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Gli anni ’20 si concludono con la crisi di Wall Street. Parliamo del cinema che divenne immediatamente
di grandissimo interesse nei regimi totalitari. Il primo ad accorgersi della potenza del cinema è Mussolini
ma il cinema fu utilizzato come strumento di propaganda anche dallo stalinismo: esso doveva raccontare
i valori etici della classe sociale dei proletari e dei rivoluzionari.
Vera Muckina (statuetta): rappresenta l’estetica della dittatura stalinista, il cosiddetto realismo socialista.
Dziga Vertov, l’uomo con la macchina da presa, 1929. Il cinema diventa la decima arte, riprende la vita
quotidiana, è fortissima la componente di realismo in una comunicazione diretta della realtà. Infatti circa
10 anni prima si è sviluppata in Europa la corrente del realismo con Verga e Capuana in Italia,
Dostoevskij in Russia.
Sergei Ejzenstejn, la corazzata Potemkin: questo autore ha sfruttato il bianco e il nero (immagine di una
scalinata) in un modello di raffigurazione che gioca sulle ombre e sulle luci per dare una comunicazione
più espressiva. Non c’è sonoro, gli attori dovevano atteggiarsi per esprimere i sentimenti: si vede come
una donna stringe tra le braccia il figlio ucciso, si vede immediatamente il suo stato d’animo.
-Rodčenko, fotografie: modo di raffigurare la realtà attraverso un gioco di luce e ombra. Vengono colti gli
elementi che maggiormente contribuiscono a una geometrizzazione dello spazio. Viene colto nella sua
essenza l’industrialismo sintetizzato da un’unica immagine.
Donna con ombre a griglia. Fotografia di ingranaggi.
R. Wiene, il gabinetto del Dottor Caligari, 1920. Ci spostiamo in Germania: la corrente di cui fa parte è
l’espressionismo russo. Lo spazio viene completamente stravolto, si insiste molto sulla deformazione
dello spazio euclideo: sono molto vicini a questa visione i romanzi di Lovecraft, scrittore di fantascienza
visionario che narra di ambienti completamente deformi.
Fritz Lang, Metropolis: è stato un autore che ha saputo descrivere il suo tempo in maniera molto più
lucida dei suoi predecessori senza utilizzare gli stratagemmi dell’espressionismo tedesco. Metropolis è la
storia della nascita di una creatura artificiale, un robot che diviene infine una creatura in carne e ossa e
sconvolge tutta la situazione. Il film si richiama a quella cultura visiva dell’Europa degli anni 20 che si basa
sulla geometrizzazione dello spazio (linearismo dell’Art déco).
Bozzetto per il balletto Petruchka
Fernand Leger, bozzetto teatrale: c’è un assemblaggio continuo di forme, colori forti.
Progetto di interno architettonico. Anche il teatro, l’architettura diventano elementi intrinsecamente
grafici.
Ruhlmann, progetti di interni,1918. Manifesti di questo periodo.
Legrain, mobili. Stessi criteri: Geometrizzazione, contrasto di colori.
Nasce il problema della costruzione di nuovi apparecchi radio. Sono oggetti completamente nuovi, la
tendenza è di trasformare questi oggetti in oggetti d’arredo: prendono la forma di mobili. La
problematica è nuova ai progettisti perché sono oggetti di relativamente recente invenzione.
Kolo Moser, marchio della Wiener Werkstatte (casa di design d’élite). Il marchio è tutto giocato sulle due
doppie-vu.
Si modifica anche l’alfabeto: il lettering si conforma al nuovo gusto e le lettere si assottigliano, assumono
una certa corposità, giocano sugli spessori e sugli assottigliamenti, sulla psicologia della gestalt. Si cerca di
adeguare la grafica a questo geometrismo.
Cassandre (da studiare bene), manifesti. Manifesto di un treno: senso della velocità, non come nel
futurismo si mostra la velocità dell’oggetto, ma l’oggetto stesso e l’autore lo fa utilizzando una
prospettiva vertiginosa, lo spazio grafico è tagliato in verticale. E’ mostrato l’oggetto nella sua
potenzialità.
Altri manifesti Art déco, editoria déco, copertine: foglie/fuoco. Uomo che corre con braccia aperte.
La fantascienza comincia a fare i suoi primi passi.
Editoria déco: illustrazioni, una A.
motivi déco, scala rossa con palazzo marroncino.
Lanonov, copertina di rivista
Art déco, motivo ornamentale: è una nave vista in prospettiva.
L’Art déco non fu espressione unica della cultura occidentale tra le due guerre.
Il fascismo in Italia
Tra il ‘22 e il ‘43 l’Italia si trova sotto la dittatura fascista che ha largo seguito. I colori sono aboliti, domina
completamente il nero. Un deputato socialista si alza in parlamento e denuncia i brogli che avvenuti
durante le elezioni. Il deputato Matteotti viene ucciso, Mussolini si assume tutta la responsabilità sociale,
politica e morale. Lo stato italiano diventa uno stato corporativo. Patto sempre più stretto tra nazismo e
fascismo.
Al fascismo ci fu una fortissima resistenza: giornale “Non mollare”.
Tra il ‘35 e il ‘36 l’Italia invade l’Etiopia in una guerra di conquista sanguinosa, è stata l’ultima guerra
coloniale portata avanti dall’Europa.
La guerra d’Etiopia nelle immagini di propaganda: il nemico è rappresentato in maniera assolutamente
negativa. I trucchi di retorica visiva sono quelli utilizzati ancora oggi nel cinema per definire il buono e il
cattivo.
Nel ‘36 in Spagna scoppia la guerra civile tra le forze comandate dal comandante Francisco Franco e le
forze della repubblica. E’ una guerra internazionale perché vede l’invio di forti contingenti da tutto il
mondo: l’Italia si schiera con i nazionalisti di Franco. Si scontrano in campo le brigate internazionali a
favore della repubblica e i falangisti a favore di Franco.
Robert Capa, il miliziano colpito: è una fotografia simbolo di tutta una stagione, si è scoperto più tardi
che è un falso.
Picasso, Guernica: racconta la distruzione ad opera dei tedeschi della piccola cittadina di Guernica.
In Italia questi sono gli anni del consenso (grande folla).
Negli anni ‘30 si assiste anche alla crescita dell’industria italiana concentrata soprattutto nel triangolo
industriale del Nord. Cosa accade in questo periodo nel design? Disegno di nuovi modelli di automobili.
Due scuole di design, una che vuole le automobili morbide e curve per dare senso della velocità, l’altra
che vuole le automobili piatte, quadrate.
Si sviluppa anche l’industria bellica e soprattutto aeronautica che non raggiunge però i livelli raggiunti
dalla Germania e dalla Gran Bretagna.
Aereo quadrimotore.
Negli anni ‘20 il design italiano comincia ad adeguarsi ai livelli europei: gli oggetti di design cominciano
ad essere prodotti in maniera massiccia. Produzione di mobili che stravolgono completamente lo spazio
secondo i dettami di Le Corbusier, lo spazio diventa completamente libero e fluido, privo di mobili
massicci che impediscono il passaggio dell’aria. Macchine da scrivere: Studio delle forme dettato dalla
funzione.
Levi Montalcini, edificio a Torino: l’architettura sfrutta tutte le possibilità date dal cemento armato e
punta sulla disposizione dell’edificio e sulla modularità (elementi tutti uguali). Su questi principi gioca la
creatività del progettista.
Giovanni Muzio, Ca’ Bruta, Milano. Muzio lavora molto sull’angolarità dell’edificio in modo da creare
scorci suggestivi.
Giuseppe Terragni, Novocomum: riesce ad esprimere il meglio di questo razionalismo che deve
esprimere una nuova forma di convivenza.
Casa del fascio, Como: rinnova la ricerca futurista. Scelta di tipo ideologico: il vuoto e il pieno, la
trasparenza e l’opacità devono comunicare un’ideologia.
Lancia-Ponti, palazzo a Milano. Vi è un compromesso: poiché un grattacielo non può essere costruito
con i mattoni data la loro pesantezza, si è ricorso al falso mattone che dà comunque un’idea di solidità.
Giovanni Michelucci, stazione di Santa Maria Novella, Firenze: esempio di architettura moderna, è una
stazione estremamente ariosa. Davanti ai binari lo spazio per i servizi.
-Marcello Piacentini, tribunale di Milano: il fascismo diceva che gli architetti dovevano rifarsi
esplicitamente all’architettura romana. Monumentalismo che celebra l’imponenza del potere. Piacentini
progetta molti edifici in tutta Italia tra il ‘20 e il ‘30: sono edifici tronfi, monumentali. Edificio dell’Eur a
Roma, facciata principale dell’Università della Sapienza con la statua di Minerva. Quest’architettura si
esprime attraverso finestre molto grandi che danno l’idea di innalzamento verso l’alto e superfici molto
lisce.
Il fascismo tollera tutte le correnti architettoniche dell’epoca e si impegna nella fondazione di nuove
città come Guidonia. Gli architetti si fanno direttamente al razionalismo. Fondazione di Cinecittà.
Carmine Gallone, Scipione l’africano, 1937: grandi film di massa.
Mario Camerini, il signor Max: commedie che servivano per distrarre e divertire la popolazione.
Alessandro Blasetti, la cena delle beffe.
Blasetti, la corona di ferro, 1941. Locandina di Duilio Cambellotti, film ambientato in una sorta di
medioevo fantasy. Si insiste sul ferro delle spade, sul ferrigno.
Luchino visconti, ossessione, 1943, primo film neorealista.
Gerardo dottori, crocifissione, 1924.
Fillia ,bicicletta fusione paesaggio.
Enrico Prampolini
Depero, radio in fiamme e treno. Sono artisti esponenti di un secondo futurismo.
-Depero, arazzo. Depero, stand fieristico: prende le lettere, i segni tipografici e ci costruisce sopra
un’architettura.
-Depero, manifesto pubblicitario della magnesia San Pellegrino, ha progettato anche la bottiglietta del
Campari.
-Depero, panciotto.
Prima biennale di Monza, manifesto. A Monza nel 1923 si apre una esposizione di Art déco che diventa il
più avanzato laboratorio italiano di sperimentazione sul design.
Continuano le biennali di Monza, II e III biennale di Monza.
IV biennale di Monza. Dal ‘30 in poi assume un nuovo elemento: esposizione di arte decorativa e
INDUSTRIALE.
A partire dal ‘33 la biennale si trasferisce a Milano, diventa triennale e viene ospitata nel palazzo
disegnato da Giovanni Muzio diventando il luogo che da tutto il mondo attira designer.
Da questa intensa ricerca progettuale nasce il moderno disegno industriale italiano.
Mauro Reggiani e Mauro Radice danno vita a una pittura completamente nuova e appartata, non da
gallerie.
In Italia nel 1933 nasce lo studio Boggeri (studiare bene) che accoglie diversi collaboratori cui affida
singoli progetti, uno studio che rimane noto ancora oggi. Pubblicità del caffè Illy. Attraverso lo studio
Boggeri si presta attenzione anche ai particolari del linguaggio visivo: si studiano meccanismi di natura
retorica che accrescono il potere di SEDUZIONE: forma di bocca di Dalì, “nell’ora del tramonto gli
innamorati” di Man Ray.
Nascita di “Campo grafico”, ossia di una rivista impegnata nella costruzione di una nuova grafica italiana:
si ha una ricerca indirizzata in una stessa direzione, ricerca nei fascicoli stessi della rivista. Per esempio
copertina interamente dedicata ai segni di correzione delle bozze. La rivista assume una precisa funzione
didattica.
Campo grafico, impaginazione: “la necessità dello schizzo”. Ricerca sull’estetica.
Campo grafico: innovazione. Per fare sì che le grandi industrie adottino una grafica moderna bisogna
adattare la grafica anche di una semplice fattura, dimenticare gli svolazzi ottocenteschi e lavorare sulla
semplicità. La bellezza è portata in ogni ambito della vita quotidiana.
Magritte, manifesto dell’Alfa Romeo: non è messa in primo piano la macchina ma per averla bisogna
essere vestiti in un certo modo, essere circondati da quelle persone, c’è un’aria di seduzione che attira il
consumatore.
Pozzati, manifesto con una moto.
Sironi, manifesto dell’Ambrosiana.
Giannini e Giovanelli, manifesto di Venna in cui tutto lo spazio si gioca sulle G.
Storia dell’arte
Tamara De Lempička
Siamo negli anni ’20. Il periodo artistico è quello dell’Art déco che nasce nel 1925, anno in cui si tiene
un’esposizione internazionale dell’arte decorativa. Lì viene presentato questo movimento e il sentimento
che pervade i protagonisti di quest’arte. Che cosa prevede l’Art déco? Prevede innanzitutto l’eleganza: è
appena finita la guerra e c’è un periodo di forte crescita e ricerca di bellezza estetica. È molto presente la
natura, forte geometrizzazione dello spazio. Si sviluppa soprattutto nei campi della pittura, della moda e
della letteratura.
Tamara de Lempička è molto forte come figura artistica e come figura femminile, è una donna simbolo
con una personalità imponente. Nasce in Polonia ma si trasferisce in Russia dove sposa un uomo di
cognome De Lempicki da cui trae il suo nome d’arte. Decide di trasferirsi in Francia e fa un buon numero
di viaggi in Italia.
La sua pittura inizia nel 1923. Nella fotografia dipinge un uomo. È una cosa
particolare perché dipinge donne molto più spesso. Lavora in pittura ma tratta le
figure come se fossero delle figure scultoree, le gonfia. I contrasti di luce sono molto
forti, lavora molto con le forme tonde.
Se noi astraessimo questa figura avremmo un gran numero di
cerchi ed ellissi. Questo le deriva dal cubismo, in particolare
dal suo maestro Andrés Lhote, un artista favorevole alla geometrizzazione di
tutto ciò che vedeva. Se noi guardiamo il volto della figura notiamo un trucco e
degli occhi simili a quelli nella foto. Le pose delle figure sono innaturali, le
deforma. Le modifiche che lei apporta al suo stile nel corso degli anni sono poche,
è ripetitiva. Non mette mai le ciglia, le sue donne sembrano quasi robot, proprio
per questa geometrizzazione. Mentre con Picasso si arriva ad una
geometrizzazione che appiattisce, lei lavora in tre dimensioni, non c’è
appiattimento, è data l’idea di qualcosa di duro, robotico. La donna che ha gli
occhi socchiusi ha negli occhi il colore del foulard dell’altra donna, ma i suoi occhi sono spenti, robotici,
non ne riconosciamo l’umanità. Lo sguardo è sfuggente. Rappresenta molto spesso figure femminili: ha
sempre sottolineato che sceglieva di rappresentare le persone che amava, è un caso di lesbismo. Se noi
guardiamo le caratteristiche di queste figure esse sembrano quasi macchinari: la luminosità crea questa
sensazione di artificio e freddezza. Tutta questa pesantezza viene alleggerita dal foulard che è un
elemento decorativo. In secondo piano si intravede una città, una città moderna, New York. Un altro dei
suoi maestri è Maurice Denis. Solo dopo i viaggi in Italia alleggerirà i vestiti dei suoi
quadri. Mette queste vesti e questi teli secondo la moda del tempo, infatti l’Art déco si
dedica anche alla moda.
Ritratto della Duchessa de La Salle, 1925. I tratti sono maschili, la posa e il vestito sono
maschili. Il paesaggio risente di cubismo e di futurismo. I viaggi in Italia portano
Tamara ad appassionarsi all’arte classica. Alle spalle della duchessa non si riesce a
comprendere dove finisce la città: molto spesso lei tende ad unire confondendo
l’interno e l’esterno della scena, c’è una compenetrazione tra la figura e la città perché
moderno è lo sfondo come la figura rappresentata. Utilizza una grandissima
percentuale di grigio per bilanciare la presenza di altri colori. Come sono vestite queste persone è per lei
un elemento fondamentale.
Quadro di Ingres del bagno turco: il soggetto è lo stesso, anche l’ambientazione, il
genere è lo stesso, la sensualità è sullo stesso livello ma in Tamara de Lempička
non c’è questa idea di vita, c’è un’idea di meccanizzazione che lei trasferisce su
questi corpi. Ingres rimane il suo modello così come il manierismo che esasperava
le forme. Esaspera le posture, le posizioni sono forzate. Moltissime sue figure
vengono riprese dal basso. In fondo a destra si ritrova uno spicchio di città che
anche se piccolissimo non viene a mancare.
Adamo ed Eva, 1932: ripreso sempre da Ingres, è la rilettura di un mondo al quale
Tamara de Lempička si avvicina.
Ragazza coi guanti, 1928: la forma dei guanti ritorna nel vestito in
un senso di circolarità: rispetto al foulard di prima i tessuti sono
molto più leggeri e aderenti. Spesso queste figure non guardano lo
spettatore ma esce questa sensualità accattivante.
Madame Boucart, 1931. Le figure sono spesso immobili, bloccate, ferme, fredde,
sono fatte quasi d’acciaio. Essendo così sproporzionate, sembra che esse escano
sempre dalla tela. Le mani sono molto lunghe e affusolate. Le forme geometriche si
ritrovano anche nel volto, nelle sue opere cerca un ritmo che viene dato dal vestito e
dalle stoffe.
Madame P., 1930. Quello che inizia ad inserire sono i fiori. La calla
è il fiore simbolo che lei sceglie per la sua particolare forma. Ad un
certo punto si astrae dalla figura femminile e si
concentra sulla forma dei fiori. Le stesse luminescenze
chiaro-scuro da faretto fotografico lei le porta nelle
sue rappresentazioni della città.
Autoritratto, 1932. Mette se stessa nei ritratti, si
rappresenta mentre guida.
Giorgio De Chirico
Siamo nel 1910: sono anni molto ricchi di sperimentazioni, diverse esperienze si sovrappongono. Nasce
questa modalità per cui gli artisti progettano, creano e si rispondono a vicenda. La metafisica che ha
come rappresentante De Chirico nasce nel 1910 come una risposta alle avanguardie che hanno una
visione eccessivamente positiva. La metafisica ha invece una visione molto negativa dell’universo, sono
cambiate le coordinate naturali: secondo loro l’uomo fa fatica a inserirsi in questo tempo nuovo.
Nasce in Grecia, dopodiché si trasferirà a Monaco. La metafisica vede un
mondo che non ha certezze cui l’uomo si deve adeguare: tutta questa
incertezza, instabilità, è portata all’interno delle opere. Le strade non hanno
più una loro linearità, sono oblique. De Chirico inizia a
inserire architetture classiche ma lo spazio non è a
misura d’uomo anche perché l’uomo è
completamente assente. Quando c’è, l’uomo diventa molto
piccolo, è sperduto, queste due presenze umane sono tra di
loro isolate.
Quali sono gli elementi di modernità? Ci sono spesso elementi che si richiamano
all’idea di viaggio: treni e carrozze. Molto spesso rappresenta elementi da viaggio che
non si muovono o che non riescono ad esplicitare la propria direzione: questo
esprime il concetto dei surrealisti dell’incertezza, del dubbio. L’incomprensibilità
porta a porsi delle domande. La metafisica in questo senso è come se fosse una sorta
di pre-surrealismo.
L’incertezza del poeta, 1913. Le ombre sono molto accentuate e questo perché
non rappresentano l’ora del giorno in cui si verificano. C’è un’incongruenza dello
spazio e del tempo: molto spesso i surrealisti avvicinano oggetti che non
riusciamo a collegare, non riusciamo a dare senso. È il racconto di ciò che De
Chirico sente nella realtà.
La rappresentazione della classicità: Ettore e Andromaca, 1917. Viene dato alle
figure umane una forma robotica: l’uomo ha perso la sua immagine, la sua
capacità di vedersi e di sentirsi come uomo: è lui che si sente
un manichino, è il pittore che si è perso. Il manichino è una
sorta di stilizzazione di tutte le statue classiche.
Quello che rappresenta il pittore non è la realtà ma quello che
lui vede nella realtà. Ritorna il tema del metateatro di
Pirandello da cui De Chirico trae il nome metafisica.
Il figliol prodigo: le sue due realtà si incontrano.
Marussig
C’è l’idea che bisogna restare nella realtà per essere Novecentisti. Ma ci sono
elementi molto classici: la posa è classica da ritratto e anche il panneggio è
classico. C’è una pulizia formale che molto spesso si trasforma in rigore.
Ci sono artisti che rispondono alle regole di Novecento come i “Sei di Torino” o
“Corrente”. Fontana contesta a Novecento il fatto che un regime non debba
condizionare una tradizione artistica. Rappresenta una signorina seduta che si
accarezza i capelli. Che cos’è che è diverso da Novecento? I colori: Novecento non
avrebbe rappresentato una persona d’oro.
Anche Sassu non si attiene alla realtà per quanto riguarda il colore affermando il suo
valore soggettivo. De Pisis riprende una pennellata molto simile a quella degli impressionisti. Per lui la
forma dev’essere pulita.
Corrente. Perché si chiama così? Perché scrivono una piccola poesia in cui credono che la creatività sia la
corrente di un fiume che non può essere bloccata.
Magritte
Nasce come grafico, si occupa del disegno di tappezzerie: è una radice che rimarrà all’interno della sua
produzione. Magritte segue il gruppo di pittori del surrealismo che dà vita a un
manifesto nel 1924 (André Breton). E’ una figura che dipinge tantissimo, quasi
un quadro al giorno, è una vita monotona, non ha uno studio: secondo lui si
può dipingere in casa. La sera va spesso a giocare a scacchi e si ritrova con gli
amici cui sottopone le sue opere: i titoli che lui mette derivano spesso dalle
discussioni che ha con i suoi amici. Chi è l’uomo con la bombetta? Non è lui ma
un uomo qualunque, un uomo che molto spesso ci viene nascosto dal pittore, quello che ci nasconde è
la cosa fondamentale.
Magritte parte dalla realtà quotidiana che tutti conoscono ma non la rappresenta, la rielabora. La sua
musa ispiratrice è la moglie con cui ha un’unione indissolubile e lunghissima: il 90% delle figure femminili
sono la moglie. Non hanno mai avuto figli, solo un cane. Rappresenta la moglie come una sorta di dea
moderna che vaga tra le nuvole. Anche se dipinge opere eccentriche, è una persona molto precisa,
attenta e razionale, non è estroso o sopra le righe.
L’impero delle luci, 1954. Che cosa racconta il surrealismo di Magritte?
Come tutti i surrealisti egli ritiene che il cervello dell’uomo si sia
annientato quindi se io continuo a mettere di fronte all’uomo la
modernità, la mente dell’uomo non si discosta, l’uomo si specchia e
quindi non si pone delle domande. Se io invece pongo agli occhi
dell’uomo qualcosa che è fuori dal normale, irrazionale, allora l’uomo si
pone delle domande. Quest’opera è decisamente emblematica: si parte
da un’ambientazione attinente alla realtà ma ci sono degli elementi
contradditori: c’è una sorta di poesia mentale che comincia ad entrare
all’interno dell’arte. Come De Chirico rappresenta uno spazio e un
tempo che non sono più regolari, assoluti, fermi e condivisi da tutti, in
questo quadro per esempio nella parte anteriore c’è buio tanto è vero è accesa una luce, nella parte
posteriore invece c’è luce diurna.
Qual è la risposta alle nostre domande? Non c’è risposta perché se ci fosse la mente dell’uomo
troverebbe riposo, si fermerebbe. La tendenza dell’uomo è quella di capire e se l’uomo non capisce, si
ferma. Afferma: “Fortunati coloro che capiscono le mie opere perché non le capisco neanch’io”. Ci sono
elementi ricorrenti come l’acqua: egli ha visto sua madre morire annegata avvolta in un vestito bianco, si
può fare una lettura critica e leggere che questo simbolicamente si richiami alla morte
della madre ma questa lettura è azzardata.
In un altro quadro sono posti vicini una nuvola e una pietra, come se avessero lo
stesso peso.
Ha un’impostazione grafica da cui non evolve molto, la sua pittura rimane sempre
uguale a se stessa, mette davanti il concetto rispetto alla tecnica.
Un’altra delle sue idee è l’ibridazione: se si pongono vicino degli oggetti in una
relazione completamente illogica (per esempio ombrello e
macchina da scrivere) Magritte è convinto che noi siamo in grado di
immaginarci una nuova realtà trovando affinità tra i due oggetti.
Un secondo grado di ibridazione è di tipo piede-scarpa.
Ibridazione: la cima della montagna prende la forma di un’aquila,
idea della guerra.
Un’altra idea è lo scambio dimensionale: la parete è ambigua perché la
tappezzeria può essere interpretata come un cielo, si crea una dicotomia, non si
arriva mai a una risposta, è un effetto allucinatorio.
Uno dei postulati della pittura è che essa raffiguri la realtà. Magritte afferma che
la pittura non rappresenta la realtà perché se ho un oggetto
e lo dipingo è avvenuta la mediazione di un passaggio
mentale, la pittura non rappresenta la realtà, non è una
finestra sulla realtà ma la realtà è immaginata, ricreata.
Quadro in cui dipinge una donna: il pittore sta ricreando la
realtà.
Rappresenta il teatro: rappresenta spessissimo il Bilboquet,
un gioco per cui ho un’asta di legno con cui devo infilare
una pallina in un buco. Rappresenta il teatro per dire che questa non è la realtà.
La gamba del tavolo sembra una gamba umana.
La condizione umana, 1933. C’è una sorta di inganno, di illusione tra il dentro e
il fuori. Se non ci fosse stata la punta del cavalletto non ci sarebbe stato
l’equivoco.
Il rapporto di Magritte con la parola è fondamentale: deriva dalla sua
impostazione grafica.
Il tradimento delle immagini, 1928 (ceci ne pas une
pipe). Grande scandalo, ma il ragionamento di
Magritte è elementare: non la posso fumare né
accendere quindi non è una pipa.
Edward Hopper
E’ un pittore sempre uguale a se stesso, non cambia molto il suo modo di vedere la realtà nonostante le
cose cambino molto: per esempio per lui le cose non cambiano tra il 1928 e il 1930. Raccoglie visioni
americane che portano con loro tutta la solitudine, la depressione ecc. Tutto ciò che c’è prima del ’29, la
crescita economica degli USA, lui lo rifiuta e se lo vede lo vede come estremamente negativo. Presenta le
sue opere nel 1912 al , un’esposizione delle avanguardie che si tiene a New York. E’ distante dalle
avanguardie: mentre le avanguardie credono nello sviluppo per lui tutto ha un limite, la città diventa un
allontanamento dell’uomo dai suoi limiti, dalla natura.
La sua vita è stata molto ordinaria, forse è un po’ più avventuriero di Magritte, ha una moglie molto
fedele anch’essa pittrice. Il loro primo viaggio è in Europa, a Parigi, dove rimangono per 9 anni. A Parigi
Hopper comincia a lavorare non sulla materia delle avanguardie ma sulla materia dell’impressionismo.
Queensborough Bridge, 1913. Quando torna in America lui non riesce a sopportare più nulla
dell’ambiente in cui vive, lo vede come qualcosa di deprecabile, ha un forte desiderio di tornare a Parigi.
Ci sono molti aspetti in comune con l’impressionismo: tratto molto veloce, tema comune agli
impressionisti, il ponte rappresenta la modernità, poi c’è l’elemento del fiume che interessa
all’impressionismo perché l’acqua si muove. Parte dagli impressionisti anche per la loro modalità
pittorica da cui è affascinato. Astrae molto le figure di cui non si vedono gli occhi. Utilizza colori irreali,
inesistenti e stranianti rispetto alla situazione. Sul fiume si specchiano tutte le ombre che arrivano dal
ponte.
Un anno importante è il 1928: si è un po’ attenuato l’odio per gli USA. Vagone. A lui non interessa
l’avanguardia, la rifiuta. Dice: “La mia immagine è fatta di ricordi e perciò la mia opera non è un lavoro di
intelletto, l’opera delle avanguardie è un’opera di intelletto” Quella che lui vede mancare è la parte calda,
irrazionale delle avanguardie, movimenti scientifici ed estremamente razionali. Hopper sente tantissimo
questa mancanza, la mancanza di una parte umana. Questa parte umana lui la porta nelle sue opere. Nel
vagone si inizia a vedere uno scarto di luce e ombra fortissimo, irreale.
Cinema a New York. Molto spesso rappresenta spazi chiusi, è molto legato a uno spazio raccolto che può
essere per esempio un teatro. Porta nelle sue opere tutte quelle attività come la lettura di un libro, la
fruizione di uno spettacolo teatrale che isolano l’uomo. Che cosa vediamo? Una persona a sinistra, ne
intravediamo la presenza grazie a un barlume di luce. A destra vi è una maschera (una donna che
controlla il teatro). Abbiamo la sensazione di luoghi occupati dal vuoto, da nient’altro che dal vuoto.
Quadro famoso con teatro. Tre personaggi, due donne e un uomo. Se noi potessimo tracciare la
direzione degli occhi dei personaggi, non si incontrano mai: sottolinea l’alienazione dell’uomo dovuta
alla città, nei suoi quadri è assente la comunicazione.
Atrio di un albergo, 1943. Di solito l’atrio di un albergo è un posto dove usualmente persone scambiano
parole ma anche in questo caso gli sguardi non si incontrano. C’è una relazione interno-esterno: la donna
guarda al di fuori della finestra. Due possibili soluzioni: in interno una persona può guardare l’esterno ma
non vediamo la finestra o dall’esterno non si vede l’interno, in ogni caso non c’è comunicazione tra
dentro e fuori.
Stanza a New York, 1932. La donna che sta suonando il pianoforte lo suona con grandissimo disimpegno
ed è di spalle all’uomo, la comunicazione non c’è. Dice: “L’unica distanza che c’è tra il fruitore e la mia
opera è il vetro”: gli importa solamente che noi troviamo le sensazioni che lui ci vuole raccontare.
I nottambuli, 1942. Ancora una volta la situazione è la medesima. C’è una visione fortemente fotografica,
quasi un occhio cinematografico. Il barista non sta parlando con gli avventori. Quello che rimane è
questa geometria fatta di luce, tutte le linee che hanno più evidenza sono quelle che dividono l’ombra
dalla luce e questo non è altro che un’esasperazione di quello che ha imparato dagli impressionisti.
Stanza a Brooklyn, 1932. Se vediamo l’esterno non vediamo più la donna, c’è un parallelo tra il vaso di
fiori sul tavolino e la donna, sono tutti e due in posizione accasciata. Ma la donna non guarda l’esterno,
non è interessata, guarda un angolo in basso a destra.
Mattino a Cape Cod, 1950. Questa donna è talmente colpita da un raggio di luce che se ci avvicinassimo
ci renderemmo conto che il suo bulbo oculare è completamente scuro, non sta guardando
assolutamente nulla. Molto spesso nei suoi quadri c’è questo accostamento di cultura e natura, dove
finisce la casa inizia la natura.
Sole del mattino, 1952. Il volto di questa donna è appena accennato, ha un volto livido come se avesse il
viso tumefatto, la donna è sola, non sta guardando fuori dalla finestra. Molto spesso le donne sono nude
in una doppia lettura, da un lato fragilità della figura femminile, dall’altro vera e propria ossessione per il
corpo femminile. Quello che noi sentiamo muoversi mentre guardiamo questi quadri è il pensiero: la
loro solitudine ci dà l’idea che la persona comunichi con sé stessa ma è tutto completamente fermo.
Ben Shahn
Questa è la brutalità nazista, 1942. E’ una comunicazione
grafica nello stesso tempo molto realistica e anche molto
impressionista.
La passione di Sacco e Vanzetti, 1932.
Nello stesso periodo nella stessa America assistiamo alla nascita
di movimenti artistici molto diversi fra loro.