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Mauro Platè
ISBN 978-88-8103-682-0
A cura di
Massimo Campedelli e Giorgio Fiorentini
Impresa sociale
Idee e percorsi per uscire dalla crisi
141. Sitografia
Bepi Tomai, dirigente prima regionale e poi nazionale delle Acli, è stato un
riferimento indiscusso nel campo della formazione professionale, sia manageriale
che pubblica. In questa veste ha diretto l'Enaip, il Formez, l'Iref della Regione
Lombardia e l'Iref Acli. Appassionato di tutto ciò che si muoveva nella società civile,
è stato un cattolico democratico impegnato in prima persona. Autore di
innumerevoli pubblicazioni nonché inventore di figure professionali innovative, quali
gli agenti di sviluppo, ha intuito, spesso prima di molti altri, i cambiamenti in atto
nel sociale. La stretta vicinanza con il mondo aclista ha permesso che l'idea di una
associazione finalizzata a sostenere le trasformazioni interne al mondo del non
profit e alla crescita della cultura dell'imprenditoria sociale, trovasse
immediatamente l'adesione del mondo associativo del terzo settore, del sistema
formativo pubblico e privato, del mondo universitario, della ricerca scientifica e dello
sviluppo territoriale. Da ciò è nato l'OSIS "Bepi Tomai" (Osservatorio sull'Impresa
Sociale), con sede a Milano.
questione di giustizia sociale e di solidarietà, ma di
consolidamento delle basi materiali del sistema democratico.
Che la crisi non fosse un semplice “polverone”, né tanto
meno un qualcosa che da lì a poco sarebbe passato, è oggi
un dato inconfutabile. Così come è inconfutabile che essa
colpisca in modo diseguale, ovvero che aumentino le
disuguaglianze tra le persone, i gruppi di popolazione, i
soggetti dell’economia, e tra questi anche il variegato mondo
del terzo settore. I livelli che ha raggiunto il tasso di
mortalità delle piccole imprese nel nostro paese non sono
solo un fattore contingente dell’attuale ciclo economico. Da
essi, infatti, conseguono una serie di effetti quali il
dissipamento del sistema imprenditoriale diffuso,
l’indebolimento del ceto medio e il processo di
impoverimento di ampi strati di popolazione, la perdita di
competenze professionali e la non valorizzazione delle nuove
che si sono da poco affacciate sul mercato del lavoro o che si
stanno affacciando oggi, l’accentuazione delle disuguaglianze
e, certo non ultimo, un ritiro di consenso nei confronti del
sistema democratico e dei valori che a esso sottostanno. La
crisi economica, inoltre, sta mettendo a dura prova i bilanci
sociali e sanitari, in particolare di Comuni e Regioni, così
come quelli scolastici, della previdenza e delle politiche
abitative e del lavoro. Ciò, nelle democrazie giovani o
mature, comporta inevitabilmente una crisi di legittimazione
nei confronti delle stesse, come ci insegna la vicenda di
quelle latinoamericane. In altri termini, se i sistemi di
welfare e i sistemi economici, con la loro crescita
interdipendente, insieme hanno garantito il miglioramento
delle condizioni di vita e il rafforzamento dei ceti medi
riducendo la forbice delle disuguaglianze, è proprio dal
disagio che sta crescendo tra questi che si incunea il
maggiore pericolo per la democrazia, di cui populismo,
razzismo e xenofobia sono aspetti sintomatici2.