, protesta, poi furti, vandalismi, nei boschi compaiono i briganti, la casa del
comandante è assalita, la folla calpesta il tricolore, vota ‘no’ al referendum per l’annessione.La delusione, scrissero gli amministratori
comunali al governo, portò il crimine a un paese in cui, in un secolo, ‘possono attestarlo le Autorità civili della Provincia e le
Statistiche de’ Tribunali’, mai c’era stato ‘un delitto di sangue, non un furto, non un reato’; perché i mongianesi rispettano ‘come
sacra la legge, le persone, la proprietà e muoiono onoratamente di fame’. Esagerazioni? “L’emigrante proclamato, dagli Stati Uniti,
‘italiano più onesto d’America’ era di Mongiana”, dice il sindaco. “Mio prozio”.Gli altiforni furono spenti per sempre, le rotaie delle
miniere vendute a peso.
Il complesso ceduto a un ex-sarto e garibaldino, poi deputato, coinvolto in una truffa allo stato. Mongiana fu condannata, perché si
ritenevano sorpassati impianti siderurgici in montagna e non sul mare. Ma chiusa quella calabrese, si costruì l’acciaieria di Terni, fra
monti più lontani dal mare: lì vennero fusi i macchinari di Mongiana.Nell’ultimo appello del consiglio comunale al governo unitario,
si assicurava che gli operai erano disposti a ridursi la paga; retribuire loro, i capitecnici; e a produrre cose minime: pesi a metà del
prezzo che lo stato pagava ad altri, contatori per mulini a lire 75 l’uno. A 100 lire, ebbe l’appalto una ferriera di Torino, ma i
contatori risultarono difettosi.Ora, l’ex distretto siderurgico più grande d’italia, fa della memoria, pane.
“Museo, più indotto e centro di biodiversità della Forestale, e Mongiana”, dice il sindaco, “non risorge: nasce. Chè mò non è niente”.

tratto da: http://remigioraimondi.blogspot.com/2009/01/di-pino-aprile-da-la-stampa-di-luned-19.html


PUBBLICATO DA ANTONIO POCOBELLO A 09:46
http://pocobello.blogspot.com/2010/03/ferriera-di-mongiana-calabria-un.html

http://digilander.libero.it/pinotimpani/

Mongiana, (Vibo Valentia) "Interventi per la funzionalità del Museo delle Ferriere"
anno: 2010 (in corso)
oggetto: restauro, allestimento cliente: Comune di Mongiana
NYPL. The Vinkhuijzen Collection. Image ID: 1609109 Italy. Kingdom of the Two Sicilies, 1830.
Image ID: 1609108 Italy. Kingdom of the Two Sicilies, 1830.

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