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Bologna, 18 dicembre 2010
L’incontro di oggi è il primo momento pubblico di un percorso avviato da un coordinamento di liste civiche
e movimenti di cittadinanza attiva che operano nella provincia di Torino su posizioni radicalmente contrap‐
poste alle scelte di politica economica, amministrativa e ambientale sostenute, senza sostanziali differenze,
da un sistema di potere in cui confluiscono i partiti politici che amministrano, seppure con maggioranze di‐
verse, la regione, la provincia e la città capoluogo, in accordo con i centri del potere economico e finanzia‐
rio. Una sfida impari, con i rapporti di forza resi ancor più sfavorevoli dalla mancanza di collegamenti con
altri gruppi e movimenti operanti con modalità analoghe e per gli stessi obbiettivi in altre aree del Paese.
Per favorire il confronto tra queste realtà e verificare la possibilità di realizzare forme di coordinamento tra
di loro, la rete torinese delle liste civiche e dei movimenti di cittadinanza attiva ha invitato il 16 ottobre
scorso a Torino sette esponenti di movimenti culturali e politici diffusi sul territorio nazionale a discutere un
documento in cui riassumeva le sue riflessioni e le sue proposte sulla situazione economica, politica, am‐
bientale. Una sorta di manifesto che definiva le coordinate e i criteri della discussione. Quattro dei sette te‐
stimoni invitati si sono ritrovati sostanzialmente d’accordo sull’impostazione del documento e lo hanno in‐
tegrato con l’apporto delle loro specifiche sensibilità. Essendo state condivise le integrazioni apportate, i
quattro testimoni e gli esponenti della rete torinese le hanno formalizzate in due riunioni successive e han‐
no deciso di sottoporre il documento così integrato a dibattito pubblico con l’obbiettivo di verificare se pos‐
sa costituire la base del processo di aggregazione di un nuovo soggetto politico. Questa è la finalità
dell’incontro di oggi. A coloro che, tra i partecipanti a questo incontro a titolo personale o a nome di una
lista civica, associazione, movimento, si riconosceranno nelle analisi e nelle proposte scritte in questo do‐
cumento, o condividendolo nelle sue linee generali proporranno integrazioni per renderlo più completo, i
promotori propongono di avviare un percorso comune di una durata non definibile a priori, ma che dovrà
comunque essere sufficiente a delineare le linee guida di un progetto di futuro condiviso e le sue tappe in‐
termedie, una struttura organizzativa democratica, partecipata e scevra da ogni personalismo, proposte po‐
litiche concrete, documentate, realizzabili, finalizzate a superare la crisi ambientale, a creare occupazione in
attività che riducano il consumo di risorse, la produzione di rifiuti e l’impatto ambientale, a favorire la pace
eliminando le cause dei conflitti, in particolare l’iniqua distribuzione delle risorse tra i popoli, a consentire la
piena esplicazione delle potenzialità di ogni essere umano, a realizzare forme di democrazia che favorisca‐
no la piena attuazione del dettato costituzionale, sia dal punto di vista della partecipazione dei cittadini alla
gestione delle scelte che li riguardano direttamente, sia dal punto di vista della pluralità dell’informazione.
Il documento che accomuna i promotori e che invitiamo oggi a discutere, implementare, correggere, te‐
nendo conto che non è una summa in cui inserire l’elenco e i titoli di tutte le tematiche, ma un manifesto
generale da cui dovranno scaturire nei prossimi mesi una serie di contributi settoriali approfonditi, definisce
a grandi linee l’identità del soggetto politico che proponiamo di costruire, indica i punti di riferimento im‐
prescindibili del tragitto che proponiamo di seguire, sintetizza i riferimenti culturali in cui riteniamo sia indi‐
spensabile riconoscersi se si vuol partecipare alla costruzione del progetto a cui oggi contiamo di dare avvi‐
o. Non intendiamo chiudere la discussione a chi non si riconosce in tutti gli elementi fondanti della nostra
proposta, ma l’obbiettivo con cui abbiamo convocato questa riunione non è avviare un confronto di questo
tipo perché non saremo in grado di farlo fino a quando non avremo definito almeno con una certa appros‐
simazione la nostra identità. L’obbiettivo della discussione di oggi è individuare gli elementi di fondo di una
identità condivisa tra chi si riconosce nelle linee di fondo indicate nel documento che ci accingiamo a discu‐
tere. In gruppi di lavoro nella mattinata. In seduta plenaria il pomeriggio. Una volta che avremo superato
questo passaggio non ci sottrarremo al confronto con chi ce lo chiederà.
Il primo punto che accomuna i promotori di questo incontro, un punto da cui derivano tutti gli altri e su cui
intendiamo dare una forte caratterizzazione al soggetto politico che ci proponiamo di costituire, deriva dal‐
la valutazione che la crisi in corso da più di due anni nei paesi industrializzati è una crisi di sistema, determi‐
nata dalla convergenza e dai feed back reciproci di più crisi, tutte causate dalla finalizzazione dell’economia
alla crescita della produzione di merci e dal raggiungimento del limite oltre il quale questa crescita comincia
a distruggere i suoi stessi fondamenti vitali, così come accade nelle neoplasie. Nel determinare questa crisi
di sistema confluiscono:
1. La crisi economica: che è essenzialmente una crisi di sovrapproduzione determinata dal fatto che le
innovazioni tecnologiche finalizzate ad aumentare la produttività e la competitività, riducono la
domanda riducendo l’occupazione e contestualmente accrescono l’offerta. La saturazione dei mer‐
cati dei prodotti su cui la crescita si è fondata dal secondo dopoguerra a oggi (in particolare
l’automobile e l’edilizia) ha aggravato questo divario a tal punto che le tradizionali misure di politica
economica finalizzate all’aumento della domanda attraverso la spesa pubblica in deficit non hanno
avuto gli esiti espansivi sperati e hanno soltanto aggravato i debiti pubblici di molti paesi fino
all’insolvenza.
2. La crisi ecologica, che è determinata:
‐ dal progressivo esaurimento di molte risorse non rinnovabili (in particolare, ma non solo, le
fonti fossili di energia);
‐ da un incremento esponenziale degli scarti liquidi, solidi e gassosi derivanti dai processi pro‐
duttivi, dall’uso di molti prodotti e dai rifiuti in cui si trasformano i prodotti quando vengono di‐
smessi; molte di queste emissioni hanno superato le capacità dell’ecosistema terrestre di me‐
tabolizzarle, in particolare i gas climalteranti e i rifiuti solidi nelle aree urbane e negli oceani
(dove galleggiano agglomerati di pezzi plastica di un’estensione pari a un continente);
‐ da un progressivo esaurimento della fertilità dei suoli agricoli in conseguenza del loro super‐
sfruttamento chimico, da una perdita esponenziale di biodiversità, da una rarefazione preoccu‐
pante delle risorse alieutiche;
3. La crisi sociale, che nei paesi industrializzati si manifesta con un aumento della disoccupazione, so‐
prattutto giovanile, con la distruzione dei legami sociali, con la diffusione della povertà e di nuove
forme di povertà.
4. La crisi morale, che deriva sostanzialmente dal fatto che finalizzando l’organizzazione economica e
produttiva alla crescita della produzione di merci, il denaro è diventato il principale riferimento del
sistema dei valori condivisi e ha subordinato a sé tutti gli altri che regolano la convivenza civile.
5. La crisi della politica, che dalla parte degli elettori si manifesta con una progressiva riduzione delle
percentuali dei votanti, da parte degli eletti con la sottrazione agli elettori della possibilità di sce‐
gliere i propri rappresentanti nelle istituzioni, con la trasformazione dei partiti in oligarchie di su‐
perprivilegiati, con la sottomissione della sfera politica a quella economica e finanziaria, con la ridu‐
zione della dimensione temporale delle scelte alla durata delle legislature e la mancanza di una vi‐
sione del futuro, col monopolio dell’informazione ridotta sempre più a propaganda.
6. La crisi internazionale, che si manifesta con l’aumento del divario tra i popoli poveri e i popoli ricchi,
con le guerre per il controllo delle risorse, non solo energetiche, ma di altri minerali strategici come,
per esempio, il coltan, con la minaccia di altre guerre di dimensione più vasta dove non si esclude
l’uso di armi nucleari, con l’avvio di tensioni internazionali destinate a sfociare in altre guerre per il
controllo dell’acqua.
Le cause di questa crisi di sistema e di tutte le crisi settoriali che contribuiscono a determinarla sono insite
nella crescita della produzione di merci che caratterizza il modo di produzione industriale. I tentativi di su‐
perare le crisi indotte dalla crescita della produzione di merci rilanciando la crescita della produzione di
merci attraverso un incremento della domanda e dei consumi hanno dimostrato di non essere più efficaci,
perché non ci sono più margini per accrescere ulteriormente il prelievo delle risorse e la terra non è più in
grado di metabolizzare ulteriori quantità di rifiuti liquidi, solidi e gassosi. Finché si continua a perseguire
l’obbiettivo della crescita, tutti gli aspetti della crisi sono destinati ad aggravarsi. Possono essere superati
solo se si abbandona questo obbiettivo. Dopo 250 anni si sta chiudendo la fase storica avviata dalla rivolu‐
zione industriale. Per fare in modo che questo tornante della storia non sia contrassegnato da una serie di
disastri e da un regresso dell’umanità verso una conflittualità diffusa e dalla lotta di tutti contro tutti, occor‐
re aprire una nuova fase storica, contrassegnata da una riduzione controllata e guidata della produzione di
merci, del prelievo di risorse e dell’emissione di scarti a livelli sopportabili dal pianeta. Affinché ciò si possa
realizzare senza introdurre pesanti restrizioni nel tenore di vita dei popoli occidentali, perché ne derivereb‐
bero reazioni negative nei confronti dei proponenti, consentendo anzi di ampliare la quota delle risorse a
disposizione dei popoli poveri, occorre una rivoluzione culturale capace non solo di definire e rendere desi‐
derabili nuovi stili di vita più sobri e più responsabili, ma anche di promuovere un grande sviluppo di tecno‐
logie capaci di accrescere l’efficienza con cui si usano le risorse, di attenuare l’impatto ambientale dei pro‐
cessi produttivi e di riutilizzare i materiali già utilizzati eliminando il concetto stesso di rifiuto. Solo una de‐
crescita guidata lungo queste direttive può aprire una nuova fase più evoluta nella storia dell’umanità, tra‐
sformando la crisi che stiamo vivendo in una grande e irrepetibile occasione di cambiamento e migliora‐
mento.
La decrescita è primo pilastro su cui si è basato il percorso sin qui svolto tra i soggetti proponenti. In questa
sede viene proposto per la prima volta pubblicamente come elemento fondativo di un progetto politico a‐
perto a tutte le realtà associative e a tutti i soggetti che ne riconoscono l’imprescindibilità per superare la
crisi di sistema che l’umanità sta vivendo. Lo scopo del confronto che proponiamo a questi soggetti è rica‐
varne una serie di obbiettivi concreti, a livello di politica economica, industriale, occupazionale, amministra‐
tiva, di cambiamenti negli stili di vita, di valori e modelli di comportamento, di relazioni sociali, di relazioni
internazionali.
Tutti i partiti esistenti pongono al centro delle loro scelte politiche la crescita della produzione di merci.
Tutte le formazioni politiche di destra e di sinistra sono accomunate da questo obbiettivo. E non poteva es‐
sere diversamente perché la loro cultura e la loro storia, le loro classi sociali di riferimento ‐ imprenditori,
professionisti, commercianti, lavoratori dipendenti – si sono sviluppate nell’epoca dell’industrializzazione.
La differenza di fondo tra destra e sinistra consiste nei diversi criteri di distribuzione tra gli attori sociali del
reddito monetario generato dalla crescita della produzione di merci. La destra ritiene che le parti debba far‐
le il mercato. La sinistra sostiene che se le parti le fa il mercato, i più forti prendono le quote più grandi la‐
sciando ai più deboli solo il necessario per la sopravvivenza. È quindi compito dello Stato realizzare una più
equa redistribuzione del reddito monetario prodotto mediante la tassazione progressiva e i servizi sociali.
Ma l’equità sociale e la difesa dei più deboli sono valori universali e atemporali, non un patrimonio esclusi‐
vo della sinistra. Sono precedenti alla sinistra e non verranno meno con la sua fine. Possono essere condivi‐
si, e noi li condividiamo, anche senza essere schierati a sinistra. Ciò precisato, un soggetto politico che pon‐
ga la decrescita a fondamento della sua elaborazione teorica e delle proposte politiche concrete che se ne
possono ricavare, è costituzionalmente alternativo sia alla destra, sia alla sinistra. Non perché si ponga in
una posizione di equidistanza tra di esse, ma perché si muove in un piano definito da altre coordinate ri‐
spetto al piano in cui si collocano le opzioni di destra e di sinistra. Perché non si propone di agire all’interno
della cornice storica del modo di produzione industriale, ma di uscirne. Perché non pone il “sempre di più”
a fine del fare, ma il “sempre meglio” a fine di un fare connotato qualitativamente, con la consapevolezza
che spesso il meglio coincide col meno. Una casa ben costruita consuma meno energia di una casa mal co‐
struita, perché non ne disperde. Richiede una tecnologia più evoluta, quindi un progresso scientifico e tec‐
nologico, riduce le emissioni di CO2 e la crescita del pil. Contribuisce, per poco che sia, a migliorare il mon‐
do e la qualità della vita non solo di chi ci vive, ma anche di chi ci vivrà proprio perché comporta una decre‐
scita del consumo di merci che non solo non hanno un’utilità effettiva, ma generano danni ambientali e alla
salute.
Se il movimento politico che ci proponiamo di costruire è costituzionalmente alternativo alla destra e alla
sinistra, non potrà stringere alleanze strategiche con nessuno dei due schieramenti. Ammesso che riceva i
voti necessari per entrare nelle assemblee elettive, ed escludendo, come è sensato pensare, che possa ave‐
re maggioranze assolute, non potrà far parte di nessuna coalizione di maggioranza. Non potrà avere rap‐
presentanti in nessun esecutivo di coalizione con partiti che si propongono di sostenere la crescita con i pic‐
coli poteri conferiti dal ruolo istituzionale. Ma pur rimanendo all’opposizione dovrà sempre agire con
un’ottica di governo. Non potrà limitarsi a contrastare le decisioni altrui, ma dovrà formulare sempre pro‐
poste propositive. Non potrà limitarsi nemmeno a formulare proposte propositive in alternativa a decisioni
altrui, perché in questo modo si limiterebbe comunque ad agire di rimessa. Dovrà prendere l’iniziativa e
formulare proposte coerenti con il progetto di futuro fondato sulla decrescita di cui si fa portatore, cercan‐
do di volta in volta le alleanze che consentono di farle passare. Chi ha l’ambizione di farsi portatore di una
concezione del mondo alternativa a quella dominante deve utilizzare le assemblee elettive per realizzare
passi concreti in quella direzione, dimostrandone la fattibilità e la desiderabilità, coinvolgendo chi milita in
organizzazioni politiche diverse con onestà d’intenzioni e facendo venire allo scoperto chi vi si oppone per
altre ragioni. Per fare un esempio: l’opposizione al nucleare, se sostenuta da un programma realistico e ri‐
goroso di riduzione degli sprechi accompagnato da una progressiva sostituzione delle fonti fossili con fonti
rinnovabili in piccoli impianti per autoconsumo, può farci trovare alleati non solo tra coloro che temono i
pericoli insiti nella irresponsabile scelta energetica nucleare, ma anche in un vasto fronte di imprenditori
che posseggono le tecnologie per realizzare queste alternative e in una vasta area di opinione pubblica che
comunque desidera una soddisfazione adeguata delle proprie esigenze energetiche senza eccessive rinun‐
ce. Tuttavia le proposte di una politica energetica nell’ottica della decrescita non possono essere formulate
come alternativa alla proposta di costruzione di centrali nucleari, come hanno fatto e continuano a fare i
verdi italiani (e questa è una delle ragioni per cui sono scomparsi dalla scena politica). Devono essere for‐
mulate e sostenute di per sé, perché sono tasselli essenziali del nostro progetto di futuro, anche se nessuno
ponesse all’ordine del giorno il rilancio del nucleare.
La radicale alterità a un sistema politico incentrato sulla dialettica tra due schieramenti contrapposti che
perseguono la stessa finalità della crescita con metodi sempre meno diversificati, comporta anche una ge‐
stione del ruolo istituzionale con metodi radicalmente differenti. Per il soggetto che proponiamo di costitui‐
re l’impegno politico nelle istituzioni è inteso come servizio pro tempore e non come professione. La per‐
manenza in un organismo elettivo non può superare i due mandati, senza nessuna eccezione. Le retribuzio‐
ni e i benefit degli eletti devono essere drasticamente ridotti. Bisogna coinvolgere la società civile, cioè tut‐
te le forme aggregative in cui si riuniscono sulla base di una qualche affinità gruppi di persone per persegui‐
re un fine comune, nella discussione e nella formulazione delle scelte politiche che le riguardano. La demo‐
crazia, per usare una formulazione che ha trovato in Giorgio Gaber il suo cantore, è partecipazione. Pertan‐
to i nostri referenti privilegiati sono tutti i movimenti che si contrappongono alle scelte devastanti per i luo‐
ghi in cui vivono, proposte‐imposte dal sistema di potere economico‐finanziario‐politico‐mediatico in base
alla necessità della crescita. Perché in quelle forme aggregative la partecipazione democratica si è già rea‐
lizzata.
La nascita di questi movimenti negli anni ottanta è stata contrassegnata da un atteggiamento che è stato
spregiativamente definito Nimby (not in my back yard). Non nel mio giardino. Questo atteggiamento era
indubbiamente criticabile perché non finalizzato a perseguire alternative ecologicamente accettabili a pro‐
blemi ambientali che creavano preoccupazioni (la costruzione di un inceneritore, di una discarica, di una
centrale termoelettrica, di un’autostrada), ma a spostarli da un’altra parte. Tuttavia è stato il primo segnale
con cui si è manifestata la crisi dell’egemonia culturale esercitata dall’industria in nome della crescita e
dell’occupazione. Nei decenni precedenti ogni impianto industriale, per nocivo che fosse, era salutato come
una benedizione perché portatore di reddito, di modernità, di progresso, di lavoro. Questa fase iniziale dei
movimenti ha inoltre avuto il merito di aver avviato forme di coinvolgimento diretto delle popolazioni nelle
decisioni che influiscono pesantemente sulla propria vita. È stata l’incubatrice di forme di democrazia diret‐
ta, di confronti a muso duro con le pretese dei politici di avocare a sé il potere decisionale, di prese di co‐
scienza collettive. In questo contesto è maturata la seconda fase dei movimenti, in cui l’opposizione ai pro‐
getti devastanti è stata accompagnata dall’elaborazione di controproposte finalizzate a contemperare le e‐
sigenze del lavoro con le esigenze dell’ambiente, il reddito monetario con la salute, l’occupazione con la
bellezza del paesaggio, l’innovazione col rispetto del passato. La punta più alta di questa seconda fase è sta‐
ta ed è la resistenza intransigente, tenace, documentata, del movimento No Tav in Val di Susa, che ha coin‐
volto tutta la popolazione locale, riuscendo a respingere con la mobilitazione di massa anche l’occupazione
militare del territorio. L’esempio dei No Tav valsusini è stato contagioso e ha dato coraggio ad altri movi‐
menti di resistenza territoriali alla realizzazione di grandi opere devastanti. Si è anche costituita una forma
di coordinamento tra i movimenti locali in un’ottica di mutuo soccorso. Un’iniziativa importante, che però
non consente di uscire da un ambito difensivo. Noi crediamo che sia matura una terza fase, che dovrà esse‐
re caratterizzata dalla consapevolezza che tutte le opere con un impatto devastante sui luoghi e sulla vita
delle persone che li abitano rispondono alla stessa logica di sostegno alla crescita, a uno stesso allucinante
progetto di futuro senza futuro, alla vera e propria utopia negativa di una crescita che utilizza tecnologie
sempre più potenti per apportare modifiche sempre più devastanti alla crosta terrestre, che consuma
quantità sempre maggiori di risorse in tempi sempre più accelerati e in tempi sempre più accelerati le tra‐
sforma in quantità sempre maggiori di rifiuti, che mercifica progressivamente gli elementi naturali, i rappor‐
ti tra le persone, le stesse basi della vita. Alle follie che si proporranno nell’ambito di questa visione distopi‐
ca del futuro occorre contrapporre una visione del futuro realistica, possibile e desiderabile, fondata sulla
riduzione dell’impronta ecologica. L’unica prospettiva di futuro possibile. E il passaggio indispensabile che i
movimenti devono compiere è l’inserimento delle loro controproposte locali in un progetto complessivo in
grado di trasformarle in altrettanti tasselli di un futuro possibile alla cui realizzazione tutti concorrono. Non
possono più limitarsi a un gioco di rimessa, a risposte colpo su colpo, caso per caso. Devono assumere
l’iniziativa. Essere i protagonisti, non più soltanto i deuteragonisti.
Il progetto politico su cui proponiamo di lavorare da oggi è stato avviato da alcune liste civiche e movimenti
locali, proprio nell’ottica appena descritta. Non è un caso. È un segno che i tempi di questo passaggio sono
maturi. È stata la consapevolezza che non basta organizzare la società civile su un obbiettivo difensivo spe‐
cifico, per esempio la lotta a un inceneritore o la difesa del territorio da piani regolatori che favoriscono la
speculazione edilizia. È stata la consapevolezza che è indispensabile collegarsi con gli altri movimenti di cit‐
tadinanza attiva e con le altre liste civiche che in altre aree del territorio nazionale perseguono obbiettivi
analoghi. Ed è bastato lanciare un invito al confronto perché si moltiplicassero le adesioni, le richieste di co‐
involgimento. È bastato confrontarsi per capire che le opere devastanti contro cui tutti i movimenti locali si
battono sono motivate dalla stessa esigenza di rilanciare la crescita economica con lo specchietto per le al‐
lodole dell’occupazione, che dalla parte opposta sono schierati tutti i partiti, col sostegno dei sindacati e
delle associazioni imprenditoriali, con la copertura dei mass media. Forse non è sbagliato pensare che in
questi movimenti è attiva la parte più consapevole della crescente percentuale degli aventi diritto al voto
che non la esercitano o annullano la scheda. Chi vota una lista civica nel suo comune perché è una presenza
alternativa ai partiti, oggi non ha un referente analogo ai livelli sovra comunali. Non gli resta che non votare
o votare a malincuore il partito che valuta il meno peggiore degli altri. Per quanto ancora saremo condan‐
nati a questa inaccettabile alternativa? Dal confronto tra le molte realtà di questo tipo sparse sul territorio
nazionale e per lo più isolate anche se hanno in comune ciò che rifiutano, ciò che vorrebbero e gli avversari,
non può scaturire un nuovo soggetto politico in grado di rappresentarli ai livelli istituzionali più alti? È que‐
sta la domanda a cui vorremmo dare una risposta positiva avviando oggi un processo che ci porti a verifi‐
carne la possibilità.
Il ruolo dei promotori di questo incontro finisce sostanzialmente con questo convegno che chiude la fase
iniziale del percorso e ne apre una seconda. Dopo aver verificato l’esistenza di una comune base politico‐
culturale e la complementarietà degli approfondimenti specifici sviluppati da ciascuno nella propria asso‐
ciazione, abbiamo elaborato un documento unitario, una sorta di manifesto, che come tutti i manifesti sin‐
tetizza gli elementi caratterizzanti e rimanda a documenti specifici per gli approfondimenti settoriali. Su
questo documento abbiamo invitato a discutere le liste civiche e i movimenti di cittadinanza attiva che ne
condividono l’impostazione generale, sono interessati a colmarne le lacune e ad apportarvi integrazioni, a
trovare forme organizzative snelle, funzionali a sviluppare nei prossimi mesi un impegno operativo sulle
tematiche su cui hanno svolto riflessioni e fatto esperienze. Il presupposto per partecipare a questa fase è
la condivisione dei tre punti fondanti che caratterizzano la nostra proposta: la decrescita, l’alterità rispetto
ai partiti esistenti in quanto varianti dell’ideologia della crescita che li accomuna, la valorizzazione della
democrazia partecipativa che ha trovato la massima espressione nei movimenti contro le opere devastanti
in cui si realizza la fase dell’economia della crescita che stiamo vivendo. I contributi di chi accetterà di inse‐
rirsi in questo percorso non potranno essere soltanto approfondimenti teorici, ma dovranno tradursi in un
forte impegno a coinvolgere altri movimenti presenti nell’ambito territoriale in cui operano. Solo se saremo
capaci di coinvolgere il maggior numero di queste realtà il progetto di un nuovo soggetto politico potrà rea‐
lizzarsi. Dalla discussione odierna dovrà scaturire un gruppo di coordinamento che avrà il compito di gestire
la fase del processo costituente del soggetto politico. Oggi non si costituisce nessun partito e, quindi, non si
elegge nessun organo politico. Oggi, se lo riterremo opportuno, si organizzano i gruppi tematici che avran‐
no il compito di comporre i tasselli della nostra identità culturale e politica; che studieranno una struttura
organizzativa democratica, partecipativa, flessibile, scevra da ogni forma di personalismo; che si doteranno
di un agile organismo di coordinamento per favorire la circolazione delle informazioni e organizzare le fasi
del lavoro costituente. Una struttura di servizio che decadrà nel momento in cui questa seconda fase di la‐
voro sia finita e saremo pronti a dare vita a un soggetto politico con una identità forte e riconoscibile, un
progetto di futuro, un programma d’azione, una capacità di dialogare con le realtà sociali di riferimento,
una struttura organizzativa regolata da procedure condivise. A quel punto si eleggeranno gli organi dirigenti
ai termini dello statuto che avremo elaborato.
Due precisazioni finali. Il confronto che proponiamo di avviare oggi non ha come scadenza temporale la
partecipazione alle prossime elezioni italiane, anticipate o fisiologiche che siano. Il nostro riferimento è il
tornante storico che l’umanità si trova davanti, caratterizzato dagli ultimi colpi di un sistema economico e
produttivo finalizzato alla crescita della produzione e del consumo di merci: la fine dell’epoca storica inizia‐
ta 250 anni fa con la rivoluzione industriale. La prossima scadenza elettorale italiana, pur non avendo
un’importanza trascurabile, è piccola cosa in confronto. Credo che non si debba mai dimenticare che que‐
sto è l’orizzonte in cui ci dobbiamo muovere. Ciò non vuol dire che escludiamo la partecipazione alla pros‐
sima scadenza elettorale italiana. Valuteremo, quando la scadenza si presenterà, se saremo pronti, sia dal
punto di vista delle proposte, sia dal punto di vista organizzativo, a raccogliere il consenso di una percen‐
tuale significativa del nostro elettorato di riferimento, a cui comunque dobbiamo rivolgerci non limitandoci
a sollecitarne l’indignazione o raccoglierne lo scontento, ma offrendo indicazioni propositive concrete, rea‐
lizzabili e desiderabili. Bisogna uscire dalla politica gridata, dalle contrapposizioni, dagli schieramenti, dalle
semplificazioni, dalle personalizzazioni. Dobbiamo parlare alla testa e non alla pancia degli elettori, stimo‐
landoli a uscire dalla logica della delega.
Questi elementi di fondo ci differenziano da altri tentativi in corso di aggregare i movimenti e le realtà so‐
ciali che non si riconoscono nel sistema dei partiti in un nuovo soggetto politico pensato in funzione della
prossima scadenza elettorale. Pur apprezzando i tentativi di favorire il confronto tra questi progetti e il no‐
stro per il valore insito nel superamento delle frammentazioni, dobbiamo evitare il pericolo che gli elementi
fondanti nella nostra proposta vengano annacquati e si confondano in un coacervo indistinto che verrebbe
percepito dall’opinione pubblica come un ennesimo tentativo di rimescolamento di spezzoni di una sinistra
più o meno radicale unita soprattutto dall’esigenza di raggiungere il quorum elettorale e dalla contrapposi‐
zione agli altri schieramenti politici. Se questa fosse l’immagine che viene percepita, l’esito sarebbe un fal‐
limento in termini elettorali, la perdita della prospettiva storico‐politica che caratterizza la nostra analisi
della crisi come di sistema delle società industriali, l’allontanamento della possibilità di realizzare un con‐
fronto costruttivo con strati sociali determinanti per la realizzazione del nostro progetto. Meglio avviare de‐
fatiganti trattative con gruppetti ultra politicizzati collocati in nicchie sociali marginali che perseguono so‐
stanzialmente l’obbiettivo di una presenza parlamentare, o un confronto serrato con le componenti del
mondo produttivo orientate a sviluppare tecnologie che riducono il consumo di energia, il consumo di ri‐
sorse e le quantità dei rifiuti, e non hanno alcun interesse a rapportarsi con una ennesima minima forma‐
zione politica di sinistra impegnata a definire le percentuali relative di ognuna delle sue componenti nella
formazione delle liste elettorali? La domanda è retorica e sottende l’invito a concentrarci sui temi che ci
possono consentire di tradurre in termini concreti le premesse teoriche su cui siete stati invitati a discutere
dagli organizzatori di questo incontro.
Maurizio Pallante