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Cap 1.

L’oggettività della ricerca sociale


L’oggetto delle scienze sociali
La sociologia è l’ultima delle scienze sociali ad acquisire una definita caratterizzazione
autonoma.Nella sua versione originale, si pone come scienza della società come un tutto,
come sapere omnicludente.
L’oggetto della sociologia è effettivamente la società, ma ciò non ha significato solo
quando l’indagine è condotta in termini logicamente e metodologicamente corretti.
L’oggetto della ricerca deve essere affrontato in conformità con i principi della logica
dell’indagine scientifica e attenendosi al metodo della ricerca.
Questa esclude che l’attenzione ad un oggetto possa dar luogo ad una qualche
oggettività della conoscenza scientifica intesa come fotocopia del reale, come costruzione
intellettuale tale da penetrare l’oggetto nella sua essenza.
Idee che hanno radici filosofiche che pongono l’esistenza di una dualità nel processo
conoscitivo, il soggetto conoscente e l’oggetto da conoscere.
Storicamente ha prevalso l’oggettivismo, la verità è racchiusa in un dato oggetto che
deve essere in qualche modo penetrato, questo diventa possibile solo ad alcuni privilegiati
che dall’oggetto sono illuminati.
Il soggettivismo enfatizza l’intrapresa personale, lo sforzo dispiegato dal soggetto nel
raffigurare concettualmente nel modo più adeguato la realtà oggettiva.
Adeguare il soggetto all’oggetto conoscente, il soggettivismo paga all’oggettivismo un
pesante pedaggio, l’oggetto più essere più o meno adeguatamente raffigurato.
La raffigurazione del reale è un discorso logicamente mal posto, asserita la dicotomia,
ci si dovrebbe rivolgere ad un’entità che stabilisca se la raffigurazione dovesse considerare
giusta o meno.
Questo riferimento implica un confronto della raffigurazione parziale con una che
dispone già della verità oggettiva, ma disponendo già di questa non ha senso il confronto,
tantomeno la ricerca di verità parziali.
Nella pratica della ricerca non si danno questioni di oggettività e verità, né si danno
problemi ad essi collegati.
Nel concreto farsi della ricerca scientifica le questioni che coinvolgono il ricercatore, in ogni
fase della sua indagine, riguardano l’adeguatezza del materiale concettuale:
- Per dare conto di situazioni problematiche insorgenti nello svolgimento della teoria o dei
costrutti concettuali elaborati
- Per spiegare eventi nell’ambito di aree problematiche indagate
La situazione problematica si fa problema scientifico nel momento in cui si delinea la
possibilità di una qualche soluzione della questione, con aggiustamenti del materiale
concettuale o delle procedure e delle tecniche di rilevazione, elaborazione ed analisi dei dati.
Una situazione problematica, si fa problema scientifico quando si definiscono ipotesi di
connessioni tra variabili che la teoria trascura o considera legate in modo diverso da quello
ipotizzato.
La risoluzione del problema non conduce a verità oggettive, conduce piuttosto a
provvisorie spiegazioni, ad enunciazioni di uniformità tendenziali, a procedure di rilevazione,
elaborazione ed analisi dei dati.
Ottenute queste ci si domanda quale portata esplicativa abbiano le uniformità tendenziali
individuate, quale validità le spiegazioni offerte, quale funzionalità ed attendibilità le
procedure seguite.
Nella logica dell’indagine scientifica si trattano pezzi d’oggetto, segmenti di un’area
parziale, determinata da scelte teoriche: è logica di parzialità controllate, pubbliche, ripetibili
- scienze fisico – naturali e scienze sociali
Due sono le obbiezioni che si muovono alla logica dell’indagine scientifica:
1) Raramente la scoperta è il frutto di un’adeguata applicazione di metodi e tecniche
consolidati e standardizzati:
Obiezione che in realtà si fonda su di un equivoco al quale, è bene far ricorso alla
distinzione tra contesto della scoperta e contesto della giustificazione:
- Contesto della scoperta: non esiste una logica della scoperta scientifica, né a riguardo è
sensato impartire prescrizioni metodologiche.
La scoperta può avvenire nei modi e nei tempi più svariati e imprevedibili, può essere pura
intuizione o diversamente può avvenire in seguito a ripetuti esperimenti.
Nessuna scoperta scientifica è pienamente tale se ad essa non segue ciò che può dirsi
giustificazione.
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- Contesto della giustificazione: una cosa è intuire una possibile relazione tra eventi, un
nesso, un abbozzo di sistema in grado di far vedere in modo nuovo è più soddisfacente un
problema, altro è sottoporre a conferma empirica, a giustificazione logico-razionale, la
scoperta.
Una cosa è scoprire qualcos’altro è sistematizzare, controllare, confermare.
Per giustificazione è quell’insieme di attività operative, di sistematizzazione, controllo
che definisce l’attività scientifica in quanto tale.
2) l’oggetto delle scienze sociali è latore portatore di valori e intenzionalità:
Il positivismo e l’idealismo storicistico sono due grandi tradizioni del pensiero occidentale,
che condividono quell’idea di oggettività che contrasta con la logica dell’indagine
scientifica.
La sociologia comprendente si basa sull’assunto che l’oggetto delle scienze dello spirito
siano interne all’uomo.
E’ vale a dire teorizzata, una via privilegiata di accesso alla conoscenza storico-sociale
consistente nell’ Erlebinis= esperienza vissuta, per mezzo della quale si giungerebbe al
Verstehen= comprensione, una concreta possibilità di comprendere oggettivamente gli
eventi.
Ad un livello molto generale il Verstehen, può essere utile e plausibile con riguardo
all’indagine storiografica, alla ricerca antropologica, risulta invece improponibile con
riguardo all’indagine sociologica tipica, quella condotta sul presente, su un universo
statistico di ampie dimensioni, ricorrendo a strumenti rilevazione come il questionario.
In quest’ultimo caso il riferimento ai valori è certamente presente, condizione il
complessivo disegno della ricerca ma l’unica garanzia di oggettività reale che si può offrire
consiste nella chiara esplicitazione del legittimo riferimento ai valori, sicché risulti possibile
il controllo pubblico.
La conoscenza sociologica è il frutto di una serie coordinata e coerente di scelte, quindi di
una sistematizzazione concettuale ed espressione di uno dei tanti aspetti che la realtà
presenta.
Scelta dettata dalla cultura o scelte di valore, discorso che non ha nullo a che vedere con
la questione della valutazione in senso normativo, vale a dire della prescrizione alla quale il
ricercatore non è tenuto e legittimato.
La valutazione di tipo normativo è fuori dalla scienza, rispetto al quale vale il principio della
avalutatività: la non derivabilità del giudizio prescrittivo dal giudizio di fatto (Weber).
Il Verstehen, la comprensione, nella ricerca sociale è possibile come la possibilità del
sociologo di vivere o rivivere le esperienze dei soggetti su cui fa ricerca.

Il mito della comprensione


Dal punto di vista concreto della ricerca sociale lo spirito è di scarsissimo aiuto alla
spiegazione di un dato fenomeno, tuttavia i fondatori della sociologia comprendente, non
hanno torto quando segnalalo come il più delle volte non si sia in grado di dar conto di eventi
sociali nuovi o imprevisti se non se ne intende la natura, le caratteristiche, la genesi.
Nel momento in cui ci si imbatte in situazioni problematiche nuove, in dati che le teorie
consolidate non consentono di inquadrare significativamente, in quel qualcosa che non torna
nella routine scientifica, è usuale che ci si aspetti una intuizione, una ipotesi magari
azzardata, salvo poi controllarla e sistematizzarla in un compiuto quadro teorico. Se non c’è
un’idea, pur grossolana che sia, quello che non torna, resta tale.
È’ qui che il ricercatore può avvalersi di esperienze che derivano da situazioni analoghe
personalmente vissute, le quali possono certamente favorire l’intuizione giusta, siamo
ovviamente sul versante della scoperta.
La comprensione riguarda la scoperta piuttosto che la spiegazione in senso proprio.
Il ricorso alla semantica, alla Gestalt come riconoscimento di una forma familiare, alla
descrizione di una totalità che spieghi l’esistenza delle singole parti non si riferiscono ad un
processo di spiegazione scientifica.
Il ricorso all’aspetto comprendente nel contesto della scoperta è intuizione che ipotizza
una rete di connessioni, l’embrione di un quadro teorico, ma solo la progressiva definizione di
questo, la possibilità di connettervi leggi empiriche, vale a dire di inferire uniformità
tendenziali a più ridotto livello di generalità, e poi singoli eventi, consente di produrre una
compiuta spiegazione scientifica.
I fautori del Verstehen spesso finiscono per approdare alla concezione secondo cui la storia è
più vicina all’arte che alla scienza.
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Con riguardo alle scienze sociali sono metodologicamente identificabili dei casi in cui
l’empatia è possibile e in qualche misura, pubblicamente controllabile.
L’empatia non è uno strumento metodologicamente indispensabile per le scienze
sociali, anche se si pone come strumento utile e non di rado illuminante allorché la possibilità
di una soddisfacente spiegazione scientifica è subordinata ad un lavoro di ricerca che implica
atti intuitivi ed azzardi per la determinazione di ipotesi di connessioni tra variabili non
scontate od originali ed impreviste.
Descrizione, spiegazione, previsione
- Descrizione e classificazione
L’idea secondo la quale descrivere un evento costituisce l’essenza della scienza è una
vetusta concezione paleo-positivistico.La ricerca scientifica è il più delle volte un puzzle da
risolvere, raramente si risolve qualcosa descrivendo in modo illusoriamente oggettivo ciò che
accade, inoltre non si dà nessuna descrizione puramente oggettiva di alcun evento che si
analizzi scientificamente.
Ogni descrizione è frutto di una scelta, ossia di una definizione di caratteristiche
selezionate, delle costruzioni di classi in funzione d criteri determinati da opzioni teoriche o
semplicemente funzionali all’indagine.
Non ci sono descrizioni obiettive dei fenomeni sociali, anche la più intenzionalmente
neutrale delle descrizioni risultano inevitabilmente riferite a premesse di valore e prospettive
teoriche, sia pure implicite.
Le scienze sociali non sono pre-teoriche e di conseguenza si stempera la contrapposizione
tra descrizione e spiegazione che, per definizione, esige il ricorso a leggi e teorie.
Nella pratica della ricerca sociale anche la più elementare descrizione sulla base di dati
statistici disponibili può essere condizionata dalla propensione ad accettare un quadro di
riferimento teorico, piuttosto che un altro, differendo in base all’aggregazione o
disaggregazione dei dati a seconda dell’orientamento teorico prescelto.
Ogni descrizione, ogni classificazione è di rado fine a se stessa, intersecandosi piuttosto
con istanze esplicative.
Esempi:
- Le descrizioni dello status occupazionale dei padri di un campione di laureati romani è
frutto di aggregazione e disaggregazione diverse, ovviamente derivanti da ipotesi teoriche
eventualmente implicite.
La descrizione è strettamente legata ad un quadro teorico, ancorché non sistematizzato, e
da ipotesi di connessioni significative, il più delle volte non esplicitate, che possono essere
il frutto di opinioni comuni, teorie consolidate o di intuizioni.
- Più complessi esempi di descrizione tramite classificazioni altamente differenziate tra loro
si ritrovano nel campo della sociologia elettorale, nove sono le classificazioni cui questa ha
fatto ricorso che derivano spesso da un mix di variabili politico-elettorali e socio-
economiche.
Nella maggior parte dei casi tuttavia si danno due vincoli: la contiguità territoriale e il
rispetto dei confini geografici.
Nessuna delle descrizioni può dirsi effettivamente oggettiva né esaustiva dei tratti socio-
economici, culturali e di insediamento politico- elettorale.
Ciascuna è più o meno funzionale agli scopi dell’indagine per cui è utilizzata, con
particolare riferimento alla esigenza di spiegare la variabilità del comportamento
elettorale.
- L’Osservatorio di sociologia elettorale dell’Univ. La Sapienza di Roma ricorre, per l’analisi
del comportamento elettorale, al metodo di classificazione delle provincie italiane
per aree socio-economicamente e culturalmente omogenee del paese.
La classificazione ha intenti esplicitamente esplicativi ed assume che il livello di
modernizzazione, nonché quello di urbanizzzione-terziarizzazione si pongono come variabili
influenti sul comportamento elettorale, ovviamente su scala ecologica e non individuale.
Dal 1984 al 1992, in presenza di un sistema elettorale proporzionale articolato in collegi
formati da una o più provincie, si è classificato il territorio in cinque grandi classi:
- L’Italia felix
- L’Italia avanzata ed affollata
- L’Italia media
- L’Italia arretrata ed affollata
- L’Italia piccola e povera

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Il sistema elettorale maggioritario in funzione dalle elezioni politiche del 1994, impose di
procedere con diversa descrizione: diventano irrilevanti, come unità d’analisi, le provincie
mentre sono costituiti i collegi uninominali dimensionati su una popolazione di riferimento
residente intorno ai 120mila abitanti per la Camera dei deputati e ai 240mila per il Senato.
Le variabili considerate sono i classici indicatori di sviluppo socio-demografico ed
economico presenti nella maggior parte degli studi ecologici, ma sono stati progettati altri
cinque indicatori per sopperire alla mancanza di informazioni disponibili a livello comunale.
L’analisi in componenti principali ha permesso l’individuazione di due indici fattoriali:
- La prima componente è saturata dalle variabili che esprimono uno stato di
arretratezza socio-demografica ed economica e da quelle che esprimono stati di
modernizzazione è denominata in termini di arretratezza/modernizzazione socio-
econoimica
E’ usata per discriminare i collegi sviluppati da quelli poveri e depressi
- La seconda componente principale oppone le variabili che indicano uno scarso
livello di urbanizzazione-terziarizzazione a quelle che esprimono un massimo livello di
urbanizzazione-terziarizzazione.
Separa i collegi dalle aree urbane e terziarizzate da quelli costituiti da comuni piccoli e
distanti da aree metropolitane.
In sintesi le due componenti principali descrivono le fratture fondamentali che dividono il
paese.
I raggruppamenti disponibili per le provincie italiane non erano riproducibili con riferimento
ai collegi uninominali stabiliti nel 1994 per i quali tra l’altro, alcuni indici non erano
disponibili.
Si scelse un modello delle otto Italia, che consentì di individuare tre classi di collegi socio-
economicamente avanzati, suddivisi in base all’indice di urbanizzazione e tre classi di collegi
socio-economicamente arretrati a loro volta discriminati dall’indice citato, una classe a tutti gli
effetti media e, infine, i collegi di Roma, sotto tutti gli aspetti non era assimilabile a
nessun’altra classe.
La classificazione delle otto Italie punta a favorire l’individuazione di relazioni tra ciascuna
delle classi, da un lato e gli schieramenti e le singole forze dall’altro: ciò riflette la logica della
classificazione che in generale è strumentale.
- Profondo Nord
- Medio Nord
- Nord Urbano
- Collegi di Roma
- Classe Media
- Sud Urbano
- Medio Sud
- Profondo Sud
Le classificazioni sono la forma più sistematica di descrizione e possono variare a seconda
dei vincoli imposti, dell’enfasi su diversi tipi di indicatori, degli scopi per i quali sono utilizzati.
Sia la classificazione delle cinque che delle otto Italie, si sono rilevate utili nel senso che,
elezione dopo elezione, si sono sistematicamente individuate, una serie di relazioni tra classi
di provincie socio-economicamente omogenee a variazioni per schieramenti e forze politiche.
La classificazione delle otto classi omogenee dei collegi elettorali, è in grado di spiegare
una parte consistente della varianza dei risultati ottenuti dalle singole forze politiche.
Questo permette di delineare la relazione tra la crescita del consenso al partito di
Berlusconi, la presenza di indicatori di arretratezza socio-economica da un lato e il calo del
consenso e la presenza di indicatori di modernizzazione, dall’altro.

Spiegazione sociologica
Ciò che si definisce spiegazione della varianza, solo in senso lato si riconnette ad una
corretta spiegazione sociologica e quest’ultima è un caso particolare del modello nomologico-
inferenziale che definisce ogni tipo di spiegazione scientifica.
Le leggi del modello possono essere di tipo causale, ma ciò che conta è in realtà che ci
sia una regolarità nella sequenza degli eventi, la regolarità può essere di tipo correlazionale,
propriamente causale ovvero anche funzionale: da questa si inferisce l’evento da spiegare.
La spiegazione della varianza è definibile come scientifica, solo se riflette una regolarità
inseribile entro un ragionevole contesto teorico.

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Questo raramente avviene con l’analisi della varianza, che tende piuttosto a configurare
una rosa di variabili indipendenti che insieme, concorrono al variare di quella dipendente.
= In questi casi si tratta di congetture potenzialmente esplicative.
Un processo esplicativo è un iter logico che si pone come risposta scientificamente
adeguata a domande che si rivolgono al fenomeno esaminato.
= La dimostrazione, di come il singolo evento sia accaduto in un certo tempo ed in presenza
di date condizioni empiriche, in armonia con una o più leggi e/o teorie che fanno parte del
corpo di conoscenze confermate ed accettate dalla disciplina.
- Sia E l’evento che si intende spiegare: explanandum
- Siano C1, C2…Cn, le condizioni empiriche in presenza delle quali si è dato E
- Siano L1, l2…Ln le proposizioni generali in forma di legge
La struttura esplicativa è schematizzabile:
C1, C2 … Cn
Explanans
L1, L2 … Ln

Explanandum E

Per le scienze fisico-naturali: in presenza di un modello nomologico-inferenziale di


spiegazione scientifica --> dalla regolarità espressa dalle leggi --> è immediatamente
deducibile l’evento da spiegare
= gli enunciati della classe L presentano carattere di necessità o di elevatissima probabilità
statistica.
Il processo esplicativo si conforma ad un modello nomologico-deduttivo, tale per cui
l’invarianza delle connessioni stabilite nelle leggi dell’explanans consente una semplice
deduzione logica dell’explanandum
Nel caso delle scienze sociali: le leggi esprimono tendenze = le fasi del processo
esplicativo sono manifestatamente più complesse
Le leggi connesse, richiedono di venire in qualche modo spiegate, così, normalmente le
spiegazioni di eventi sociali si presentano come una serie concatenata di spiegazioni,
piuttosto che come una semplice inferenza dell’evento E dalla legge L.Le leggi devono essere
spiegate per avere una spiegazione che risulti soddisfacente.
Inoltre a differenza di quanto accade nelle scienze fisiche, le leggi dell’explanans non
presentano quel carattere ideale che consente immediate inferenze.
= ad esempio la legge dell’espansione termica del vetro è precisamente determinata da
formule matematiche
= le leggi connesse all’anomia richiedono di essere spiegate non consentono analoghe
immediate derivazioni in particolari situazioni sociali  devono essere spiegate
 anche le scienze fisiche secondo Nagel, presenterebbero lo stesso grado di grossolanità di
quelle sociologiche se adottassero la strategia di porre in correlazione dati empirici grezzi
- nelle scienze sociali la concatenazione vede la E (: il fenomeno da spiegarsi) di una struttura
esplicativa porsi come una C di una ulteriore struttura esplicativa
C
L
E  C1
L1
E1
Il processo deduttivo si conforma ad un modello nomologico-induttivo, l’inferenza non
ha carattere di necessità puramente logica ma di probabilità empirica.
Tutto questo discorso ha una rilevanza di portata più rilevante per la previsione che per
la spiegazione, infatti, di fronte ad un explanandum di natura, risultando note le condizioni
empiriche del suo accadimento, il sociologo dovrà mostrare che esso sia accaduto in
conformità con uno o più enunciati della classe L.
In questa circostanza, potrà darsi il fatto che l’explanandum non risulti per nulla
inferibile dalla legge probabilistica consolidata.
Nel caso di fenomeni sociali nuovi ed emergenti è difficile che possano darsi leggi
induttivamente già stabilite e quadri teorici entro cui inserire immediatamente il fenomeno in
questione per poterne dare una spiegazione soddisfacente.
Tuttavia, proprio in questi casi, il sociologo ha materia specifica di analisi,
approfondimento e scoperta.
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Nel contesto della scoperta si punta a definire, per quanto possibile, i canoni per stabilire una
connessione nuova, imprevista, originale.
Si procede a definire ipotesi di connessione fintantoché non si prova la validità di una o
più di esse ed eventualmente, si giunge ad inserirle in un quadro teorico plausibile, fornendo
così una più soddisfacente spiegazione.
Il fenomeno potrà dirsi spiegato, in quanto si sono individuate le variabili che hanno
concorso a determinarlo, consentendo di inquadrarlo in una o più ipotesi teoriche plausibili.
Il contesto della giustificazione, che è quello del modello propriamente nomologico-
deduttivo, si riferisce alle acquisizioni altamente formalizzate delle scienze fisiche.
La struttura esplicativa delle scienze sociali è complessa, e per risultare soddisfacente,
necessitano che si spieghino le leggi, o uniformità tendenziali.
Lo stesso accade nelle scienze fisico-naurali, ma con riguardo al contenuto è un dato
che le leggi sociologiche richiedano di essere spiegate in misura maggiore.
Questo perché esse vanno dalla maggiore familiarità che si ha con alcune “leggi di
natura”, data la loro universalità, alla maggiore stabilità ed univocità dei paradigmi n uso delle
scienze fisico-naturali.
Ovviamente la concatenazione delle spiegazioni deve fermarsi ad un certo livello di
generalità, pena il regresso all’infinito, questo è possibile tanto prima quanto più univoco e
consolidato è il paradigma.
Il nodo di fondo dell’indagine scientifico-sociale è costituito dalla disponibilità di quel
corpo di paradigmi, teorie, modelli e leggi.
- le leggi sociologiche:
la legge scientifica: è una proposizione generale che asserisce l’invariabile accadimento di un
evento y ogniqualvolta sia dato l’evento x. la legge causale, soddisfa quattro condizioni:
- l’invariabilità della relazione enunciata
- La contiguità spaziale degli eventi
- La contiguità temporale degli stessi
- La asimmetria della relazione o irreversibilità della
relazione enunciata
Logicamente, x è condizione necessaria e sufficiente dell’accadimento di y, anche se,
spesso di accetta di menzionare nelle leggi scientifiche una serie di eventi che completano la
serie di eventi che completano la serie di condizioni sufficienti per l’accadimento di y; x
tuttavia, è di solito l’evento necessario.
Non tutte le leggi sono di natura causale, si danno leggi esprimenti relazioni funzionali,
nel senso matematico di funzione, leggi di sviluppo esprimenti sequenze, leggi statistiche o
probabilistiche.
Le leggi probabilistiche: sono l’obiettivo cui si indirizzano le scienze sociali, i sociologi
quando puntano a generalizzazioni si arrestano uniformità tendenziali dove ”se x allora
probabilmente o tendenzialmente y”, si privano della determinazione statistica della
frequenza con cui “y segue da x”.
In questi casi pur non potendosi a rigore parlare di connessioni causali, si possono
tranquillamente individuare una variabile dipendente ed una variabile indipendente sicché
può non porre problemi l’attribuzione di una caratterizzazione genericamente causale alla
variabile dipendente.
Ci sono dei casi in cui anche questo è azzardato, altri di connessone che non
consentono l’attribuzione della qualifica di variabile dipendente o di “effetto” a nessuna delle
due variabili considerate, ossia quelli in cui la relazione statisticamente rilevabile è in realtà
spuria ovvero del tutto accidentale.
= ad es. la relazione statistica evidenziata da Durkheim tra “temperatura” e “tasso di suicidi”
acquista un senso solo se inserita nel seguente modello genericamente causale:
categorie sociali

fenomeni cosmici ritmo della vita sociale

temperatura tasso dei suicidi

Le relazioni statistiche spurie possono essere depurate e correttamente interpretate


attraverso l’introduzione di variabili test o di controllo, il che consente l’elaborazione di

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modelli che includono le variabili concorrenti all’accadimento di un dato evento, o di quelle
intervenienti.
Entro certi limiti, è anche possibile, misurare il peso di esse tramite il ricorso ad
opportuni indici che misurano la correlazione e la regressione.
Le leggi scientifiche e le uniformità tendenziali proprie della sociologia sono rilevanti e
significative in quanto si inseriscono in una cornice teorica plausibile. Ci sono poi leggi che
enunciano relazioni il cui grado di probabilità è assai elevato.
Queste sono le leggi funzionali, che si riferiscono al concetto matematico di funzione
come corrispondenza biunivoca tra due variabili.
In realtà il concetto socio-antropologico di funzione tende ad assumere in se anche il
significato proprio della biologia, entro la cornice generale del funzionalismo, modellato
sull’assunto dell’omologia tra sistemi biologici e sistemi sociali: le istituzioni sociali e le forme
culturali si trovano, rispetto al sistema sociale, in un rapporto assimilabile a quello che lega i
singoli organismi all’organismo biologico.
Da un lato c’è l’interdipendenza tra i singoli organi, dall’altro l’inadeguato
funzionamento si riflette sull’organismo come un tutto e viceversa.
Merton, tre postulati:
- Postulato della unità funzionale = le attività sociali e gli elementi
culturali sono funzionali per l’intero sistema
- Postulato del funzionalismo universale = gli elementi sociali e
culturali svolgono funzioni sociologiche
- Postulato dell’indispensabilità funzionale = tali elementi sono
conseguentemente indispensabili
Gli studiosi, su questo versante, sono rimasti ad un livello di astrazione talmente
elevato che pretendendo di coprire ogni sistema e in ogni tempo, facendo emergere la
fragilità teorica e la difficile traduzione in termini operativi, in altre parole in proposizioni in
forma di legge suscettibili di verifica del paradigma funzionalista.
= non pochi funzionalisti hanno ritenuto di poter attribuire a questa concomitanza un
carattere di legge universale
= sul versante della microsociologia si osserva come, il postulato dell’indispensabilità
funzionale dell’elemento  appare traducibile in termini di proposizioni generali in forma di
legge empiricamente fondata.
 non è indispensabile l’elemento ma la funzione
= i pilastri del paradigma restano quelli dell’autoregolamentazione del sistema e quello
dell’indispensabilità di alcune funzioni
 quando si devono definire queste funzioni, si scende dal livello generalissimo del paradigma
a quello delle teorie di medio raggio, ossia di portata limitata nello spazio e nel tempo, se non
semplicemente a quello delle proposizioni in forma di legge.
In conclusione, non si danno particolari problemi di carattere logico né metodologico
alla possibilità di enunciare leggi sociologiche.
Queste leggi non sono strutturalmente eterogenee, rispetto a quelle delle scienze fisico-
naturali se non per il carattere più univocamente tendenziale delle connessioni che
enunciano.
Alle leggi scientifiche si perviene di norma induttivamente ma sempre muovendo da
ipotesi che spesso riflettono l’esperienza corrente o il sentire comune.
Inoltre l’esatta attribuzione della qualifica che spetta alle variabili come indipendenti,
dipendenti, intervenienti è materia di analisi, che dipende esclusivamente dalla cornice
teorica entro cui la connessione ipotizzata si inserisce.

Paradigmi e teorie nella ricerca sociale


Nelle scienze sociali, la determinazione di paradigmi e teorie è problematica. Si dice
scientifica una disciplina in quanto i costrutti teorici che propone siano in grado di dar conto di
eventi e situazioni problematiche e di ipotizzare il verificarsi di certi eventi in determinate
condizioni.
Ma non è sufficiente definire la scienza come un insieme di proposizioni teoriche che
devono essere sottoposte a test di falsificabilità, né basta enfatizzarne il carattere di
predisposizione alla scoperta, all’azzardo, al rischio calcolato di ipotesi costantemente aperte
al superamento.
La scienza è impresa umana, ed è illusorio voler ritagliare per l’attività scientifica
un’area di extraterritorialità rispetto ai diversi campi dell’agire umano. La correttezza, la
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controllabilità pubblica e la ripetibilità delle procedure di possibile modificazione o sostituzione
di una teoria in caso di inadeguatezza, sono caratteristiche di un agire umano intenzionale.
Gli aspetti intuitivi, tipici della fase della scoperta caratterizzano la scienza come una
tra le tante sfere dell’agire sociale.
In questa sfera dell’agire, l’enfasi può essere posta:
- Sulla conferma, come ripetuta serie di esperimenti a sostegno di una certa proposizione
teorica.
= enfasi che contraddistingue i periodi di scienza normale, quella fase in cui in un settore
disciplinare, predomina un paradigma largamente accettato, dato per scontato ed
utilizzato.
- O sulla scoperta, come intuizione di ipotesi nuove, sulla rielaborazione di problemi
affrontati, in una chiave diversa e inadeguata, sulle modalità di porli, affrontarli e risolverli
= caratterizza i periodi delle rivoluzioni scientifiche, quella fase in cui il paradigma
precedentemente dominante, è posto in discussione, rivisto, sfidato da paradigmi
alternativi.
Le rivoluzioni scientifiche prendono le mosse dalla crescente consapevolezza, di almeno
una parte della comunità scientifica, che il paradigma non funziona in modo soddisfacente per
l’approfondimento dell’analisi di una certa area problematica alla cui esplorazione questo
aveva, originariamente aperto la strada.
Il paradigma si configura come un insieme coordinato di postulati, leggi universali e teorie
generali che costituiscono il corpo consolidato di conoscenze, categorie e strumenti accettati
dalla comunità scientifica nei periodi di scienza normale, ma anche la possibile alternativa al
paradigma già acquisito nei periodi rivoluzionari.
Nelle fasi di scienza normale è il paradigma che definisce lo statuto scientifico di una
disciplina, mentre nelle fasi rivoluzionarie sono entrambi i paradigmi in competizione che
concorrono a tale definizione. La competizione non si caratterizza come una contrapposizione
tra visioni del mondo, incompatibili e privi di punti di contatto.
Nelle scienze sociali si danno abbozzi di paradigma contrapposti senza che scaturisca dalla
competizione il paradigma dominante delle scienze normali.
Questo dipende dal fatto che la sociologia, secondo Kuhn, è ancora nella fase delle
scuole, cioè nella fase iniziale.
Il paradigma è ciò che i membri di una comunità scientifica condividono, ed una comunità
scientifica consiste di individui che condividono un paradigma.
La scientificità di una disciplina è autofondantesi.Il consenso della comunità su un corpo
di categorie e procedure, la comune accettazione di una letteratura consolidata, la
disponibilità di un codice comunicativo interno alla comunità stessa, sono probabilmente ciò
che definisce una scienza.
Se l’accezione di un paradigma è estesa e collegata al comportamento della comunità è
fuori di dubbio che sia possibile di individuare nella sociologia una sorta di paradigma
prevalente, ancorché non dominante.
Il venire meno dello struttural-funzionalismo come paradigma dominante rende ogni
disegno una sorta di unicum da progettare, mettere a punto, operativizzare con grandi sforzi
creativi e di elaborazione autonomia di ipotesi, che possono rilevarsi poi inconsistenti, fragili o
inadeguate.
Questo paradigma non è stato gettato via, quindi le modalità di indagine che suggerisce
non sono oggi considerate irrilevanti.
= la pluralità dei quadri di riferimento teorici, di modelli proposti e l’assenza di un paradigma
dominante impongono al ricercatore sociale una approfondita conoscenza e ponderazione dei
diversi quadri di riferimento teorici, una costante attenzione alle diverse variabili, da quelle
più enfatizzate di una teoria a quelle centrali in un’altra
 una concettualizzazione spesso ricca ed eclettica con il maggior numero possibile di
indicatori al fine di saggiare la rilevanza nel caso oggetto di indagine
 ciò a meno che non si effettui una scelta a priori, peraltro con il rischio di precludersi
possibili chiavi di lettura alternative, compossibili più o meno efficaci del problema indagato.
= ad es. le ricerche di Lazarsfeld e Katz mostrano che l’influenza dei contatti personali è in
ogni caso superiore a quella di ogni tipo di mezzo di comunicazione di massa
 i mezzi di comunicazione cui i soggetti sono stati esposti sembrano avere un’efficacia
contributiva, sembrano cioè contribuire alla decisione e al cambiamento, ma solo raramente
rilevano un’efficacia primaria:

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efficacia esposizione
Alta Bassa
Alta Beni di consumo domestico: contatto personale Beni d consumo
domestico: radio
Cinema: contatto personale

Bassa Moda: tutti e 4 i fattori Beni di consumo domestico:


quotidiani, riviste, commessi
Cinema: riviste
= quanto al flusso dell’influenza sugli affari pubblici, le persone tendono a scegliere i loro
esperti, i leader influenti soprattutto all’interno del proprio strato sociale
 ma se saliamo nella scala del prestigio di ogni successivo gruppo di esperti, si ha una
crescente tendenza all’influenza verticale: gli individui degli strati sociali più elevati tendono
ad essere più spesso designati come influenti.
 bisogna precisare che ci si riferisce a questioni di interesse pubblico, e non alle elezioni.
= i risultati di questa ricerca non contraddicono quelli di altre, dalle quali emerge che gli
esperti degli strati superiori non influenzano il voto degli elettori appartenenti alle classi
inferiori
= tenendo presente che in questa ricerca si parla di persone reputate esperte da parte delle
intervistate, ma che non sono necessariamente le stesse che, di fatto, le influenzano nel caso
di scelta elettorale di soggetti delle classi inferiori, tantomeno nel caso della formazione e
modificazione dell’opinione intorno a problemi di tipo politico o sindacali.
- nella relazione finale si soffermano sulla persuasione
= considerando casi in cui, per effetto dell’esposizione ai mass media, all’influenza di altre
persone o per entrambe le ragioni, si è prodotto nei soggetti considerati un mutamento
d’opinioni e quindi, almeno a livello potenziale, di comportamento.
= sottolineando che non sia un caso molto frequente e che il rafforzamento dell’opinione
preesistente costituisca la regola per quanto riguarda gli effetti delle comunicazioni di massa
- per altro verso i fautori della teoria dell’effetto diretto dei media sulla opinione pubblica,
almeno in talune aree della vita sociale, sono numerosi ad es. Blumer e McQuail
- teorie diverse dunque di cui non si può non tenere conto, nell’elaborazione di un disegno di
ricerca
- infine, pur permanendo come paradigma dominante in antropologia culturale e nella
sociologia dei gruppi il paradigma funzionalistico, sarebbe imprudente progettare indagini
totalmente inserite entro la logica dello struttural-funzionalismo
= votato spesso alla tautologia
= se applicato alla microsociologia è logicamente corretto e utile, consentendo di analizzare le
funzioni che vanno assolte all’interno del piccolo gruppo affinché sopravviva in buona salute,
ma non esaurisce l’ambito dei problemi che possono porsi
- Per teoria scientifica si intende un insieme di ipotesi esplicative che valgono a dar conto di
ricorrenze empiricamente rilevate, ovvero di leggi sperimentali.
La teoria è da un lato, più generale della legge e dall’altro, non ha un immediato
riscontro empirico. La legge al contrario è per definizione fondata induttivamente, descrivendo
delle regolarità nella successione di eventi empiricamente osservati, di essa può darsi conto in
quanto riassunta in una più ampia teoria.
La teoria è un sistema di leggi.
La pluralità dei quadri teorici e dei modelli di riferimento e l’assenza di un paradigma
dominante impongono al ricercatore sociale una approfondita conoscenza e ponderazione dei
diversi quadri di riferimento teorici, una costante attenzione alle diverse variabili, una
concettualizzaione spesso ricca ed eclettica con il maggior numero possibile di indicatori al
fine di saggiarne la rilevanza nel caso oggetto di indagine.
A meno che non si effettui una scelta a priori con il rischio di precludersi chiavi di
lettura alternative, più o meno efficaci del problema. Chiunque elabori un disegno di ricerca,
non può non tenere conto dell’esistenza di teorie anche diverse presentate sull’argomento
trattato.
È’ logicamente incongruo pensare ad un progetto di ricerca “oggettivamente
descrittivo”, ed è altrettanto rischioso muoversi esclusivamente entro i confini di una teoria
accettata, ciò preclude l’innovazione e la scoperta.

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Questa situazione rinchiuderebbe la ricerca sociale entro gli angusti limiti della scienza
normale capace esclusivamente di confermare, in maggiore o minore misura, ciò che è già
noto ed accettato.

Le previsioni sociologiche
La struttura logica della previsione sociologica è identica a quella della spiegazione.
Data una serie di leggi e teorie, ipotizzando che si diano certe condizioni empiriche è
possibile inferire il futuro accadimento di un evento.
Da L e C possiamo avere: C1, C2 … Cn
Praedicens L1, L2 … Ln
______________
Praedicendum P
Il praedicendum è ciò che va individuato, date le L e le C, nella struttura predittiva.
La struttura della previsione ha carattere di necessità o comunque di elevatissima
probabilità statistica, quando le leggi hanno caratteri di necessità o di elevatissima probabilità
statistica.
L’inferenza ha carattere deduttivo, tanto con riguardo alla spiegazione, tanto con
riguardo alla previsione.
Diversa è la situazione quando le leggi disponibili sono di natura probabilistica o
genericamente probabilistica. Nelle scienze sociali le leggi sono, il più delle volte, di
quest’ultimo tipo e le difficoltà della spiegazione si esaltano quando le leggi stese sono
utilizzate in funzione predittiva.
La spiegazione di un evento sociale, essendo un procedimento ex-post, è ottenibile
anche introducendo variabili non originariamente prese in considerazione, facendo ricorso ad
uniformità tendenziali che possono essere individuate occasionalmente, ovvero con l’analisi
sistematica dei dati empirici disponibili, raccolti al di là dell’ambito delle ipotesi specifiche.
Nulla del genere è possibile con riguardo ala previsione.
Per la previsione, la scelta della proposizione generale in forma di legge e soprattutto
quella delle condizioni empiriche, da proiettare nel futuro, ha un carattere di estrema labilità.
Ancora peggiore risulta lo statuto scientifico di previsioni effettuate in chiave
funzionalistica con riguardo ai macrosistemi.
Al contrario, hanno una veste scientificamente salda le previsioni di natura
funzionalistica, relative ai microsistemi sociali.
I sociologi fanno quotidianamente previsioni, e non di rado azzeccano le scommesse sul
futuro.
Bisogna distinguere tra:
- Previsione scientifica, che si pone come una struttura identica a quella della spiegazione,
variando solo il punto di osservazione temporale.
- Proposizione preditiva o enunciato di previsione, che si pone come un’anticipazione, priva
della sistematicità che ad essa potrebbe fornire un corpo organico di teorie o leggi.
Distinzione che nella realtà non è così netta.
Nella prassi della ricerca sociale, le anticipazioni sono dei meri azzardi, in senso stretto si
basa sulla presentazione di una serie di proposizioni confermate, le quali indicano
deduttivamente la proposizione sul futuro.
L’anticipazione sul futuro non è improbabile anche se si ha a che fare, più che con leggi
propriamente statistiche, con leggi genericamente probabilistiche, ponendosi come
proposizione enunciante uno stato di cose future che è plausibile e ragionevole ipotizzare.
Non è possibile misurare la qualità della previsione in base al grado di probabilità addotto
al rigore della sua deduzione, si tratta piuttosto di supportare la possibile previsione di x come
più ragionevole, plausibile, completa e significativa della previsione y.
Il che è possibile solo in una prospettiva condizionale. Quanto più ampio e complesso è
l’insieme delle condizioni prese in considerazione, in vista della previsione, e quanto più
ampio, articolato e complesso è l’insieme delle condizioni di tale assetto previsto, tanto più
elevata può dirsi la qualità della previsione.
Questo perché solo la massima specificazione condizionale può consentire la verifica della
previsione.
Un’anticipazione razionale, scientificamente accettata come previsione di un evento sociale, si
caratterizza non tanto per il suo realizzarsi, quanto piuttosto per il fatto che questo sia
spiegabile, ovvero per il fatto che il non realizzarsi di una previsione, risulti spiegabile.

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Questo esclude l’accettabilità scientifica di previsioni a lunga scadenza su destini del
mondo, che esula dal pur vasto campo della ricerca sociale.

l’avalutatività della ricerca sociale


Nessun ricercatore punterà a determinare il futuro e meno che mai, si spingerà ad
enunciare proposizioni di carattere prescrittivo.
In questo la lezione di Weber è insuperata: il ricercatore può indicare gli strumenti più
idonei in vista del conseguimento di determinati fini, ma esula completamente dal suo ambito
di competenza lo slittamento dal condizionale al prescrittivo, dal descrittivo al normativo.
≠ il marxismo storicistico, i profeti della cattedra
= il sociologo non può farsi profeta, deve evitare di per risultati della ricerca scientifica fini
estrinseci alla stessa, obiettivi ideaologici predeterminati, scopi che si pongano come valori in
senso normativo
- Dewey, evitare di scadere nel moralismo, nell’apprezzamento morale
= un’indagine e genuina e rigorosa nel momento in cui si trascelga e si ponderi, dal
complesso cumulo del materiale esistenziale e potenzialmente osservabile, un certo materiale
in quanto costituisca i dati o i “fatti del caso”
= è questo un processo di valutazione, apprezzamento o stima
= non si dà alcuna valutazione quando i fini si assumono già fissati.
 prefissare i fini vuol dire fare ricerca pilotata
L’avalutatività dell’indagine, non significa assenza di valori, ma assenza di prescrizioni,
cioè di giudizi di valore di tipo normativo.
- Il riferimento al valore: è coessenziale alla logica dell’indagine scientifica in tutte le sue
fasi, è senso di garanzia, di oggettività.  almeno nella misura in cui, l’esplicitazione di
una serie di scelte, socio-culturalmente condizionate, rende possibile il controllo pubblico
delle procedure e dei reperti della ricerca
- Il giudizio di valore di tipo prescrittivo: è esortazione ideologica, indicazione morale che
nulla a che vedere con la scienza.
La logica dell’indagine scientifica è corretta in tanto, in quanto questa, nasca
consapevolmente da uno o più problemi e procedendo per tentativi ed errori, approdi ad
eventuali ulteriori problemi
L’approccio scientifico è caratterizzato da incertezza, provvisorietà e consapevole
parzialità ed unilateralità dei punti di vista, esso è pertanto inconciliabile con ogni tipo di
prospettiva totalizzante e prescrittiva, che si traduce nell’illegittimo passaggio dall’essere al
dover essere.
= l’opposizione ad espressioni di una visione del mondo di natura intrinsecamente
totalizzante, che predispone a giudizi di valore di tipo astrattamente ideologico, spesso
propriamente ed inaccettabilmente prescrittivi.

Cap 2 strategie di ricerca


Ricerca descrittiva e ricerca esplicativa
Di fatto, è incongruo con la logica e la pratica della ricerca sociale, immaginare che ci
siano ricerche tutte finalizzate a giustificare una relazione tra variabili: organizzandola,
sistematizzandola e spiegandola e ricerche orientate esclusivamente a scoprire impreviste
connessioni. Solo in casi eccezionali si procede in conformità con la dicotomia che distingue
tra contesto della scoperta e contesto della giustificazione.
Nessun disegno è a priori così ben congegnato da garantire una qualche scoperta. Così
come può rilevandosi un colossale spreco di energie intellettuali e di risorse finanziarie
muoversi esclusivamente entro la logica della sistematizzazione di una serie di relazioni
ipotizzate, senza prevedere possibili variabili influenti o intervenienti nella situazione.
Scoperta e giustificazione sono fasi complementari e coessenziali ad un buon disegno di
ricerca.
Non è, tuttavia, priva di utilità funzionali la distinzione che al contesto della
giustificazione in quanto implicanti un corpo di leggi e regolarità empiriche in qualche modo
acquisite, a fronte del contesto della scoperta, che includerebbe delle congetture in qualche
misure confermate da ricerche esplorative in campi scarsamente noti, ovvero che offrono
spunti nuovi tramite l’identificazione di connessioni tra variabili.
Un’altra dicotomia utile a scopi funzionali si prospetta tra:

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- disegno della ricerca descrittiva: il ricercatore può essere interessato ad esplorare e
descrivere un dato fenomeno, misurando una o più variabili dipendenti in una popolazione o
campione rappresentativo di essa.
Questo tipo di ricerca si ripropone una esplorazione di dati fenomeni, in assenza di
precise ipotesi.
Un disegno di ricerca descrittivo comporta una fondamentale dimensione teorica ed
esplicativa.
- disegno della ricerca esplicativa - verificativa: il ricercatore può essere interessato a dar
conto di un fenomeno già noto e sufficientemente descritto nelle sue principali
caratteristiche, individuandone le cause o inferendone l’accadimento legge e teoria.
Peraltro il punto di partenza è costituito proprio da queste leggi e teorie e lo scopo può
essere quello di sottoporle a conferma empirica.
Questo tipo di ricerca conduce, sottintende una struttura esplicativa. Il risultato può
essere quello di aver confermato la dipendenza della variabile da un’altra posta come
indipendente.
La relazione causale, spiega nella misura in cui l’effetto viene sussunto entro una proposizione
generale in forma di legge che asserisce una frequente dipendenza delle variabili esaminate.
Ipotizzata la legge se ne saggia l’applicabilità nel caso concreto in esame.
Se dal punto di vista del fenomeno in considerazione la ricerca è esplicativa, dal punto
di vista della proposizione in forma di legge provvisoriamente assunta essa può dirsi
verificativa.
Questo disegno di ricerca si riflette nella tecnica dell’esperimento.
Può accadere che si creino condizioni rigidamente sperimentali, ossia che si trascuri
l’aspetto della possibile falsificazione della legge assunta e si delimiti artificiosamente
l’universo espungendo da esso, ogni fattore di perturbazione che possa configurare una
variabile interveniente diversa da quelle che, in ipotesi, si assume come causalmente
rilevante rispetto all’explanadum.
L’estremo disegno di ricerca esplicativa, in cui la fiducia nella validità della connessione
stabilita in ipotesi induce alla riproduzione in natura delle condizioni sperimentali di
laboratorio, ha il vantaggio di provare incontestabilmente l’esistenza del nesso ipotizzato tra
le variabili studiate.
Gli svantaggi però sono numerosi e seri: rende, infatti, impossibile la scoperta, non
consente di valutare il peso della variabile indipendente ipotizzata, né di stabilire eventuali
connessioni con altre variabili forse esplicativamente più rilevanti, tantomeno di cogliere
eventuali mediazioni.
In poche parole, la portata empirica della verifica e della spiegazione proposta resta
modesta.
Rarissimi sono i casi in cui si da un disegno di ricerca esclusivamente esplicativo o
esclusivamente esplicativo.
La pratica della ricerca sociale, evidenzia la necessità di non precludersi la scoperta né
la verifica e la spiegazione di una qualche ipotesi e di un qualche fenomeno il cui andamento
non è stato rilevato in modo adeguato.
esempi:
= ” Il contadino polacco in Europa e in America” di Thomas e Znaniecki, raccogliere il maggior
numero possibile di informazioni intorno ai polacchi immigrati negli Stati Uniti, per descrivere i
cambiamenti nel modo di vita, negli atteggiamenti, nei rapporti familiari e così via.
 in 5 tomi riportarono un gran mole di materiale documentario, per delineare alcune
proposizioni generali intorno alla disorganizzazione sociale degli immigrati polacchi , alla crisi
della loro identità e così via
 è un lavoro rivolto alla mera esplorazione del fenomeno, condotto con metodologia
approssimativa, in assenza di un preciso disegno, privo di ipotesi.
= la ricerca su “Middletown” dei coniugi Lynd
 nella prima ricerca si sforzarono di “stabilire i fatti” di una media città americana
organizzando il lavoro in 6 direttive, riguardanti l’impiego del tempo in attività quotidiane
in seguito tornarono sul posto per lo studio dei mutamenti avvenuti nell’arco di un
decennio, ed ora il disegno della seconda ricerca, pur configurandosi come descrittivo,
implicava una dimensione esplicativa connessa con l’ipotesi latente secondo cui, il peso
crescente della famiglia x dominante nell’economia della città, potesse avere alterato
significativamente la fisionomia della città stessa in conformità coni propri interessi.

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= gli “esperimenti di Hawthorne” della Western Eletric Company, condotta nei dintorni di
Chicago dove la direzione centrale aveva impostato una serie di studi che pur non sofisticati
metodologicamente riflettevano l’approccio sperimentale proprio del disegno di ricerca
esplicativa.
 si voleva verificare l’ipotesi che il rendimento dei lavoratori fosse variabile dipendente del
livello di illuminazione
= il disegno di ricerca rigido procedeva nel misurare il variare di y, la produzione al variare di
x, l’illuminazione
 nella prima fase si notò che la produzione si accresceva con l’accrescimento del livello di
illuminazione
 ma riportando l’illuminazione ai livelli di partenza, la produzione non calava
= ci si rese conto dell’inadeguatezza empirica dei dati, in assenza di “controllo” e si mise a
punto un progetto di esperimento in senso proprio, tramite la suddivisione di un reparto in due
metà
 una metà assunta come “sperimentale” dove si operava dall’esterno sulla intensità
dell’illuminazione e l’atra come “ gruppo di controllo” lasciando invariata l’intensità
dell’illuminazione
= accadde che in entrambi i gruppi la produzione rilevasse un significativo incremento, inoltre
alla quasi totale esclusione della luce non si ravvisarono cali significativi della produzione.
 infine si tentò l’esperimento combinato della riduzione e dell’incremento dell’illuminazione,
i livelli si mantenevano più elevati della media
= era chiaro che l’ipotesi iniziale di connessione casuale sottostante al disegno di ricerca
verificativo non tenesse.
- iniziò una nuova fase che coinvolse una équipe di esperti che accantonato l’approccio
rigidamente sperimentale, adottarono tecniche quali l’osservazione, l’inchiesta e
l’esperimento in un disegno di ricerca spostato sul versante descrittivo e ricco di aspetti
esplicativo-verificativi
= la variabile cruciale rispetto al livello di produzione risultò essere la percepita centralità del
piccolo gruppo di lavoro per l’azienda come un tutto
 i soggetti coinvolti erano al centro dell’attenzione ed inoltre si scoprì che i gruppi
tendevano ad autoregolarsi
= emersero due principi, il primo è che un progetto di ricerca ad ampio respiro esige
l’integrazione della dimensione descrittiva con quella esplicativo- verificativa del disegno
 il secondo è che di conseguenza l’adozione di una sola tecnica di rilevazione dei dati è
insufficiente, risultando indispensabile il ricorso a strumenti differenziati e coordinati
= “ il Suicidio” di Durkheim questa ricerca verificativa nelle premesse, volta a demolire
l’ascrizione del fenomeno a variabili extra-sociali, ricorre alla tecnica dell’analisi secondaria
dei dati statistici ufficiali
= da un lato, si sviluppa in vista della verifica della causazione sociale del suicidio e dall’altro,
attraverso una descrizione estensiva di tutti i possibili nessi intercorrenti tra le diverse
variabili sociali e il tasso dei suicidi.
= il disegno di ricerca sottintende una teoria generale con intento di falsificazione di teorie a
medio raggio correnti ed un intento di proposizione in forma di legge che la variabile
dipendente, il suicidio ad una classe ipotizzata di variabili indipendenti di natura sociale
 inoltre in quest’ultima fase la ricerca è sistematicamente descrittiva
= in pratica procede con la tecnica dell’analisi multivariata pur non rispettandone tutti i
requisiti logici,
= quanto alle correlazioni positive esse sono certamente plausibili
= la maggiore critica è rivolta ai limiti di concettualizzazione e dunque sulla parzialità di taluni
indicatori introdotti

Aree problematiche ed ipotesi


Il compito di definire le aree problematiche da indagare, raffigurandole concettualmente,
delimitandone approssimativamente i confini è:
- Essenziale nella dimensione descrittiva del disegno di ricerca
- Ed è cruciale nell’indagine esplicativa, in questo caso le difficoltà si esaltano giacché
l’ipotesi che si vuole verificare empiricamente può oscurare gli aspetti della situazione
problematica sotto indagine che magari contengono significative variabili indipendenti.

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Opportuno è resistere, alla tentazione di fare repliche di ricerche svolte sullo steso oggetto,
riducendo l’ambito delle aree problematiche da indagare solo a quelle da cui, nella
precedente ricerca, emersero le variabili indipendenti che davano conto di un certo
comportamento.
Anche in un breve volgere di tempo possono essere, infatti, intervenuti significativi
mutamenti.
La definizione delle aree problematiche da indagare è strettamente connessa ad una
definizione dell’oggetto specifico dell’indagine e delle variabili che si ipotizza abbiano una
qualche rilevanza in rapporto ad esso.
Un’accurata determinazione delle aree problematiche è una fondamentale esigenza, in cui
idealmente può scomporsi l’oggetto dell’indagine.
Tanto più la ricerca si colloca sul versante esplorativo (versante estremo del disegno
della ricerca descrittiva), tanto meno è agevole delimitare le aree problematiche: il rischio è
da un lato, quello di ridurre l’indagine ad un mero accumulo di dati indifferenziati e dall’altro,
di tradirne il carattere esplorativo con una con una selezione inconsapevolmente viziata di
aree problematiche.
= per evitare tali rischi si deve rinviare il discorso al fondamentale principio generale della
consapevole e dichiarata parzialità dei punti di vista, salvo a garantire la pubblicità delle
procedure.
= anche la ricerca più rigidamente descrittiva non è neppure progettabile in assenza di un sia
più generico disegno, una dimensione teorica ed esplicativa, che la orienti.
L a necessita di muovere da un quadro teorico che consente di avviare il lavoro.
L’inadeguatezza della concettualizzazione rende inadeguati gli indicatori della ricerca
con tutte le conseguenze che tale situazione comporta.
Il problema della concettualizzazione è cruciale dal punto di vista logico e con riguardo
al compito maggiormente produttivo del ricercatore, la misurazione.
Ad es. la connessine tra elementi descrittivi ed elementi esplicativi, che tende a
verificarsi in ogni ricerca empirica è ravvisabile nell’indagine su un campione rappresentativo
di laureati dell’università di Roma negli anni 1971-73.
l’indagine si avvalse di numerose esperienze precedenti di natura analoga
= la ricerca intendeva esplorare il fenomeno della disoccupazione intellettuale che negli anni
70 si configurava come uno dei problemi più drammatici della vita economica, sociale e
politica del paese.
data la numerosità dell’ampiezza dell’universo ed il fatto che il problema assumeva tratti
rilevanti tra i laureati di alcune facoltà, si decise di concentrare il lavoro sui laureati delle
facoltà non propriamente tecnico-scientifiche.
si estrasse un campione stratificato di soggetti cui fu sottoposto un questionario articolato in
quattro grandi aree
 un pre-test, fase preliminare della ricerca nella quale si sonda lo strumento-questionario e
soprattutto, si articolano le aree problematiche e si prefigurano ipotesi, in questa ricerca fu
condotto su un modesto campione che ha anche permesso di delineare un quadro teorico,
uno schema di connessione ipotizzato tra le variabili centrali sotto esame:

estrazione sociale fruizione dell’università riuscita


accademica

riuscita sociale

= si ipotizza che la classe sociale di appartenenza influisca sul tipo di fruizione dell’università,
che questo si rifletta sulla riuscita accademica, e che la prima e la terza variabile concorrano,
insieme, a condizionare la riuscita sociale: inserimento nel mondo del lavoro, soddisfazione
per questo e per la retriduzione, autorealizzazione ecc.
la ricerca, condotta in termini descrittivi, non confermò univocamente lo schema stesso = il
peso della variabile riuscita accademica, miurato su un esteso campione rappresentativo, era
modesto e di segno non univoco
inoltre, nel caso di laureati di elevata estrazione sociale, ad una buona riuscita sociale, si
accompagnava una mediocre riuscita accademica ed una scarza fruizione dell’università.

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= pur essendo tra loro connesse, le tre variabili non esaurirono l’ambito di delle variabili
rilevanti rispetto alla riuscita sociale, né si collocavano tra loro e con riguardo a tale variabile
in posizione univocamete definita.
= si operò un disegno descrittivo più ampio ed articolato posibile nel campo delle aree
problematiche e quindi delle variabili da coprire, ossia sondare il rilievo di altre variabili
trascurate nella fase iniziale.
nuerose furono le variabili rilevanti: sesso, facoltà, diploma, residenza, lo status personale
durante il corso
= elaborare un disegno di ricerca descrittivo, atttraverso una migliore articolazione delle aree
problematiche e di un ipotesi-guida, da consentire l’enunciazione di proposizioni descrittive
empiricamente fondate, nonché di ipotesi esplicative plausibili
Scelta e formulazione del problema d’indagine
1) Formulare l’abito di interesse: esplicitare l’interrogativo generale
2) Ritagliare il problema/oggetto d’indagine: limitare concettualmente e spazio-
temporalmente il soggetto/oggetto e ciò che si intende predicare di esso mediante =

- esplicitazione dell’obiettivo cognitivo e degli interrogativi parziali e specifici a cui si


intende fornire risposta sulla base di materiale esistenziale
- delimitazione dell’analisi del fenomeno a classi di oggetti, relativamente ad un periodo
temporale delimitato.
Intervento delle ipotesi da cui:
- Riduzione della complessità
- Concettualizzazione
- Operazionalizzazione
Progettazione di un disegno di ricerca indirizzato alla soluzione di un problema:
Consiste nella pianificazione e organizzazione delle attività che bisogna intraprendere, a
livello pratico, per conseguire gli obiettivi in vista dei quali l’indagine è stata intrapresa
Le attività, procedure, operazioni sono riferibili a quattro classi:
- Linguistiche- analitiche: formulazione del problema = obiettivi ed ipotesi
- Osservative: progettazione degli strumenti e dei criteri di rilevazione
relativamente ad unità di analisi; rilevazione
- Di trattamento/organizzazione/elaborazione: predisposizione della base empirica
delle procedure d’analisi
- Di analisi: analisi dei dati ed esame dei risultati

Il tipo di ricerca che si farà dipenderà dalle decisioni assunte riguardo ad ogni
livello/classe di attività
La scelta sarà orientata da:
- interesse
- risorse: umane, di tempo, finanziarie
formulazione delle aree problematiche
Nella definizione del problema si giunge a ritagliare, dal più ampio contesto teorico-
concettuale, un particolare oggetto ai fini dell’osservazione empirica. La definizione del
problema ritaglia, quindi, dal più ampio quadro teorico un oggetto più ristretto che tuttavia, si
pone ancora ad un ampio livello di complessità, generalità ed astrattezza.
Per giungere al progressivo avvicinamento del contesto teorico al piano empirico, si
procede ad una scomposizione del problema d’indagine in aree problematiche, che
rappresentano le dimensioni costitutive del problema oggetto d’indagine.
Questo procedimento di riduzione della complessità, interagisce con la formulazione dei
concetti e delle ipotesi:

DEFINIZIONE DEL PROBLEMA

FORMULAZIONE DEI CONCETTI FORMULAZIONE DELLE


IPOTESI

FORMULAZIONE DELLE AREE PROBLEMATICHE

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Con le aree problematiche facciamo riferimento a dimensioni significative in cui è
possibile scomporre il problema d’indagine ai fini dell’osservazione empirica.
Attraverso le aree problematiche è possibile avvicinare al piano osservativo dimensioni
teorico-concettuali del problema sulla base della individuazione di ipotesi e concetti
significativi.
La concettualizzazione si realizza in due fasi:
- 1° fase la formulazione dei concetti =
Nella procedura logica, che conduce alla definizione del problema, il ricercatore si
ritrova ad operare con rappresentazioni mentali di quanto costituisce problema cognitivo.
Rappresentazioni che possono essere rese comunicabili attraverso i concetti, ossia
“unità del pensare, costrutti logici, campi mentali di significato”, sono astrazioni mentali
ancora lontane dal piano empirico che consentono di avvicinare il piano teorico al piano
osservativo.
Le caratteristiche specifiche dei concetti, a questo livello, sono: - selettività, ritagliano
spazi di conoscenza in un fluire infinito di sensazioni e
Infinitamente mutevole - relatività, il ritaglio che operiamo nelle nostre esperienze è
sempre guidato da
Contenuti di valore, i concetti sono storicamente e culturalmente determinati,
Proprio in quanto funzione di una esperienza
relativa
I concetti hanno precise funzioni:
- Strutturano l’esperienza e organizzano l’osservazione selettiva di quanto costituisce
problema cognitivo
- Costituiscono uno strumento indispensabile alla comunicazione nella vita sociale
- Svolgono funzione di ordine valutativo, la strutturazione dell’esperienza umana procede
secondo criteri di preferenza culturalmente vincolati
I tipi di concetti, in riferimento al contesto in cui sono utilizzati:
- Concetti comuni, cioè comunemente riferibili ad esperienze di vita quotidiana
- Concetti scientifici, devono rispondere a certi requisiti, devono essere:
 chiari = definiti in termini linguistici non equivoci
 determinati = denotare o isolare precisamente i confini dell’oggetto cui si riferiscono
 devono possedere il massimo grado di uniformità d’uso
I tipi di concetto in riferimento al grado di vicinanza con il piano osservativo:
- Concetti osservativi, nozioni familiari direttamente collegate al piano empirico, ossia
direttamente osservabili
- Concetti teorici: collegati ala teoria sociologica, non suscettibili di osservazione diretta che
richiedono un processo di definizione particolarmente complesso per raggiungere il piano
osservativo.
I concetti teorici sono osservabili empiricamente attraverso un processo di definizione.
2° fase la definizione dei concetti operativi
Il processo di definizione dei concetti si compie a diverso grado di avvicinamento al piano
empirico. Hempel distingue tra:
- Definizione nominale, una stipulazione determinante che una certa espressione, “il
definiendum, deve valere come sinonimo di un’altra espressione, “il definiens”, il cui
significato è già stabilito
Si tratta di una espressione verbale, solitamente più breve, da sostituire ad una
espressione linguistica più complessa che denota un concetto o proprietà
- Definizione reale, una enunciazione della natura o degli attributi essenziali di qualche
entità.
Indica le caratteristiche fattuali di concetti o proprietà.
- Definizione operativa, con questa si passa dal piano della formulazione linguistica al piano
della loro relazione con l’osservazione empirica.
La definizione operativa rappresenta le procedure logiche e tecniche che rendono possibile
l’osservazione empirica del concetto.
Dai concetti agli indici empirici
- l’inadeguatezza degli indicatori di norma è conseguenza di inadeguata concettualizzazione
- il problema della concettualizzazione è cruciale dal punto di vista logico, ma anche con
riguardo a quello più produttivo, la misurazione
- in realtà anche una semplice classificazione può considerarsi un passo avanti significativo
dal punto di vista dell’analisi sociologica di fenomeni particolarmente complessi
16
ma l’obiettivo di giungere ad una misurazione almeno di natura aritmetica è il solo funzionale
all’individuazione di relazioni significative tra le variabili prese in considerazione.
Questo è perseguibile, attenedosi ad una procedura logicamente corretta di passaggio
da concetti ad indici empirici.
Il compimento della procedura di connessione tra concetti, dimensioni di essi e
indicatori porta alla definizione delle variabili: dove per variabile si intende appunto una
proprietà cui siano assegnati diversi valori in modo da poter determinare empiricamente
quale valore abbia nel caso particolare la proprietà stessa.
La variabile può essere:
- Semplicemente classificatoria (maschi-femmine, cattolici–protestanti, soggetti a reddito
alto-medio-basso)
- Continua, cioè espressa numericamente (età, reddito, quoziente intellettivo)
Le variabili “naturali” come l’età, il sesso sono sociologicamente date, anche se la
classificazione può essere diversa in funzione delle diverse esigenze specifiche della ricerca.
Mentre le variabili “artificiali”, come la partecipazione politica, la produttività sono
costruite in basse ad indicatori tanto efficaci quanto più attenta è la concettualizzazione.
La formulazione dei concetti, all’interno di ciascuna area problematica apre la strada ad
una procedura di graduale avvicinamento dei concetti al piano empirico, attraverso un
processo di operazionalizzazione definito.
Lazarsfeld individua delle fasi, composto da 4 momenti costitutivi.
- 1° fase: la rappresentazione figurata del concetto = una generica immagine che dà senso
alle relazioni osservate tra diversi fenomeni collegati.
Il concetto nel momento in cui prende corpo è solo un’entità concepita in termini vaghi che
dà un senso alle relazioni osservata tra i fenomeni.
- 2° fase: specificazione del concetto = immagine del concetto articolata nelle sue
dimensioni, attraverso l’individuazione delle stesse.
Può essere contemporanea della prima fase, richiede tuttavia una precisa attenta
formalizzazione in termini puramente analitici ed empirici.
Consiste nell’analisi delle componenti del concetto originario, che possono essere dedotte
analiticamente dal concetto generale che lo ingloba o empiricamente dalla struttura delle
loro interrelazioni.
Un concetto corrisponde generalmente ad un’insieme di fenomeni piuttosto che ad un
fenomeno semplice e direttamente osservabile
- 3° fase: scelta degli indicatori = scelta degli aspetti empiricamente rilevabili del concetto e
delle sue dimensioni.
Gli indicatori: - variano ampiamente secondo l’ambiente sociale degli individui cui si
riferisce l’osservazione empirica
- Hanno un rapporto di probabilità con il concetto, o le sue dimensioni, che
intendono rilevare
- E’ spesso necessario formulare un gran numero di indicatori per ogni
concetto e/o per le sue dimensioni.
- 4° fase: formazione, costruzione degli indici = sintesi di due o più indicatori attuata ai fini
della misurazione del concetto.
In questo contesto l’indice corrisponde alla costruzione di una variabile. L’intento è quello
di studiare le relazioni tra indicatori e di dedurre alcuni principi matematici generali che
permettono di definire “la forza relativa di un indicatore rispetto ad un altro”.
La costruzione di indici relativi a concetti psicologici o sociologici complessi, si compie
attraverso la scelta di un numero di elementi relativamente limitato, tra tutti quelli che
possono indicare il concetto e la sua rappresentazione limitata.
Ad es. in una ricerca sulle concezioni della solidarietà da parte di volontari impegnati in
strutture di volontariato in Emilia Romagna, l’indice di solidarietà è stato costruito utilizzando
una batteria di 8 item in grado di misurare una concezione laica, fondata su una sorta di etica
della responsabilità da parte del cittadino ed una concezione religiosa della solidarietà,
fondata invece sull’etica della charitas da parte del credente
nel primo caso affermazioni tipo “la solidarietà è un atteggiamento spontaneo dell’uomo”,
“una forma di responsabilità”, “una riposta alle carenze dello Stato”, potessero essere validi
indicatori di una dimensione laica della solidarietà
nel secondo caso, per converso, affermazioni come “la solidarietà è un valore soprattutto
cristiano”, un dono di sé agli altri”, una naturale prosecuzione dell’impegno religioso”, ne
rappresentano adeguatamente una dimensione religiosa
17
= ciascuno degli 8 item era costruito mediante una coppia di affermazioni di segno opposto,
l’intervallo tra le affermazioni ci ciascun item era scandito da sette modalità in una delle quali
gli intervistati si dovevano collocare
= si attribuirono a ciascuna delle modalità dell’intervallo tra le due affermazioni, valori che
vanno da -3 a +3, passando per un valore 0 relativo alla posizione centrale
= questo ha permesso la costruzione dell’indice sintetico mediante cui, aggregando i punti
conseguiti dagli intervistati, sono state individuate cinque classi o tipologie di immagino della
solidarietà, con l’esclusione di due item: fanno registrare i valori più bassi del coefficiente di
correlazione r, penalizzando la coerenza interna dell’indice (toccano quella solidarietà
attribuibile ad entrambi gli orientamenti)
ipotizzando che i valori che vanno da -1 a +1 designino un orientamento religioso, mentre
quelli che vanno da 1 a 3 designino un orientamento laico, si sono sommati i punteggi parziali
conseguiti da ciascun intervistato su ciascun item, si sono costruite le classi:
- concezione decisamente religiosa della solidarietà: punteggio = o > a –12
- concezione prevalentemente religiosa: punteggio compreso tra -7 e -11
- concezione mediana: punteggio compreso tra 0 e +6
- concezione prevalentemente laica: punteggio compreso tra +7 e +11
- concezione decisamente laica: punteggio = o > a +12
= è importante rilevare, con riferimento alla possibilità di costruire indici sintetici sommando i
valori conseguiti dagli intervistati su ciascuna delle modalità delle proprietà che il ricercatore
intende rilevare, che il punteggio così calcolato non esime lo stesso ricercatore da un
processo di interpretazione, ovvero dalla necessità di controllare simultaneamente gli addendi
e il risultato a cui concludono
= si consideri a questo proposito, la possibilità di costruire un indice di atteggiamento
religioso in grado di sintetizzare l’importanza attribuita dall’intervistato alla sfera religiosa e la
sua autocollocazione in termini di pratica religiosa
la variabile relativa all’importanza attribuita alla sfera religiosa può variare tra nessuna ,
limitata, importante e decisiva
quella relativa all’autocollocazione può variare da laico-disinteressato a credente non
praticante e credente e praticante
semplificando si attribuiscono valori che vanno da 0 a 2 alle modalità della prima variabile e
valori da 0 a 2 alle modalità della seconda variabile, si descrivono i cinque gruppi nel
seguente modo:
- atei: nessuna (0) o limitata (0) importanza attribuita alla religione né credenti, né osservati
(0), punteggio 0
- tiepidi: nessuna o limitata importanza, credenti ma non praticanti (1), punteggio 1
- ritualisti: nessuna o limitata importanza, credenti e praticanti (2), punteggio 2
- spiritualisti: notevole (1) o decisiva (2) importanza, credenti ma non praticanti punteggio
2 oppure 3
- osservanti: notevole o decisiva importanza, credenti e praticanti (2), punteggio 3 oppure
4
= la demarcazione dei confini delle classi è arbitraria, ossia il frutto di una scelta, di una
opzione concettuale del ricercatore, ma la stessa somma aritmetica può essere interpretata
dal ricercatore in modo diverso.
= dipende dalla primazia che il ricercatore attribuisce alla combinazione di significato rispetto
alla combinazione aritmetica.
È’ impossibile procedere alla costruzione di indici in automatico, ossia mediante
tecniche esplorative, senza che vi sia a monte un intervento che orienti la procedura e
distingua una combinazione concettualmente rilevante da una solo aritmeticamente fondata.
L’intervento del ricercatore e quindi, la parzialità dei punti di vista da questi espressa
mediante il processo di concettualizzazione, offre tuttavia la possibilità di attribuire significato
all’infinità priva di senso del mondo sociale, di costruire il dato e di orientare l’osservazione
inoltre una differente concettualizzazione indurrà differenti scienziati ad interpretare in
modo diverso sia specifici tratti del comportamento e di atteggiamento assunti come
indicatori di un qualche concetto teorico, sia di conseguenza, a circoscrivere in modo difforme
il referente empirico.
in questo senso il processo di concettualizzazione implicherà un percorso lungo il quale
distinguere ciò che è rilevante da ciò che non lo è = ovvero implicherà sia l’estensione che la
connotazione di una proprietà.

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- a questo proposito, viene proposto il processo di operativizzazione di due differenti teorie
della partecipazione politica:
1) la prima, che interpreti la partecipazione politica come il prodotto del coinvolgimento
attivo emotivo e cognitivo, da parte degli individui alla vita del sistema politico
2) l’altra teoria, di Inglehart, interpreta le nuove forme di partecipazione politica, piuttosto
che alla centralità dei cittadini, sono da connettere alle trasformazioni, in termini di bisogni
e di valori, avvenute nelle società industriali
= ricerca svolta negli anni 70, dove venivano rintracciate 4 dimensioni del concetto in
questione
 cognitiva
 affettiva
 valutativa
 comportamentale
per ciascuna di queste dimensioni sono stati scelti rispettivamente:
 un indicatore di informazione politica, di interesse politico, di sfiducia politica e di
associazionismo
• per i due indicatori di interesse politico, riconducibile alla dimensione affettiva sono
stati definiti operativamente nel seguente modo:
A. lei si ritiene in genere al corrente degli avvenimenti politici?
1) si 2) poco 3) no 4) non risponde
B. Le accade qualche volta di indignarsi o di appassionarsi per qualche avvenimento
politico?
1) spesso 2) qualche volta 3) mai 4) non risponde
costruita la variabile è possibile costruire uno spazio di attributi bidimensionale a 16
determinazioni, dove le risposte della domanda A vengono incrociate con le risposte della
domanda B, ed ai casi relativi a ciascuna delle 16 caselle risultanti nella matrice vengono
attribuiti simboli linguistici ordinatamente disposti a misurare il grado di interesse: non
interessato – poco interessato – molto interessato
si presenta una tabella di uno spazio di attributi per la misura di interesse politico dove in
parentesi si presenta una opportuna riduzione del medesimo spazio di attributi mediante una
scala ordinale simmetrica a 5 punti A: alto, M.A: medio alto, M.B: medio basso, B: basso, in cui
non si tiene conto delle mancate risposte, l’attribuzione alle quali di un gradiente di interesse
politico presenta un eccessivo grado di arbitrarietà item A

item B si poco no n.r.

spesso molto (A.) poco (M.A.) poco (M.) poco


qualche volta poco (M.A.) poco (M.) poco (M.B.) poco
mai poco (M.) poco (M.B.) ness. (B.) poco
n.r. poco poco poco poco

• quanto alla misurazione dell’informazione politica è possibile ricorrere al semplice


strumento consistente nella richiesta, agli intervistati, di indicare la titolarità di alcune
cariche politiche, nazionali ed estere
= partendo da questi indicatori, è possibile giungere ad una informazione sintetizzabile
in quattro livelli:

livello di informazione politica:

nullo 0-1 identificazioni


scarso 2-6 “
medio 7-11 “
alto oltre 11 “

• diversa è la tipologia di mobilitazione politica, o livello di interesse politico, cui, invece,


partendo da una riformulazione della teoria della partecipazione politica si perviene.
L’autore individua tre fattori che all’interno dei paesi occidentali fortemente
industrializzati, hanno contribuito ad un aumento del potenziale di partecipazione politica:
- un’istruzione più elevata ed una maggiore informazione politica
- le nuove norme che regolano la partecipazione politica delle donne
19
- il mutamento complessivo delle priorità di valore, per cui si dà più importanza al
soddisfacimento dei bisogno legati all’autorealizzazione e meno a quelli legati alla
sopravvivenza
= l’indice di mobilitazione cognitiva, uno dei due attraverso cui è stata costruita la
tipologia della mobilità politica, viene costruito sulla base di due indicatori
A. il livello di discussione politica, definito operativamente nel seguente modo: quando
è insieme con gli amici con che frequenza discute di politica?
1) spesso 2) qualche volta 3) mai
B. Il livello di istruzione, considerando l’età in cui l’intervistato ha abbandonato la
scuola: a che età ha abbandonato la scuola?
1) prima dei 16 anni 2) tra i 16 e i 19 anni 3) dopo i 19 anni, almeno a 20
= si attribuiscono valori compresi tra 0 e 2 alle modalità della prima variabile e valori
compresi tra 1 e 3 a quelli della seconda, costruendo un indice additivo con un campo
di variazione compreso tra 1 e 5
dove è possibile distinguere un livello basso: coloro che raggiungono valori compresi
tra 1 e 2 e un livello alto: per chi raggiunge valori compresi tra 3 e 5, della mobilitazione
cognitiva
= tabella della mobilitazione cognitiva: incrocio tra le modalità dei due indicatori

età in cui l’intervistato ha abbandonato la


scuola
frequenza di discussione politica < 16 anni 16-19 anni <
19 anni

mai 1 2 3
qualche volta 2 3 4
spesso 3 4 5

bisogna notare che mentre nell’attribuzione dei valori alle modalità della prima
domanda si passa dallo 0 al 2, per le modalità della seconda domanda si passa da 1 a
3.
mentre per gli individui che scelgono la prima modalità della prima domanda è
legittimo pensare ad una assenza della proprietà che si vuole rilevare, da qui lo zero,
per l’età di abbandono della scuola si fa riferimento ad una classificazione che non tiene
in considerazione l’assenza della proprietà.
= una siffatta definizione operativa dell’indicatore discende da uno specifico
ragionamento del ricercatore e dall’ambito spazio-temporale in cui egli svolge la
ricerca.
in questo caso è costituito dai paesi più industrializzati del mondo, dove almeno nel
periodo cui fa riferimento la ricerca è pressoché scomparso il fenomeno
dell’analfabetismo grazie alla obbligatorietà della frequenza scolastica almeno fino ai 14
anni.
quello che rimane è un problema logico-metodologico, legato alla esaustività delle
categorie per cui non è possibile distinguere chi ha abbandonato la scuola prima degli 8
anni, ad esempio, da chi l’ha abbandonata a 15
rimane poco rilevante, questa situazione così come l’assenza di un titolo di studio,
sono comunque interpretati come indicatori di bassa mobilitazione cognitiva.
= secondo l’autore si può parlare di bassa mobilitazione cognitiva per coloro che
presentano valori bassi sia sul primo che sul secondo indicatore
rimane tuttavia vuoto lo spazio relativo alla classificazione media
= questo è un problema di natura concettuale che discende dalla impossibilità di
discriminare gli intervistati per via della vaghezza della domanda mediante cui
l’indicatore è stato reso e che può essere superato solo con l’intervento del ricercatore
in fase di costruzione dello strumento di rilevazione.
La tipologia di mobilitazione politica è costruita attraverso i due indici, se si costruisce
uno spazio di attributi frutto dell’interazione tra la mobilità cognitiva, da un lato, e
l’identificazione politica dall’altro è possibile ricostruire 4 tipi di adesione politica ai
partiti:

20
1) gli apolitici: coloro che hanno un livello di mobilitazione basso e non si identificano
con alcun partito
2) i politicamente identificati che si lasciano guidare da élite: pur con un basso livello di
mobilità cognitiva ma identificazione in un partito politico
3) i non aderenti: con un’alta mobilità cognitiva, non si identificano però in alcun
partito
4) gli identificati con un partito e mobilitati cognitivamente: alta mobilitazione cognitiva
e identificazione con un partito politico
Il processo di articolazione dei concetti in dimensioni e di questi in indici, riveste un
carattere di arbitrarietà.
Il passaggio dalla complessità alla semplicità, dalla imprecisione dei concetti alla precisione
misurativa degli indicatori e degli indici, comporta inevitabilmente una riduzione della
probabilità che il concetto sia raffigurato soddisfacentemente rispetto alla sua comune
trasmissibilità sociale.
Il rapporto degli indicatori si configura come sostanzialmente probabilistico
questi ultimi esempi hanno chiarito come indicatori ed indici, in quanto misure di intensità di
un fenomeno, possono articolarsi in:
- misure cumulative
- scale derivabili dalla costruzione/riduzione di spazi di attributi
- sintesi numeriche, prevalentemente ma non esclusivamente di gradienti di attegiamento
Il processo di concettualizzazione implica un percorso, lungo il quale, distinguere ciò che è
rilevante da ciò che non lo è, ovvero connoterà sia l’estensione sia la connotazione di una
proprietà.
L’intervento del ricercatore e la parzialità dei punti di vista da questi espressa mediante il
processo di concettualizzazione, offre la possibilità di attribuire significato all’infinità priva di
senso del mondo sociale, di costruire il dato e di orientare l’osservazione.
Una differente concettualizzazione induce gli scienziati di interpretare in modo diverso sia
gli atteggiamenti assunti come indicatori di un qualche concetto teorico, che a circoscrivere in
modo difforme il referente empirico.
La possibilità di costruire indici sintetici sommando i valori conseguiti dagli intervistati su
ciascuna delle modalità delle proprietà che il ricercatore intende rilevare.
Il punteggio ottenuto non esime il ricercatore da un processo di interpretazione, ovvero di
controllare simultaneamente gli addendi ed i risultati a cui conducono.
La demarcazione dei confini delle classi è arbitraria, in quanto risultato di una scelta, di
un’opzione concettuale del ricercatore, ma la stessa somma aritmetica può essere
interpretata dal ricercatore in modo diverso, dipende dalla primazia che si attribuisce dalla
combinazione di significato.
Il paradigma di Lazarsfeld trasforma il concetto in termini di osservazione empirica e
attraverso l’individuazione egli indicatori perviene in termini di sintesi, alla costruzione degli
indici.
Un indice si forma, quindi, a partire dalla combinazione di una o più indicatori e corrispondere
alla costruzione di una variabile.
Se si dispone di numerosi indicatori relativi ad un concetto occorrerà selezionare gli
indicatori che si ritengono più attendibili per pervenire alla costruzione degli indici.
In questa opera di selezione sarà indispensabile il riferimento alla teoria sociologica da
cui è partita la formulazione del concetto.
Allargando l’orizzonte il paradigma si completa:
- Definizione del problema
- Scomposizione del in aree problematiche
- Individuazione dei concetti all’interno di ciascuna area
- rappresentazione figurata dei concetti
- Specificazione del concetto
- Scelta degli indicatori
- Costruzione degli indici
- La costruzione di indici
La procedura di operativizz. dei concetti, comporta la scomposizione di concetti complessi,
teorici, in dimensioni o componenti del concetto rispetto a ciascuna delle quali sono
individuati degli indicatori: dimensioni empiricamente osservabili del concetto.
Dalle dimensioni del concetto, si passa alle domande che sono gli indicatori del concetto e
danno luogo a variabili distinte.

21
Il ricercatore ha lo scopo di sintetizzare queste variabili in un unico punteggio relativo al
concetto considerato.
Si tratta cioè costruire una variabile di sintesi che riassume il concetto originario, dopo che
questo è stato scomposto in dimensioni ed indicatori molteplici ai fini della sua rilevazione.
La nuova variabile di sintesi è chiamata indice: la sintesi di altre variabili analitiche utilizzate
per la misurazione di un concetto complesso.
Nella fase della rilevazione il ricercatore utilizzerà molteplici indicatori
Nella fase della costruzione degli indici, selezionerà, da tale molteplicità di indicatori
solo quelli che, a suo giudizio, sono più rilevanti nella misurazione sintetica del concetto.
A tal fine si può procedere alla costruzione di indici attraverso diversi tipi di procedure:
- Costruzione e riduzione di uno spazio di attributi: indici tipologici
La costruzione di un indice dà origine a molte combinazioni delle modalità (o attributi)
riferibili alle variabili considerate.
Si ottiene una variabile eccessivamente analitica, non funzionale ad una corretta analisi
dei dati, in quanto tende a disperdere i dati e a creare classi poco numerose di casi o poco
discriminanti.
Questo inconveniente si ovvia, procedendo ad una riduzione delle modalità.
- Indici costruiti per somma: additivi
I codici delle singole modalità della variabile, sono assunti come valori.
Le modalità della variabile-indice saranno costituite dai valori ottenibili sommando quelli
relativi alle variabili-indicatori
- Indici costruiti per enumerazione: cumulativi
- Indici costruiti per differenza
- Indici costruiti per moltiplicazione: moltiplicativi
- indici e spazi di attributi
Il rapporto degli indicatori si configura come sostanzialmente probabilistico.
Indicatori e indici in quanto misure di intensità di un fenomeno possono articolarsi in:
- Misure cumulative
- Scale derivabili dalla costruzione/riduzione di spazi di attributi
- Sintesi numeriche di gradienti di atteggiamento
Le unità d’analisi posso essere classificate sulla base di più variabili
La tipologia è una classificazione nella quale le variabili che la definiscono sono considerate
simultaneamente.
Nella costruzione della tipologia, spesso capita che il numero dei tipi è pari al prodotto
del numero delle modalità delle variabili che la formano è facile arrivare a tipologie con
numerosi tipi, le quali risultano di difficile interpretazione.
Si rende quindi necessario procedere ad una riduzione del loro numero mediante
unificazione di alcuni tipi in un unico tipo: riduzione dello spazio di attributi.
La riduzione può avvenire prima della formazione della tipologia, riducendo le modalità
delle variabili che definiscono la tipologia.
Oppure, dopo una prima versione della tipologia si possono aggregare i tipi in conformità a
due considerazioni:
- Fusione in un unico tipo dei tipi con significato affine
- Aggregazione a tipi confinanti a tipi con numero di casi esiguo.
Una ricerca sul comportamento e le caratteristiche dei ricercatori scientifici, offre
esemplificazioni delle misure cumulative e delle scale derivabili della costruzione/riduzione di
spazi di attributi, con riferimento a concetti di produttività scientifica e di status socio-
economico.
Il concetto generale di produttività scientifica è multidimensionale: rimanda alla
produttività complessiva dell’organizzazione e a quella dei singoli ricercatori.
Si considera produttività p, il rapporto tra la produzione P e lo spazio temporale t cui essa
si riferisce: p = P / t
Si considera t l’età professionale del ricercatore: il numero di anni di effettivo svolgimento
della professione
La grandezza P è scomponibile in due sottodimensioni:
- la produzione in quanto misura della “vitalità” scientifica
- la produzione in quanto misura della “rilevanza” scientifica
In ambedue i casi si impone la previa definizione di quali siano i tipi di produzione
scientifica valutabile, che gli autori fissano in 9 classi:
Che riguardano:

22
- le comunicazioni collettive
- comunicazioni singole a convegni
- gli articoli cofirmati
- articoli a firma singola
- contributi a volumi
- volumi a firma singola
- brevetti singoli
- brevetti collettivi
- direzioni di programmi di ricerca.
La misurazione della produzione scientifica in quanto “vitalità” segue una logica semplice:
considerare ogni contributo valutabile come indicatore di presenza scientifica del ricercatore,
indipendentemente dall’ampiezza e dalla rilevanza sociale, tecnica o scientifica dei contributi
prodotti.
Nel campione analizzato di 100 ricercatori, i contributi valutabili pro capite che variano da
0 a 115, che furono ripartiti in 12 intervalli, ripartendo i punteggi di questo indice
semplicecumulativo e si assegnò a ciascuno il punteggio corrispondente al numero dei
contributi, diviso 10 ed arrotondato:
Livello di produzione basso

Numero di lavoratori 0-5 6-15 16-20 26-35


Punteggio 0 1 2 3

= e così via per i livelli medio ed alto


La misurazione della “rilevanza” tecnico-scientifica dei contributi, impose una serie di
mediazioni concettuali e operazioni quantitative, in cui il margine di arbitrarietà da parte del
ricercatore si estese.
Anche in questo caso si è ottenuto un indice cumulativo, in cui però ogni contributo è
valutato in ragione diretta del suo peso, cioè ponderato per la sua presumibile importanza.
L’importanza si considerò secondo dei criteri, in cui il contributo è tanto più valutabile
quanto è prodotto dal singolo piuttosto che da un équipe, è esteso e diffuso a mezzo stampa,
implica l’assunzione di decisioni, è innovativo.
I nove tipi d contributo valutabile furono orinati per importanza crescente, a partire dal
livello 1, ed a ciascuno fu attribuito un peso w.
1) comunicazioni collettive a convegni w=1
2) comunicazioni singole a convegni w=2
3) articoli cofirmati w=4
4) articoli a firma singoli; contributi a volumi collettanei w=5
5) volumi a firma singola; direzioni di programmi di ricerca w=15
6) brevetti collettivi w=26
7) brevetti singoli w=52
il massimo punteggio raggiunto nel campione fu pari a 500; il minimo fu pari a 0
l’intervallo 0-500, così come per l’altro indice cumulativo, fu ripartito in 6 livelli, secondo lo
schema seguente

punteggio ponderato punteggio dell’indice


basso 0 0
1.100 1
medio 101-200 2
201.300 3
alto 301-400 4
401-500 5

Nella stessa ricerca si elaborarono altri indici secondo la tecnica della


costruzione/riduzione di spazi di attributi. Fu questo il caso degli indici di status. Il problema
concettuale era misurare se e quanto l’estrazione sociale avesse inciso sui loro orientamenti
di valore e fosse correlata con la formazione universitaria, da un lato e con la concezione della
scienza dall’altro.
Il concetto di status è utilizzato al fine di individuare il peso che l’estrazione socio-
professionale della famiglia d’origine può avere esercitato, nel determinare le scelte culturali
e professionali dei ricercatori stessi.
23
L’indice poteva ottenersi dalla combinazione del livello culturale del padre dell’intervistato con
la sua condizione professionale.
I l livello culturale poteva tradursi nel livello di scolarizzazione raggiunto, definendo un
livello basso, medio-basso, medio-alto e alto. Anche le professioni erano aggregate in 4 livelli
sufficientemente rappresentativi ad indicare livelli economici e di prestigio assai differenziati.
La possibile discrasia tra livello di istruzione e status professionale e quindi
l’ortogonalità tra i due caratteri necessitava la costruzione di uno spazio di attributi per
incrocio tra le due variabili.
Lo spazio derivato, composto da 16 celle veniva successivamente ridotto
all’unidimensionalità, individuandosi nei punteggi attribuiti la possibilità di graduare
opportunamente, mediante una scala a 5 intervalli, le differenze di status socio-professionale
degli intervistati.
Non si poteva trascurare l’influenza del livello di istruzione della madre, sia pure come
fattore correttivo più che portante; configurantesi come variabile articolata su 2 livelli alta e
bassa scolarizzazione, in grado di modificare il punteggio dell’indice di status socio-
professionale desunto dalle informazioni relative al solo padre dell’intervisato.
L’elaborazione di indici a partire dalle modalità degli indicatori combinati ortogonalmente,
ossia incrociati al fine di costruire uno spazio di attributi, necessita di opportune procedure di
convalida, ossia di un riscontro empirico.
Questo è particolarmente necessario qualora le modalità usate ortogonalmente, siano
indicatori d dimensioni, sia pure diverse ma riferibili al medesimo concetto.
La scarza sovrapponibilità delle modalità di certi indicatori è fonte di riflessione, infatti,
quando si lavora su dati rilevati mediante tratti dell’atteggiamento la cui interpretazione è
frutto delle mediazioni del ricercatore, bisogna rilevare l’opportunità di procedere a controlli
empirici soprattutto nel caso in cui ci sia un ragionevole dubbio sulla sovrapponibilità degli
indicatori stimati come riconducibili al medesimo concetto.
Nel caso in cui questo avvenga, risulta impossibile procedere ad una corretta riduzione
dalla multidimensionalità all’unidimensionalità, ovvero all’elaborazione di un unico indice
sintetico.
- Sovrapponibilità e intercambiabilità degli indici
Si riferisce alla possibilità di utilizzare indici diversi per misurare lo stesso concetto.
Rappresenta una procedura di controllo della validità della misurazione.
La validità è la capacità di una misura di rilevare/misurare adeguatamente il concetto sotto
analisi.
L’attendibilità riguarda la stabilità della misurazione, la capacità di uno strumento di
misurazione di fornire i medesimi risultati in riferimento a rilevazioni ripetute nel tempo.
Le modalità di costruzione di un indice rilevano una serie di difficoltà.
Anzitutto si tratta di cogliere le dimensioni giuste del concetto, ossia compiere
operazioni di scomposizione che risultino funzionali a cogliere le qualità o gli oggetti che
risultano effettivamente rilevanti rispetto alla definizione del concetto stesso.
Dove la definizione non può che essere essa stessa operazionale.
Si procede, dunque, operaziozionalmente nella definizione e operaazionalmente nella
scomposizione del concetto operazionalmente definito.
In realtà, nella definizione c’è inevitabilmente un aspetto di stipulazione convenzionale,
rispetto ad essa il criterio di valutazione non può che essere quello della pubblicità che della
ripetitività delle procedure logiche seguite.
Ma la soluzione puramente convenzionale che implicasse stipulazioni invariabilmente
date, contraddirebbe l’insopperibile esigenza della funzionalità degli strumenti agli scopi e
all’oggetto dell’indagine ed inoltre, sarebbe inapplicabile per analisi di tipo transnazionale e
transculturale.
Questo discorso si fa più evidente quando dalle dimensioni del concetto si passa agli
indicatori, si pensi agli indicatori della partecipazione politica, che nei vari paesi possono
essere variare in modo assai rilevante.
Gli indicatori sono contestualmente rilevanti, impedendo la loro possibilità di viaggiare
da contesto a contesto.Le proposte per superare questo scoglio, sono la soluzione
convenzionalistica come l’utilizzo di un gruppo di indicatori comuni a tutte le culture
investigate e quella prettamente funzionale ed operazionale strettamente legata allo specifico
contesto in cui si opera.
Entrambe sono inadeguate. È evidente che il rapporto di indicazione abbia una validità
squisitamente contestuale, ossia relativa all’ambito socio-culturale nel qual è usato,

24
affermando, di fatto, una concreta impossibilità convenzionalizzazione universalmente valida
dei rapporti di indicazione; tuttavia, appare improponibile anche una chiusura che precluda il
fornire procedure esportabili altrove.
La scelta degli indicatori possibili è condizionata, oltre che dagli scopi dell’indagine e
dalla teoria di riferimento, da variabili socio-economiche e socio-politiche è quindi consigliabile
procedere alla scelta più ampia ed accurata degli indicatori stessi per poi tentare una
combinazione ponderata in forma di indici enumerativi.
Quanto più in indice costruito combina in sé diversi indicatori tanto più è probabile che sia
valido.
Scelta una pluralità di indicatori, in virtù della loro relazione parziale con il concetto,
rimane il problema relativo alla loro congruenza interna, ossia la capacità di rilevare, lo stesso
concetto.
Per Lazasfeld non importa se gli indici, che sono sintesi di più indicatori di uno stesso
concetto, sono costruiti mediante indicatori diversi, dato che se ben costruiti, le relazioni che
produrranno con variabili esterne saranno approssimativamente le stesse, a prescindere
dall’indice utilizzato.
Il fenomeno della intercambiabilità degli indici e dunque, la correlazione tra questi ed
una variabile esterna, resta generalmente stabile e garantisce la possibilità di successive
elaborazioni quantitative e di raffronti dotati di sufficiente attendibilità.
I fatto che due indici ultrasemplificati, ossia coincidenti con un solo indicatore, risultino
intercambiabili non è così frequente, né di regola per misurare dati atteggiamenti o fenomeni
si utilizza un solo indicatore.
Il fenomeno dell’intercambiabilità è una sorta di relativa garanzia con riguardo a indici
che risultano parziali. L’intercambiabilità degli indici può essere un test, ancorché non
esaustivo, di validità a posteriori degli indicatori. Non basta sostenere che due indici siano
intercambiabili perché siano buoni, ma è molto probabile che se non lo sono siano inadeguati.
Inoltre emerge l’esigenza di affermare l’importanza della correttezza logica e
sostanziale del processo di costruzione degli indici e più in generale anche quella dell’estrema
attenzione ad evitare il rischio della quantofrenia, ossia del gioco sui numeri e solo sui numeri.
Il principio dell’intercambiabilità diventa indifendibile allorché con esso si intenda
l’intercambiabilità degli indicatori, questo è possibile solo laddove siano paralleli, ossia
abbiano correlazioni uguali.
Peraltro, indicatori tali da poter far presumere d’essere spia diretta ad esempio, di un
atteggiamento dovrebbero essere accettabilmente intercambiabili.
Meglio sarebbe in ogni modo, un indice cumulativo che, combinasse entrambi gli
indicatori o una scala di misurazione di più ampio respiro.
Certo è comunque, che affinché il ricorso al principio dell’intercambiabilità degli indici
sia metodologicamente plausibile occorra che gli indici siano veramente tali, ossia sintesi di
indicatori diversi e non semplici indicatori e che la diversità non dipenda da puri artifici
sintattici.
- della congruenza degli indicatori
1) Il passaggio dal concetto all’indicatore rappresenta la fase più delicata e complessa del
processo di operativizzazione di un processo di operativizzazione di un progetto di ricerca
2) La bontà dell’indicatore rispetto alla dimensione di un concetto dipende dalla “conoscenza
tacita”, da una corretta analisi logica del concetto che si intende scomporre in dimensioni,
dal corretto inserimento del concetto stesso almeno entro uno scheletro di teoria
all’interno del quale il concetto stesso si colloca ed acquista il suo proprio significato.
3) Nessun concetto può essere inteso come autosufficiente tale da contenere tutte le valenze
empiriche che permettono di tradurre le dimensioni in indicatori.
4) Esistono concetti che implicano modelli molto semplici, essendo questi la sintesi verbale di
dimensioni autoevidenti, in questi casi non s’imporrà il ricorso ad un modello teorico che
rimane, tuttavia, intrecciato al singolo concetto.
5) Il ricorso ad indicatori da cui si pretende di ricavare induttivamente il concetto può dar
luogo a colossali topiche, che il professionista deve evitare.
6) Bisogna evitare arruffati approcci agli indicatori e agli indici nonché indebiti inferenze da
costrutti numerici dall’incerto significato.
- Definizioni operative e rapporti di indicazione
Il processo di operativizazione inizia dall’assunto che ogni problema scientifico, per essere
posto affrontato e provvisoriamente risolto richiede:
- Che si trascelgano, sulla base di ipotesi teoriche, i dati del caso

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- Che la concettualizzazione connessa con le ipotesi teoriche sia analiticamente definita
- Che alle dimensioni della definizione si connettano coerenti indicatori empirici
- Che le procedure di passaggio dai concetti-termini teorici agli indicatori o concetti- termini
empirici siano riproducibili
- Che si definiscano rigorosamente le procedure e le regole di lettura dei concetti-indicatori
alla luce dei e con riferimento ai concetti teorici
- Che i concetti indicatori siano trasformati in variabili
E’ logicamente corretto scendere da un elevato ad un modesto livello d’astrazione affinché
sia possibile stabilire attraverso quali operazioni si possa misurare un concetto
scomponendolo in una dimensione che può essere a sua volta scomposto in ulteriori
dimensioni i cui indicatori rendono immediatamente possibili operazioni di misurazione.
La logica dell’indagine scientifica esige un processo globale e costante di
operazionalizzazione, nel senso che ogni ipotesi teorica, ogni introduzioni di concetti, quale
che ne sia il livello di astrazione, deve poter essere tradotta in termini operativi.
“ per concetto si intende un gruppo di operazioni”
Non è operazionalizzabile un singolo concetto atomisticamente inteso ma solo un
concetto come parte di una più ampia rete di tipo teorico.
L’operativizzazione dei non è autogiustificantesi ma trova legittimazione nella
funzionalità del concetto operazionalizzato in quanto parte di una teoria rispetto alla
fondamentale esigenza esplicativa della scienza.
La definizione operativa è l procedura che consente il passaggio dal concetto ai suoi
referenti empirici, ovvero il passaggio dai concetti alla costruzione delle variabili.
Lazarsfeld collocano la definizione operativa a livello dei rapporti di indicazione: il
passaggio dal concetto -> alle sue dimensioni -> agli indicatori.
Altri, come Marradi, collocano la definizione operativa a livello delle procedure tecniche
relative alla costruzione delle variabili.
La definizione operativa come il complesso di regole che guidano le operazioni con cui
lo stato di ciascun caso sulla proprietà, viene rilevato, assegnato ad una delle categorie
stabilite in precedenza e registrato in modo da permettere la successiva analisi con le
tecniche che si intendono usare.
Le fasi secondo Marradi sono:
- Testo della domanda
- Modalità di registrazione delle risposte
- Indicazione della proposizione che la variabile assume nella matrice dei dati
- Procedure di controllo
In conformità a queste indicazioni, la definizione operativa trasforma la proprietà di un
concetto in una variabile.
= la definizione operativa rappresenta una procedura complessa che comprende sia il
passaggio dai concetti, alle loro dimensioni, agli indicatori: rapporti di indicazione, sia le
procedure tecniche di costruzione della variabile.
- Concetti-termini teorici e concetti-termini osservativi
- i concetti- termini teorici hanno carattere denotativo o estensivo, relativi a generi rinvianti
l’esistenza
- I concetti- termini osservativi hanno carattere connotativo, si presentano in modo astratto
“l’osservazione è orientata e il dato è costruito”
Non si danno particolari problemi di operativizzazione per concetti immediatamente
trasformabili in variabili: l’età, il sesso, lo stato civile sono concetti immediatamente misurabili
a livello di classificazione o metrico
Peraltro anche la più semplice classificazione è costitutivamente orientata e dipende da
precise scelte del ricercatore.
Scelte che si presentano come stipulazioni sia funzionali agli obiettivi della ricerca che
influenzate da una teoria o da un abbozzo di teoria, riferita al contesto in cui si determina il
concetto.
Ogni concetto scientificamente utilizzabile esige di essere, anzitutto definito nel modo
semanticamente più univoco e poi tradotto in concetti-termini che possano, direttamente o
indirettamente, dar luogo a variabili.
Per far si che questo accada, è logicamente indispensabile avvalersi di proposizioni di
riduzione che specificando parzialmente il significato del concetto originario, ne favoriscano la
traduzione in variabile, consentendone la misurazione.

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Il processo sarà maggiormente complesso, tanto più il concetto considerato è astratto e
multidimensionale, rendendo necessari numerosi passaggi, soprattutto in dipendenza della
complessità della teoria entro cui il concetto si inserisce.
Quello che sarà sottoposto a verifica non è il singolo concetto ma piuttosto la teoria.
Ogni procedura di controllo di una teoria non può operazionalizzazione dei suoi elementi
costitutivi.
- Operazionzlizzare un singolo concetto non porta lontano
- Se ciò risultasse utile e funzionale, si dovrà evitare che la parzialità dell’operativizzazione
finisca con il risultare mistificante
- Un operativizzazione del concetto effettuata tramite dati empirici ricavabili da risposte a
domande dirette al riguardo è impropria, misurando in questo modo solo una percezione.
Lazarsfeld parla si traduzione operativa dei concetti e, di fatto, tende a rendere operativi
dei concetti teoricamente sostenuti non atomizzati.
La stessa analisi delle dimensioni del concetto, riflette un processo che è di carattere:
- Logico: ad ogni concetto sono sottordinati dei concetti particolari
- Semantico: le dimensioni del concetto sono le specificazioni del suo significato
- Pragmatico: la scelta delle dimensioni è connessa allo scopo dell’indagine, alla teoria di
fondo
I problemi si complicano con il passaggio al rapporto di indicazione: ogni concetto così
come ogni concetto-dimensione è indicabile in più di un modo, è raro che vi siano indicatori
logicamente esaustivi di u n concetto- dimensione.
Certo quanto più si scompone, tanto più si scende a livello di sottodimensione, tanto meno
è improbabile che l’indicatore sia impreciso.
Quanto maggiore è il numero di indicatori trascelti, tanto più si riduce l’alea della
connessione tra il materiale concettuale e il dato empirico che il dato materiale consente di
costruire in modo logicamente e teoricamente corretto.
L’operazzion. del concetto richiede precise opzioni teoriche, logiche, semantiche e
pragmatiche. La centralità teorica è evidente se si considera in relazione all’ipotesi teorica,
traducibile in proposizione generale in forma di legge e come tale sottoponibile a conferma
empirica.
La ponderazione degli indicatori e la conseguente costruzione di indici sintetici è
giustificabile in base a scelte che sono in parte, sostenute dall’esperienza e che derivano da
opzioni teoriche e in parte, a valle di queste opzioni sta quella che può dirsi misurazione.
L’esito del processo di operativizz. è, in ultima analisi, un atto di misurazione.
- La misurazione–costruzione delle variabili
Il passaggio dal concetto ai referenti empirici, implica l’individuazione degli attributi o
proprietà applicati ad oggetti concreti, gli specifici oggetti studiati, definibili come unità
d’analisi.
Le proprietà assumono, rispetto agli oggetti cui si riferiscono, diversi stati che variano
tra le unità d’analisi.
I diversi stati che può assume un attributo o una proprietà a seconda delle unità osservate,
implicano l’idea di mutazione o variazione: dal termine concetto si passa a quello
variabile.
Le variabili con cui generalmente si lavora, sono riferibili, in termini statistici a:
- Mutabili: caratteristiche che hanno proprietà dicotomiche o classificatorie
- Variabili discrete o discontinue: grandezze capaci di assumere solo certi valori puntuali,
solo valori interi es. i membri di una famiglia
- Variabili continue: quelle che possono assumere tutti gli infiniti valori compresi, o meno,
entro un certo intervallo es. età, peso.
- le scale di misurazione
Teoricamente, gli indici possono essere costruiti come scale di misurazione.
Posto che ogni livello o scala di misurazioni possiede le proprietà del livello di misurazione
precedente più una proprietà maggiore, abbiamo:
- Il tipo più semplice è quello con il numero minore di valori cioè 1 e 0, variabili di questo
tipo sono comunemente chiamate dicotomiche, spaccano in due classi di oggetti o le loro
proprietà.
Fatta eccezione per casi in cui il disegno di ricerca sia di natura esplicativo-sperimentale e
fatte salve le dicotomie di natura, la classificazione dicotomica non è normalmente un
punto di partenza ma, occasionalmente punto di arrivo per sintetizzare e visualizzare con

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particolare evidenza differenze tra comportamenti relativi ai soggetti che si trovano,
rispetto alla metà, ai due lati di una scala graduata.
- Ad un livello appena più elevato abbiamo la scala di tipo nominale o classificatoria: la
proprietà da registrare assume stati discreti non ordinabili.
La variabile nominale deriva da un’operazione di classificazione, i numeri che sono
assegnati non hanno significato numerico ma sono solo dei nomi.
La proprietà da registrare assume stati discreti ordinabili in un modo qualunque (o non
ordinabili)
Assumono una serie di stati finiti di cui non è possibile stabilire un ordine e le uniche
relazioni sono quelle di uguale e diverso.
La procedura di operativizzazione che permette di passare dalla proprietà alla variabile è in
questo caso la classificazione.
Il fine di questa scala è quello di creare classi di variabili che siano le più omogenee
possibile al loro interno e massimamente eterogenee in relazione alle altre classi. Classificano
le osservazioni in categorie mutuamente esclusive ed esaustive. Il rispetto per i fondamentali
principi della non sovrapponoibilità, ogni soggetto deve poter rientrare in una ed in una sola
classe, e dell’esaustività, la possibilità di rientrare in una classe, magari in quella residua altro
specificare.
Le proprietà della scala: se A e B sono due proprietà di un oggetto si tratta di stabilire
se A=B o se A≠ B
Inoltre dovranno corrispondere a talune proprietà dei numeri:
- proprietà riflessiva per cui A=A
- Proprietà simmetrica per cui se A=B, B=A
- Proprietà transitiva per cui se A=B e B=C
allora A=C
- Ad un secondo livello di misurazione abbiamo la scala ordinale.
Nasce da una operazione di ordinamento, i valori numerici attribuibili alle modalità,
mantengono le proprietà ordinali dei numeri.
Stati discreti ordinabili, assumo una serie di finiti, di cui è possibile però stabilire un ordine.
L’esistenza di un ordinamento permette di calcolare, oltre alla relazione di uguale o
diverso, anche quella di maggiore o minore.
La procedura di operativizzazione è l’ordinamento.
Si tratta di un ordinamento gerarchico per cui una variabile può assumere una serie di
valori ordinabili in forma crescente o decrescente e l’assegnazione dei numeri può aiutare ad
esprimere l’ordine con cui i termini si susseguono (es. il livello di istruzione)
Questo tipo di variabile ha in comune la caratteristica di assumere valori entro un
intervallo sempre crescente o decrescente. Ad es. l’istruzione cresce in funzione di diversi
gradi, ma procede per salti e la distanza tra due gradi successivi non è costante.
Rispetto alle proprietà dei numeri si possono costruire ordinamenti gerarchici tali che date
due caratteristiche A e B relative ad un oggetto si può stabilire: - se A=B oppure se A≠ B
- Se A≠ B si può stabilire se A è > o < di B
- Proprietà dell’asimmetria se A<B allora B>A
- Transitività se A<B e B<C allora A<C
Non è possibile invece stabilire la distanza che intercorre tra due punti successivi e per
questo le cifre che vengono attribuite a ciascun valore non possono essere tra loro sommate o
sottratte.
- Le variabili cardinali, sono variabili per le quali i numeri che identificano le modalità (i
valori della variabile) hanno pieno significato numerico.
Si possono stabilire relazioni di uguaglianza, diversità e di ordine ma anche operazioni di
somma e sottrazione, moltiplicazione e divisione.
I processi di operativizzazione sono due:
- La misurazione quando si verificano due condizioni, la proprietà da misurare è continua e
quando possiede una unità di misura prestabilita che permette di confrontare la grandezza
di misurare con una grandezza di riferimento
- Ed il conteggio, quando la proprietà da registrare è discreta, assume stati finiti e quando
esiste un’unità di conto, una unità elementare che è contenuta un certo numero finito di
volte nella proprietà dell’oggetto.
- Ad un terzo livello di misurazione abbiamo le scale ad intervalli uguali, quando i valori di
una variabile sono non solo ordinabili in forma crescente o decrescente, ma la distanza tra

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i punti può essere specificata ed è costante per ciascuno elemento della serie (es. il
quoziente di intell.)
In questo caso oltre che a classificare le osservazioni a seconda della classe cui
appartengono e ordinarle in maniera gerarchica, è possibile determinare la distanza tra i punti
della scala, di una stessa unità di misura: parliamo di scala metrica. Ciascun grado è maggiore
del precedente e minore del successivo.
Si possono applicare operazioni di sommatoria e sottrazione ma non di moltiplicazione e
divisione.
- Ad un quarto livello di misurazione abbiamo le scale di rapporto:
Sono scale ad intervalli uguali che individuano con precisione il punto in cui la proprietà è
realmente assente: lo zero assoluto. Si tratta di scale metriche es. età, reddito, componenti
di una famiglia.
Consentono di effettuare tutte le operazioni matematiche e statistiche. Nella ricerca è
possibile costruire diversi tipi di variabili a diverso grado di complessità rispetto al livello di
misurazione, secondo il tipo di proprietà che il ricercatore si trova trattare, ma dipendono
anche dal tipo di orientamento del ricercatore.
La diversità del tipo di variabile costruita è strettamente legata al tipo di trattamento
statistico delle variabili a livello dell’analisi dei dati mono-, bi- e multi- variata.
Possiamo comunque distinguerle tra:
- variabili categoriali = nominali e ordinali, i cui codici numerici assegnati alle categorie o
modalità della variabile servono solo a distinguere le categorie stesse
- e variabili cardinali = intervalli eguali e di rapporto, in cui i codici numerici hanno le
proprietà ordinali e cardinali dei numeri
- ci sono altre scale a su cui ci si deve soffermare: le scale di atteggiamento
- La scala Thurstone o degli intervalli apparentemente uguali.
Si basa su una procedura che intende sottoporre, ad un gran numero di giudici una
numerosa serie di proposizioni collegate in qualche modo alla variabile che si intende
misurare.
Le proposizioni vanno suddivise in 11 classi: dalla più negativa nei confronti del concetto in
esame, alla più favorevole; attribuendo poi a ciascuna di queste un valore di scala pari alla
mediana tra le proposizioni attribuite dai giudici.
Si selezionano infine circa 20 proposizioni che si collochino ad intervalli scalari regolari
sulla base delle valutazioni dei giudici con relativo valore di scala di misurazione di un
atteggiamento.
La sua tecnica di costruzione è sintetizzata in cinque operazioni:
- Il ricercatore formula un gran numero di iitems = domande, indicatori, variabili,
proposizioni, che si riferiscono alla dimensione o proprietà da studiare
- La classificazione degli items
- Calcolo dell’item-score, cioè della mediana: il valore centrale di una distribuzione
in ordine crescente, delle posizioni assegnate dai giudici a ciascun item
- Selezione degli items per la scala finale: si scelgono gli items che raccolgono più
accordi tra gli indici e si scartano quelli che raccolgono i giudizi più disparati.
A tale scopo si misura la variabilità di giudizi, calcolando la dispersione Q, sulla base di
mediane grafiche e valori ogiva. Si scelgono gli items che raggiungono un basso valore, in
quanto quest’ultimo segnala il maggiore accordo tra i giudici.
- Applicazione della scala, facendo segnare al soggetto ogni item con cui è
d’accordo ed il suo score o punteggio complessivo è la mediana dei valori di scala di
tutti gli items segnati.
In teoria ciascun soggetto dovrebbe segnare solo un limitato numero di items contigui,
vicina alla sua vera posizione nel continuum ideale.
Se una larga proposizione di soggetti segna items non contigui, c’è il sospetto che la scala
non sia unidimensionale.
- la scala Likert, non punta all’obiettivo di determinare intervalli uguali, ma che consente di
provare se la proprietà misurata è effettivamente ordinata.
Si definiscono numerose proposizioni rispetto alle quali si chiede al soggetto di
esprimersi. Si procede ad un test delle proposizione su un campione che si assumono essere
rilevanti rispetto all’atteggiamento da rilevare rispetto all’atteggiamento da misurare per
poter eliminare le proposizioni che non discriminano soggetti che complessivamente abbiano
un alto od un basso punteggio e proposizioni rispetto alle quali non c’è correlazioni tra il
punteggio ottenuto dagli individui con il punteggio ottenuto dagli stessi.

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Questo vale ad assicurare la coerenza interna della scala, vediamo le fasi:
- Formazione degli items che si riferiscono alla dimensione o proprietà da misurare
- Classificazione degli item che vengono sottoposti non a giudici, ma ad un
campione dei soggetti a cui sarà applicata la scala definitiva chiedendo di valutarli in 5
categorie da 1: molto favorevole a 5: molto sfavorevole; ma il punteggio è invertito se
si tratta di items formulati in negativo.
- Selezione degli items per la scala finale: si calcolano i coefficienti di correlazione
tra ogni items e lo score totale (la somma degli scores di tutti gli items) e si selezionano
gli items con i coefficienti più alti
- Gli items selezionati sono sottoposti agli intervistati che devono esprimere il
grado di accordo da 1: molto favorevole e 5: molto sfavorevole.
Il suo score o punteggio sulla scala è la media dei suoi scores sugli items.
Uno scores ha significato non assoluto, ma relativo agli altri scores totalizzati dal
campione.
Il punto medio della scala ossia quello relativo alla zona centrale tra il continuum degli estremi
del pieno accordo e del pieno disaccordo è di difficile soluzione è per questo è eliminato.
- la scala cumulativa o scalogramma di Guttman: è una scala che si presenta come una
sequenza di gradini , una successione di elementi con difficoltà crescente in modo che chi ha
risposto affermativamente ad una domanda, deve aver risposto affermativamente anche a
tutte quelle precedenti.
Gli elementi che presentano questa continuità sono la prova dell’esistenza di un
continuum sottostante del quale gli elementi della scala sono indicatori
- anche con tutti gli accorgimenti permangono i limiti comuni a tutti i tipi di scala:
dall’arbitrarietà dei punteggi scalari, alla difficoltà di fare affidamento sulla possibilità di
operare quantitativamente sulle graduatorie ottenute, fino al limite di fondo di ogni strumento
di misurazione scalare e cioè l’incertezza circa la sua effettiva unidimensionalità.
La scala è, infatti, uno strumento di misurazione inaffidabile se uno o più dei suoi item
misurano in realtà dimensioni del concetto diverse da quelle sotto specifica analisi. Al che si
può ovviare in parte con l’accertamento dell’effettiva discriminanza dei singoli items e in
parte con una attenta analisi semantica, logica, pragmatica dei nessi intercorrenti tra
concetto, sue dimensioni e relativi indicatori.
Per le scale di misurazione degli atteggiamenti questa analisi è necessaria e richiede
particolare attenzione e finezza socio-psicologica.
- alcuni criteri di oggettività cui si approssimano le scale di atteggiamento:
- Equidistanza tra le categorie di risposta = Thurstone
- Riproducibilità, possibilità di riprodurre le singole risposte dei soggetti,
conoscendo il loro punteggio finale sulla scala = Guttman
- Unidimensionalità, tutte le domande o indicatori misurano la stessa cosa =
Guttman
- Affidabilità, riapplicabilità della scala per un gran numero di casi, con gli stessi
risultati a parità di condizioni = Likert
- validità ed attendibilità delle misure:
Le presunte tecniche di accertamento della validità della misurazione, vengono indicate da
vari autori in vario modo:
- “nell’uso scientifico la misurazione di un dato fenomeno dà origine ad una misura
valida se riesce effettivamente a misurare il fenomeno”: proponendosi come una forma
grossolana di oggettivismo.
Come si possa accertare se la misura riesca a misurare il fenomeno è impossibile da
dire.
- La procedura di convalida a vista, effettuata in conformità a giudizi di carattere
definitorio o semantico del concetto che si intende misurare.
- La procedura di “validazione mediante criterio”, che avrebbe a che fare con la
dimensione pragmatica e che consiste nella costruzione di un indice enumerativo
diverso da quello che si intende convalidare; si otterrebbero così due indici validi invece
di uno incerto.
- Questo di scorso rimanderebbe alla questione della sovrapponibilità degli indici
che non è che una conferma ex-post della appropriata costruzione di indici volti a
misurare il possesso di una proprietà.

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- “la convalida per costruzione” ossia l’applicazione del principio
dell’intercambiabilità nella relazione con una terza variabile, procedura operabile ex-
post.
Nel caso in cui la convalida non avvenga, può suscitare il forte sospetto che qualcosa non
vada nel processo di operazionalizzazione compiuto, ma dice ben poco in merito alla presunta
corrispondenza tra la misurazione costruita ed il fenomeno. Se una rilevata intercambiabilità
conforta nel far ritenere che la costruzione del dato sia stata effettuata in modo congruente
con la concettualizzazione, da cui si muove e che quest’ultima sia plausibile, per converso la
mancata intercambiabilità degli indici è spia certa che qualcosa non va.
Bisogna porre l’accento è che una sistematica concettualizzazione da sola, rileverebbe
l’incongruenza delle stipulazioni per costruire gli indici.Inoltre, bisogna tenere presente che,
quando è possibile costruire che si assumono come combinazioni di più indicatori diversi è
buona regola non già accertarne l’eventuale intercambiabilità, piuttosto scartarne entrambi
per costruire un solo indice più complesso e multidimensionale.
Per quanto riguarda l’attendibilità di una misurazione, che altro non è, se non la
stabilità di questa, essa non deriva necessariamente dalla validità.Possiamo trovare lo stesso
valore di un inadeguato, non valido indice con il passare degli anni. Ma se l’indice è ben
costruito, teoricamente l’attendibilità si afferma che dovrebbe essere garantita. Il che è vero
solo in parte: l’attendibilità è nella ricerca un fatto di breve periodo, di mesi piuttosto che di
anni.
Lo confermano gli indici di partecipazione politica, in cui tradizionalmente si attribuisce
un alto punteggio all’iscrizione a partiti politici. Sia la questione della validità che quella
dell’attendibilità sono, solo in minime parti affrontabili con procedure o tecniche di rilevazione
o elaborazione dei dati. Sono cruciali per la ricerca sociale, ma vanno essenzialmente
affrontate tenendo in considerazione la teoria entro cui il ricercatore si muove, alla coerenza
della definizione e scomposizione dei singoli concetti con l’intera rete teorica entro cui essi
sono inseriti, al nesso tra concetti indicati e concetti indicatori di parti di questi, alle relazioni
dei concetti-indicatori con altri concetti logicamente e teoricamente connessi. La
consapevolezza del fatto che anche i più sofisticati indici possono avere breve durata per
varie cause, come mutamenti sociali o nuovi sviluppi teorici e soprattutto l’essere consci della
sempre incerta validità, se usati singolarmente al di fuori della rete concettuale in cui si
inseriscono e nella quale hanno senso.

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