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DIRITTO

PROCESSUALE
di Mauro Ansaloni
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Legenda
commento - spegazione

esempio pratico o narrativo

un po’ esempio un po’ commento

articolo di legge

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DIRITTO PROCESSUALE
PRINCIPI GENERALI
Il processo penale nasce per punire i reati.
I reati, sono dati da una norma incriminatrice che ha un tipo
particolare di sanzione.
L’esigenza che deve affrontare un processo penale è quella di
bilanciare due interessi che sono tra loro contrapposti:
⇒ l’interesse dello stato di reprimere i fatti previsti dalla legge
come reato;
⇒ l’interesse del singolo a non vedersi condannato per un fatto
che non ha commesso o vedersi condannato per un fatto più
grave rispetto a quello che ha commesso.
Tutti gli istituti del processo penale servono per bilanciare questi
due interessi contrapposti.
Storicamente il processo penale ha seguito due strade diverse:
⇒ la strada del modello inquisitorio;
⇒ la strada del modello accusatorio.
In nessuna parte del mondo esiste un processo inquisitorio puro o
un processo accusatorio puro; esistono sistemi misti che possono
essere prevalentemente accusatori o prevalentemente inquisitori.
Le democrazie liberali hanno tutte dei sistemi che sono
prevalentemente accusatori, perché si è dimostrato che è questo il
tipo di processo che permette di garantire maggiormente
l’imputato.
Il processo inquisitorio è così chiamato perché c’è una figura
centrale che è quella del Giudice istruttore che concentra in se tutta
una serie di poteri che vanno dalla ricerca della prova alla
valutazione della stessa.
⇒ Inquisitorio perché c’è un Giudice che istruisce e valuta la
prova;
⇒ Accusatorio perché c’è una accusa esercitata da un soggetto
distinto dal Giudice.
Il processo inquisitorio è fondato sul principio dell’autorità e l’idea di
fondo è che per reprimere i reati ci sia bisogno di un soggetto che
disponga del massimo dei poteri possibili, perché è solo in questo
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modo che i reati possono essere repressi in maniera tempestiva ed


efficace.
È fondato sul principio dell’iniziativa di ufficio, e cioè il Giudice può
⇒ attivarsi senza essere stimolato da nessun organo diverso;
⇒ ricercare le prove dove, la ricerca avviene nell’ambito di una
istruttoria che presenta generalmente i caratteri della
segretezza.
Il processo inquisitorio è un processo fondato sulla scrittura, una
scrittura che si forma prima della fase di valutazione della prova.
Nel processo inquisitorio non vi è tendenzialmente nessun limite
all’ammissibilità delle prove, perché prevale il fine sul metodo che
viene utilizzato.
Il Giudice in questo processo assume le prove e le ricerca.
Un sistema del genere non è solo di uno stato assoluto in quanto
l’esigenza che il Giudice possa intervenire nel momento di
formazione della prova, anche disponendola d’ufficio, è un’esigenza
sentita in tutti i sistemi.
Anche nel nostro processo che è un processo con modello
prevalentemente accusatorio, c’è una norma in evidentemente
contrasto con il modello tendenziale, che prevede che il Giudice
possa assumere d’ufficio delle prove.
Tale norma è stata più volte ritenuta costituzionalmente legittima
da parte della Corte Costituzionale ed è sempre stata salvata nel
nostro sistema sulla base della considerazione che il fine ultimo del
processo penale deve essere comunque quello dell’accertamento
della verità, perché il processo penale prende in gioco degli
interessi fondamentali dell’individuo quali quello della sua libertà
personale.

La libertà personale è un diritto irrinunciabile, quindi non si può risolvere il


processo penale partendo dal presupposto che sia una contesa dialettica tra
due parti poste sullo stesso piano con un Giudice esclusivamente come
arbitro terzo.
La giurisprudenza si è spinta fino al punto di ritenere che attraverso questa
norma, il Giudice possa decidere di assumere anche prove dalle quali le parti
siano decadute.

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All’inizio di un processo penale vi è infatti un momento di confronto tra le


parti, pubblico ministero, difensore e Giudice, nel quale si ammettono le
prove.
Il Giudice valuta quali sono le prove ammissibili ed esclude quelle che ritiene
contrarie alla legge, quelle che ritiene irrilevanti o sovrabbondanti.
Può capitare e capita sovente che alcune prove che pure sarebbero rilevanti,
non siano chieste tempestivamente.
Ora al termine dell’istruttoria dibattimentale, il Giudice può intervenire e,
qualora ritenga questa prova indispensabile, può disporla ad ufficio anche
se la parte è decaduta.

La tendenza del processo inquisitorio è quella che non vi sono limiti


all’ammissibilità delle prove, altra caratteristica è quella in un
sistema inquisitorio puro, che dopo la raccolta di sufficienti indizi, in
una fase preliminare, non valga la presunzione di innocenza e una
persona sia chiamata a discolparsi rispetto alle prove che sono
state raccolte dal Giudice istruttore nel segreto.
In linea teorica ciò significa che è ammissibile la carcerazione
preventiva, vista come un anticipo della pena che verrà scontata
alla fine del processo.
L’ultima caratteristica fondamentale di un sistema inquisitorio sta
nella molteplicità dei sistemi di impugnazione.ovvero:
⇒ inizialmente il sistema ritiene che il mezzo migliore per
arrivare a reprimere un reato, sia quello di concentrare il
massimo dei poteri in un unico soggetto;
⇒ una volta che si è pronunciata la sentenza, il sistema si ricorda
che il Giudice è un uomo e può anche sbagliare,
⇒ quindi predispone tutta una serie di mezzi di impugnazione
che attraverso diversi gradi, formano un sistema verticistico
che si avvicina all’organo che ha il controllo politico.
⇒ All’apice di questo sistema piramidale, vi è poi il potere di
concedere la grazia o l’indulto ovvero il sistema politico si
riserva la possibilità di intervenire in ultima istanza per evitare
l’applicazione della pena.
Quindi, per stabilire se un sistema sia accusatorio o inquisitorio,
occorre vedere se la prova tendenzialmente si forma oralmente

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nell’ambito del giudizio in senso stretto, nel confronto dialettico tra


due parti, oppure si forma in una fase precedente.
⇒ se si forma in una fase precedente deve essere
necessariamente una prova scritta,
⇒ se si forma all’interno del giudizio, nel confronto dialettico tra
le parti è tendenzialmente una prova orale.
Le caratteristiche base di un sistema accusatorio, sono
specularmene inverse a quelle del sistema inquisitorio:
⇒ al principio di autorità si contrappone il principio dialettico, con
la separazione delle funzioni del processo;
⇒ il processo si fonda sulla tecnica della tesi-antitesi e sintesi;
⇒ vi sono più parti e ciascuna parte ha un potere distinto.
Troviamo quindi:
⇒ un pubblico ministero, che esercita l’azione penale e ricerca le
prove a carico;
⇒ un difensore che ricerca le prove a discarico e queste prove le
deve poter ricercare anche prima del giudizio;
⇒ il Giudice che tendenzialmente non assume prove ma le
valuta.
Il principio che sta alla base di questa separazione è che nel
momento in cui una persona viene e assume una prova tende a
formare un pregiudizio, e quindi se il Giudice assume lui
direttamente le prove si formerebbe questo pregiudizio e non
farebbe altro che andare alla ricerca di conferme alla sua tesi.
Accanto al principio dialettico vi sono altri principi quali:
⇒ iniziativa di parte all’interno del processo, il che vuol dire, che
il Giudice non si attiva mai d’ufficio, ma viene attivato sempre
da un altro organo.
⇒ il Giudice non potrà applicare una misura cautelare più grave
rispetto a quella prevista dal pubblico ministero.
Alla scrittura si contrappone il modello dell’oralità, con limiti alla
ammissione delle prove, nel senso che il potere del Giudice non si
concentra nella ricerca della prova, ma nel vagliare le prove che
sono ammissibili all’interno del procedimento.

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Il momento di ammissione della prova è un momento importante, è


il momento di filtro per decidere quali siano le prove che poi
possono essere assunte nel corso dell’istruttoria.
Un’ altra caratteristica fondamentale del principio accusatorio è
quella della presunzione di innocenza.
Una persona non è considerata colpevole di un reato fino a che ciò
non sia stato stabilito con una sentenza definitiva, ossia una
sentenza passata in giudicato, che quindi abbia superato il vaglio
non solo del Giudice di primo grado, ma anche del Giudice
dell’impugnazione e il vaglio finale della corte di cassazione, quale
Giudice di controllo della legittimità del processo.
Gli ultimi due principi tipici del sistema accusatorio sono:
⇒ che la carcerazione preventiva in linea tendenziale non è
ammessa,
⇒ che vi è un limite alle impugnazioni
Ci sono dei casi particolari in cui la carcerazione preventiva può
essere ammessa, questi casi sono disciplinati nel nostro codice
nell’ambito delle misure cautelari personali, e i presupposti di
queste misure cautelari personali, non sono solo l’esistenza di gravi
indizi di reità, che ovviamente non vuol dire ancora che ci sia la
prova di un reato, ma sono anche l’esistenza di certe e specifiche
esigenze cautelari che possono essere il pericolo di inquinamento
delle prove, il pericolo di fuga della persona, il pericolo della
commissione da parte dell’indagato di altri gravi reati contro la
persona o reati della stessa indole di quello già commesso.
Visto che la logica del sistema è che la prova non si forma prima del
dibattimento, ma si forma nel dibattimento, nel confronto dialettico
delle parti, è durante il dibattimento e non in altri luoghi che la
prova debba essere valutata.
La tecnica con cui valutarla è quella dell’esame incrociato, quindi un
confronto tra domande del pubblico ministero e domande della
difesa.
Superata questa fase che si tiene davanti al Giudice che valuterà
quella prova e che ha assistito all’assunzione orale di quella prova,
potranno esserci dei mezzi di impugnazione, ma dovranno essere

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dei mezzi che sono di controllo dell’operato del Giudice non tanto di
formazione di una nuova prova in sede di impugnazione
I mezzi di impugnazione quindi non serviranno per assumere nuove
prove ma faranno leva su organi di controllo del comportamento
che ha avuto il Giudice nella fase di valutazione di quella prova
Il processo accusatorio è quello che garantisce di più la libertà e i
diritti fondamentali della persona ma ha un limite che è abbastanza
evidente, ovvero quello che si crea una eccessiva combattività
nell’ambito dell’esame incrociato tra le parti, (cross-examination)
visto che la prova fondamentale, la prova regina è una prova
dichiarativa di una persona (testimone, imputato, imputato di
procedimento connesso) che dichiara qualcosa all’interno del
processo; nell’ambito di questo esame incrociato la persona viene
esaminata e il pericolo è che questo esame incrociato si trasformi in
una sorta di tortura psicologica della persona, di linciaggio
morale della stessa.
La persona offesa che viene esaminata nel processo penale è
un testimone.
Ci sono inoltre figure, che si incontrano all’interno del processo, in
cui viene proprio posta in discussione la buona fede e questo può
essere un limite del processo accusatorio.
Un altro limite può essere che ci siano eccessivi ostacoli
all’accertamento di fatti complessi, il processo accusatorio infatti è
un processo che funziona in modo corretto quando siamo di fronte
ad un singolo imputato con un accusa anche molto grave, ma
semplice, e il confronto è su questa singola accusa.
Nei processi di criminalità organizzata, ci sono a volte moltissimi
reati da valutare, molti imputati, diverse persone che non hanno la
qualità semplicemente di teste o di imputato, ma sono delle figure
intermedie, quali quelle dell’ imputato di procedimento
connesso, o dell’ imputato di procedimento collegato, e con le
regole del sistema accusatorio è difficilissimo svolgere questi
dibattimenti.
Il nostro codice di procedura penale è stato emanato con il decreto
presidenziale 22 settembre 1988 numero 437, è stato pubblicato

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nella gazzetta ufficiale nell’ottobre dell’ 88, ed è entrato in vigore


l’anno successivo, dopo un periodo di un anno tra la pubblicazione
nella gazzetta ufficiale e l’entrata in vigore, per dare la possibilità
agli operatori di adeguarsi.
Quando si parla di codice di procedura penale attuale, si intende il
codice di procedura Vassalli, perché Vassalli era il ministro della
giustizia nel momento in cui è stato emanato.
L’attuale codice di procedura penale prevede quindi la separazione
delle funzioni e quindi troviamo:
⇒ un Giudice;
⇒ un difensore;
⇒ un pubblico ministero.
Nella fase delle indagini preliminari, non c’è un Giudice DELLE
indagini preliminari ma c’è un Giudice PER le indagini preliminari.
La differenza sta nel fatto che non esiste un Giudice che presiede
alla fase delle indagini preliminari, esiste un Giudice che controlla
le indagini preliminari che sono svolte da altri soggetti distinti ed
ecco il perché la preposizione corretta da usare non è “DELLE” ma è
“PER” le indagini preliminari.
Il pubblico ministero è il titolare esclusivo dell’azione penale; nella
fase delle indagini preliminari il pubblico ministero è un organo
pubblico che dispone della polizia giudiziaria, mentre il difensore è
un privato che esercita un servizio di pubblica necessità e che può
svolgere determinate indagini difensive, ma sicuramente non ha i
poteri coercitivi che può avere il pubblico ministero.
La completa parità tra le parti quindi non si può realizzare in
questa fase, ma si realizzerà nella fase successiva che è
quella del giudizio.
Struttura del procedimento penale:
inizio delle indagini: si ha nel momento in cui il pubblico ministero
viene a conoscenza di una notizia di reato.
Il pubblico ministero potrà conoscere fin
dall’inizio l’esistenza del reato, potrà
conoscere eventualmente anche la persona
che è sospettata di avere commesso questo

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reato e qualora conosca anche il nome della


persona, iscriverà nel registro delle notizie di
reato, non solo il fatto ma anche il nome di
questa persona; il pubblico ministero ha un
periodo di tempo limitato, per lo svolgimento
di queste indagini.
Svolte queste indagini il pubblico ministero si troverà di fronte ad
due possibilità:
⇒ esistono sufficienti elementi per sostenere l’accusa in giudizio
⇒ non esistono sufficienti elementi per sostenere l’accusa in
giudizio
Se non esistono, verrà chiesta l’archiviazione è non la disporrà
direttamente, perché il nostro codice vuole che alla fine del
procedimento ci sia sempre un controllo del Giudice sulla scelta
operata dal pubblico ministero.

Il controllo viene richiesto perché se uno dei principi costituzionali del nostro
sistema è che l’azione penale è obbligatoria, quindi il pubblico ministero non
può scegliere se esercitare l’azione penale ma è obbligato ad esercitarla se ve
ne siano i presupposti, occorre che un soggetto distinto dal pubblico
ministero controlli che lui abbia valutato correttamente l’esistenza di questi
presupposti.

Se esistono elementi sufficienti per sostenere l’accusa in giudizio,


chiederà il rinvio a giudizio della persona che è indagata.
In questo momento quello che in termini generali era definito come
procedimento penale, diventa processo penale ed il discrimine
tra questi due momenti è quello della formulazione della
imputazione.

Spesso, nel momento in cui arriva una notizia di reato ad una procura della
repubblica, già nella notizia di reato è indicato un addebito, a volte vi è
proprio la formulazione di una vera e propria imputazione da parte del
personale di Upg più esperto; quella non è una imputazione, ma è un
addebito provvisorio.
Solo al termine delle indagini preliminari, quando il pubblico ministero decide
che vi siano elementi sufficienti per sostenere l’accusa in giudizio, viene
formulata l’imputazione.

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L’imputazione allora è l’individuazione dell’addebito nei


confronti della persona che era sottoposta ad indagine
ovvero l’individuazione della norma penale che è stata
violata e indicazione del fatto concreto che è addebitato alla
persona.
Quando ci si trova davanti ad un’imputazione, esiste sempre un
riferimento normativo ad una norma del codice penale, o a più
norme del codice penale, unitamente ad una descrizione del fatto
che muove dalla norma incriminatrice, e poi la adegua al fatto
concreto.
Quindi per fattispecie astratta si intende l’ipotesi criminosa che è
prevista nel codice penale (ex. la fattispecie astratta del furto è
quella individuata all’articolo 624 del codice penale) mentre per
fattispecie concreta, si intende il fatto concreto che è stato
commesso dalla persona, contestualizzato nella descrizione del
fatto reale in un tempo e in un luogo.
⇒ fattispecie astratta è solo un modo di dire norma
incriminatrice, norma penale;
⇒ fattispecie concreta è il fatto storico che è accaduto.
Differenza tra procedimento penale e processo penale:
⇒ dicesi “procedimento penale” tutta la fase compresa tra il
momento in cui viene iscritta la notizia di reato ed il momento
in cui il pubblico ministero prende posizione sull’ipotesi di
reato decidendo se chiedere il rinvio a giudizio della persona o
chiedere l’archiviazione.
⇒ Dicesi “processo penale” la successiva fase che in termini
generali consiste
o nella valutazione, della fondatezza dell’ipotesi attraverso
l’udienza preliminare che è una sorta di primo filtro da
parte del Giudice dell’udienza preliminare;
o nel dibattimento davanti al Giudice di dibattimento (che
può essere lo stesso di quello dell’udienza preliminare).
Tale fase del processo potrà poi eventualmente continuare nei gradi
successivi, quindi nel giudizio di impugnazione che potrà essere

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un’impugnazione di merito davanti alla corte d’appello o di


legittimità davanti alla corte di cassazione.

Procedimento penale può voler dire anche tutto quello che si verifica tra il
momento in cui avviene l’iscrizione della notizia di reato, fino al momento in
cui viene pronunciata la sentenza definitiva.
Quindi:
⇒ in senso lato, procedimento penale è tutto il procedimento che si
estende dal momento del compimento del primo atto fino all’ultimo
della procedura;
⇒ in senso stretto è solo quella fase che riguarda le indagini preliminari

Il discrimine tra procedimento e processo sta nella formulazione


dell’imputazione che avviene tendenzialmente con la richiesta di
rinvio a giudizio.
Esiste quindi una distinzione tra:
⇒ la fase delle indagini preliminari;
⇒ la fase intermedia dell’udienza preliminare che comunque
avviene dopo la formulazione delle imputazioni;
⇒ la fase del giudizio vero e proprio.
L’ulteriore caratteristica del processo penale è quella di dare risalto,
nella logica di un sistema accusatorio, al dibattimento; qui sta la
separazione dei fascicoli, tra quello del pubblico ministero e quello
del Giudice detto anche fascicolo del dibattimento.
Le dichiarazioni raccolte nella fase delle indagini, il Giudice non le
conosce, perché in realtà le persone che vengono sentite, quelle
persone estranee ai fatti, non sono ancora dei testimoni, sono solo
degli eventuali futuri testimoni, sono degli informatori.
Chiunque svolga indagini, raccoglierà dichiarazioni, delle fonti di
prova, e queste fonti di prova rimarranno per sempre, salvo casi del
tutto particolari, nel fascicolo del pubblico ministero; quando e se il
processo arriverà al dibattimento, quindi supererà il vaglio
dell’udienza preliminare, il Giudice non conoscerà nulla di quello che
è successo nell’ambito delle indagini preliminari e non le potrà
nemmeno conoscere dai testi(moni) di polizia giudiziaria.
C’è una differenza enorme tra il fascicolo del pubblico ministero
e il fascicolo del dibattimento, tra quelle fonti di prova che sono

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raccolte all’interno del fascicolo del pubblico ministero e quanto


potrà diventare prova nel corso del dibattimento attraverso
l’assunzione delle prove nel contraddittorio dibattimentale.
Il processo accusatorio è un processo costosissimo, perché se la
prova deve essere acquisita al dibattimento nel contraddittorio delle
parti, e tendenzialmente non vi sono prove precostituite, il
dibattimento sarà complesso, lungo, bisognerà sentire tutti i
testimoni, occorrerà tendenzialmente utilizzare uno strumento che
si chiama stenotipia che riproduce in forma integrale il contenuto
delle dichiarazioni, e quindi comporterà il dispendio di risorse
umane ed economiche molto elevate.
Nella logica di un sistema accusatorio, i processi che arrivano al
dibattimento dovrebbero essere la minoranza, perché solo in questo
modo il sistema può reggere.
Sono previsti tutta una serie di riti semplificati, dove con
l’accordo delle parti, o per altre ragioni, non si applicano tutti i
principi fondamentali del sistema accusatorio, anche se c’è
comunque un contraddittorio.
Nella realtà storica italiana, i riti alternativi vengono seguiti da una
minoranza relativa dei procedimenti ed è questo il motivo per cui
nella realtà dei fatti a prescindere da chi può avere la responsabilità
di ciò, il rito processuale penale italiano non funziona, e le
conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.
Un articolo fondamentale, è l’articolo 111 della costituzione, così
come è stato modificato con la legge costituzionale del 1999.
E’ quella norma costituzionale che consacra nel nostro ordinamento
i principi del giusto processo
Quindi nel ’99, viene modificato l’articolo 111 della Costituzione e
nel 2001, i principi del giusto processo, vengono calati nel codice di
procedura penale.
Qualsiasi norma del codice di procedura penale, va sempre
interpretata nell’ambito dei principi costituzionali.
Ci sono questioni che il Giudice penale però non può risolvere; una
di queste questioni è quella relativa alla legittimità costituzionale di
una legge.

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Se, nel corso di un processo penale, si pone il problema della


legittimità costituzionale di una norma il Giudice ha un vaglio
limitato sulla questione ovvero deve solo decidere se la questione
non è manifestamente infondata e se la questione è rilevante
rispetto al suo processo.
Una volta che il Giudice è arrivato alla conclusione che è rilevante
per il suo processo lo stabilire se quella norma sia costituzionale ed
abbia escluso che la tesi sostenuta dalla parte non sia
manifestamente infondata, non spetta a lui la decisione ma deve
rimettere questa decisione al cosiddetto Giudice delle Leggi.
⇒ Il Giudice delle leggi è la Corte Costituzionale che ha tra
le sue competenze specifiche quello di verificare che le leggi
ordinarie rispondano ai principi costituzionali
⇒ Il Giudice di legittimità è la Corte di cassazione, e
rappresenta l’ultimo grado di giudizio di un procedimento
ordinario.
L’articolo 111 esordisce, dopo la riforma del 1999, con questa
formula:
“La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla
legge”
Questo primo comma già evidenzia due principi:
⇒ dice innanzitutto che c’è una riserva di legge, il che significa
che non è possibile modificare una norma processuale penale
attraverso un regolamento ma solo attraverso una legge
ordinaria dello Stato;
⇒ poi parla di giusto processo ed al proposito due sono le
interpretazioni che vengono date a questo concetto:
o da un lato si dice che si tratta niente più che di una
formula di sintesi che rispecchia quello che viene spiegato
nei commi successivi dell’articolo 111;
o altri sostengono invece che, parlare di giusto processo,
significhi richiamare dei principi di diritto naturale, quindi
di rango superiore rispetto a quello che può essere anche
la stessa Costituzione, che non possono mai essere

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derogati; dei principi del diritto naturale che preesistono


alla legge e che devono trovare attuazione nella legge.
Sempre l’articolo 111 prosegue con:
“Ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti in condizioni
di parità davanti a un Giudice terzo e imparziale. La legge ne
assicura la ragionevole durata”.
Questi sono principi non esclusivi del codice di procedura penale,
che valgono per qualsiasi processo; esprimono l’idea che il Giudice
debba essere imparziale.
Imparziale vuol dire che il Giudice non deve avere legami né con le
parti del processo, né deve avere legami con quella che noi
chiamiamo “res judicanda” ovvero l’oggetto della controversia.
Le parti hanno a disposizione uno strumento che si chiama
ricusazione e possono ricusare il Giudice che ritengono non
imparziale; ci sarà un organo distinto da quel Giudice che deciderà
sulla causa di ricusazione.
Esiste dunque un sistema di controlli che permette di sindacare
l’imparzialità di un Giudice qualora questo ritenga, contrariamente a
quanto pensano le parti, di essere imparziale.
L’imparzialità di un Giudice, si risolve nel fatto che non deve avere
legami con le parti e con l’oggetto della controversia e, nello stesso
tempo, il non deve avere un pregiudizio rispetto a quel
procedimento penale e ciò vuol dire non avere già esercitato una
funzione di giudizio nell’ambito di quel procedimento.

Ad esempio un giudice, nel corso della carriera, avendo svolto la funzione di


GUP, non potrà svolgere la funzione di Giudice del dibattimento.

Il rito abbreviato, è un rito speciale e comporta l’acquisizione del


fascicolo del pubblico ministero, e soluzione del processo solo sulla
base degli atti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero.
Il vantaggio per l’imputato sta che in caso di condanna, la pena
sarò ridotta di un terzo.
Il Giudice non celebrerà il dibattimento perché, avendo giudicato
l’imputato che a quel punto diventa imputato di procedimento

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connesso con giudizio abbreviato e avendo espresso una


valutazione su quel caso, non è più un Giudice imparziale.
“Il Giudice deve essere terzo e imparziale”.
La ragionevole durata di un processo non può essere vista in
assoluto ma in senso assolutamente relativo in quanto rapportata
alla complessità della procedura.
Al terzo comma dell’articolo 111 della Costituzione troviamo:
“Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di
un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata
riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo
carico; disponga del tempo necessario e delle condizioni per
preparare la sua difesa; abbia la facoltà, davanti al Giudice di
interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni
a suo carico, di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di
persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e
l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita
da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata
nel processo”.
Il cuore del problema è il concetto di contraddittorio che, inteso in
senso soggettivo è:
⇒ diritto della persona accusata di potersi confrontare con
il proprio accusatore.

Questo diritto nasce in Inghilterra ed è un principio fondamentale del sistema


accusatorio tanto che nasce prima questo principio e poi nasce
successivamente il privilegio contro l’autoincriminazione.
Nasce prima l’affermazione che l’accusato ha diritto di confrontarsi con chi
l’accusa e poi il principio per cui l’imputato può avvalersi della facoltà di non
rispondere per evitare di rendere dichiarazioni utilizzabili contro di lui.
Il principio è che si ha il diritto di non parlare ma, nel momento in cui si
rinuncia a questo diritto e si rendono delle dichiarazioni in carico di una terza
persona, da quel momento in poi non ci si può più sottrarre a quello che è
stato detto precedentemente nel confrontarsi con questa persona.
La persona imputata, nel momento in cui rende dichiarazioni a carico di un
terzo, non potrà più sottrarsi al contraddittorio e nel momento in cui
l’imputato sceglie di parlare, da quel momento in poi diventa un testimone.
nella logica di un sistema accusatorio puro, il principio per cui la persona che

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è accusata ha il diritto di confrontarsi con il suo accusatore, è un principio che


viene ancora prima rispetto al principio per cui una persona non è tenuta a
rendere dichiarazioni contrasai (vuol dire indizianti).

Nel sistema italiano una persona non può mai essere


obbligata a rendere dichiarazioni che possono ritorcersi a
proprio svantaggio (dichiarazioni indizianti).
Può sempre avvalersi della facoltà di non rispondere.
È un principio basilare del nostro codice.
Il processo accusatorio, è nato in un sistema (Inghilterra) in cui
ancor prima di questo principio (facoltà di non rispondere) ce n’era
un altro (il diritto di confrontarsi).
Non è stata questa la scelta del legislatore italiano, perché
noi veniamo da una tradizione diversa.
Noi veniamo dalla tradizione di uno stato assoluto e questa
tradizione ha fatto sì che il primo principio che si affermasse nel
nostro processo penale fosse quello del diritto dell’imputato a non
rispondere alle domande, a resistere all’accusatore, al Giudice
istruttore.
Questo principio è stato sempre confermato successivamente anche
quando dallo stato assoluto siamo passati a uno stato liberale e
quando da uno stato liberale siamo arrivati alla Democrazia.
Il tener fermo questo principio ha comportato un problema, ovvero
che l’imputato può sempre avvalersi della facoltà di non rispondere.
Si è cercato quindi di conciliare il principio per cui l’imputato non è
tenuto a rendere dichiarazioni che possono ritorcersi a proprio
svantaggio con il principio del diritto di confrontarsi, da parte
dell’accusato, con il suo accusatore.
Da qui una disciplina estremamente complessa che inizia già con gli
avvisi che vengono dati alle persone sottoposte alle indagini quando
viene svolto l’interrogatorio.
Se si prende in considerazione l’articolo 64 del codice di procedura
penale, che indica le regole generali con cui si svolge
l’interrogatorio, trovate già l’applicazione concreta negli avvisi.
L’importante è ricordare e capire che il concetto di
contraddittorio ha una dimensione soggettiva.

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Sempre nel terzo comma dell’articolo 111, viene richiamato un altro


principio, quello secondo cui la persona accusata di un reato deve,
nel tempo più breve possibile, essere informata di essere accusata
di questo reato perché solo nel momento in cui sarà informata
dell’ipotesi accusatoria formulata nei suoi confronti, sarà in grado di
organizzare la propria difesa.
E sempre nel terzo comma dell’articolo 111, si fa riferimento anche
al fatto che la persona abbia diritto ad essere assistita da un
interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel
processo.
Quindi, una persona ha da un lato diritto ad essere assistita da un
interprete se non conosce la lingua italiana e dall’altro deve essere
però anche un diritto che gli vengano tradotti gli atti del processo.

La norma non dice nulla con riferimento agli atti scritti e questo è un tipico
esempio di diritto giurisprudenziale cioè di diritto non creato dalla norma, ma
creato dalla giurisprudenza, dall’interpretazione che della norma dà il
Giudice: si è affermato il principio per cui anche i principali atti scritti del
processo devono essere tradotti all’imputato che non conosce la lingua
italiana.
La Corte di Cassazione con una serie di sentenze ci permette di affermare
che la persona ha diritto, nonostante nel codice non sia espressamente
previsto, che gli vengano tradotti gli atti fondamentali come l’avviso di
conclusione delle indagini ed il decreto di citazione a giudizio; devono essere
tradotti alla persona che non conosce la lingua italiana, tutti quegli atti che
sono necessari perché lui possa correttamente esercitare il diritto di difesa
ovvero quegli atti del procedimento attraverso cui la persona viene informata
del fatto di poter esercitare determinati diritti, gli viene indicata qual è
l’imputazione (non l’ipotesi criminosa) formulata a suo carico; quegli atti che
sono decisivi ai fini della sua difesa e non tutti gli atti del procedimento.

Al quarto comma dell’articolo 111 troviamo:


“Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella
formazione della prova. La colpevolezza dell’imputato non può
essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera
scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da
parte dell’imputato o del suo difensore”.
Qui ci sono due principi:

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17

⇒ il principio del contraddittorio in senso oggettivo, contrapposto


a quello soggettivo;
⇒ una nuova enucleazione del principio del contraddittorio in
senso soggettivo.
 Il contraddittorio in senso soggettivo è: diritto di confrontarsi
con l’accusatore.
 Il contraddittorio inteso in senso oggettivo è determinato dai
metodi di conoscenza attraverso cui il Giudice può
conoscere i fatti rilevanti ai fini della sua decisione.
Un metodo di conoscenza che vuole che davanti a lui si presentino:
la parte che sostiene l’accusa, il difensore; che ci sia un confronto
dialettico e, sentita la tesi, sentita l’antitesi si elabori una sintesi, il
giudizio finale.
Questo è il contraddittorio inteso come metodo di conoscenza; vuol dire
confronto dialettico fra le parti.

Contraddittorio in senso soggettivo vuol dire diritto a


confrontarsi e la conseguenza di questo principio è che una
persona non può essere condannata se la chi lo accusa si è
sempre volontariamente sottratta al confronto.
Quindi, nel terzo e nel quarto comma dell’articolo 111 della
costituzione è espresso il principio del contraddittorio che ha due
dimensioni: una oggettiva e una soggettiva.
Molte volte è difficile stabilire se la persona si sia volontariamente
sottratta al contraddittorio in quanto ci si trova di fronte ad un dato
che, oggettivamente, è neutro: la persona non si trova.
La persona non si trova perché è voluta scappare, oppure non si
trova perché si è sottratta al principio del contraddittorio?
Esiste una norma nel codice di procedura penale, ed è l’articolo 512
(”Lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione”) che
dice:“Il Giudice, a richiesta di parte, dispone che sia data lettura
degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero, dai
difensori delle parti private oppure del Giudice nel corso
dell’udienza preliminare quando, per fatti o circostanze
imprevedibili, ne è divenuta possibile la ripetizione”.

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Quindi il nocciolo sta nel fatto se era prevedibile o meno che la


persona non si trovasse.
Se era prevedibile che questa persona non venisse ritrovata, non è
un atto che è divenuto impossibile ripetere in maniera
imprevedibile, è un atto che è divenuto impossibile ripetere in
maniera più che prevedibile e quindi, il Giudice, risolvendo il
problema sotto questo profilo, non deve affrontare il problema nel
secondo senso e cioè dire: la persona si è sottratta o no
volontariamente?
Se la persona è sparita nei giorni precedenti all’udienza dopo aver
saputo di essere citata come testimone, non ci sarebbero dubbi nel
dire che si è volontariamente sottratta all’esame.
Se invece, questa persona è scomparsa ben prima e non si sa
assolutamente che cosa sia successo, si può sostenere la tesi
opposta cioè che si sia allontanata non per sottrarsi al
contraddittorio ma per altri motivi.
L’alternativa è un’alternativa costosa, l’alternativa è che il pubblico
ministero promuova un incidente in cui sentire in contraddittorio già
nelle indagini preliminari la persona.
Si chiama incidente probatorio, è uno strumento a disposizione
delle parti per anticipare il contraddittorio nella fase delle indagini
preliminari.
È il pubblico ministero e non gli organi di polizia giudiziaria che può
attivare l’incidente probatorio.
Il pubblico ministero qualora preveda la scomparsa della persona
può promuovere un incidente probatorio in modo da sentire la
persona nel giro di pochi giorni davanti a un Giudice nel
contraddittorio delle parti in modo che, a quel punto, le
dichiarazioni vengano consacrate nel verbale che il Giudice del
dibattimento potrà utilizzare liberamente.
In sostanza, l’incidente probatorio consiste nell’anticipare il
dibattimento alla fase delle indagini preliminari.
Ricapitolando c’è un contraddittorio in senso oggettivo e un
contraddittorio in senso soggettivo; questo principio del
contraddittorio può avere delle conseguenze concrete

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estremamente rilevanti, nel caso in cui la persona,


volontariamente, si sottragga al contraddittorio stesso e quindi
all’esame incrociato.
⇒ Il contraddittorio in senso oggettivo significa metodo di
conoscenza, metodo di conoscenza che si realizza
attraverso una tesi sostenuta dal pubblico ministero,
un’ antitesi sostenuta dalla difesa e il giudizio finale che
trae il Giudice. Vuol dire, in altre parole, confronto
dialettico.
⇒ Il contraddittorio in senso soggettivo, diritto della
persona che viene accusata a confrontarsi con il proprio
accusatore.
Gli atti che emergono dall’incidente probatorio vanno a far
parte del fascicolo del Giudice; nel momento in cui si attua il
contraddittorio in via anticipata, e cioè lo si attua nella fase delle
indagini preliminari, non ha più senso la distinzione tra il fascicolo
del pubblico ministero e il fascicolo del dibattimento, perché questa
distinzione serve proprio per aprire il contraddittorio che invece è
già stato garantito ed il Giudice potrà conoscerlo fin dall’inizio e
potrà utilizzarlo per valutare i fatti che gli si sono portati davanti.
Il problema della successione di leggi nel tempo è un problema
fondamentale con cui, soprattutto in procedura penale, ci si deve
confrontare; le norme di procedura cambiano velocissimamente,
cambiano molto più velocemente delle norme sostanziali.
L’articolo 2 del codice penale, dice quali sono i principi che regolano
la successione di leggi nel tempo nel diritto penale sostanziale:
⇒ il principio che la legge penale più favorevole si estende
retroattivamente,
⇒ il principio che la legge penale non favorevole ma che aggrava
la posizione, non si può estendere retroattivamente.
Questo secondo principio è addirittura consacrato nella
Costituzione:
⇒ nessuno può essere punito per un fatto che, al momento in cui
l’aveva commesso, non era previsto come reato

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Quindi, mentre è costituzionalizzato il principio per cui una legge


penale che aggrava una posizione di una persona non può essere
applicata anche per fatti commessi prima della sua entrata in
vigore, non è costituzionalizzato il principio opposto.
L’articolo 2 del codice penale, non regola il rapporto fra le norme
processuali-penali, il principio tendenziale che la legge più
favorevole si deve estendere retroattivamente deve valere come
principio in tutti i rami di diritto punitivo.
C’è quindi parte della dottrina che sostiene che sia un principio
generale e che si applica in tutti i rami del diritto punitivo, quindi
diritto penale, diritto anche amministrativo e diritto procedurale
penale ma non è questa la tesi che è sostenuta dalla
giurisprudenza.
La tesi che è sostenuta dalla giurisprudenza, per quanto riguarda il
diritto processuale penale è che esiste un principio, previsto
dall’articolo 11 delle disposizioni preliminari del codice civile, che
dice che la legge dispone per l’avvenire, non dispone per il
passato.
Ciò significa che una legge processuale penale può disporre, per
quello che è compiuto dopo il momento in cui è entrata in vigore;
non si applica retroattivamente e quindi se compare una norma
procedurale penale che entra in vigore e aumenta le garanzie per la
persona imputata, tendenzialmente, a meno che non sia previsto
diversamente e si applica solo per il futuro.
Questo è un principio generale dell’ordinamento che non vale nel
codice penale perché c’è la regola dell’articolo 2 ma che vale
tendenzialmente nel codice di procedura penale e per le leggi
processuali e vale tendenzialmente, se non è previsto
diversamente, per altri rami dell’ordinamento.
Nella procedura penale, la legge si applica per l’avvenire e
non per il passato.

Il processo di formazione della prova, è un processo complesso che si svolge


in più momenti e questi momenti possono essere separati tra loro
cronologicamente anche da lungo tempo; la prova viene indicata dalle parti
ed il Giudice decide sulla ammissione della prova che viene poi acquisita e

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successivamente valutata.
Accade quindi che una persona dica A, poi cambi versione e dica B, e gli
viene contestato che in precedenza aveva detto A, ma questa persona
continua a dire B; a quel punto, fino ad alcuni anni fa, la parte interessata
poteva chiedere al Giudice di acquisire quella dichiarazione ed in qualche
modo recuperare la dichiarazione A.
Ora se il soggetto cambiava la versione da A a B, non è più possibile
acquisire la dichiarazione A.
Il Giudice alla fine di questo ipotetico processo saprà che il soggetto dice B,
che in precedenza aveva detto A, e potrà affermare al massimo che il
soggetto non è credibile perché ha cambiato la sua versione ma non potrà
dire che sia possibilmente più vera la versione A.
Se la legge non dispone che per l’avvenire, nel caso ipotizzato cosa succede?
Nelle indagini preliminari la dichiarazione era stata resa con la vecchia legge,
al dibattimento la dichiarazione viene resa con la vecchia legge, quindi il
Giudice applicando la vecchia legge, acquisisce questa dichiarazione, quindi si
arriva al giorno del giudizio quando il Giudice non utilizzerà più quella
dichiarazione, perché nel frattempo è cambiata la legge.
E questo perchè e essendo il processo di formazione della prova un
processo complesso, la legge del tempo in cui è compiuto l’atto è
data dalla legge del tempo in cui il Giudice giudica quella prova, NON
del tempo in cui la prova è stata assunta all’interno del dibattimento.
Se il principio affermato nell’articolo 11 in linea generale è un principio
abbastanza facile da comprendere (la legge va applicata per il futuro, non
per il passato), molte volte diventa difficile applicarlo nei casi concreti perché
bisogna capire che cosa si intende per atto e l’esempio della prova è
emblematico per affermare che il momento rispetto a cui si valuta quale è la
legge da applicare non è il momento iniziale, non è il momento centrale in cui
la prova viene assunta nel dibattimento, ma è il momento finale in cui la
prova deve essere valutata dal Giudice.

Sarebbe bene che il legislatore di volta in volta, nel momento in cui


modifica una legge processuale, indicasse con una norma di diritto
intertemporale o una norma transitoria, come deve essere regolato
questo rapporto.
Molte volte succede, che il legislatore dica al Giudice come debba
affrontare i problemi di successione di leggi penali nel tempo in due
modi:
⇒ con una norma di diritto intertemporale che è una tipica
legge strumentale che si limita a stabilire quando applicare
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22

la vecchia legge e quando applicare la nuova indicando al


Giudice di applicare la vecchia legge fino a un certo punto da
un certo momento in avanti di applicare la nuova;
⇒ con una norma di diritto transitorio quale terza regola
che indica quale norma materiale sia da applicare in una fase
transitoria tra la vecchia e la nuova legge ed indichi di fatto al
Giudice di applicare una terza legge che non è né la vecchia
legge, né la nuova legge; a volte sarebbe estremamente
opportuno dire questo soprattutto quando si stanno
cambiando delle regole in materia della prova.
Ricapitolando il problema per risolvere la successione di leggi di
diritto processuale nel tempo è affrontabile in 3 modi diversi:
⇒ applicazione del principio generale enunciato dell’articolo 11
delle disposizioni preliminari del codice civile;
⇒ emanazione di una norma di diritto intertemporale quale
norma di carattere strumentale;
⇒ emanazione di una norma di diritto transitorio quale norma
materiale che individua una disciplina intermedia fra la
previgente e la futura.

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1

DIRITTO PROCESSUALE
SOGGETTI DEL PROCEDIMENTO.
I soggetti del procedimento sono figure estremamente diverse fra
di loro, vi sono
⇒ le Parti
⇒ il Giudice
⇒ la Polizia Giudiziaria
 I soggetti del procedimento sono coloro che appaiono titolari di
potere di iniziativa all’interno del procedimento.
 Il compimento di un atto da parte di un soggetto del
procedimento, fa sorgere in altri soggetti del procedimento, il
dovere di compierne uno successivo.
Per capire il concetto di parte, bisogna fare riferimento all’azione
principale, sempre presente, che viene esercitata nel processo
penale ovvero l’azione penale.
Per individuare quali sono le prime parti del processo penale
occorre guardare al soggetto attivo e al soggetto passivo
dell’azione penale.
⇒ il soggetto attivo, titolare esclusivo dell’azione penale, è il
pubblico ministero,
⇒ il soggetto passivo è l’indagato che diventa imputato
nel momento in cui viene esercitata l’azione penale.
Quindi, per individuare il concetto di parte bisogna fare riferimento
alle azioni che vengono esercitate all’interno del processo penale e
prima di tutte all’azione penale.
 Nel processo penale, può essere comunque esercitata anche un
diverso tipo di azione e cioè un’azione civile e questo perché,
un fatto che costituisce reato per il nostro ordinamento, assume
rilievo anche come fatto illecito previsto dal codice civile; un fatto
illecito è fonte del diritto al risarcimento del danno ed
eventualmente quando possibile, alle restituzioni, in favore della
persona che è stata danneggiata.
Tenendo quindi presente che un fatto storico può essere definito in
una duplice maniera ovvero sia come fatto reato sia come fatto

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2

illecito civilistico, il legislatore ha previsto che, all’interno del


medesimo processo, possano essere esercitate entrambe le azioni.

La persona che ha subito un danno e che quindi è stata danneggiata dal reato,
avrà interesse a esercitare l’azione civile nei confronti dell’imputato, quale
soggetto che ha causato quel danno; l’azione civile potrà essere
eventualmente esercitata nei confronti del responsabile civile quale figura
distinta dall’imputato ma che, sotto il profilo civilistico, comunque deve
rispondere dei fatti commessi dall’imputato.

L’esempio più semplice è quello della compagnia di assicurazione per la responsabilità civile in
caso di un incidente stradale.
Potrebbe essere chiamato a rispondere di un reato di omicidio colposo una persona che era
alla guida dell’autovettura e che ha causato la morte della vittima.
Nello stesso processo, i prossimi congiunti della persona danneggiata potrebbero però
chiedere che sia chiamata anche la compagnia di assicurazione in modo da avere un soggetto
che sicuramente sia solvibile e che possa rispondere del risarcimento del danno.
Queste due azioni, l’azione penale e l’azione civile, ci consentono di individuare le parti del
processo penale; a queste se ne potrebbe aggiungere un’altra: il soggetto che è civilmente
obbligato per la pena pecuniaria ma è una figura del tutto secondaria e che nella pratica non
fa quasi mai ingresso nel processo penale.

Nel libro primo del codice di procedura penale, il legislatore inizia a


trattare la materia facendo riferimento ad un soggetto che non è
parte e cioè al Giudice e ne parla trattando dei problemi relativi alla
giurisdizione, alla competenza, alla imparzialità del Giudice.
Per giurisdizione possiamo fare riferimento ad una definizione
generale ovvero alla funzione dello stato, consistente nella
applicazione della legge al caso concreto e sotto questo profilo, la
giurisdizione si affianca agli altri poteri dello stato.

Nella Costituzione non si trova mai l’indicazione del potere giurisdizionale


come potere dello stato; lo si trova definito come ordine, però i
costituzionalisti sono tutti concordi nel ritenere che comunque il potere
giudiziario è a tutti gli effetti un potere.
Il motivo per cui probabilmente non si trova la definizione di potere nella
costituzione, è perché il potere giudiziario non fa parte della funzione di
indirizzo politico.

Nell’ambito del codice di procedura penale, il concetto di


giurisdizione viene in rilievo soprattutto per definire i rapporti tra

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3

Giudice Ordinario e Giudice Speciale e quindi, quando si parla di


giurisdizione nel codice di procedura penale, si intende fare
riferimento all’insieme di regole che permettono di distinguere
questi due tipi di Giudice.
⇒ Il GIUDICE ORDINARIO è un Giudice che ha una competenza
generale tendenzialmente su tutti i soggetti dell’ordinamento, e
che trova la propria regolamentazione nell’ordinamento
giudiziario.
⇒ Il GIUDICE SPECIALE è quel Giudice che ha una competenza
solo su determinati soggetti dell’ordinamento e non fa parte della
magistratura ordinaria.
Partendo dal GIUDICE SPECIALE, nel nostro ordinamento si
individuano due figure principali di Giudice Speciale:
• i Tribunali Militari che esercitano la giurisdizione sugli
appartenenti alle forze armate
• la Corte Costituzionale quale Giudice penale con
riferimento a un’unica figura, quella del Presidente della
Repubblica.

Il Presidente della Repubblica è esente dalla giurisdizione salvo che per i reati
di attentato alla Costituzione e alto tradimento.
Per questi due reati viene sottoposto al giudizio da parte della corte
costituzionale e il pubblico ministero è un commissario che viene nominato da
parlamento.
Quando si parla di impeachment si parla proprio del problema della
responsabilità penale del presidente della repubblica rispetto a queste figure di
reato.

Occorre definire il concetto di competenza come quella parte di


giurisdizione che è svolta da un singolo organo giudiziario.
Si individua la competenza attraverso 3 criteri generali:
⇒ attraverso il titolo di reato e allora si parlerà di competenza
per materia;
⇒ in base al luogo dove è commesso il reato e allora si parlerà
di competenza per territorio;
⇒ in base al rapporto che un reato ha con altri reati e allora si
parlerà di competenza per connessione.

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4

Esistono poi delle figure residuali di competenza che riguardano


situazioni del tutto peculiari quali ad esempio, il problema di un
procedimento penale in cui un magistrato sia o la persona indagata
o imputata o il danneggiato (persona offesa) o ancora il caso in cui
il procedimento penale debba essere esercitato nei confronti di una
persona che è minorenne.
In questo caso vi sono dei criteri speciali di competenza, che
rappresentano delle eccezioni rispetto alle regole generali, che
danno vita a quella che viene normalmente chiamata competenza
funzionale.

Per quanto riguarda i magistrati, sembra abbastanza ovvio il motivo per cui si deroga
alle regole generali, si preferisce allontanare il luogo di celebrazione del processo da
quello dove il magistrato esercita le proprie funzioni per garantire al meglio
l’imparzialità dell’organo giudicante.
Il criterio è che, se ad esempio, un reato è commesso nel distretto di corte d’appello
di Venezia, si passa ad un altro distretto di corte d’appello non in base a un criterio
arbitrario, ma in base a delle tabelle che sono espressamente previste dalla legge.
Quindi, per un reato commesso da o in danno di un magistrato nel distretto di
Venezia, si passa al Giudice competente per materia del capoluogo di distretto del
Trentino Alto Adige, quindi si va a Trento.
Per quanto riguarda i minorenni, anche qui la spiegazione della deroga ai principi
generali è abbastanza facile, si preferisce che a occuparsi dei processi nei confronti di
una persona minore di anni 18, sia un organo che abbia un qualche grado di
specializzazione cioè il tribunale per i minorenni.

Occorre precisare che, mentre la Corte Costituzionale e il Tribunale


Militare sono giudici speciali, il tribunale per i minorenni, pur
essendo un Giudice specializzato con riferimento a un particolare
genere di persone indagate o imputate, non è un Giudice speciale,
è un Giudice ordinario e questo, a livello pratico si traduce nel
fatto che i rapporti tra il Giudice del tribunale per i minorenni e gli
altri giudici ordinari, si risolvono a livello di conflitti di competenza e
non di conflitti di giurisdizione.
Assodato che la competenza è quella parte di giurisdizione svolta
da un singolo organo, all’ art. 4 del codice di procedura penale vi è
l’indicazione di come si individua la competenza per ciascun reato
secondo la seguente regola:

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5

“Per determinare la competenza si ha riguardo alla pena stabilita


dalla legge per ciascun reato consumato o tentato.
Non si tiene conto della continuazione, della recidiva e delle
circostanze del reato, fatta eccezione delle circostanze aggravanti
per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella
ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale”.

Art. 4. - Regole per la determinazione della competenza.


1. Per determinare la competenza si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o
tentato. Non si tiene conto della continuazione, della recidiva e delle circostanze del reato, fatta eccezione delle
circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di
quelle ad effetto speciale.

L’elemento che si deve considerare per stabilire la competenza


(quando il legislatore indica che si deve dirimere un rapporto tra
competenze di organi giudiziari diversi) è quello della pena.
Si deve guardare al massimo e non al minimo della pena.
Le circostanze del reato hanno rilievo solo in ipotesi del tutto
particolari e sono le circostanze ad effetto speciale (che elevano la
pena più di un terzo) per cui è prevista una pena di specie diversa.
⇒ Le circostanze che permettono un aggravamento della pena fino
a un terzo si chiamano circostanze ordinarie,
⇒ Le circostanze che permettono di elevare la pena a più di un
terzo si chiamano ad effetto speciale.

Circostanze per cui è prevista una pena di specie diversa si trovano ad


esempio in materia di omicidio, sono quelle circostanze che fanno scattare
l’ergastolo, quindi si passa da una pena temporanea alla pena dell’ergastolo.

Quando si parla quindi di competenza per materia, è necessario


guardare al titolo di reato ed eventualmente alla quantità di
pena che viene erogata per questo reato; sotto questo profilo, il
legislatore ripartisce quindi la competenza tra diversi organi
giudiziari guardando da un lato il tipo di reato, (certi reati il
legislatore preferisce attribuirli ad un organi giudiziario rispetto a un
altro) adottando un criterio che può essere definito qualitativo, e
dall’altro guardando all’entità della pena secondo un criterio che si
può definire quantitativo.

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6

Sotto questo profilo gli organi giudiziari presenti nel nostro


ordinamento, partendo dall’alto:
1. la Corte d’Assise
2. il Tribunale
3. il Giudice di Pace
⇒ la CORTE D’ASSISE quale organo di composizione mista con al
suo interno due giudici professionali (magistrati togati, giudici di
carriera), e sei giudici popolari (cittadini presenti in elenchi che
si trovano in ciascun comune italiano e che vengono estratte a
sorte).
Questo organo con una composizione così particolare serve per
giudicare principalmente due tipi di reato:
o i reati di sangue (come l’omicidio volontario)
o i reati di terrorismo (i più gravi reati in materia politica
tipo banda armata o eversione dell’ordinamento
costituzionale)
Il legislatore quindi, ha voluto che per questa tipologia di reati,
ci fosse un organo con soggetti misti al suo interno ovvero un
Giudice composto da otto persone più eventualmente delle
altre a lato.
Quando in televisione si vede un qualche processo famoso per omicidio, si
possono notare dei giudici che vengono inseriti come eventuali riserve e
che poi quando si va a decidere in camera di consiglio, non vengono più
utilizzati.
I più tipici reati di competenza della corte d’assise, si trovano
comunque elencati all’articolo 5 del c.p.p.

Art. 5. - Competenza della corte di assise.


1. La corte di assise è competente:
a) per i delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a
ventiquattro anni, esclusi i delitti di tentato omicidio, di rapina e di estorsione, comunque aggravati, e i delitti
previsti dall'articolo 630, primo comma, del codice penale e dal decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre
1990, n. 309;
b) per i delitti consumati previsti dagli articoli 579, 580, 584 del codice penale;
c) per ogni delitto doloso se dal fatto è derivata la morte di una o più persone, escluse le ipotesi previste dagli
articoli 586, 588 e 593 del codice penale;
d) per i delitti previsti dalle leggi di attuazione della XII disposizione finale della Costituzione, dalla legge 9 ottobre
1967 n. 962 e nel titolo I del libro II del codice penale, sempre che per tali delitti sia stabilita la pena della
reclusione non inferiore nel massimo a dieci anni.

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7

⇒ il GIUDICE DI PACE si occupa di microcriminalità, è un Giudice


che ha particolari funzioni conciliative, è un Giudice sempre
monocratico, è un Giudice onorario in quanto è contrapposto
alla figura di Giudice professionale.
Non è un magistrato che ha vinto un pubblico concorso, è un
magistrato che ha la laurea in giurisprudenza e ha superato una
certa abilitazione; in alternativa potrebbe essere una persona che
ha svolto la professione di notaio oppure ha insegnato in
materie giuridiche.
In materia di infortuni sul lavoro ha una competenza
estremamente residuale, limitata ad incidenti con lesioni non
superiori a venti giorni (quindi per le lesioni superiori a venti
giorni passiamo alla competenza del tribunale, sotto i venti giorni
rimane il Giudice di pace).
⇒ Il TRIBUNALE è il terzo organo giudiziario che sta in mezza fra il
la Corte d’Assise ed il Giudice di Pace e si presenta in due forme:
o il Tribunale in composizione collegiale che giudica con
tre Giudici tutti e tre giudici professionali;
o il Tribunale in composizione monocratica che giudica
con un unico Giudice
La particolarità di questo sistema sta nel fatto che, quando si è
voluto eliminare la figura del pretore e sostituirla con i Tribunali
in composizione monocratica, si è deciso che i rapporti tra i
Tribunali in composizione collegiale ed il Tribunale in
composizione monocratica, non fossero rapporti di competenza
ma fossero dei rapporti definiti di “cognizione” all’interno dello
stesso ufficio giudiziario.
Dal punto di vista ontologico non esiste una differenza fra competenza e
cognizione se non il fatto che parlando di competenza rivolgendosi ad un
Giudice incompetente, questo Giudice dovrà pronunciare una sentenza di
incompetenza, mentre, rivolgendosi al Tribunale in composizione collegiale
invece che al Tribunale in composizione monocratica, il problema dei
rapporti fra questi due organi, all’interno della stessa competenza, si
risolve mediante la pronuncia di semplici ordinanze che prevedono la
trasmissione di atti dall’uno all’altro di questi due organi, salvo nei casi del
tutto peculiari.

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8

In sostanza mentre prima, quando esisteva la figura del pretore, i problemi


fra pretore e tribunale, che allora era sempre in composizione collegiale,
erano problemi definiti di competenza, mentre adesso questi problemi non
sono più definiti di competenza ma di cognizione il che, tradotto nella
pratica, si traduce nel fatto che non vengono più pronunciate delle
sentenze e che i tempi entro cui possono essere sollevate le relative
eccezioni sono molto più ristretti.

Il criterio per stabilire quando un procedimento è di competenza del collegiale e


quando del monocratico è duplice e per differenziarli, si parte intanto dal
tribunale in composizione collegiale; la legge vuole che determinati reati che
esigono una peculiare preparazione tecnica oppure che siano abbastanza
allarmanti per l’opinione pubblica, siano trattati da un Giudice collegiale; due i
criteri:
o da un lato la materia commerciale, il reato commerciale, i reati contro la
pubblica amministrazione, i reati di violenza sessuale sono sempre portati
davanti al Giudice collegiale.
o dall’altro un criterio quantitativo: se per un reato è prevista una pena
superiore a dieci anni, allora la competenza è del tribunale collegiale.
Tutto il resto è di competenza del tribunale in composizione monocratica,
compresa un’importantissima eccezione, ovvero i reati in materia di stupefacenti;
per questi reati, se non concorrono particolari aggravanti, la competenza è del
Giudice monocratico.
L’eccezione è molto importante perché per i reati in materia di stupefacenti, in
particolare l’articolo 73 del testo unico sugli stupefacenti, la pena editale è fino a
vent’anni.
In questo caso un Giudice monocratico può erogare una pena che arriva quindi
fino a vent’anni di reclusione.

Gli infortuni venivano trattati sempre da un monocratico perché il tipo di pena


che è prevista è un tipo di pena che rientra nella cognizione del magistrato
monocratico.
Stabilire che cos’è un reato è una questione di diritto penale sostanziale; per
stabilire che cos’è un reato, il criterio generale è negli articoli 33-bis e 33-ter
dove si trova l’elencazione di una serie di reati, attraverso questa elencazione, si
dovrebbe, in linea di massima, saper ricostruire qual è la competenza.
In quasi tutti i codici comunque, dopo la descrizione del reato, ve la indica lo
stesso codice qual è la competenza, quindi quello di poter essere incerti su quale
sia la competenza tra tribunale monocratico e tribunale in composizione
collegiale è un problema che si pone solo raramente per i reati di tipo speciale.
Non è un problema che dovrebbe essere difficile da risolve se si conoscono anche
gli altri criteri oltre a quello della competenza per materia, in quanto questi
criteri vengono applicati sempre congiuntamente.

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Accanto alla competenza per materia vi è la competenza per


territorio e cioè si guarda al luogo dove il reato è consumato.
Il principio generale è che il legislatore vuole che ci sia un
collegamento tra il Giudice e l’ambito territoriale all’interno del
quale il reato è stato consumato ed è appunto per questa ragione
che nell’articolo 8 del c.p.p. si trova la regola generale sulla
competenza per territorio.
 Il luogo in cui il reato si è consumato è il luogo in cui si
sono realizzati tutti gli elementi costitutivi del reato.
Nell’articolo 8, accanto alla regola generale vi sono delle
precisazioni che non rappresentano un’eccezione rispetto alla regola
generale ma delle concrete applicazioni di questa stessa regola.

Art. 8. - Regole generali.


1. La competenza per territorio è determinata dal luogo in cui il reato è stato consumato.
2. Se si tratta di fatto dal quale è derivata la morte di una o più persone, è competente il giudice del luogo in cui è
avvenuta l'azione o l'omissione.
3. Se si tratta di reato permanente, è competente il giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione, anche
se dal fatto è derivata la morte di una o più persone.
4. Se si tratta di delitto tentato, è competente il giudice del luogo in cui è stato compiuto l'ultimo atto diretto a
commettere il delitto.

1° applicazione: “Se si tratta di un fatto dal quale è derivata la


morte di una o più persone, è competente il Giudice del luogo in cui
è avvenuta l’azione o l’omissione.”
Un problema che in materia di infortuni sul lavoro non dovrebbe
presentare gravi difficoltà; se una persona viene uccisa, e qui non
ha ovviamente rilievo l’elemento psicologico del reato quindi
parliamo sia di omicidio colposo che di omicidio doloso, si guarda
non al luogo dove la persona è deceduta ma al luogo in cui è
stata posta in essere l’azione o l’omissione.

Esempio: se si ha un infortunio sul lavoro nel circondario del tribunale di Venezia e la


persona viene portata all’ospedale a Padova e muore nell’ospedale di Padova, in base alla
regola generale (la prima: luogo di consumazione del reato) e siccome la morte è un
elemento costitutivo del reato di omicidio colposo, si dovrebbe dire che competente per
territorio è il tribunale di Padova, ma siccome il legislatore si è ben reso conto che in questi
casi il luogo in cui può realizzarsi l’evento morte può essere non direttamente collegato al
luogo dove il fatto si è completamente verificato, ha preferito fare riferimento al luogo in cui
si è svolta l’azione o l’omissione, quindi il luogo, ad esempio, dove vi era il cantiere.
Questo comunque per dire, che non si è di fronte a delle eccezioni rispetto alla regola
generale ma a delle applicazioni di questa stessa regola.

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2° applicazione: è rivolta al reato permanente; il reato permanente,


è un istituto di diritto penale sostanziale, è un reato in cui l’offesa
della persona si protrae nel corso del tempo.
Tipici reati permanenti sono il maltrattamento in famiglia oppure il
sequestro di persona; qui l’offesa non viene realizzata in un solo
momento ad esempio come accade nel delitto di lesioni, nel delitto
di omicidio, ma si realizza nel corso del tempo.
In questi casi, per evitare che non potesse essere la stessa persona
che commette reato a scegliere il Giudice competente decidendo di
far finire il reato in un luogo piuttosto che in un altro, si è guardato
al Giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione
del reato.
Esistono poi delle regole suppletive che vengono applicate nel caso
in cui, sulla base di questi criteri, non sia possibile stabilire il luogo
in cui il reato è consumato.
Sono delle regole suppletive che sono elencate nell’articolo 9 ma su
cui non ci si soffermerà.
3° applicazione: il terzo criterio per individuare la competenza è il
criterio della competenza per connessione (art. 12 c.p.p.).

Art. 12. - Casi di connessione.


1. Si ha connessione di procedimenti:
a) se il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione fra loro, o se più
persone con condotte indipendenti hanno determinato l'evento;
b) se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione ovvero con più azioni od
omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso;
c) se dei reati per cui si procede gli uni sono stati commessi per eseguire o per occultare gli altri.

Il legislatore considera che, a volte, vi sono dei collegamenti fra più


reati e questi collegamenti sono così stretti fra di loro che appare
opportuno celebrare un processo unico per questi più reati.
Questo può comportare che non vengano applicate le altre e gli altri
criteri di competenza e si debba applicare un criterio unico che
permetta, quando più reati che secondo gli altri criteri dovrebbero
far si che il processo venisse celebrato in luoghi diversi, di stabilire
ed individuare un unico Giudice competente.

Esempio: se si ha un infortunio sul lavoro nel circondario del tribunale di Venezia e la


persona viene portata all’ospedale a Padova e muore nell’ospedale di Padova, in base alla

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regola generale (la prima: luogo di consumazione del reato) e siccome la morte è un
elemento costitutivo del reato di omicidio colposo, si dovrebbe dire che competente per
territorio è il tribunale di Padova, ma siccome il legislatore si è ben reso conto che in questi
casi il luogo in cui può realizzarsi l’evento morte può essere non direttamente collegato al
luogo dove il fatto si è completamente verificato, ha preferito fare riferimento al luogo in cui
si è svolta l’azione o l’omissione, quindi il luogo, ad esempio, dove vi era il cantiere.
Questo comunque per dire, che non si è di fronte a delle eccezioni rispetto alla regola
generale ma a delle applicazioni di questa stessa regola.

Lettera a
Partiamo dal presupposto che quando si parla di connessioni si fa
riferimento ad un collegamento molto stretto fra vari reati; l’articolo
12 porta come primo caso (lettera a) quello in cui vi sia un reato
commesso da più persone tra di loro.
È il caso del reato plurisoggettivo come ad esempio un furto che
può essere commesso da due o più persone.
Se un furto è commesso da due persone siamo in presenza di un
reato concorsuale che può essere visto anche come un insieme di
due reati: il reato commesso dal soggetto A e il reato commesso
dal soggetto B e se le due persone hanno agito nello stesso luogo,
non esistono problemi nello stabilire quale sia il Giudice
competente, mentre se le persone agiscono in luoghi diversi il
problema sussiste.
Accanto alla figura di più persone che hanno commesso un
reato in concorso fra di loro (reato doloso), vi sono quelle di
reato colposo
o della cooperazione nel reato di più persone;
o di più persone che con condotte indipendenti hanno
determinato l’evento.
Nel reato colposo, il reato potrebbe essere stato commesso da più
soggetti senza la coscienza e la volontà di commettere insieme un
reato e la condotta di questi soggetti, attraverso l’elemento della
colpa, può determinare un evento previsto dalla legge come reato.

Ad esempio: un datore di lavoro e un preposto, non ottemperando alle regole che ciascuno
dei due dovrebbe seguire, possono determinare la mancata osservanza di regole in materia
antinfortunistica e da qui derivare un evento di lesione o un evento di morte.
Quindi, più persone hanno cooperato alla commissione di un reato.

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Un'altra ipotesi potrebbe essere quella di un infortunio sul lavoro che causa una lesione ad
un soggetto che viene ricoverato in ospedale; in ospedale i medici sbagliano l’intervento e la
persona muore.
Anche in questo caso ci sono più condotte indipendenti tra loro completamente slegate che
hanno determinato un evento unico; da un lato c’è la condotta del datore di lavoro e del
preposto, dall’altro c’è la condotta dei medici.

Lettera b
Accanto al criterio dell’articolo 12 lettera a, vi è la figura del reato
continuato o del concorso formale di reati; sono tutti istituti di
diritto sostanziale ed hanno un diritto procedurale.
È possibile che con una stessa azione o omissione, una persona
violi più norme penali e/o più volte la stessa norma penale; in
questo caso parliamo di concorso formale; quindi una sola azione
o omissione determina la violazione di più norme penali.
Più diffuso nella realtà concreta è il caso della continuazione
ovvero di più azioni od omissioni da parte di un soggetto, dove
però queste azioni sono collegate fra di loro da un disegno
criminoso unitario; in questo caso, sotto il profilo del diritto
penale sostanziale, il legislatore considera sotto il profilo della pena
il reato unico ed invece di applicare tante pene distinte, applica la
pena del reato più grave magari aumentata fino al triplo.

Il caso più banale può essere quello della persona che in una stessa nottata va a rubare in
più appartamenti diversi; in questo caso abbiamo un disegno criminoso unitario ma più reati
distinti.
I reati vengono unificati tra di loro e viene applicata la pena del reato più grave con la
possibilità di aumentarla fino al triplo.

Il concetto di reato continuato, presuppone quello di disegno


criminoso unitario, quindi ci vuole la coscienza e volontà di
commettere il reato, il dolo.
Per i reati colposi non ci potrà mai essere un reato continuato
perché in linea di principio non c’è una volontà criminosa unitaria.

Per determinare la pena si ricorre all’articolo 81 del codice penale; si prende la


violazione dell’atto più grave, si determina entro la cornice della pena editale
prevista da questo reato la pena, e poi si aumenta questa pena al massimo
fino al triplo.

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Di solito poi viene aumentata di poco, insomma è un istituto che consente di


contenere la pena, è favorevole all’imputato più che essere sfavorevole,
nonostante alla base ci sia l’idea di una persona che commette più reati con un
disegno criminoso unitario.
Sotto un certo profilo potrebbe sembrare una contraddizione che una persona
che commette più reati ed ha un disegno criminoso unico, venga premiata.
È una norma il cui significato sta nel cercare di attenuare il rigore che
deriverebbe dall’applicazione delle norme sul cumulo materiale.
Perché, applicando per ciascun reato una singola pena, in casi come questi a
volte andremmo a pene che appaiono francamente eccessive.

Lettera c
Il terzo caso è quello della connessione teleologica: i reati per cui
si procede sono stati commessi gli uni per eseguire o occultare gli
altri.
Connessione teleologica vuol dire che c’è un collegamento
finalistico tra un reato e un altro.

Ad esempio: si vuole truffare un negoziante comprando un orologio con un assegno che non
sarà mai pagato perché è un assegno di provenienza delittuosa quindi protestato come rubato.
Vengono commessi due reati: nel momento in cui c’è l’impossessamento dell’assegno che
serve per commettere la truffa, si commette un reato di ricettazione dell’assegno e questo
reato serve per commettere l’altro, quello di truffa.

Anche qua c’è uno stretto collegamento tra i due reati e queste
sono le categorie (a, b, c) che ci interessano quando si parla di
connessione di reati.
La norma fa riferimento al concetto di procedimento perché si parte
dall’ipotesi che per ogni reato vi sia un procedimento, ma dire
connessione fra reati e dire connessione fra procedimenti è la
stessa identica cosa; in definitiva, se a volte si trova il
riferimento a procedimento e a volte reato, non bisogna lasciarsi
trarre in inganno, non bisogna lasciarsi confondere, perché si sta
parlando dell’identico concetto.
Nella fase delle indagini, la necessità di condurre delle indagini
unitarie per determinate fattispecie criminose, può sussistere anche
al di fuori dei casi dei collegamenti che sono stati individuati ed in
particolare questo può accadere nei casi previsti da una norma del
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codice di procedura penale che è l’articolo 371 che indica quelli che
sono i collegamenti fra reati.

Art. 371. - Rapporti tra diversi uffici del pubblico ministero.


1. Gli uffici diversi del pubblico ministero che procedono a indagini collegate, si coordinano tra loro per la speditezza,
economia ed efficacia delle indagini medesime. A tali fini provvedono allo scambio di atti e di informazioni nonché
alla comunicazione delle direttive rispettivamente impartite alla polizia giudiziaria. Possono altresì procedere,
congiuntamente, al compimento di specifici atti.
2. Le indagini di uffici diversi del pubblico ministero si considerano collegate:
a) se i procedimenti sono connessi a norma dell'articolo 12;
b) se si tratta di reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri, o per conseguirne o
assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l'impunità, o che sono stati commessi da
più persone in danno reciproco le une delle altre, ovvero se la prova di un reato o di una sua circostanza
influisce sulla prova di un altro reato o di un'altra circostanza;
c) se la prova di più reati deriva, anche in parte, dalla stessa fonte.
3. Salvo quanto disposto dall'articolo 12, il collegamento delle indagini non ha effetto sulla competenza.

Questa norma individua tutti i casi in cui il pubblico ministero può


procedere a delle indagini coordinandole fra di loro e sono dei casi
più estesi rispetto ai casi di connessione, sono però dei casi in cui,
se da un lato le indagini possono essere svolte in maniera unitaria,
dall’altro non deve influire sulla competenza del Giudice.
Il pubblico ministero quindi potrà svolgere queste indagini in
maniera unitaria però dopo, per stabilire davanti a che Giudice
rivolgersi, bisognerà applicare le regole sulla competenza.
Riassumendo e concludendo questo punto, attraverso gli articoli 12
e 371 del codice di procedura penale, vengono individuati una serie
di collegamenti fra diversi reati, questi collegamenti possono
essere:
⇒ particolarmente forti, e siamo di fronte al criterio dell’articolo 12
lettera a);
⇒ criteri di collegamento più deboli ma comunque in grado di
influire sulla competenza e sono gli altri criteri previsti
nell’articolo 12;
⇒ criteri sufficienti per coordinare delle indagini tra loro e svolgerle
in maniera unitaria, ma non tanto sufficienti da influire sulla
competenza e sono i criteri di collegamento delle cosiddette
indagini collegate indicate nell’articolo 371 del codice di
procedura penale.
L’ipotesi tipica è quando la prova di un reato può influire sulla
prova di un altro reato; in questo caso le indagini verranno svolte

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in maniera unitaria, ma poi quando si tratterà di individuare il


Giudice competente bisognerà distinguere reato per reato.
Se non lo faremo verranno sicuramente poste nell’udienza
preliminare o nella prima udienza davanti al Giudice del
dibattimento delle questioni in ordine alla competenza.
Una volta che siano stati individuati i criteri della competenza per
connessione, il legislatore pone delle regole speciali in caso di
competenza per connessione determinata da materia o da
territorio.
La competenza per connessione può riguardare il problema della
competenza per materia o della competenza per territorio e
queste norme sono esplicitate negli articoli 13 e seguenti del codice
di procedura penale.

Art. 13. - Connessione di procedimenti di competenza di giudici ordinari e speciali.


1. Se alcuni dei procedimenti connessi appartengono alla competenza di un giudice ordinario e altri a quella della
Corte costituzionale, è competente per tutti quest'ultima.
2. Fra reati comuni e reati militari, la connessione di procedimenti opera soltanto quando il reato comune è più
grave di quello militare, avuto riguardo ai criteri previsti dall'articolo 16 comma 3. In tale caso, la competenza per
tutti i reati è del giudice ordinario.

Art. 14. - Limiti alla connessione nel caso di reati commessi da minorenni.
1. La connessione non opera fra procedimenti relativi a imputati che al momento del fatto erano minorenni e
procedimenti relativi a imputati maggiorenni.
2. La connessione non opera, altresì, fra procedimenti per reati commessi quando l'imputato era minorenne e
procedimenti per reati commessi quando era maggiorenne.

Art. 15. - Competenza per materia determinata dalla connessione.


1. Se alcuni dei procedimenti connessi appartengono alla competenza della corte di assise ed altri a quella del
tribunale, è competente per tutti la corte di assise.

Art. 16. - Competenza per territorio determinata dalla connessione.


1. La competenza per territorio per i procedimenti connessi rispetto ai quali più giudici sono ugualmente competenti
per materia appartiene al giudice competente per il reato più grave e, in caso di pari gravità, al giudice
competente per il primo reato.
2. Nel caso previsto dall'articolo 12 comma 1 lettera a) se le azioni od omissioni sono state commesse in luoghi
diversi e se dal fatto è derivata la morte di una persona, è competente il giudice del luogo in cui si è verificato
l'evento.
3. I delitti si considerano più gravi delle contravvenzioni. Fra delitti o fra contravvenzioni si considera più grave il
reato per il quale è prevista la pena più elevata nel massimo ovvero, in caso di parità dei massimi, la pena più
elevata nel minimo; se sono previste pene detentive e pene pecuniarie, di queste si tiene conto solo in caso di
parità delle pene detentive.

 Sotto il profilo della competenza per connessione determinata dal


territorio, il legislatore stabilisce questa regola: se vi sono più
reati che sono connessi fra di loro, bisogna guardare il reato
più grave ed è questo che determina la competenza.

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Se i reati sono tutti di pari gravità (ci sono più omicidi tra di
loro e/o ci sono più furti tra di loro connessi) si guarda al
reato commesso per primo.

Quindi, in presenza di due reati che fra loro sono connessi, tipo omicidio e
furto e per qualche motivo questi reati sono connessi, ad esempio perché per
compiere il furto si è commesso un omicidio, occorre guardare al reato più
grave; se poi sono stati commessi ovviamente nello stesso luogo il problema
non si pone, però si deve partire dal presupposto che questi reati potrebbero
essere stati commessi in luoghi diversi e quindi si guarda il reato più grave.

Questo sotto il profilo della competenza per connessione


determinata dal territorio.
 Sotto il profilo della competenza per connessione determinate
dalla materia, la regola è in questi termini: prevale in linea di
massima il Giudice superiore quindi prevale la Corte d’Assise
sul Tribunale.
Se vi sono reati di competenza del Tribunale e dei reati di
competenza della Corte d’Assise, e questi sono tra loro connessi,
competente per tutti è la Corte d’Assise.

Ad esempio: si vuole truffare un negoziante comprando un orologio con un assegno che non
sarà mai pagato perché è un assegno di provenienza delittuosa quindi protestato come rubato.
Vi è un reato contro la pubblica amministrazione, (il tipico reato di competenza del tribunale
collegiale) e vi è un reato di sangue di competenza della Corte d’Assise, secondo le regole
della competenza per materia, avrei due Giudici diversi davanti a cui celebrare il processo, ma
la regola della competenza per connessione, dice che invece il processo deve essere fatto
davanti a un unico Giudice e questo Giudice sarà il Giudice del reato più grave ovvero la Corte
d’Assise.

La gravità del reato, nel momento in cui questo non sia ancora stato giudicato,
la si guarda in astratto e non in concreto; si guarda la tipologia del reato e,
sulla base dei criteri che sono in linea principale quello della pena individuati
sulla base dell’articolo 4, si individuerà quello che è il reato più grave. Anche
in materia di reato continuato, concorso formale, il principio è che non si
guarda al reato più grave in concreto ma al reato più grave in astratto; un
delitto è quindi sempre più grave di una contravvenzione, un delitto che ha il
massimo editale più alto, sarà più grave di un delitto che ha il massimo editale
più basso, anche se in concreto il disvalore dell’azione commettendo il secondo
delitto è maggiore rispetto a quello che si ha commettendo il primo.

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Una volta che si sia individuata, all’inizio del processo, la


competenza, questa non si sposta a seguito delle vicende del
processo.
Argomenti che sicuramente saranno oggetto dell’esame.

Le figure dell’imputato e dell’indagato (art. 60 c.p.p.).

Art. 60. - Assunzione della qualità di imputato.


1. Assume la qualità di imputato la persona alla quale è attribuito il reato nella richiesta di rinvio a giudizio, di
giudizio immediato, di decreto penale di condanna, di applicazione della pena a norma dell'articolo 447 comma 1,
nel decreto di citazione diretta a giudizio e nel giudizio direttissimo.
2. La qualità di imputato si conserva in ogni stato e grado del processo, sino a che non sia più soggetta a
impugnazione la sentenza di non luogo a procedere, sia divenuta irrevocabile la sentenza di proscioglimento o di
condanna o sia divenuto esecutivo il decreto penale di condanna.
3. La qualità di imputato si riassume in caso di revoca della sentenza di non luogo a procedere e qualora sia disposta
la revisione del processo.

⇒ indagato è il soggetto al quale viene attribuito il reato all’inizio


delle indagini e che per tale motivo viene iscritto nel registro
delle notizie di reato.
⇒ imputato è una sottospecie dell’indagato ovvero è quell’
indagato a cui il reato è attribuito con la formulazione dell’
imputazione.
quindi la persona viene iscritta nel registro, viene svolta l’indagine ed al
termine dell’indagine, il pubblico ministero deve decidere se promuovere o
meno l’azione penale nei confronti di quel soggetto:
o se non la promuove, viene chiesta l’archiviazione del procedimento e il
procedimento se la richiesta di archiviazione verrà accolta, si estingue.
o se invece viene esercitata l’azione penale, ecco che, con la formulazione
dell’imputazione, la persona acquista la qualità di imputato.

L’indicazione di indagato nel codice di procedura penale non è


presente se non con l’espressione: persona sottoposta alle indagini.
Esiste una regola generale secondo cui le garanzie che sono
previste per l’imputato si estendono all’indagato (art. 61
c.p.p.).

Art. 61. - Estensione dei diritti e delle garanzie dell'imputato.


1. I diritti e le garanzie dell'imputato si estendono alla persona sottoposta alle indagini preliminari.
2. Alla stessa persona si estende ogni altra disposizione relativa all'imputato, salvo che sia diversamente stabilito.

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Nel titolo 4 del libro primo, quello relativo alla figura dell’imputato,
il legislatore si preoccupa di indicare quelle che sono le regole
generali per l’interrogatorio della persona sottoposta alle indagini
(indagato), ovvero le regole che deve seguire in linea di principio,
tanto l’autorità giudiziaria, quanto la polizia giudiziaria.
Per autorità giudiziaria si intende il riferimento a due figure
completamente distinte tra di loro:
o il Giudice
o il Pubblico Ministero.
Il magistrato è una categoria che comprende il Pubblico Ministero
ed il Giudice; il pubblico ministero infatti non è un Giudice ma è
comunque un magistrato.
Dunque l’articolo 64 dice che durante l’interrogatorio non possono
essere utilizzati metodi o tecniche che siano idonee a influire sulla
libertà di autodeterminazione del soggetto o alterare la capacità di
ricordare e valutare i fatti.

Art. 64. - Regole generali per l'interrogatorio.


1. La persona sottoposta alle indagini, anche se in stato di custodia cautelare o se detenuta per altra causa,
interviene libera all'interrogatorio, salve le cautele necessarie per prevenire il pericolo di fuga o di violenze.
2. Non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interrogata, metodi o tecniche idonei a
influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti .
3. Prima che abbia inizio l'interrogatorio, la persona deve essere avvertita che:
a) le sue dichiarazioni potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti;
b) salvo quanto disposto dall'articolo 66, comma 1, ha facoltà di non rispondere ad alcuna domanda, ma
comunque il procedimento seguirà il suo corso;
c) se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà, in ordine a tali fatti,
l'ufficio di testimone, salve le incompatibilità previste dall'articolo 197 e le garanzie di cui all'articolo 197-bis.
3-bis. L'inosservanza delle disposizioni di cui al comma 3, lettere a) e b), rende inutilizzabili le dichiarazioni rese
dalla persona interrogata. In mancanza dell'avvertimento di cui al comma 3, lettera c), le dichiarazioni
eventualmente rese dalla persona interrogata su fatti che concernono la responsabilità di altri non sono utilizzabili
nei loro confronti e la persona interrogata non potrà assumere, in ordine a detti fatti, l'ufficio di testimone.

Il principio che sta alla base di questa regola è che la persona che
interviene nel corso dell’interrogatorio deve essere libera di
scegliere se rendere delle dichiarazioni o meno e che quindi,
nemmeno con il suo consenso, questa libertà di autodeterminazione
può essere condizionata.

Gli esempi che generalmente vengono fatti sono quelli della narcoanalisi cioè
dell’utilizzo di sostanze stupefacenti per influire sulla capacità dei ricordi
oppure della macchina della verità.

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Il difensore durante l’interrogatorio non può rispondere al posto del


suo assistito perché la risposta all’interrogatorio è un atto
personalissimo; ci sono tre categorie di atti:
o gli atti personali;
o gli atti personalissimi;
o gli atti per i quali il difensore può agire al posto del suo
assistito.
L’interrogatorio come l’esame incrociato è il tipico atto
personalissimo, quindi il difensore non può rispondere.
Quando si inizia un interrogatorio la persona interviene libera
all’interrogatorio, l’autorità giudiziaria o l’autorità di polizia deve
dare degli avvertimenti, questi avvertimenti sono previsti
nell’articolo 64, 3° comma del codice di procedura penale.
Sono avvertimenti fondamentali perché, se questi avvertimenti non
vengono dati, l’atto avrà delle patologie che verranno sicuramente
fuori nelle successive fasi del procedimento.
Questi avvisi sono 3:

 Il primo è che le dichiarazioni che la persona rende


potranno essere utilizzate nei suoi confronti, quindi la
persona deve essere avvisata che ciò che verrà a dichiarare potrà
assumere rilevanza contro di lui nel corso del procedimento.
Sotto questo profilo se una persona decide di rendere delle
dichiarazioni, queste dichiarazioni, in determinati casi (anche
nell’ipotesi in cui la persona deciderà al dibattimento la via del
silenzio e quindi di non rispondere alle domande), potranno
essere conosciute dal Giudice attraverso l’articolo 513 c.p.p.
Quello che è importante è che questo avviso ha il significato di
porre la persona davanti alla consapevolezza che quello che dirà
potrà eventualmente essere conosciuto in una seconda fase
anche da parte del Giudice.

 Il secondo avviso che la persona riceve è che ha la facoltà di


non rispondere salvo quanto disposto nell’articolo 66.

Art. 66. - Verifica dell'identità personale dell'imputato.


1. Nel primo atto cui è presente l'imputato, l'autorità giudiziaria lo invita a dichiarare le proprie generalità e

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quant'altro può valere a identificarlo, ammonendolo circa le conseguenze cui si espone chi si rifiuta di dare
le proprie generalità o le dà false.
2. L'impossibilità di attribuire all'imputato le sue esatte generalità non pregiudica il compimento di alcun atto
da parte dell'autorità procedente, quando sia certa l'identità fisica della persona.
3. Le erronee generalità attribuite all'imputato sono rettificate nelle forme previste dall'articolo 130.

Allora, la persona è tenuta a fornire le proprie generalità e sotto


questo profilo egli ha un obbligo di rispondere all’autorità che lo
sottopone all’interrogatorio ed esistono nel nostro codice penale
anche dei reati in questa materia.
Ad esempio l’articolo 651, che è una contravvenzione, prevede i casi in cui
una persona si rifiuti di fornire le proprie generalità mentre l’articolo 495
del codice penale, riguarda l’ipotesi in cui uno renda delle false dichiarazioni
sulle proprie generalità, un problema che è attualissimo con le persona
straniere che sono prive di documenti.
Quando una persona viene fermata e non ha dei documenti, viene
sottoposto ad un fotosegnalamento; fotosegnalamento vuol dire che gli
viene fatta una fotografia e gli si prelevano le impronte digitali.
Questi dati entrano in una banca dati e permettono di formare dei certificati
attraverso cui l’autorità di polizia giudiziaria e l’autorità giudiziaria, possono
sapere quante volte una persona che eventualmente ha fornito false
generalità sia stata fermata.
Attraverso le impronte quindi digitali si risolve il problema di chi fornisca
delle false generalità alla polizia giudiziaria o all’autorità giudiziaria, sulla
premessa che è un reato, è un illecito penale fornire delle false generalità.
Viene dato questo avviso e nello stesso tempo gli si dice che ha
facoltà di non rispondere ad alcuna domanda.
Il diritto al silenzio della persona, si può manifestare in questo modo:
o può decidere di non rispondere a nessuna domanda che gli viene
rivolta;
o può rispondere solo ad alcune domande;
questa è una sua scelta.
Quindi non è che una volta che si inizia un interrogatorio, la persona
indagata e anche la persona imputata, perché le stesse regole valgono in
entrambi i casi, debba comunque rispondere a tutte le domande, può
decidere di rispondere ad alcune, e ad altre no; in questo caso, l’autorità di
polizia darà atto che la persona non intende rispondere alle domande e
che eventualmente ha reso la dichiarazione di voler presentare in un
momento successivo una memoria. È un suo diritto.

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Oltre al diritto al silenzio viene riconosciuto in linea generale


alla persona che è sottoposta all’interrogatorio, la facoltà di
mentire.
La facoltà di mentire implica quindi che la persona, senza subire
delle conseguenze penali, possa raccontare delle menzogne.
Il limite che si può individuare alla facoltà di mentire, è quello
relativo al delitto di calunnia o al delitto di simulazione di reato,
nel senso che si è liberi di mentire per esercitare il diritto di
difesa, fino a quando non si calunnia un altro soggetto o si simula
un reato.
Il problema è stabilire il momento in cui si passa dall’esercizio del diritto di
difesa alla calunnia e la regola che la giurisprudenza ha cercato di
individuare è che la persona esercita il diritto di difesa quando si limita a
negare dei fatti di cui ad esempio è accusato da un'altra persona e
sconfina nel delitto di calunnia quando individua una serie di circostanze
tali da fare apparire la persona che ha reso queste dichiarazioni come un
falso testimone; in quel momento si passa dal diritto di difesa ad una
fattispecie criminosa che è quella del delitto di calunnia.
Stabilire in concreto quando ciò accada, può essere molto difficile.
Oltre che con il diritto di calunnia, si esce dall’esercizio del diritto di difesa
nel caso di simulazione di reato.
La simulazione di reato si ha nell’ipotesi in cui si racconti all’autorità di
polizia giudiziaria, o al magistrato di un reato che so non essere mai
esistito.

 Il terzo avviso che viene dato alla persona è che se renderà


dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri
assumerà in ordine a tali fatti l’ufficio di testimone, salvo le
incompatibilità previste dall’articolo 197 e le garanzie previste
dall’articolo 197 bis.

Art. 197. - Incompatibilità con l'ufficio di testimone.

1. Non possono essere assunti come testimoni:


a) i coimputati del medesimo reato o le persone imputate in un procedimento connesso a norma
dell'articolo 12, comma 1, lettera a), salvo che nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza
irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444;
b) salvo quanto previsto dall'articolo 64, comma 3, lettera c), le persone imputate in un procedimento
connesso a norma dell'articolo 12, comma 1, lettera c), o di un reato collegato a norma dell'articolo 371,
comma 2, lettera b), prima che nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di
proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444;
c) il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria;

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d) coloro che nel medesimo procedimento svolgono o hanno svolto la funzione di giudice, pubblico
ministero o loro ausiliario nonché il difensore che abbia svolto attività di investigazione difensiva e coloro
che hanno formato la documentazione delle dichiarazioni e delle informazioni assunte ai sensi
dell'articolo 391-ter.

Art. 197-bis. - Persone imputate o giudicate in un procedimento connesso o per reato collegato che
assumono l'ufficio di testimone.

1. L'imputato in un procedimento connesso ai sensi dell'articolo 12 o di un reato collegato a norma dell'articolo


371, comma 2, lettera b), può essere sempre sentito come testimone quando nei suoi confronti è stata
pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi
dell'articolo 444.
2. L'imputato in un procedimento connesso ai sensi dell'articolo 12, comma 1, lettera c), o di un reato
collegato a norma dell'articolo 371, comma 2, lettera b), può essere sentito come testimone, inoltre, nel
caso previsto dall'articolo 64, comma 3, lettera c).
3. Nei casi previsti dai commi 1 e 2 il testimone è assistito da un difensore. In mancanza di difensore di fiducia
è designato un difensore di ufficio. (1)
4. Nel caso previsto dal comma 1 il testimone non può essere obbligato a deporre sui fatti per i quali è stata
pronunciata in giudizio sentenza di condanna nei suoi confronti, se nel procedimento egli aveva negato la
propria responsabilità ovvero non aveva reso alcuna dichiarazione. Nel caso previsto dal comma 2 il
testimone non può essere obbligato a deporre su fatti che concernono la propria responsabilità in ordine al
reato per cui si procede o si è proceduto nei suoi confronti.
5. In ogni caso le dichiarazioni rese dai soggetti di cui al presente articolo non possono essere utilizzate contro
la persona che le ha rese nel procedimento a suo carico, nel procedimento di revisione della sentenza di
condanna ed in qualsiasi giudizio civile o amministrativo relativo al fatto oggetto dei procedimenti e delle
sentenze suddette.
6. Alle dichiarazioni rese dalle persone che assumono l'ufficio di testimone ai sensi del presente articolo si
applica la disposizione di cui all'articolo 192, comma 3. (1)

(1) La Corte costituzionale con sentenza 21 novembre 2006, n. 381 ha dichiarato l’illegittimità dei commi 3
e 6 del presente articolo nella parte in cui prevedono, rispettivamente, l'assistenza di un difensore e
l'applicazione della disposizione di cui all'art. 192, comma 3, anche per le dichiarazioni rese dalle persone,
indicate al comma 1 del art. 197-bis cod. proc. pen., nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di
assoluzione «per non aver commesso il fatto» divenuta irrevocabile.

Questo avviso che è di difficilissima comprensione, probabilmente


non viene capito dalla maggior parte delle persone indagate o
imputate a cui viene rivolto.
Il significato è che nel nostro ordinamento sono previste delle
particolari categorie di testimoni quali i testimoni assistiti, che si
pongono a metà strada tra il testimone in senso stretto e la
figura dell’imputato.
Sono persone le quali nonostante nei loro confronti si svolga un
procedimento penale, una volta che abbiano reso delle
dichiarazioni a carico di terzi, cioè abbiano accusato delle terze
persone di avere commesso un reato, possono essere
ascoltate con l’obbligo di dire la verità; quindi nel momento
in cui rendono delle dichiarazioni a carico di terzi,
successivamente nell’ambito del procedimento, potranno essere
obbligate a dire la verità.
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Per capire quando ciò accade si deve prendere l’articolo 197 del codice di
procedura penale che viene richiamato anche espressamente dalla lettera C
dell’articolo 64.
L’articolo 197, indica alcune figure di soggetti che sono incompatibili con la
figura del testimone ed allora ecco che ritorna il criterio di collegamento
dell’articolo 12.
L’articolo 197 dice che i coimputati del medesimo reato, e le persone
imputate di un procedimento connesso a norma dell’articolo 12,
comma primo, lettera A, non possono mai essere sentiti come
testimoni, salvo che nei loro confronti sia stata pronunciata una sentenza
passata in giudicato.
Collegando l’articolo 197 con l’articolo 64 e con l’articolo 12, si ha che se
una persona rende dichiarazioni a carico di terzi, nel corso di un
interrogatorio davanti alla polizia giudiziaria, e queste dichiarazioni sono
rese nei confronti del coimputato, oppure nei casi degli altri criteri indicati
dall’articolo 12, non potrà mai essere sentita come testimone assistito
all’interno del procedimento.
Se invece non siamo in presenza di questa ipotesi, ma siamo in presenza di
un criterio di connessione debole, oppure di collegamento probatorio che
è ancora qualcosa di meno rispetto alla connessione, ecco che l’avviso
previsto dall’articolo 64 lettera C acquista importanza perché all’interno del
procedimento penale, la persona potrà essere sentita come testimone
assistito.
È in questo caso specifico che l’articolo 64 3° comma lettera C, ha un
concreto campo di applicazione.
Nei due i casi previsti dalla lettera A e dalla lettera B, la qualità di
testimone assistito potrà essere assunta solo nel momento in cui la
sentenza sia passata in giudicato.

Nell’articolo 64 lettera C si fa riferimento all’ipotesi delle incompatibilità


perché non è vero che ogni volta che una persona rende dichiarazioni a
carico di un terzo assumerà la veste di testimone assistito; l’assumerà solo
se il reato per cui si procede nei confronti della persona che sta dichiarando
e quello relativo alla persona in relazione alla quale sono rese le
dichiarazioni hanno tra loro un criterio di collegamento relativamente
debole, quindi o una connessione debole oppure un collegamento
probatorio.
Il fatto poi che nell’articolo 64 si faccia riferimento al concetto di garanzie, è
perché questa persona nel momento in cui assumerà la veste di testimone,
verrà comunque sentita con l’assistenza di un difensore (presenza che in

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generale viene disciplinata nell’articolo 197 bis secondo comma, con
riferimento a queste ipotesi).
Anche nei casi in cui nei confronti di una persona viene pronunciato un
decreto di archiviazione, e quindi non sia più un indagato, ma sia un ex
indagato, la maggior parte degli autori ritiene che questa persona debba
comunque essere sentita come testimone assistito, oppure come imputato
di procedimento connesso con tutti i limiti che ciò comporta, perché nei suoi
confronti non è stata pronunciata una sentenza irrevocabile ed il decreto di
archiviazione non è una pronuncia irrevocabile.

L’avviso lo dovete dare sempre, e quando date l’avviso dell’articolo 64 terzo


comma lettera C, state per dire a questa persona che potrà assumere, non
che assume nel vostro procedimento, quindi l’interrogatorio lo continuate
come l’avevate iniziato; è in una fase successiva che lui potrà essere
eventualmente sentito come testimone assistito, il che vuol dire nella
sostanza che potrà essere obbligato a rispondere.
Introducendo questo avviso dell’articolo 64 lettera C, il legislatore a
differenza di prima, ha voluto che, in certi limitati casi, non in tutti, chi
rende durante le indagini delle dichiarazioni a carico di altre persone, non
possa tirarsi indietro al dibattimento e debba deporre sotto l’obbligo di
verità.
Questo non sarà possibile in tutti i casi ovvero nelle ipotesi che sono quelle
previste dall’articolo 12 lettera A dove il legislatore preferisce dare la
precedenza al diritto al silenzio rispetto al diritto di confrontarsi.

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1

DIRITTO PROCESSUALE
REGOLE PER L’INTERROGATORIO E MANCATI AVVISI.
Le conseguenze per non aver dato gli avvisi previsti all’art. 64 c.p.p. sono previste
nel 3° comma bis dello stesso articolo 64.
Il fatto che non vengano dati i primi due avvisi, ovvero quello relativo al fatto che la
persona può avvalersi della facoltà di non rispondere e che le dichiarazioni che
renderà potranno essere utilizzate contro di lui, provoca la inutilizzabilità assoluta
delle dichiarazioni rese.
La conseguenza quindi è quella dell’inutilizzabilità; si tratta di una forma di
inutilizzabilità patologica che potrà essere fatta valere in qualsiasi momento nelle
fasi successive del procedimento penale.
Il concetto di inutilizzabilità patologica è contrapposto a quello di inutilizzabilità
fisiologica.

Nell’ambito del procedimento penale distinguiamo la fase delle indagini preliminari dalla fase del
giudizio.
Gli elementi di prova che vengono raccolti nella fase delle indagini preliminari, non possono essere
utilizzati direttamente nella fase del giudizio, però in alcuni modi, possono comunque venire in
rilievo durante la fase dibattimentale.
Se infatti una persona viene sentita a sommarie informazioni dalla polizia giudiziaria durante le
indagini e poi nel sottoporsi all’esame dibattimentale rende delle dichiarazioni difformi a quelle che
aveva reso alla polizia giudiziaria, è possibile che una parte proceda a una contestazione e legga
quel passo del verbale rilasciato dalla polizia giudiziaria per dimostrare la difformità della nuova
versione rispetto alla precedente.
Sotto questo profilo quindi si può dire che, da un lato il verbale di informazioni rilasciato dalla
polizia giudiziaria non è in generale utilizzabile nel giudizio (inutilizzabilità fisiologica) anche se
tuttavia, in alcuni casi, può diventare utilizzabile ai fini della contestazione; l’idea è, che gli atti
raccolti nell’indagine non assumono il rilievo di prova nella fase dibattimentale.
Il caso di cui all’articolo 64 è diverso perché in questa situazione, vi è una forma di invalidità nel
verbale nel senso che il verbale è stato redatto non rispettando le regole previste nell’articolo 64;
questa inutilizzabilità non è fisiologica ma è patologica ed è una forma di invalidità che può essere
fatta valere in qualsiasi fase del procedimento.
Altro esempio di inutilizzabilità è quando una persona che è imputata accede a un rito alternativo
quale può essere il rito abbreviato, il rito del patteggiamento, ed automaticamente gli elementi di
prova che erano stati raccolti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria nella fase delle
indagini diventano a questo punto utilizzabili dal Giudice; in questa situazione si capisce perché si è
parlato di inutilizzabilità fisiologica, essendo atti perfettamente validi, ma solo atti tipici
dell’indagine preliminare, nel momento in cui la persona imputata rinuncia alla fase del
dibattimento, questi atti diventano pienamente utilizzabili.
Se, invece non fossero stati dati gli avvisi, anche qualora la persona decidesse di seguire un rito
alternativo, atti che hanno questa patologia non potrebbero essere utilizzati e il Giudice sarebbe
tenuto a rilevare il vizio anche d’ufficio.

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2

Non si può parlare di nullità dell’atto ma di inutilizzabilità; i concetti di nullità e di inutilizzabilità


sono parzialmente diversi.
Il codice, a proposito dell’articolo 64, parla di inutilizzabilità, ovvero di una patologia che attiene
alle prove, mentre quando ci si riferisce alla nullità, si deve fare riferimento a un vizio di un atto
processuale che può essere di diversi generi e, a seconda del genere a cui appartiene, darà luogo a
nullità generali, assolute, nullità generali a regime intermedio, nullità relative.
Nel caso di inutilizzabilità non c’è alcuna possibilità di sanatoria mentre nel caso di nullità,
sono previste delle possibilità di sanatoria.
Di fronte a un verbale che è inutilizzabile, qualsiasi cosa succeda, il Giudice anche al limite in sede
di legittimità, quindi davanti alla corte di cassazione, potrebbe rilevare il vizio e considerare non
utilizzabile la prova.
Per questo è importante capire quando si tratta di inutilizzabilità e non di nullità.

L’articolo 64 comma 3-bis, distingue, a proposito di inutilizzabilità, gli avvisi previsti


dalle lettere a e b e l’avviso previsto dalla lettera c .
Con l’avviso della lettera c dell’articolo 64, la persona che viene sentita, viene
avvisata che, qualora renderà nel corso dell’interrogatorio delle dichiarazioni contro
terzi, in ordine a tali dichiarazioni potrà assumere eventualmente in una fase
successiva, la veste di testimone e cioè potrà essere obbligato a deporre.
Se però, l’avviso della lettera c dell’articolo 64 non viene dato, la persona in una
fase successiva del processo, non potrà mai assumere la veste di testimone e quindi,
non verrà sentito con l’obbligo di riferire secondo verità quanto aveva in precedenza
dichiarato con riferimento alla posizione di un altro imputato.
Quando viene dato l’avviso dell’articolo 64, la persona che viene sentita,
comunque e in ogni caso, non assumerà mai davanti alla polizia giudiziaria la
veste di testimone; la potrà assumerà in un momento successivo del procedimento e
solo a certe condizioni.
La situazione che di fatto deve essere presa in considerazione ha origine nel momento
in cui la persona che viene sentita riferisce circostanze di fatto che non attendono alla
propria posizione processuale ma alla posizione processuale di altre persone; in
questo caso l’avviso dice che assumerà l’ufficio di testimone, salvo le incompatibilità
previste dall’articolo 197 e dall’articolo 197-bis.

Come avevamo già visto l’articolo 197 del codice di procedura penale declara i casi in cui la
persona rimane comunque incompatibile rispetto all’ufficio di testimone.
Il primo caso è quello della persona coimputata nel medesimo procedimento o imputata di un
procedimento connesso in senso forte.
Tale persona viene sentita davanti alla polizia giudiziaria e non potrà assumere la veste di testimone
né sicuramente davanti alla polizia giudiziaria né in qualsiasi altra fase del giudizio, lo potrà
assumere solo nel momento in cui sarà passato in giudicato la sentenza che lo riguarda.

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3

Questo è il significato dell’articolo 64 lettera c quando intende richiamarsi alle incompatibilità.


L’articolo 197 prevede però che esistano anche dei casi di connessione debole ed in questi casi,
quando il reato che viene contestato alla persona che viene sentita dalla Polizia Giudiziaria è
connesso in maniera debole con il reato che riguarda l’altra persona in relazione alla quale vengono
rese le dichiarazioni, allora sì che una volta ricevuto l’avviso dell’articolo 64 in una fase diversa del
procedimento la persona potrà essere chiamata a ricoprire l’ufficio di testimone.
L’articolo 197 alla lettera a dice che non possono essere assunti come testimoni i coimputati del
medesimo reato o le persone imputate di un procedimento connesso a norma dell’articolo 12
comma primo lettera a ; questi sono, i casi di connessione forte, cioè di collegamento
particolarmente qualificato tra i diversi procedimenti.
Nel caso invece della lettera b , vengono presi in considerazione i casi di connessione debole e la
norma qui fa riferimento all’articolo 12, comma primo lettera c e ai casi di collegamento
probatorio fra due reati cioè quando la prova di un reato può influire sulla prova di un altro reato.
È in questo caso che l’avviso della lettera c dell’articolo 64 assume concreta rilevanza perché, in
questa ipotesi, successivamente nella fase del giudizio, se la persona davanti alla Polizia Giudiziaria
ha reso delle dichiarazioni contro altre persone potrà essere obbligata a deporre in ordine a tali
circostanze.
Questo è il significato sostanziale dell’avviso che viene dato alla persona sentita, non vi deve essere
nessun dubbio circa il fatto che davanti alla Polizia Giudiziaria quella persona non assumerà mai la
veste di testimone, l’assumerà in un momento successivo del procedimento e solo a certe
condizioni.
Per quanto detto diventa quindi possibile che una persona davanti alla Polizia Giudiziaria renderà
dichiarazioni contro altre persone e che un domani, anche nel processo, non potrà comunque
assumere la veste di testimone.
Il caso tipico è quello di una persona che rende dichiarazioni a carico di un'altra ed entrambe le
persone sono imputate nello stesso reato; ad un certo punto le vicende processuali di queste persone
potranno separarsi però, in ogni caso, la persona non assumerà la veste di testimone.
La potrà assumere un domani solo quando la sua posizione processuale sarà completamente definita
con una sentenza irrevocabile.

Tornando alle regole generali per l’interrogatorio, l’articolo 65 spiega che


l’interrogatorio inizia contestando alla persona che è sottoposta alle indagini il fatto-
reato che gli è stato attribuito.

Art. 65. - Interrogatorio nel merito.


1. L'autorità giudiziaria contesta alla persona sottoposta alle indagini in forma chiara e precisa il fatto che le è
attribuito, le rende noti gli elementi di prova esistenti contro di lei e, se non può derivarne pregiudizio per le
indagini, gliene comunica le fonti.
2. Invita, quindi, la persona ad esporre quanto ritiene utile per la sua difesa e le pone direttamente domande.
3. Se la persona rifiuta di rispondere, ne è fatta menzione nel verbale. Nel verbale è fatta anche menzione, quando
occorre, dei connotati fisici e di eventuali segni particolari della persona.

Oltre ad indicargli quale è il fatto-reato che gli è attribuito e che ricordiamo è solo
un’ipotesi di reato in quanto non è ancora stata formulata la contestazione mediante

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l’imputazione, devono essere indicati gli elementi di prova e, se ciò non crea
pregiudizio alle indagini, le fonti da cui questi elementi di prova si desumono.
Il codice non utilizza l’espressione “prova” perché tale espressione tendenzialmente,
la utilizza con riferimento al giudizio dibattimentale, alla fase del processo in senso
stretto; utilizza un concetto diverso “elemento di prova” quale elemento che potrà
eventualmente in futuro acquisire l’efficacia di una prova ma che, momentaneamente,
non è ancora stata valutato da un Giudice.
Le fonti di prova, cioè la persona da cui sono state prese le dichiarazioni a carico, non
necessariamente devono essere indicate, sono indicate solo se ciò non reca
pregiudizio alle indagini.
Detto questo, la persona che è davanti alla Polizia Giudiziaria, può decidere di non
rispondere a nessuna domanda oppure decidere di rispondere solo ad alcune
domande.
Il fatto che inizialmente abbia deciso di rispondere, non gli impedisce in un
successivo momento, di evitare di rispondere ad altre domande che gli vengono
poste.
Nel momento in cui la persona evita di rispondere ad alcune domande, la Polizia
Giudiziaria deve farne menzione nel verbale; la stessa regola varrà poi anche
nell’ambito del dibattimento, quando l’imputato viene sottoposto all’esame davanti al
Giudice.
Anche di fronte al Giudice infatti è prevista la libertà della persona di rispondere a
nessuna domanda oppure di rispondere solo ad alcune domande e qualora decida di
non rispondere ad alcune specifiche domande, ne deve essere fatta menzione.
Il significato di questa precisazione sta nel fatto che, qualora una persona non
risponda ad alcune domande, certamente in qualche modo pregiudica la sua
attendibilità.
Occorre notare che negli articoli 64 e 65 che rappresentano delle regole
assolutamente generali del modo di condurre l’interrogatorio, troviamo l’espressione
“interrogatorio”, mentre se si prende l’articolo 350 del c.p.p., che è la norma che
direttamente si applica quando, nella veste di polizia giudiziaria viene sentita una
persona indagata, non si trova l’espressione interrogatorio, ma l’espressione
“sommaria informazione della persona nei cui confronti vengono svolte le
indagini”.

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Art. 350. - Sommarie informazioni dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini.
1. Gli ufficiali di polizia giudiziaria assumono, con le modalità previste dall'articolo 64, sommarie informazioni utili
per le investigazioni dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini che non si trovi in stato di arresto o
di fermo a norma dell'articolo 384.
2. Prima di assumere le sommarie informazioni, la polizia giudiziaria invita la persona nei cui confronti vengono
svolte le indagini a nominare un difensore di fiducia e, in difetto, provvede a norma dell'articolo 97 comma 3.
3. Le sommarie informazioni sono assunte con la necessaria assistenza del difensore, al quale la polizia giudiziaria
dà tempestivo avviso. Il difensore ha l'obbligo di presenziare al compimento dell'atto.
4. Se il difensore non è stato reperito o non è comparso, la polizia giudiziaria richiede al pubblico ministero di
provvedere a norma dell'articolo 97, comma 4.
5. Sul luogo o nell'immediatezza del fatto, gli ufficiali di polizia giudiziaria possono, anche senza la presenza del
difensore, assumere dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, anche se arrestata in flagranza o
fermata a norma dell'articolo 384, notizie e indicazioni utili ai fini della immediata prosecuzione delle indagini.
6. Delle notizie e delle indicazioni assunte senza l'assistenza del difensore sul luogo o nell'immediatezza del fatto a
norma del comma 5 è vietata ogni documentazione e utilizzazione.
7. La polizia giudiziaria può altresì ricevere dichiarazioni spontanee dalla persona nei cui confronti vengono svolte le
indagini, ma di esse non è consentita la utilizzazione nel dibattimento, salvo quanto previsto dall'articolo 503
comma 3.

Ciò non toglie che le regole per l’interrogatorio debbano essere applicate anche in
questa sede.
Il termine interrogatorio quindi, da un lato è un termine generale che vi comprende
anche le sommarie informazioni della persona nei cui confronti vengono svolte le
indagini da parte della polizia giudiziaria, dall’altro è un termine in senso stretto,
indica le informazioni che vengono prese dalla persona sottoposta alle indagini da
parte del pubblico ministero.
La terminologia che usa il codice è questa:
⇒ sommarie informazioni quando le dichiarazioni vengono rese davanti alla
polizia giudiziaria;
⇒ interrogatorio quando le dichiarazioni vengono rese davanti al pubblico
ministero;
⇒ esame quando queste dichiarazioni vengono rese davanti al Giudice.
Accanto all’articolo 64, una seconda norma che è fondamentale conoscere è quella
relativa alle dichiarazioni indizianti, che è pensata con riguardo all’ipotesi che sia
nel corso delle indagini, sia nella fase del giudizio e quindi nella fase del
dibattimento, una persona che è sentita come testimone se è al dibattimento o come
informatore se è nella fase delle indagini, può a questo punto rendere delle
dichiarazioni indizianti cioè delle dichiarazioni da cui possono emergere degli
elementi di reità nei suoi stessi confronti.
Nel caso in cui si verifichi questa situazione, che è una situazione che si può
verificare in qualsiasi fase del procedimento penale, davanti alla polizia giudiziaria
così come davanti al Giudice, l’autorità che procede ha dei precisi obblighi, ed il
primo è quello di interrompere l’esame.

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L’articolo 63 utilizza l’espressione esame però potrebbe essere benissimo un verbale
di sommarie informazioni della persona che viene sentita nell’ambito delle indagini.
Quindi, interrotto l’esame, la persona deve essere avvertita che per quello che
verrà dichiarato potranno essere svolte delle indagini nei suoi confronti e deve
essere invitata a nominare un difensore.

La verbalizzazione va sospesa immediatamente dopo l’affermazione che può essere utilizzata


contro chi l’ha resa per rendere comprensibile a chi leggerà un domani il verbale, qual è la
dichiarazione indiziante.
La persona parla davanti alla Polizia Giudiziaria e rende questa dichiarazione indiziante; se la
dichiarazione indiziante non viene in qualche modo verbalizzata, un domani chi leggerà il verbale e
dovrà verificare se il comportamento è stato corretto, non riuscirà a capire, se l’affermazione non è
verbalizzata, il perché è stato deciso di interrompere l’esame.

La dichiarazione indiziante rilascita immediatamente prima della sospensione


dell’esame, non comporta nessuna conseguenza pregiudizievole per la persona che si
sta sentendo, perché l’articolo 63 indica esplicitamente che le dichiarazioni che sono
state rese non potranno essere utilizzate nei confronti di quella persona.

Art. 63. - Dichiarazioni indizianti.


1. Se davanti all'autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria una persona non imputata ovvero una persona non
sottoposta alle indagini rende dichiarazioni dalle quali emergono indizi di reità a suo carico, l'autorità procedente
ne interrompe l'esame, avvertendola che a seguito di tali dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi
confronti e la invita a nominare un difensore. Le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la
persona che le ha rese.
2. Se la persona doveva essere sentita sin dall'inizio in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini, le
sue dichiarazioni non possono essere utilizzate.

Quindi, anche se vengono verbalizzate la dichiarazione indiziante, un domani, in


qualsiasi fase del procedimento, sia che la persona acceda ad un rito alternativo, sia
che decida di scegliere la strada del dibattimento, quella dichiarazione non potrà
costituire una prova a carico della persona.
Il codice prevede altresì una diversa ipotesi, ovvero che l’autorità che procede,
(Polizia Giudiziaria o Autorità Giudiziaria) decida, nonostante conosca che a carico
di quella persona vi siano degli indizi di reità, di sentirla come semplice informatore
o come semplice testimone eludendo, nella sostanza, le garanzie previste per la
persona che dovrebbe assumere formalmente la veste di indagato.
In questo caso, il codice prevede che le dichiarazioni che vengono rese da una
persona che viene sentita nella veste non corretta, siano completamente inutilizzabili.

In definitiva, mentre per la persona sentita correttamente e che rende delle dichiarazioni indizianti
quelle dichiarazioni non potranno essere utilizzate contro di lui, nel caso in cui l’Autorità Giudiziale
o la Polizia Giudiziaria abbiano eluso le garanzie sentendo ugualmente come informatore o come
testimone una persona che avrebbe dovuto essere sentita come indagato o come imputato, quelle

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dichiarazioni rese non potranno essere utilizzate non solo contro di lui ma nemmeno nei
confronti di altri.
Quindi, è del tutto inutile cercare di eludere le garanzie dell’indagato sentendolo come informatore
e non come indagato quando si sa già che questa persona dovrebbe assumere la veste di indagato,
perché, non solo nei suoi confronti, ma anche nei confronti di altri queste dichiarazioni non
potranno mai essere utilizzate.
Se gli indizi di reità emergono dalle dichiarazioni che la persona rende davanti alla Polizia
Giudiziaria o davanti all’Autorità Giudiziaria, allora lì si interrompe l’esame; nel caso del secondo
comma, la situazione è diversa in quanto fin dall’inizio, quindi prima del momento in cui iniziasse a
rendere le dichiarazioni la persona avrebbe dovuto essere sentita come indagato.
Nel caso dell’art. 63 primo comma, l’autorità che procede non intende eludere nessuna garanzia
ma si accorge nel momento in cui sente la persona che questa rende delle dichiarazioni indizianti;
nel secondo comma, l’Autorità Giudiziaria o la Polizia Giudiziaria, sapevano o dovevano
comunque sapere fin dall’inizio che questa persona assumeva la veste di indagato e quindi non la
dovevano sentire come informatore e non dovevano dare all’inizio dell’assunzione delle
informazioni l’avviso che doveva rispondere secondo verità alle domande.
Anche qui, la sanzione non è quella di una nullità eventualmente relativa ma è di una
inutilizzabilità che può essere rilevata anche dal Giudice e quindi indipendentemente dal fatto che
la parte interessata possa o meno impugnare, in qualsiasi stato e grado del procedimento, anche nel
giudizio in cassazione.

Una persona può rendere delle spontanee dichiarazioni e queste spontanee dichiarazioni possono
essere raccolte dalla Polizia Giudiziaria come, sicuramente è un diritto a questo punto dell'imputato
renderle al dibattimento, però questo non è l’interrogatorio e non sono nemmeno le sommarie
informazioni disciplinate dall’articolo 350, perché l’interrogatorio è rispondere a delle domande e le
spontanee dichiarazioni è invece, un monologo che viene condotto dalla persona al di fuori delle
domande che la Polizia Giudiziaria va a porre.
Una persona potrebbe davanti a voi dichiarare di avere sì la facoltà di non rispondere e allo stesso
tempo dire che vuole rilasciare delle spontanee dichiarazioni che saranno verbalizzate facendo ben
capire però, a chi un domani dovrà leggere questo verbale, che non si tratta delle risposte a un
interrogatorio ma di dichiarazioni spontaneamente rese.
La differenza sta nel fatto che, nel momento in cui una persona rende delle spontanee dichiarazioni,
nessuno lo può interrompere dicendo “ma mi spieghi meglio questa questione” oppure facendo
rilevare una contraddizione e si scriveranno queste dichiarazioni così come sono state rese, punto e
basta.
In linea di principio, se una persona rende delle spontanee dichiarazioni, è meglio che queste siano
verbalizzate tra virgolette; una cosa è disporre di una dichiarazione spontanea altro è disporre del
riassunto di una dichiarazione spontanea.
Il riassunto è comunque il frutto di una elaborazione che la Polizia Giudiziaria conduce, mentre la
dichiarazione spontanea è ciò che esattamente la persona dichiara.

Una precisazione in riferimento agli articoli 63 e 64:


la persona che viene sentita, ha facoltà di non rispondere alle domande oppure
può rispondere sia quando fa riferimento alla propria posizione processuale sia
quando fa riferimento alla posizione di altri senza un obbligo di verità.

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Un obbligo di verità potrebbe assumerlo in un secondo momento per effetto
dell’avviso dell’articolo 64 lettera c , ma, al momento iniziale, sicuramente non ha
l’obbligo di verità, quindi può mentire.
Ovviamente il limite a questo diritto a mentire sta nel fatto che una persona non può
comunque calunniare altri soggetti né rendere le dichiarazioni da cui si desuma
l’esistenza di un reato che mai è stato commesso.
In altre parole, con riferimento alla calunnia e con riferimento alla simulazione di un
reato, non vi è un diritto a mentire della persona che si sta sentendo.
Il problema è naturalmente, capire: quando una persona esercita il diritto di difesa e
quando una persona commette il reato di calunnia; è certamente un problema di non
facile soluzione e che dalla giurisprudenza viene risolto tendenzialmente dicendo che
la dichiarazione difensiva, nel momento in cui non esorbita dagli stretti fini difensivi,
è comunque una dichiarazione che non può integrare il delitto di calunnia.
Nel momento invece in cui la dichiarazione a carico di altre persone diventa
circostanziata e precisa, allora può venire in rilievo il reato di calunnia.

Un caso che è stato risolto dalla cassazione riguardava proprio una vicenda di un infortunio sul
lavoro, era successo che dei lavoratori avevano accusato l’imprenditore di tenere una certa condotta
sul luogo di lavoro.
L’imprenditore, durante l’esame dibattimentale, aveva sostenuto che le dichiarazioni di queste
persone erano false e che tutto era frutto di una congiura nei suoi confronti.
L’imprenditore è stato successivamente portato a giudizio con delitto di calunnia partendo dal
presupposto che avendo detto che altri avevano mentito, li aveva accusati di aver commesso un
reato.
La corte di cassazione però, in questa vicenda processuale, è arrivata alla conclusione che la
dichiarazione a carico di altri, comunque non esorbitava dagli stretti diritti in cui una persona può
rendere dichiarazioni per esigenze strettamente difensive, e quindi non era sufficiente a integrare il
reato di calunnia.
Questa è una sentenza che è stata pronunciata nel 2001 dalla corte di cassazione.
Questo lo dico perché capita abbastanza normalmente che una persona che è accusata di un reato
venga ad affermare che le dichiarazioni dei testimoni dell’accusa non siano vere, questo di per se
non è sufficiente secondo la giurisprudenza per integrare il reato di calunnia.
Qualora invece questa persona non si limitasse a dire che le dichiarazioni di chi lo accusa non siano
vere ma aggiungesse dei particolari precisi, ad esempio dicesse che questa persona è interessata a
rendere dichiarazioni a suo carico perché tra loro vi è stata una lite, e andando avanti di questo
passo formulasse degli addebiti circostanziati allora non rientreremmo più nell’esercizio dei diritti
di difesa, ma sconfineremmo nel delitto di calunnia.

Con riferimento alle regole generali previste in relazione all’imputato vi è l’articolo


66 relativo alla verifica della identità dell’imputato; quella che deve essere accertata
nell’ambito di un procedimento, è l’identità fisica della persona indagata, mentre
l’identità anagrafica può rimanere anche incerta.

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Art. 66. - Verifica dell'identità personale dell'imputato.


1. Nel primo atto cui è presente l'imputato, l'autorità giudiziaria lo invita a dichiarare le proprie generalità e
quant'altro può valere a identificarlo, ammonendolo circa le conseguenze cui si espone chi si rifiuta di dare le
proprie generalità o le dà false.
2. L'impossibilità di attribuire all'imputato le sue esatte generalità non pregiudica il compimento di alcun atto da
parte dell'autorità procedente, quando sia certa l'identità fisica della persona.
3. Le erronee generalità attribuite all'imputato sono rettificate nelle forme previste dall'articolo 130.

Il caso che capita sempre più spesso, di persone che non hanno documenti e che
vengono nel gergo definite con la parola sedicenti.
Il fatto che l’identità anagrafica di una persona non sia stata determinata, non
impedisce il compimento di alcun atto del procedimento.
Eventualmente in una fase successiva, anche dopo la pronuncia della sentenza,
qualora vengano accertate le reali generalità della persona, si può procedere a una
rettifica con le forme previste per la correzione dell'errore materiale.

Partiamo dal presupposto che una persona davanti alla Polizia Giudiziaria deve riferire le proprie
generalità, commette un illecito se non riferisce le proprie generalità, e commette un illecito anche
nel caso in cui dichiari generalità false.
Se leggete insieme l’articolo 66 e l’articolo 64, vi accorgerete che alla lettera b dell’articolo 64 si
dice: “salvo quanto disposto dall’articolo 66”, quindi una persona non può mentire con riferimento
alle proprie generalità, se mente commette un reato, e il reato che commette una persona che
davanti alla Polizia Giudiziaria dichiara delle false generalità, è quello previsto dall’articolo 495 del
codice penale, falsa attestazione dichiarazione a pubblico ufficiale sull’identità o su qualità
personali proprie o di altri.

Art. 495. - Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità
personali proprie o di altri.
Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, l'identità o lo stato o altre
qualità della propria o dell'altrui persona è punito con la reclusione fino a tre anni.
Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto in una dichiarazione destinata a essere riprodotta in un atto
pubblico.
La reclusione non è inferiore ad un anno:
1. se si tratta di dichiarazione in atti dello stato civile;
2. se la falsa dichiarazione sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità personali è resa da
un imputato all'autorità giudiziaria o da una persona sottoposta ad indagini alla stessa autorità o alla
polizia giudiziaria delegata alle indagini, ovvero se, per effetto della falsa dichiarazione, nel casellario
giudiziale una decisione penale viene iscritta sotto falso nome.
La pena è diminuita se chi ha dichiarato il falso intendeva ottenere, per sé o per altri, il rilascio di certificati
o di autorizzazioni amministrative sotto falso nome, o con altre indicazioni mendaci.

Quindi una persona commette un delitto se dichiara delle false generalità in un verbale e molte volte
soprattutto per le persone straniere diventa impossibile individuare quali siano le generalità, perché
le persone sono prive di documenti e nel corso del tempo dichiarano generalità diverse.
Il fatto che queste persone dichiarano generalità diverse, lo si ricava generalmente attraverso
l’analisi di un particolare certificato che viene inserito nel fascicolo processuale, che è il certificato
afis.
Ad una persona, ogni volta che viene identificata e sottoposta a fotosegnalamento, vengono prese le
impronte digitali; queste impronte digitali finiscono in un archivio e attraverso il certificato afis è

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possibile vedere quante volte nel corso del tempo tale persona con certe impronte digitali quali
generalità abbia dichiarato.
Con questo metodo si può scoprire agevolmente se una persona sentita più volte abbia dichiarato le
generalità A, B e C.
Il problema è che queste generalità potrebbero non conoscersi nemmeno in un momento successivo
perché se una persona è sempre stata sedicente e non ha mai esibito un documento, non si potrà mai
sapere quali siano le sue esatte generalità.
La giurisprudenza ha risolto il problema in questi termini: nel momento in cui una persona dichiara
in due occasioni delle generalità diverse, è pacifico che almeno in una delle due occasioni abbia
mentito, perché ovviamente una persona non può avere due generalità diverse.
Secondo la corte di cassazione, nel caso in cui abbiamo due generalità diverse, anche se rimane
incerto in quale delle due occasioni questa persona abbia mentito (teoricamente potrebbe avere
mentito anche in tutte e due le occasioni), è comunque sicuro che almeno in una delle due
occasioni, se non in tutte e due, abbia mentito.
Questo diviene sufficiente per condannarla per il delitto di cui l’articolo 495 del codice penale.
Il fatto che rimanga incerta in quale occasione questa persona abbia dichiarato le generalità non
corrette, può rilevare solo ai fini della prescrizione del reato e non ad altri fini o per sostenere che
non vi è la prova della responsabilità.

Sotto il profilo dell’identificazione della persona, nell’articolo 349 del codice di


procedura penale, è stata nel 2005 inserita una novella che prevede che l’autorità di
polizia proceda all’identificazione della persona anche attraverso rilievi dattiloscopici
e fotografici, e che possano essere compiuti il prelievo di capelli o di saliva con
questa particolarità: se manca il consenso, si può procedere al prelievo coattivo, ma
questo solo previa autorizzazione del Magistrato.

Art. 349. - Identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e di altre persone.
1. La polizia giudiziaria procede alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e delle
persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti.
2. Alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini può procedersi anche eseguendo,
ove occorra, rilievi dattiloscopici, fotografici e antropometrici nonché altri accertamenti.
2-bis. Se gli accertamenti indicati dal comma 2 comportano il prelievo di capelli o saliva e manca il consenso
dell'interessato, la polizia giudiziaria procede al prelievo coattivo nel rispetto della dignità personale del soggetto,
previa autorizzazione scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, del pubblico ministero.
3. Quando procede alla identificazione, la polizia giudiziaria invita la persona nei cui confronti vengono svolte le
indagini a dichiarare o a eleggere il domicilio per le notificazioni a norma dell'articolo 161. Osserva inoltre le
disposizioni dell'articolo 66.
4. Se taluna delle persone indicate nel comma 1 rifiuta di farsi identificare ovvero fornisce generalità o documenti di
identificazione in relazione ai quali sussistono sufficienti elementi per ritenerne la falsità, la polizia giudiziaria la
accompagna nei propri uffici e ivi la trattiene per il tempo strettamente necessario per la identificazione e
comunque non oltre le dodici ore ovvero, previo avviso anche orale al pubblico ministero, non oltre le
ventiquattro ore, nel caso che l'identificazione risulti particolarmente complessa oppure occorra l'assistenza
dell'autorità consolare o di un interprete, ed in tal caso con facoltà per il soggetto di chiedere di avvisare un
familiare o un convivente.
5. Dell'accompagnamento e dell'ora in cui questo è stato compiuto è data immediata notizia al pubblico ministero il
quale, se ritiene che non ricorrono le condizioni previste dal comma 4, ordina il rilascio della persona
accompagnata.
6. Al pubblico ministero è data altresì notizia del rilascio della persona accompagnata e dell'ora in cui esso è
avvenuto.

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Per magistrato si intende il Pubblico Ministero e l’autorizzazione può essere scritta
oppure orale con successiva conferma per iscritto.
La corte costituzionale si è pronunciata con riferimento al prelievo di sangue
arrivando alla conclusione che siccome nessuna norma di legge prevede e
regolamenta il prelievo di sangue nei confronti di una persona indagata, l’Autorità
Giudiziaria non può mai costringere una persona a un prelievo di sangue.
È possibile per quanto riguarda il prelievo di capelli e di saliva, e questi prelievi di
capelli e di saliva rileva ai fini delle prove del DNA, nei limiti di cui abbiamo appena
accennato.

IL DIFENSORE.

Sempre nell’ambito del primo libro del codice di procedura penale, tra le figure che
vengono prese in considerazione c’è il difensore.
Dal punto di vista strettamente penalistico il difensore è un privato che esercita un
esercizio di pubblica necessità; è un privato di cui una persona che é indagata o
imputata in un procedimento penale ha l’obbligo di servirsi.
Non è una semplice facoltà, quindi una persona nel nostro procedimento penale, non
potrebbe mai difendersi da sola, ha sempre bisogno dell’assistenza di un difensore.
Questo è il motivo per cui accanto alla figura del difensore di fiducia, il codice
regolamenta il difensore d’ufficio.
Esiste differenza concettuale tra la rappresentanza tecnica del difensore e la
rappresentanza volontaria.
 La rappresentanza tecnica del difensore è il potere che il difensore ha di
compiere nell’ambito del procedimento, degli atti nell’interesse del suo
assistito sempre che non si tratti di atti personali.
Questo è il potere che viene conferito al difensore attraverso il mandato difensivo,
che viene anche chiamato procura alle liti; tale mandato si rilascia con una
dichiarazione resa davanti all’autorità che procede, oppure con una dichiarazione
scritta che può essere presentata o trasmessa mediante lettera raccomandata.
La sottoscrizione della persona che nomina il difensore non deve essere autenticata,
stiamo parlando della persona indagata, quindi imputata, non delle parti private;
questo è il concetto di rappresentanza tecnica.
 La rappresentanza volontaria del difensore è il potere che il difensore ha di
compiere atti nell’interesse e in nome del cliente anche di natura personale.
In generale un difensore che ha ricevuto un mandato alle liti assiste nell’ambito del
procedimento la persona che è indagata o che è imputata e non può in linea generale
compiere atti di natura personale, quali possono essere la richiesta di patteggiamento

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oppure la richiesta di giudizio abbreviato; questi sono atti che il difensore per il solo
fatto di avere una procura alle liti non può compiere.
Per poter compiere questi atti, deve ricevere un secondo potere dalla persona che
assiste, e questo potere viene conferito mediante quella che noi chiamiamo “procura
speciale”.
⇒ attraverso il semplice mandato difensivo, la procura alle liti, viene conferito il
potere di rappresentare al procedimento l’assistito, però non di compiere gli atti
personali (rappresentanza tecnica);
⇒ con la procura speciale viene attribuito qualcosa di più ovvero il potere di
compiere in nome e per conto dell’assistito delle scelte che in linea di principio il
codice riserva alla parte indagata o imputata (rappresentanza volontaria).
Il difensore viene nominato nelle forme indicate, quindi con una dichiarazione scritta
e una dichiarazione resa davanti all’autorità giudiziaria; il rapporto tra il difensore e
la persona indagata o imputata è un rapporto di natura fiduciaria e questo comporta
che il difensore nel momento in cui viene a conoscenza dell’incarico che gli viene
conferito può non accettarlo e la non accettazione prevede il codice, ha effetto nel
momento in cui viene comunicata all’autorità giudiziaria.
Può succedere però anche qualcosa di diverso ovvero che dopo aver accettato
l’incarico, e per accettare l’incarico non occorre un’accettazione espressa, il difensore
decida, in un secondo momento, di rinunciare, oppure può accadere che la persona
indagata o imputata decida di revocare il difensore.
Premesso quindi che esiste un rapporto fiduciario tra difensore e persona assistita, la
non accettazione dell’incarico e la revoca o la rinuncia dell’altro, hanno effetto in
momenti diversi.
Mentre la non accettazione ha effetto nel momento stesso in cui viene comunicata, la
rinuncia o la revoca hanno effetto solo nel momento in cui la persona sia assistita da
un nuovo difensore e sia eventualmente decorso il termine a difesa.
Questo per evitare che una persona, cambiando continuamente il difensore, possa di
fatto bloccare l’attività del procedimento, la regola è indicata ed espressa nell’articolo
107 del codice di procedura penale.

Art. 107. - Non accettazione, rinuncia o revoca del difensore.


1. Il difensore che non accetta l'incarico conferitogli o vi rinuncia ne dà subito comunicazione all'autorità procedente
e a chi lo ha nominato.
2. La non accettazione ha effetto dal momento in cui è comunicata all'autorità procedente.
3. La rinuncia non ha effetto finché la parte non risulti assistita da un nuovo difensore di fiducia o da un difensore di
ufficio e non sia decorso il termine eventualmente concesso a norma dell'articolo 108.
4. La disposizione del comma 3 si applica anche nel caso di revoca.

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La persona che viene indagata può non avere compiuto la scelta di nominare un
difensore e questo comporta l’obbligo per l’autorità che procede di individuare un
difensore d’ufficio.
La Polizia Giudiziaria, nel momento in cui compie certi atti, ha necessità che la
persona indagata sia assistita da un difensore, uno dei casi più evidenti è quello
dell’articolo 350 del codice di procedura penale (la norma che riguarda la sommaria
informazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini).
Al comma 3 infatti si dice che la persona deve essere assistita da un difensore nel
momento in cui viene sentita, e il difensore ha l’obbligo di presenziare.
Nell’ipotesi in cui la persona non abbia nominato un difensore, l’Autorità Giudiziaria,
l’Autorità di Polizia Giudiziaria non possono compiere nella loro discrezionalità la
scelta di un qualsiasi difensore ma debbono rivolgersi ad un elenco che viene tenuto
dal consiglio dell’ordine del capoluogo di distretto e attraverso questo elenco
individuare il difensore d’ufficio da designare.
Esiste quindi un elenco, suddiviso in vari sottoelenchi a seconda dei circondari di
tribunale, con indicati i difensori d’ufficio che sono di turno giorno per giorno.
Nel momento in cui sorga la necessità di nominare un difensore d’ufficio, si è
costretti a rivolgersi a questo archivio contattando un numero di telefono e seguire le
indicazioni sul difensore d’ufficio fornita dal consiglio dell’ordine.
Attenzione che se a una persona viene nominato un difensore d’ufficio, e poi nel
corso del procedimento viene arbitrariamente sostituito questo difensore d’ufficio,
viene commessa una violazione del diritto difesa; per tale ragione occorre stare attenti
prima di nominare un difensore d’ufficio e verificare che già nel corso del
procedimento non ne sia già stato nominato uno.
Di solito la giurisprudenza tempera la severità di questo principio nei seguenti
termini:
⇒ se il difensore d’ufficio nominato in un primo tempo ha effettivamente esercitato
delle attività difensive e poi questo viene in maniera non corretta sostituito, si
verifica una nullità nel procedimento che attiene alla violazione del diritto di
assistenza.
⇒ se invece il primo difensore non era intervenuto in nessun caso in nessun atto del
procedimento, allora tendenzialmente la giurisprudenza non arriva a ritenere che si
tratti di una violazione di una norma del procedimento che non comporti alcuna
nullità.
È però particolarmente importante verificare prima di nominare un difensore
d’ufficio, che nell’ambito del medesimo procedimento questo difensore d’ufficio non
sia già stato nominato.

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 Il difensore d’ufficio non può rifiutare di assumere l’incarico, e può essere
sostituito dall’Autorità Giudiziaria solo se sussistono dei giustificati motivi.
 Non è un difensore gratuito, il difensore d’ufficio è un difensore che la persona
indagata o imputata dovrà retribuire come un difensore di fiducia.
 Qualora la persona indagata o imputata non raggiunga certi limiti di reddito, potrà
avvalersi di un istituto particolare che è il patrocinio a spese dello Stato.
Dovrà cioè presentare una domanda in cui chiede al Giudice per le indagini
preliminari, o a un altro Giudice che procede come un Giudice di secondo grado a
seconda della fase del procedimento, di essere ammessa a questi benefici del
patrocinio a spese dello stato e quindi di poter scegliere lui stesso un difensore tra
quelli iscritti negli appostiti elenchi dei difensori abilitati a esercitare questo
ufficio.

I limiti di reddito che attualmente sono previsti sono di circa 9700 euro, quindi una persona per
essere ammessa al patrocinio a spese dello stato deve avere un reddito lordo non superiore a questa
somma che poi può essere aumentata di circa poco più di 1000 euro per ogni familiare convivente.
Il controllo che l’Autorità Giudiziaria ha nel verificare la domanda per essere ammesso al patrocinio
a spese dello stato è un controllo puramente formale, cioè la persona sulla sua responsabilità con
una dichiarazione di quello che dichiara in ordine ai propri redditi; l’Autorità Giudiziaria deve
prendere atto di questa dichiarazione e comunicherà poi la propria decisione all’ufficio finanziario
competente per eventuali controlli.
Solo in riferimento a particolari categorie di indagati è prevista la possibilità di controlli più
sostanziali.

Con riferimento alla figura del difensore, occorre precisare che non è solo la persona
indagata o imputata in un procedimento che nomina un difensore, lo nominano anche
le altre parti private, quali:
⇒ la parte civile;
⇒ il responsabile civile:
⇒ l’eventualmente civilmente obbligato per la pena pecuniaria.
La particolarità sta nel fatto che l’atto attraverso cui si conferisce il potere di
rappresentare viene denominato con riferimento alle altre parti private “procura
speciale”.
Il problema quindi può essere quello di non confondere la procura speciale quale
atto che serve per conferire la rappresentanza volontaria, dalla procura speciale
(purtroppo il codice utilizza lo stesso termine) quale atto che serve per conferire la
rappresentanza tecnica alle parti diverse dalla persona indagata o imputata.

Mentre per la persona indagata o imputata, distinguiamo come terminologia in maniera abbastanza
chiara il mandato alle liti che serve per conferire la rappresentanza tecnica (poteri di assistere
nelle fasi del procedimento la persona salvo che per gli atti personali) dalla rappresentanza

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volontaria, per cui occorre un potere in più, e che viene conferita con procura speciale, con
riferimento alle parti diverse dall’indagato o l’imputato purtroppo la rappresentanza tecnica e la
rappresentanza volontaria, pur rimanendo atti tra loro separati, vengono chiamati tutti e due nella
terminologia del Codice, con l'espressione “procura speciale”.
Quindi, quando si fa riferimento al concetto di procura speciale, in relazione alle parti diverse
dall’imputato, a volte possiamo fare riferimento semplicemente alla procura alle liti e quindi al
normale mandato difensionale, altre volte possiamo fare riferimento a quella procura particolare che
consente di compiere in nome e per conto della parte degli atti personali.
Così, facendo un esempio in relazione alla parte civile, da un lato il termine “procura” serve per
indicare l’atto mediante cui io nomino la persona che mi assisterà durante il procedimento, e questo
atto deve essere indicato nella costituzione di parte civile, dall’altro con la stessa terminologia
“procura”, intendo riferirmi a quei poteri che io a volte posso conferire al difensore, di compiere
atti che sarebbero, in linea generale, riservati allo stesso diretto interessato.
Ad esempio il potere di rinunciare alla costituzione di parte civile, un difensore nominato per
rappresentare la parte civile, non può rinunciare alla costituzione, può rinunciarvi solo se ha
ricevuto una procura speciale appositamente per compiere questo atto.
⇒ La procura speciale serve per compiere degli atti personali della persona indagata o imputata.
⇒ La procura alle liti è qualcosa di meno, serve semplicemente per assistere la persona indagata o
imputata nell’ambito del procedimento penale.
La complicazione sorge quando parliamo del difensore delle parti private diverse dall’indagato o
imputato e con riferimento a queste altre parti private, il legislatore ha avuto la brutta idea di
chiamare “procura speciale” sia l’atto con cui viene conferita la rappresentanza tecnica, sia l’atto
con cui viene conferita la rappresentanza volontaria.
Quindi quando si fa riferimento alle persone e parti processuali diverse dall’imputato, parti private
ovviamente, bisogna stare attenti con la parola “procura speciale”, a che cosa si intende far
riferimento, se semplicemente al mandato difensionale oppure al potere di compiere certi atti
personali.
Il problema riguarda più la forma che la sostanza, perché per quanto riguarda la sostanza i due atti
rimangono perfettamente distinti, sotto il profilo formale, purtroppo, in riferimento a queste figure
le parti private diverse dall'imputato, abbiamo due atti di contenuto diverso che hanno lo stesso
nome “procura speciale”.

LA PARTE CIVILE.

Per comprendere il concetto di parte civile, bisogna partire dal presupposto che
nell’ambito del procedimento penale non viene esercitata solo l’azione penale da
parte del pubblico ministero, ma può essere esercitata un’azione civile per
risarcimento o le restituzioni, da parte della persona danneggiata dal reato.
Con riferimento a un reato possiamo distinguere il concetto di:
⇒ persona offesa;
⇒ persona danneggiata.

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Il concetto di persona offesa è un concetto di diritto penale sostanziale, se si prende
una norma incriminatrice, una norma che prevede un reato, si vedrà che sempre
questa norma tutela un interesse.
Il soggetto il cui interesse viene danneggiato dalla condotta che costituisce il
reato viene definito persona offesa.
Non necessariamente è una persona fisica, può essere un ente, può essere una persona
giuridica, può essere lo Stato; quando parliamo di persona offesa, intendiamo fare
riferimento al danno criminale collegato alla commissione di un reato.
Quando invece si fa riferimento al concetto di persona danneggiata dal reato,
intendiamo fare riferimento al danno civilistico che può derivare da un’azione che
costituisce reato.
Un reato quindi può avere un rilievo sia sotto il profilo penalistico, sia, come fatto
illecito, anche sotto il profilo civilistico.
L’articolo 2043 del codice civile prevede espressamente che ogni fatto illecito
obblighi colui che lo ha commesso al risarcimento o alle restituzioni.

Art. 2043. - Risarcimento per fatto illecito.


Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a
risarcire il danno.

⇒ Quando si fa riferimento al concetto di persona offesa, ci si riferisce al danno


criminale connesso alla consumazione del reato;
⇒ Quando si fa riferimento al concetto di danneggiato, ci si riferisce alla persona
che ha subito dal fatto illecito un danno civilistico.
La persona che dal fatto illecito ha subito un danno, può scegliere quindi due strade:
⇒ può iniziare un’azione civile, quindi andare davanti a un Giudice civile e
chiedere davanti al Giudice civile il risarcimento del danno o in casi particolari
la restituzione, se si tratta di ottenere la restituzione di una cosa determinata ed
in questo caso si parla di risarcimento in forma specifica.
⇒ può chiedere il risarcimento del danno nell’ambito del procedimento penale e
lo fa costituendosi parte civile nel procedimento penale.
La costituzione di parte civile è facoltativa, nel senso che la persona che ha
subito un danno dal reato può scegliere liberamente se costituirsi o meno parte
civile nel procedimento penale.
La parte civile può scegliere se esercitare l’azione civile nel processo penale, ma se
non compie questa scelta può andare incontro a delle conseguenze.
Se la persona che è danneggiata da un reato riceve informazioni del procedimento
penale e quindi è posto nelle condizioni di esercitare l’azione civile e sceglie di non

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esercitarla, potrà subire delle conseguenze dalla sua inattività in presenza di
determinate sentenze del Giudice penale.
Se un giorno il Giudice penale arriverà alla conclusione che l’imputato non ha
commesso il fatto, il fatto non sussiste, oppure è stato commesso in presenza di una
causa di giustificazione, più precisamente in presenza di determinate cause di
giustificazione che vengono indicate dall’articolo 652 del codice di procedura penale,
questa sentenza, sarà vincolante anche nei confronti del danneggiato che è rimasto
inerte.
Questo perché è stato posto nelle condizioni di costituirsi parte civile e ha deciso di
non farlo.
Del resto il danneggiato può scegliere di iniziare l’azione in sede civile, ed allora se
azionerà l’azione civile in maniera tempestiva non sarà in alcun modo pregiudicato
dal processo penale.

Art. 652. - Efficacia della sentenza penale di assoluzione nel giudizio civile o amministrativo di danno.
1. La sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato,
quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato
compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima, nel giudizio civile o
amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso dal danneggiato o nell'interesse dello
stesso, sempre che il danneggiato si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile, salvo
che il danneggiato dal reato abbia esercitato l'azione in sede civile a norma dell'articolo 75, comma 2.
2. La stessa efficacia ha la sentenza irrevocabile di assoluzione pronunciata a norma dell'articolo 442, se la parte
civile ha accettato il rito abbreviato.

La persona danneggiata dal reato ha quindi di fronte più strade, però se rimane
completamente inerte può subire delle conseguenze negative, nei limiti dettati
dall’articolo 652 del codice di procedura penale, se non rimane inerte bisogna
distinguere a seconda che si attivi tempestivamente in sede civile oppure non lo
faccia.
Se si attiva tempestivamente non subirà dal processo penale alcun possibile
pregiudizio, se non si attiva tempestivamente, il processo civile che verrà iniziato
rimarrà sospeso.
Il procedimento penale rispetto al procedimento civile offre certi vantaggi; il
vantaggio principale è quello dei tempi, per quanto lungo sia un procedimento penale
viene generalmente definito in tempi ragionevolmente più brevi rispetto a un
procedimento civile, peraltro il procedimento penale segue determinate regole e la
più clamorosa e più evidente è quello che non si applicano le presunzioni tipiche del
procedimento civile.
Quindi nel momento in cui la persona danneggiata sceglie la strada del procedimento
penale per esercitare l’azione civile e non l’autonoma strada del procedimento civile,
dovrà soggiacere a quelle regole.

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18

Nel caso di scontro tra due veicoli, si presume nel processo civile una pari responsabilità fino a che non si
definiscono i danni alle parti.
Nel processo penale non vige questa presunzione, la colpevolezza dell’imputato dovrà essere provata dal
pubblico ministero, così come dalla parte civile che intenda costituirsi.

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1

DIRITTO PROCESSUALE
IL CONCETTO DI PROVA.
Nel codice di procedura penale, non esiste la definizione di “prova”.
Una definizione di carattere molto generale è: la prova è un
ragionamento che da un fatto noto ricava l’esistenza di un
fatto avvenuto nel passato.
La parola prova nel codice di procedura penale, è utilizzata in
almeno quattro significati:
1. fonti di prova (art. 65 c.p.p.)
2. mezzi di prova (art. 194 e seguenti c.p.p.)
3. elementi di prova (non esiste una definizione nel c.p.p.)
4. risultato probatorio (non esiste una definizione nel c.p.p.)
Il primo significato lo si ha dalla lettura dell’articolo 65 del codice di
procedura penale dove con l’espressione “fonti di prova” si
intende tutto ciò che è idoneo a fornire dei risultati apprezzabili per
la decisione.
La ricerca delle fonti di prova spetta:
⇒ al pubblico ministero;
⇒ alla polizia giudiziaria;
⇒ al difensore.
e la funzione delle indagini preliminari è appunto quella di ricercare
le fonti di prova.
Il codice si concentra però, in maniera particolare, non sulle fonti di
prova ma sui “mezzi di prova” che vengono disciplinati
dall’articolo 194 e seguenti.
I mezzi di prova sono quegli strumenti mediante i quali si
acquisisce al procedimento un elemento che serve per la
decisione.
Il codice ne disciplina sette e sono i sette mezzi di prova tipici, a
incominciare da quella che nel processo penale è la prova regina: la
testimonianza.
Esistono però, anche dei mezzi di prova non disciplinati dalle leggi e
questo lo spiega in generale l’articolo 189 del c.p.p.

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2

Art. 189. - Prove non disciplinate dalla legge.


1. Quando è richiesta una prova non disciplinata dalla legge, il Giudice può assumerla se essa risulta idonea ad
assicurare l'accertamento dei fatti e non pregiudica la libertà morale della persona. Il Giudice provvede
all'ammissione, sentite le parti sulle modalità di assunzione della prova.

Nella sostanza, nel nostro sistema, i mezzi di prova non


costituiscono un numero chiuso, ma possono essere assunti anche
mezzi di prova diversi da quelli tipici.
Nell’interpretazione alcuni distinguono il concetto di mezzo di
prova atipico (quale mezzo di prova non disciplinato dalla legge),
dal concetto di mezzo di prova anomalo.
Il concetto di prova atipica che spesso viene molto criticato ma di
cui si fa larghissimo uso nelle aule di tribunale è, ad esempio,
quello di utilizzare una prova, la testimonianza, per ottenere il
risultato tipico di una diversa prova, la ricognizione.

A volte vengono utilizziati dei mezzi di prova, magari inconsapevolmente, per


ottenere il risultato tipico di un diverso mezzo di prova.
Ad esempio, per riconoscere una persona, il legislatore usa nel codice di procedura
penale quale mezzo di prova tipico che serve per riconoscere persone o cose al
dibattimento, la “ricognizione”, mentre per quanto attiene alle indagini preliminari, il
legislatore usa un termine diverso per sottolineare la differenza di fase e cioè quello di
“individuazione”.
Detto questo, succede spesso nei processi penali di chiamare a testimoniare una
persona e nel corso dell’assunzione di questa testimonianza chiederle se riconosce
l’imputato.
Ecco che così attraverso un mezzo di prova che è la testimonianza, che serve per
raccogliere informazioni da una persona, io cerco di arrivare al risultato di un diverso
tipo di mezzo di prova quello della ricognizione.
Questa è una situazione che si verifica spessissimo nel processo penale.
⇒ La funzione della testimonianza è quella che il testimone viene a raccontare
all’interno del processo dei fatti da lui conosciuti che sono rilevanti ai fini della
decisione;
⇒ La funzione della ricognizione (strumento di prova diverso, previsto sempre nel
codice) è quella che serve per far si che una persona che ha avuto una percezione
con uno dei propri sensi di un oggetto o di una persona, la possa riconoscere.
Il codice disciplina come deve essere fatta la ricognizione e stabilisce tutta una serie
di presupposti che devono essere rispettati; nella realtà succede però che spesso la
testimonianza viene sfruttata per ottenere il risultato tipico di una ricognizione con la
richiesta da parte di chi conduce l’esame testimoniale di chiede al testimone se è in
grado o meno di riconoscere l’imputato che è presente in aula.

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3

Nel codice di procedura penale si parla anche di “elementi di


prova”.
Quando si fa riferimento al concetto di elemento di prova, si intende
fare riferimento ad una informazione, per così dire, allo stato
grezzo, ovvero prima che l’informazione sia valutata da un Giudice.
Quelle che vengono raccolte nella fase delle indagini preliminari non
sono delle prove ma sono degli elementi di prova che potranno
eventualmente, in un secondo tempo durante il giudizio,
trasformarsi in prove.
Quindi, la polizia giudiziaria non raccoglie prove ma elementi di
prova.
L’ultima nozione che si può dare di prova è quella di “risultato
probatorio”; la prova diviene tale una volta che sia stata valutato
dal Giudice e solo in questo caso può assumere il valore di dato
utilizzabile per la decisione.
Riassumendo, la prova può essere vista sotto quattro aspetti:
come fonte di prova, come mezzo di prova, come elemento di
prova e come risultato probatorio.
Abbiamo visto che:
⇒ il concetto di fonte di prova (non la spiegazione ma l’utilizzo di
questa espressione) si trova nell’articolo 65 del c.p.p.;
⇒ i mezzi di prova sono disciplinati dagli articoli 194 e seguenti;
⇒ le nozioni di elemento di prova e risultato probatorio
risultano dalla sistematica del codice e non esiste una loro
specifica definizione.

Nella pratica si può dire che quando si utilizza l’espressione prova come
risultato di prova, per capire dove il codice utilizza questa espressione, si può
prendere in considerazione, ad esempio, l’articolo 530 del codice di procedura
penale, cioè quella norma che dice come si deve comportare il Giudice all’esito
del giudizio.
Il Giudice deve assolvere una persona se ritiene che la prova sia insufficiente o
contraddittoria.
In questo caso la parola prova viene utilizzata come risultato probatorio, non
come elemento di prova; gli elementi di prova per portare una persona a
giudizioso potevano esservi, ma ciò non vuol dire che al termine del processo
si sia riuscito a formare una prova intesa come risultato probatorio.

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4

Detto questo, la parola prova, la si trova utilizzata nell’espressione


“prova storica” o “prova rappresentativa” e “prova critica” o
“prova indiziaria”
 La prova rappresentativa è quel ragionamento che ricava da
un fatto noto, un fatto che deve essere accertato per diretta
rappresentazione.
Se si ha di fronte un testimone il quale dice che ha visto una persona
sparare e uccidere un uomo, il problema del Giudice sarà stabilire se quella
persona sia credibile.
Una volta che sarà stato provato che questa persona è credibile, il Giudice
ha già raggiunto la prova del fatto che deve essere accertato nel processo
penale.
 La prova indiziaria, (indizio) è quella che si contrappone alla
prova rappresentativa e vuole invece che l’esistenza del fatto da
provare si ricavi attraverso un’inferenza costituita o da leggi
scientifiche o da una massima di esperienza.

Poniamo che all’interno di un’abitazione venga trovata una persona morta pugnalata.
Se si ha un testimone che viene a dire che circa mezz’ora prima del momento in cui questa
persona è deceduta ha visto qualcuno uscire di corsa dall’abitazione e questa persona
viene successivamente identificata, il Giudice potrà avere un indizio a carico di questa
persona del fatto che possa essere l’autore dell’omicidio.
Non avrà in nessun caso una prova dichiarativa come nell’ipotesi fatta prima, dove la
persona aveva visto sparare.

Per cercare di dare una definizione di indizio si è fatto riferimento


a due concetti: il primo è la massima di esperienza
ed il secondo è quella di legge scientifica.
 Le massime di esperienza come dice la parola stessa, sono
ricavate dalla comune esperienza tenuto conto di quello che
succede nella generalità dei casi.
 La legge scientifica, invece, è una legge che si caratterizza
perché è soggetta a verifica attraverso un metodo
sperimentale ovvero attraverso uno specialista della materia
(perito) che potrà far conoscere al Giudice una legge
scientifica.

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5

Tra le regole generali che il codice di procedura penale pone in


materia di prova, vi è quella secondo cui la prova di un fatto
reato non può essere ricavata se non da indizi che siano
gravi precisi e concordanti.
Questa regola dei principi fondamentali si trova illustrata
nell’articolo 192 comma 2 del codice di procedura penale.
L’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che
questi non siano gravi precisi e concordanti.
 un indizio è GRAVE quando è dotato di un grado di persuasività
elevato e quindi riesce a resistere ad eventuali obiezioni;
 un indizio è PRECISO quando non è suscettibile di diverse
interpretazioni;
 un indizio è CONCORDANTE nel senso che vi devono essere
necessariamente più indizi che confluiscono tutti nella stessa
direzione.

Esempio: una persona viene trovata in Via Anelli dalla polizia e scappa.
Questa persona viene trovata in possesso di un modico quantitativo di sostanza stupefacente.
Il fatto che sia scappata non è un indizio preciso che quella persona sia uno spacciatore
perché anche un tossicodipendente ha interesse a non farsi trovare in possesso di sostanze
stupefacenti, perché commette comunque un illecito amministrativo.
Quindi, questo è il tipico caso in cui quello che può apparire un indizio non ha il carattere della
precisione.

Le regole fondamentali in tema di ammissione della si trovano


nell’articolo 190 del codice di procedura penale chr dice: “Le prove
sono ammesse a richiesta di parte e il Giudice che provvede
esclude, innanzitutto le prove che sono vietate dalla legge, in
secondo luogo quelle che sono manifestamente superflue o
irrilevanti”.

Art. 190. - Diritto alla prova.


1. Le prove sono ammesse a richiesta di parte. Il giudice provvede senza ritardo con ordinanza escludendo le prove
vietate dalla legge e quelle che manifestamente sono superflue o irrilevanti.
2. La legge stabilisce i casi in cui le prove sono ammesse di ufficio.
3. I provvedimenti sull'ammissione della prova possono essere revocati sentite le parti in contraddittorio.

Una prova vietata dalla legge è, ad esempio, la perizia criminologia,


cioè quella perizia che tende ad accertare delle qualità psichiche
della persona imputata che prescindono da una patologia.

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6

Un tipo di perizia che è prevista in altri ordinamenti ma che non è


ammessa nel nostro.

La spiegazione che generalmente si da è questa: contrasterebbe


l’ammissione di una perizia criminologica con il principio della
presunzione di innocenza e con il fatto che in un processo penale
non si devono accertare le qualità morali di una persona ma
esclusivamente se abbia commesso un fatto che costituisce reato.

Le prove devono essere poi: non manifestamente superflue e non


irrilevanti.
Manifestamente superflue vuol dire sovrabbondanti.
Per provare una determinata circostanza, si possono introdurre un
certo numero di testimoni.
Il Giudice però, nonostante siano tutti testimoni rilevanti, potrebbe
escluderne alcuni quando ritenga che il numero di testimoni
presentati sia manifestamente eccessivo rispetto all’oggetto della
testimonianza.

Prima dell’inizio del giudizio, almeno sette giorni prima del dibattimento, il
pubblico ministero, così come il difensore, devono presentare una lista testi in
cui vengono indicati, tra gli altri, i nomi dei testimoni da escludere e le
circostanze su cui deve vertere l’esame.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione è arrivata ad affermare un
principio che potrà essere condivisibile oppure no, ma che rappresenta il diritto
vivente (quando si fa riferimento al diritto vivente si intende fare riferimento a
un orientamento giurisprudenziale non contestato).
Tale principio ritiene che sia sufficiente indicare, come circostanza su cui il
teste deve essere sentito, i fatti di cui è l’imputazione.
E così, molte volte, nella lista testi vengono indicati una serie lunga di
testimoni sulle circostanze di cui è l’imputazione, senza precisare altro ed in
questo modo il Giudice capisce poco o nulla dell’oggetto su cui è chiamato a
testimoniare la persona.
Quello che si vuole evidenziare è che se tutte le persone vengono indicate sui
fatti di cui è l’imputazione, il Giudice potrà escluderne alcuni dicendo che
queste testimonianze sono sovrabbondanti anche se, in realtà, questi testimoni
pur essendo chiamati tutti a rispondere sui fatti di cui è l’imputazione,
dovrebbero ciascuno descrivere delle circostanze diverse.
Questo è un problema che a volte assume rilevanza pratica nei nostri processi
in quanto l’imputazione è in realtà un qualcosa di molto complesso all’interno
del quale vi sono degli aspetti peculiari.

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7

L’articolo 190 dice infine che le prove di cui viene richiesta


l’ammissione non devono essere manifestamente irrilevanti.
Il concetto di rilevanza significa che il risultato a cui tende la prova
che viene introdotta deve essere idoneo a provare il fatto rilevante
di un processo.
Il fatto rilevante di un processo è quel fatto che riguarda:
⇒ o l’imputazione,
⇒ o l’applicazione delle sanzioni che derivano dall’imputazione
⇒ o l’applicazione di particolari leggi processuali
⇒ o il problema della responsabilità civile.
Concludendo la prova deve essere:
⇒ non vietata dalla legge;
⇒ non manifestamente irrilevante ma pertinente;
⇒ non deve essere manifestamente superflua.
Il Giudice, sulla base di questi presupposti, viene ad ammettere una
prova.
A questo punto, per la controparte, si realizza il cosiddetto “diritto
alla prova contraria”.
Una volta che il Giudice ammette, sulla base dei requisiti sopra
citati, una prova per una parte che può essere principalmente o il
pubblico ministero o il difensore, il legislatore consente con una
presunzione di rilevanza la prova contraria, cioè la prova che serve
per confutare quanto la prova introdotta da una parte vorrebbe
dimostrare.
Queste prove, una volta ammesse, devono essere poi assunte nel
processo ed i sistemi per fare ciò sono due:
◊ per quanto riguarda le prove dichiarative il sistema è quello
costituito dall’esame incrociato dove le parti hanno il diritto di
porre delle domande.
Inizia la parte che ha introdotto la prova dichiarativa e non
usiamo l’espressione “testimoni” perché, questo tipo di sistema
vale non solo per l’esame del testimone ma anche per l’esame
dell’imputato.
La parte che ha introdotto la prova dichiarativa quindi conduce
l’esame, le altre parti, seguendo un ordine, conducono il

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controesame e il controesame ha la funzione di valutare la


credibilità, l’attendibilità del teste o della parte privata che si è
sottoposta all’esame ed infine, la parte che ha introdotto la prova
ha il diritto al riesame.
Nella realtà quindi, durante l’assunzione di una prova dichiarativa
non dovrebbe esservi il disordine che spesso regna sovrano nei
processi, ma dovrebbe esservi un esame, un controesame ed un
riesame.
Il Giudice dovrebbe, in linea di principio, intervenire solo alla fine
con la precisazione che la parte che ha condotto l’esame ha
comunque il diritto a concluderlo.
Il legislatore parte dall’idea che la parte che conduce un esame
ha in mente un’ipotesi che tende a dimostrare e quindi il Giudice
per non avere un pregiudizio, non dovrebbe essere lui a
condurre l’assunzione della prova, devono essere le parti, perché
altrimenti, se fosse lui a condurre l’assunzione della prova, si
formerebbe necessariamente un pregiudizio e le sue domande
non farebbero altro che andare alla ricerca di conferme al
pregiudizio che si è formato.
Questo vale per la prova dichiarativa.
◊ la prova precostituita si contrappone alla prova dichiarativa.
Tipica prova precostituita è quella dei documenti; mentre le
dichiarazioni si assumono attraverso l’esame incrociato, i
documenti si acquisiscono attraverso la produzione che ne fa la
parte.
L’orientamento giurisprudenziale che fa sempre parte del diritto
vivente vuole che mentre per quanto riguarda le prove
dichiarative la parte deve presentare una lista testi prima del
giudizio e deve attenersi a questa lista testi nell’introdurre quelle
prove (sempre che siano ammesse), per quanto riguarda le
prove precostituite, e cioè i documenti, non sia necessario per
la parte produrle all’inizio del giudizio.
I documenti possono essere prodotti anche mentre è in corso
l’istruttoria del processo fino al momento in cui si arriva alla
chiusura di questa fase con l’inizio della discussione.

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Ciò comporta dei vantaggi e degli inconvenienti:


o il vantaggio è sicuramente che una parte, all’inizio del
processo, può non avere le idee chiare su quali siano tutti i
documenti rilevanti e quindi, a seconda dell’andamento
dell’istruttoria, decidere eventualmente di produrre un
documento in un secondo momento quando ne comprende
la rilevanza;
o lo svantaggio rilevantissimo è che la produzione di un
documento a istruttoria inoltrata pone la controparte a volte
nell’esigenza di richiedere l’introduzione di nuovi mezzi di
prova che all’inizio non aveva chiesto non conoscendo il
documento; questo allunga a volte terribilmente la fase
dell’istruttoria.
Una volta che la prova viene ammessa e viene assunta attraverso
questi due sistemi, si arriva alla fase della valutazione.
Il principio generale della fase della valutazione della prova
è quello del libero convincimento dei Giudici.
Libero convincimento del Giudice non significa che il Giudice possa
arbitrariamente scegliere quale sia la ricostruzione del fatto che
ritiene più consona rispetto allo svolgimento dell’istruttoria, significa
che è libero di determinare la credibilità delle fonti e l’attendibilità
delle rappresentazioni che queste fonti hanno portato nel processo,
nel rispetto delle regole che sono stabilite dal codice di procedura
penale e senza la presenza di prove legali.
Il principio di libero convincimento trova sempre un limite
nell’onere di motivazione da parte del Giudice.
Le prove legali sono quelle prove che dicono al Giudice in anticipo
come un certo risultato debba essere da lui valutato.

Un tipico esempio di prova legale lo si trova nel processo civile ed è


la confessione processuale, se nel corso di un processo civile, una
persona, una parte rende una confessione, dichiara un fatto a sé
sfavorevole e che non abbia per oggetto diritti indisponibili, il
Giudice ha le mani legate ed è vincolato; il fatto lo deve considerare
come ammesso.

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Ciò non succede nel processo penale ed anche di fronte ad una


confessione, il Giudice può porsi il problema se la confessione sia
attendibile anche se questa è avvenuta all’interno del processo.
Questo perché ad esempio la persona può avere interesse (esempio
classico) a confessare un reato per nasconderne uno più grave,
oppure per nascondere gli autori di un diverso delitto.
Il secondo principio generale in tema di valutazione della prova è
quello consacrato nell’articolo 27 comma 2 della Costituzione ed è il
principio della presunzione di innocenza.

Art. 27. - Costituzione Italiana

La responsabilità penale è personale.


L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del
condannato.
Non è ammessa la pena di morte.

Il principio della presunzione di innocenza si pone sia come


regola di giudizio sia come regola di trattamento.
 Come regola di giudizio, questa presunzione stabilisce la parte
su cui ricadono le conseguenze della mancata prova di un fatto
ovvero stabilisce, come presunzione, quella della innocenza della
persona che è accusata di un reato.
Di conseguenza è il pubblico ministero, il pubblico accusatore che
deve provare l’esistenza del reato, non l’imputato a provare la
propria innocenza.
Se nessuno dei due fornisce la prova o della colpevolezza o
dell’innocenza, entra in gioco la presunzione legale e cioè: la
persona deve essere assolta.
 Come regola di trattamento pone un divieto di anticipazione
della pena appunto perché, la parte imputata, viene considerata
innocente fino a che non intervenga una sentenza definitiva.
Se si legge l’articolo 27 comma 2, si nota che la formula usata
dal legislatore è una sorta di formula di compromesso e cioè non
utilizza il concetto di presunzione di innocenza ma utilizza
l’espressione “Non è considerato colpevole”.
Di solito la dottrina dice che comunque qui è consacrato il
principio della presunzione di innocenza, però resta da chiedersi
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perché allora il legislatore abbia voluto usare questa espressione


e probabilmente la spiegazione è da ricercare nel fatto che abbia
voluto in qualche modo legittimare l’esistenza delle misure
cautelari, cioè la possibilità che una persona possa essere
sottoposta a misure limitative della sua libertà prima
dell’intervento di una sentenza definitiva.
A questo punto è importante anche capire un altro aspetto del
problema della prova e cioè quello dello standard di prova che è
richiesto alla fine di dimostrare un certo fatto.
Nel processo civile e nel processo penale, lo standard di prova è
diverso:
⇒ nel processo civile vale la regola del “più probabile che no”;
⇒ nel processo penale vale la regola dell’ “oltre ogni ragionevole
dubbio”, regola che è stata codificata in tempi molto recenti
(con la legge 46 del 2006) ma che era già da tempo presente
nella giurisprudenza della corte di cassazione.
Questa formula non ce la siamo inventata noi europei, è una
formula che è stata codificata per la prima volta nell’ordinamento
nord-americano e in particolare nel codice di diritto penale della
California.
L’espressione che usa questo codice è che “il principio dell’oltre ogni
ragionevole dubbio è quella situazione che, dopo tutte le
valutazioni, lascia la mente dei giurati (questo perché nel sistema americano
esiste la giuria, cosa che da noi non esiste) in una condizione per cui non

possono dire di provare una convinzione incrollabile prossima alla


certezza sulla verità dell’accusa”.
Questa la formula che è entrata anche nella giurisprudenza della
Corte di Cassazione negli anni ’90 e che, alla fine, è stata codificata
nel 2006 nell’articolo 533 del codice di procedura penale.

Art. 533. - Condanna dell'imputato.


1. Il giudice pronuncia sentenza di condanna se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni
ragionevole dubbio. Con la sentenza il giudice applica la pena e le eventuali misure di sicurezza.
2. Se la condanna riguarda più reati, il giudice stabilisce la pena per ciascuno di essi e quindi determina la pena che
deve essere applicata in osservanza delle norme sul concorso di reati e di pene o sulla continuazione . Nei casi
previsti dalla legge il giudice dichiara il condannato delinquente o contravventore abituale o professionale o per
tendenza.
3. Quando il giudice ritiene di dover concedere la sospensione condizionale della pena o la non menzione della
condanna nel certificato del casellario giudiziale, provvede in tal senso con la sentenza di condanna.

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3-bis. Quando la condanna riguarda procedimenti per i delitti di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a), anche se
connessi ad altri reati, il giudice può disporre, nel pronunciare la sentenza, la separazione dei procedimenti anche
con riferimento allo stesso condannato quando taluno dei condannati si trovi in stato di custodia cautelare e, per
la scadenza dei termini e la mancanza di altri titoli, sarebbe rimesso in libertà.

Con un’espressione di sintesi si può dire che: ragionevole dubbio


è quel dubbio che è comprensibile da una persona razionale.
Non è quindi qualsiasi dubbio che ci si può porre perché rispetto a
un fatto umano, la circostanza che una persona possa aver
commesso un fatto reato, un minimo dubbio potrebbe comunque e
sempre esservi.

Non che prima del 2006, il Giudice potesse condannare una persona
per un reato anche se non avesse superato questa regola dell’oltre
ogni ragionevole dubbio.
Infatti la giurisprudenza della Corte di Cassazione l’aveva già
individuata, l’aveva individuata leggendo l’articolo 530 laddove si
dice che una persona deve essere assolta da un reato anche nel
caso in cui sia insufficiente o contraddittoria la prova che lo abbia
commesso.

Art. 530. - Sentenza di assoluzione.


1. Se il fatto non sussiste, se l'imputato non lo ha commesso, se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla
legge come reato ovvero se il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per un'altra
ragione, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione indicandone la causa nel dispositivo.
2. Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova
che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso
da persona imputabile.
3. Se vi è la prova che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione o di una causa personale
di non punibilità ovvero vi è dubbio sull'esistenza delle stesse, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione a
norma del comma 1.
4. Con la sentenza di assoluzione il giudice applica, nei casi previsti dalla legge, le misure di sicurezza.

L’espressione “prova insufficiente o contraddittoria” è infatti un


aspetto della medaglia di cui l’altra faccia è questo principio
dell’“oltre ogni ragionevole dubbio.

Il principio del libero convincimento significa che il Giudice penale


non è soggetto a delle prove legali nel motivare la sua decisione
(vedi l’esempio della confessione) ma ciò non toglie che debba
rispettare una serie di regole.

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Una prima regola che abbiamo già trattato, riguarda la prova


indiziaria, dicendo che gli indizi devono essere gravi precisi e
concordanti.
Una seconda regola che parimenti è altrettanto importante è quella
codificata nell’articolo 192 comma 3 e 4 del codice di procedura
penale; la cosiddetta “regola del riscontro”.
⇒ comma 3: “Le dichiarazioni rese dal coimputato nel medesimo
reato o da persona imputata in un procedimento connesso sono
valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne
confermano l’attendibilità”.
⇒ comma 4: estende questa regola anche alle dichiarazioni rese
dagli imputati di procedimento collegato.

Art. 192. - Valutazione della prova.


1. Il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati.
2. L'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti.
3. Le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso a
norma dell'articolo 12 sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità.
4. La disposizione del comma 3 si applica anche alle dichiarazioni rese da persona imputata di un reato collegato a
quello per cui si procede, nel caso previsto dall'articolo 371 comma 2 lettera b).

Teniamo presente cosa vuol dire che due reati siano tra loro
connessi o siano tra loro collegati.
Il legislatore parte da un presupposto che le dichiarazioni di
determinati soggetti possano essere sospettate di non essere
credibili e quindi ritiene che sulla base delle dichiarazioni di questi
soggetti non si possa mai arrivare, anche se si tratta di
dichiarazioni in sé attendibili, alla prova di un fatto.
In definitiva, le dichiarazioni di un coimputato dello stesso reato e
dell’imputato di procedimento connesso o collegato, devono essere
dapprima valutate nella loro attendibilità intrinseca; da un lato
quindi si deve stabilire se la persona che ha reso questa
dichiarazione sia una persona che, per come si presenta, per le
ragioni per cui ha reso la dichiarazione sia fornito di una credibilità
generale e dall’altro se la dichiarazione che ha reso, sia priva di
contraddizioni, sia circostanziata, mostri coerenza.
Ma ciò non è sufficiente, occorre ancora individuare dei riscontri
esterni (quello che il codice chiama “altro elemento di prova” e
che, secondo la giurisprudenza è qualsiasi elemento esterno alla
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14

dichiarazione) che possano confermarla pur non assumendo di


per sé il rango di una prova.
Il riscontro esterno può essere, quindi, una dichiarazione di un altro
soggetto, può essere una valutazione di carattere critico ecc.,
l’importante è che sia un elemento esterno alla dichiarazione.
Quindi non basta la credibilità del dichiarante, occorre
l’esistenza del riscontro esterno

I collaboratori di giustizia, rientrano tipicamente nell’ambito di applicazione di


questa norma.
Il legislatore vuole quindi che quando si è in presenza di una chiamata di
correo (chiamata di correo vuol dire la dichiarazione di una persona che accusa se stesso ma
anche altri di aver commesso un reato, quindi chiamata di correo è quando la dichiarazione
non riguarda solo sé stessi ma anche altri) sia sempre soggetto a un vaglio esterno di
valutazione dato dal riscontro.
Questo riscontro, secondo la giurisprudenza, può essere dato da qualsiasi
elemento e quindi anche da un’altra dichiarazione purchè non rilasciata da una
persona che è in contatto con quella che ha già reso la deposizione, ma da una
persona che non abbia collegamenti (altrimenti il riscontro non sarebbe
esterno).
Quindi, quando abbiamo un collaboratore di giustizia che rende dichiarazioni,
queste dichiarazioni potranno essere molto attendibili ma ciò nonostante,
qualora non si individuino dei riscontri esterni a queste dichiarazioni, il Giudice
non potrà ritenere provato il fatto.

Molte volte il problema, una volta che si è compresa la definizione di riscontro esterno, è capire
che cosa lo sia.
esempio: un processo in materia di stupefacenti, dove c’è una persona che dichiara che il suo
fornitore era un altro soggetto.
Si può porre il problema, di fronte a questa dichiarazione, una volta che si sia accertato che
essa sia intrinsecamente credibile, se un tabulato telefonico sia un riscontro esterno.
Tendenzialmente la giurisprudenza dice di no, perché il tabulato telefonico mi può dire che tra
due persone vi sono stati svariati contatti ma nulla mi dice sulla natura di questi contatti.
E quindi il tabulato telefonico non è idoneo ad avvicinare la persona che è chiamata in causa
dalla dichiarazione al reato di cui viene accusato.
Poniamo però un caso limite in cui il tabulato telefonico potrebbe diventare un riscontro: è il
caso in cui la persona che viene accusata dica di non avere avuto nessun rapporto di alcun
genere con la persona che lo accusa.
Anche il concetto di riscontro quindi deve essere valutato rispetto a come si sviluppa la tesi
difensiva; non può essere valutato in sé e per sé.
Se io accuso uno di voi di essere il mio spacciatore, il mio fornitore di sostanze stupefacenti, e
voi dite: “Io conosco Bordon, ci siamo conosciuti perché io gli volevo vendere una macchina”, il
fatto che ci sia un tabulato telefonico che dica che io e voi siamo rimasti in contatto non
rappresenta un riscontro.

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Se, invece, la difesa è “Io Bordon non l’ho mai conosciuto”, ecco che il tabulato telefonico
potrebbe diventare un riscontro.

LA TESTIMONIANZA.
A questo punto possiamo iniziare a parlare della testimonianza
ovvero della prova regina.
Una definizione generale del testimone è quella di una persona
che è a conoscenza dei fatti del processo e che nello stesso
tempo non riveste una qualifica tale per cui il codice lo
ritenga incompatibile con l’assunzione della qualità di
testimone, quindi incapace di testimoniare.
In questa definizione generale non c’entra il concetto di terzietà
ovvero, il testimone non è necessariamente una persona che è
sostanzialmente estranea al fatto che deve essere giudicato e
quindi che non abbia un interesse al risultato del processo.
La parte civile può infatti assumere la veste di testimone, anzi nella
generalità dei casi la parte civile diventa un testimone nel processo;
la parte civile può venire a deporre anche se non è certo un terzo
nel rappresentare i fatti di cui è causa ed è molto interessata
all’esito del processo.
Sotto questo profilo, il processo penale si differenzia
radicalmente dal processo civile.
In un processo civile le due parti, attore e convenuto, non
assumono mai la veste di testimone.
Nel processo penale, una di queste due parti può assumere il
ruolo di testimone mentre l’altro assume il ruolo di imputato.
Caso emblematico è quello della truffa contrattuale: di fronte a una
vicenda di truffa contrattuale, se viene iniziato un procedimento
civile accusando un’altra parte di avere compiuto un
inadempimento doloso del contratto e di avermi raggirato, al
momento della conclusione dello stesso, io sono una parte, la
persona contro cui rivolgo queste accuse è un convenuto, nessuno
di noi due potrà testimoniare nel processo civile.
Se io sporgo una querela per truffa e il pubblico ministero ritenga
che vi siano i presupposti per un giudizio, io poi in questo giudizio
mi potrò costituire parte civile e quindi anche chiedere il

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risarcimento del danno nel caso di condanna e, nello stesso tempo,


potrò assumere il ruolo di testimone.
Qualora quindi, la mia deposizione sia ritenuta credibile, potrò con
la mia deposizione provare il fatto a carico della persona che è
accusata.
Si capisce quindi che, nel valutare la testimonianza della parte
civile, il Giudice dovrà fare molta attenzione alla sua credibilità, non
lo potrà trattare alla stregua di tutti gli altri testimoni perchè la
parte civile potrà avere un interesse a distorcere la realtà dei fatti
in modo da ottenere un risultato a sé favorevole.
Sottolineo che la parte civile è l’unica parte che nel processo penale
può assumere il ruolo di testimone.
Le altre parti private nel processo penale non possono mai
assumere il ruolo di testimone, l’unica è la parte civile.

Il tipico caso di truffa contrattuale è quello in cui io rappresento, raggirando


una persona, delle false condizioni di un contratto, questa persona sulla base
delle false condizioni che io rappresento è indotta a concluderlo e poi non
avviene nessun pagamento.
Un fatto storico di questo genere può assumere una duplice rilevanza: può
assumere la rilevanza civilistica di un inadempimento contrattuale, può
assumere la rilevanza penale di un fatto di reato che si chiama truffa, previsto
dall’articolo 640 del codice penale.

Art. 640. - Truffa.


Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui
danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032 .
La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 1.549:
1. se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal
servizio militare;
2. se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l'erroneo
convincimento di dovere eseguire un ordine dell'autorità.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso
precedente o un'altra circostanza aggravante.

Io, che sono la persona che ha subito questo inadempimento, ho davanti a me


due strade: posso iniziare una causa civile, nella causa civile io sarò una parte
(l’attore), l’attore nel processo civile non è mai un testimone poiché è
incompatibile con la qualifica di testimone.
Nel processo penale il legislatore ha compiuto un’opzione diversa.
Ritiene che la persona che ha denunciato il fatto che ha querelato per truffa
un’altra persona, anche qualora si costituisca parte civile e quindi entri nel

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processo con uno specifico intento, quello di ottenere il risarcimento dei danni,
possa assumere la qualifica di testimone.
Insomma, il legislatore alla fin fine ha ritenuto talmente importante la
testimonianza del soggetto che ha subito un danno dal reato, che
generalmente coincide con la persona offesa, ma non necessariamente è la
persona offesa, che ha ritenuto di non poter rinunciare alla sua testimonianza
nel processo.

L’articolo 194 dice che il testimone deve essere interrogato su fatti determinati, se
questa norma fosse applicata, il 90% delle domande poste all’interno di un processo
penale non dovrebbero essere ammesse.
Cioè io non potrei mai iniziare un esame dicendo:” Mi racconti che cosa è successo”, io
dovrei porre delle domande su fatti ben determinati.
Le domande le pongo su fatti, non chiedo al testimone un giudizio e questa è la
differenza che vi è tra un testimone, un perito e un consulente.
Domanda: Nella nostra professione è che noi siamo dei testimoni però siamo anche
degli esperti in quella materia e quindi è difficile tante volte non valicare questo limite
e fornire anche un’interpretazione alla luce magari delle conoscenze tecniche
Risposta: sì, il codice prevede espressamente questa ipotesi, la risposta alla domanda
la trovate nell’ultima parte del 3° comma dell’articolo 194.
“Il teste non può esprimere apprezzamenti personali salvo che sia impossibile scinderli
dalla deposizione sui fatti”, e questo è un punto.
Per dare una risposta meno formalistica e forse riesco a collegarmi anche alla seconda
domanda, dico questo: voi siete sicuramente degni testimoni esperti, siete portatori di
conoscenze nel processo che il Giudice non ha, non possiede.
Come potete trasmettere le vostre conoscenze al Giudice?
Indicando in maniera precisa tutta quella serie di fatti che vi hanno portato a una
determinata conclusione.
Se voi state attenti, molte volte riuscite a comunicare il vostro giudizio al Giudice
descrivendo in maniera dettagliata tutti i particolari che vi hanno portato a quel
giudizio.
Quindi descrivendo dei fatti; il problema a volte è più teorico che pratico perché se voi
siete abili nell’indicare i fatti che vi hanno portato a quella conclusione e questi fatti
siete voi che siete riusciti a coglierli perché siete degli esperti mentre il Giudice da solo
non riuscirebbe a coglierli, poi riuscite a condurre il Giudice ad esprimere il giudizio
che voi di per sé non potreste esprimere.
La vostra abilità sta nel costruire lentamente come un puzzle tutti quei fatti che a un
osservatore comune sfuggirebbero, ad esempio le componenti di una macchina.
Io non capisco nulla di macchine ma se uno inizia a spiegarmi quali sono i componenti
che sono importanti e a cosa serve ciascun componente poi il giudizio riesco anche a
trarlo.
Questa categoria di esperti in cui spesso voi vi ritrovate sono cosiddetti “testimoni
esperti”.

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Il problema è se io voglio introdurre dei fatti nel processo o compiere delle valutazioni.
Spesso un teste di polizia giudiziaria quali voi siete, non serve al pubblico ministero
solo per esprimere la valutazione perché alla valutazione ci si può arrivare alla fine
attraverso quel meccanismo che vi ho raccontato.
Serve per descrivere dei fatti che sono avvenuti.
Se voi foste introdotti come consulenti, non potreste raccontare quei fatti, dovreste
esprimere delle valutazioni.
A volte guardate è una scelta strategica decidere se introdurre uno come testimone o
come consulente e non è affatto indifferente perché il testimone ha un obbligo di
verità e racconta fatti, il consulente non può avere un obbligo di verità.
Non può averlo perché un giudizio potrà essere attendibile o non attendibile ma mai
potrà essere vero.
Quindi ci sono certe persone che il pubblico ministero o col difensore dalla sua
posizione potrebbe decidere di introdurre come testimone o come consulente.
Dipende dalla strategia che lui decide di coltivare all’interno del processo.
Ci sono molte persone, ad esempio certi specialisti in materia sanitaria, che sono
disposti a presentarsi in un processo come testimoni ma non sarebbero disposti a
presentarsi nel processo come testimoni del pubblico ministero.
Nei processi in materia infortunistica spesso vedo che un teste dello spisal se condotto
bene dal pubblico ministero attraverso delle domande specifiche, riesce comunque a
fornire al Giudice quelle cognizioni tecniche che lui non possiede e quindi non è
necessario introdurlo come consulente di parte.

Analizziamo ora il concetto di testimonianza indiretta che è


spiegato nell’articolo 195 lasciando per la prossima volta il
problema della testimonianza del teste di polizia giudiziaria.

Art. 195. - Testimonianza indiretta.


1. Quando il testimone si riferisce, per la conoscenza dei fatti, ad altre persone, il giudice, a richiesta di parte,
dispone che queste siano chiamate a deporre.
2. Il giudice può disporre anche di ufficio l'esame delle persone indicate nel comma 1.
3. L'inosservanza della disposizione del comma 1 rende inutilizzabili le dichiarazioni relative a fatti di cui il testimone
abbia avuto conoscenza da altre persone, salvo che l'esame di queste risulti impossibile per morte, infermità o
irreperibilità.
4. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da
testimoni con le modalità di cui agli articoli 351 e 357, comma 2, lettere a) e b). Negli altri casi si applicano le
disposizioni dei commi 1, 2 e 3 del presente articolo.
5. Le disposizioni dei commi precedenti si applicano anche quando il testimone abbia avuto comunicazione del fatto
in forma diversa da quella orale.
6. I testimoni non possono essere esaminati su fatti comunque appresi dalle persone indicate negli articoli 200 e
201 in relazione alle circostanze previste nei medesimi articoli, salvo che le predette persone abbiano deposto
sugli stessi fatti o li abbiano in altro modo divulgati.
7. Non può essere utilizzata la testimonianza di chi si rifiuta o non è in grado di indicare la persona o la fonte da cui
ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell'esame.

Un testimone può entrare nel processo perché attraverso uno dei


propri sensi ha percepito direttamente un fenomeno o perché lo ha

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conosciuto in via indiretta e attraverso dichiarazioni che ha ricevuto


da altri o attraverso degli scritti o in altro modo.
La differenza tra testimone diretto e testimone indiretto sta
proprio in questo.
È importante conoscere questa differenza perché nel codice
esistono due regole fondamentali:
⇒ la prima è che nel momento in cui per la conoscenza dei fatti
viene fatto riferimento ad un altro soggetto, io Giudice, posso
utilizzare la dichiarazione che mi viene resa solo se mi viene
indicata la fonte, non se questa fonte non viene indicata.
⇒ la seconda è che se una parte lo chiede, io Giudice non sono più
libero ma dovrò obbligatoriamente chiamare a deporre il
testimone di riferimento, cioè il testimone diretto, se voglio
utilizzare il testimone indiretto.
Se una persona dice “Caio mi ha riferito che Sempronio ha
commesso un reato” e se una delle parti chiede al Giudice di sentire
la persona che ha reso questa dichiarazione, il Giudice non potrà
nemmeno utilizzare la persona che ha sentito fino a quando non
avrà sentita questa seconda persona.
E, ritornando alla prima delle due regole citate, se il testimone
indiretto non è in grado di indicare la fonte, il Giudice non potrà
utilizzare la prova.

Se voi andate in un cantiere e una persona vi racconta come sono avvenuti i


fatti, magari era un lavoratore in nero che poi nei giorni successivi sparisce e
voi non avete l’accortezza di individuare, di identificare questa persona, poi
quello che vi è stato raccontato sarà completamente inutilizzabile nel processo.

Quanto detto lo trovate indicato nell’articolo 195 comma 7: “Non


può essere utilizzata la testimonianza di chi si rifiuta o non è in
grado di indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia
dei fatti oggetto dell’esame”.
Il codice utilizza l’espressione “non è in grado di indicare la
persona, o la fonte da cui ha appreso” quindi non è necessario
che la persona sia identificata con nome e cognome, ma è
necessario che sia possibile individuarla per poi procedere in un
momento successivo alla sua identificazione.
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20

Ad esempio si potrebbe dire: ”Questo fatto l’ho appreso dalla persona che gestisce il bar che si
trova in tale via” e poi questa persona potrà essere identificata; basta quindi che sia possibile
individuarla.

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1

DIRITTO PROCESSUALE
MEZZI DI PROVA E METODI DI RICERCA DELLA PROVA.
Quando si parla di testimonianza indiretta nel gergo a volte si
usa l’espressione “testimonianza per sentito dire” e per evitare
equivoci terminologici, quando si sente parlare del sentito dire, si
intende tradurre un termine che viene dall’inglese e non certo alle
voci correnti nel pubblico.
Le voci correnti nel pubblico sono quelle dichiarazioni rispetto alle
quali non si riesce a risalire alla fonte; questo tipo di dichiarazioni
non sono assolutamente utilizzabili nel processo penale e non
possono essere oggetto di testimonianza.
Quando si parla invece di testimonianza per sentito dire, si intende
fare riferimento alla testimonianza indiretta; l’espressione è simile
all’altra ma solo perché origina da una traduzione dall’inglese.
Nell’ambito dell’articolo 195 già iniziato a trattare la volta scorsa, vi
è un comma che è riservato in maniera specifica alla
testimonianza del teste di polizia giudiziaria e questa è una
norma che è bene conoscere prima di testimoniare in un processo
penale.
Articolo 195 comma 4: “Gli ufficiali e gli agenti di polizia non
possono deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da
testimoni con le modalità di cui agli articoli 351, 357 comma 2
lettere a) e b). Negli altri casi si applicano le disposizioni dei commi
1, 2, 3 dello stesso articolo 195”.
Quando si dice che l’ufficiale e l’agente di polizia non possono
deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite e vengono presi
in considerazione alcuni articoli del codice, si intende fare
riferimento con l’articolo 351:
◊ alle sommarie informazioni rese nella fase delle indagini (da
quello che poi diventerà testimone nel dibattimento e che,
nella fase delle indagini, viene chiamato informatore)
◊ alle dichiarazioni rese dall’indagato di un procedimento
connesso.

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2

Art. 351. - Altre sommarie informazioni.


1. La polizia giudiziaria assume sommarie informazioni dalle persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle
indagini. Si applicano le disposizioni del secondo e terzo periodo del comma 1 dell'articolo 362.
1-bis. All'assunzione di informazioni da persona imputata in un procedimento connesso ovvero da persona imputata
di un reato collegato a quello per cui si procede nel caso previsto dall'articolo 371 comma 2 lettera b), procede un
ufficiale di polizia giudiziaria. La persona predetta, se priva del difensore, è avvisata che è assistita da un
difensore di ufficio, ma che può nominarne uno di fiducia. Il difensore deve essere tempestivamente avvisato e ha
diritto di assistere all'atto.

Quando poi viene preso in considerazione l’articolo 357 e vengono


indicate due lettere, le a e le b , si intende fare riferimento:
◊ con la lettera a - alle denunce, alle querele e alle istanze;
◊ con la lettera b - alle sommarie informazioni e alle
dichiarazioni spontanee della persona
indagata.

Art. 357. - Documentazione dell'attività di polizia giudiziaria.


1. La polizia giudiziaria annota secondo le modalità ritenute idonee ai fini delle indagini, anche sommariamente,
tutte le attività svolte, comprese quelle dirette alla individuazione delle fonti di prova.
2. Fermo quanto disposto in relazione a specifiche attività, redige verbale dei seguenti atti:
a) denunce, querele e istanze presentate oralmente;
b) sommarie informazioni rese e dichiarazioni spontanee ricevute dalla persona nei cui confronti vengono svolte
le indagini;
c) informazioni assunte, a norma dell'articolo 351;
d) perquisizioni e sequestri;
e) operazioni e accertamenti previsti dagli articoli 349, 353 e 354;
f) atti, che descrivono fatti e situazioni, eventualmente compiuti sino a che il pubblico ministero non ha impartito
le direttive per lo svolgimento delle indagini.
3. Il verbale è redatto da ufficiali o agenti di polizia giudiziaria nelle forme e con le modalità previste dall'articolo
373.
4. La documentazione dell'attività di polizia giudiziaria è posta a disposizione del pubblico ministero.
5. A disposizione del pubblico ministero sono altresì poste le denunce, le istanze e le querele presentate per iscritto,
i referti, il corpo del reato e le cose pertinenti al reato.

Sul fatto che il teste di polizia giudiziaria non possa riferire sulle
dichiarazioni ricevute dall’indagato, possiamo dire che il problema
potrebbe essere risolto anche a prescindere da questa norma
perché ve ne sono altre che dicono espressamente che il teste di
polizia giudiziaria non può deporre relativamente a queste
dichiarazioni.
In definitiva, mentre in genere tutti gli altri testimoni, se hanno
sentito delle dichiarazioni da altre persone possono riferirne il
contenuto, per il teste di polizia giudiziaria c’è questo limite che
non nasce certamente dall’idea che la deposizione del teste di
polizia giudiziaria sia meno credibile di altre, ma nasce da un
problema di sistematica del codice di procedura penale.
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3

Il codice vuole che le dichiarazioni di certe persone, e queste


dichiarazioni sono sia quelle dell’informatore sia quelle della
persona indagata o indagata nel procedimento connesso, possano
essere acquisite al procedimento solo attraverso
determinate forme.
Vi sono una serie di norme nel codice di procedura penale
che stabiliscono esattamente quando i verbali di queste
dichiarazioni possano essere acquisiti dal Giudice.
Se si permettesse al teste di polizia giudiziaria di riassumere il
contenuto di queste dichiarazioni si farebbe rientrare dalla finestra
quello che si è fatto uscire dalla porta.
È questa quindi la ratio, il significato di questo limite; non è in
dubbio il fatto che il teste di polizia giudiziaria sarebbe in grado di
riportare fedelmente il contenuto della dichiarazione, il problema è
che questa dichiarazione può entrare nel procedimento solo
attraverso altre vie.

Quindi, nel momento in cui il teste di polizia giudiziaria andrà a


testimoniare in un processo, e dovrà riferire l’attività di indagine che si è
svolta, non potrà riferire il contenuto delle dichiarazioni ricevute, ma dovrà
eventualmente dire, se le dichiarazioni che ha ricevuto rappresentano una
premessa indispensabile per capire l’attività che è stata fatta, dire che si sono
ricevute le dichiarazioni di una certa persona e sulla base del contenuto di
queste dichiarazioni è stata svolta questa attività.
Ad esempio se una persona spiega alla polizia giudiziaria che per ritrovare il
corpo del reato bisogna andare in un certo luogo, basta dire che sulla base
della dichiarazione di Tizio si è deciso di andare in quel determinato luogo.
Ovviamente, il Giudice e le altre parti capiranno perché si è andati in quel
luogo e non in un altro.
Però è importante capire che non è possibile riferire il contenuto di queste
dichiarazioni.

Anche se il Giudice non ferma il teste di polizia giudiziaria che


sta rivelando il contenuto delle dichiarazioni raccolte, o una parte
non pone eccezioni, non cambia nulla perché le dichiarazioni che il
teste di polizia giudiziaria avrà rese sul punto saranno
inutilizzabili.

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4

Inizialmente questa norma, così come era stata concepita dal


legislatore, prevedeva tucur che il teste di polizia giudiziaria non
potesse riferire sul contenuto delle dichiarazioni ricevute da persone
che venivano a testimoniare nel processo.
Questa norma è stata ritenuta incostituzionale dalla corte ed è stata
riprodotta, una volta che è entrata in vigore la riforma del giusto
processo, nella formula che voi trovate.
La differenza tra la formula iniziale e quella che si trova adesso
nell’articolo 195 sta nel fatto che ora la norma non si riferisce
genericamente a tutte le dichiarazioni che la polizia giudiziaria
riceve, ma alle dichiarazioni che vengono verbalizzate.
Verbalizzate con una denuncia o una querela, o verbalizzate
con un verbale di sommarie informazioni.
Detto questo si pone il problema di cosa succede se le dichiarazioni
rese non vengono verbalizzate; sul punto, la giurisprudenza della
corte di cassazione non ha ancora raggiunto un orientamento
specifico.
Vi sono comunque 2 posizioni della giurisprudenza:
⇒ la prima posizione, diciamo la più rigorosa che attualmente si è
formata nel corso della giurisprudenza (secondo certe sentenze
che in genere vengono condivise dalla dottrina), dice che se il
teste di polizia giudiziaria, nella situazione in cui si è trovato, non
era in condizioni di assumere delle dichiarazioni attraverso un
verbale, allora può deporre sul contenuto di queste dichiarazioni.

Poniamo il caso che voi vi rechiate sul luogo di un delitto, trovate una persona
in fin di vita e questa persona rende delle dichiarazioni a voi, sarebbe
inconcepibile che voi abbiate un verbale e iniziaste a mettere per iscritto
queste dichiarazioni.
In queste situazioni in cui non è richiedibile al teste di polizia giudiziaria di
poter assumere formalmente le dichiarazioni, il teste di polizia giudiziaria
potrebbe riferirle nel dibattimento.

⇒ la seconda posizione è più lassista perché dice che, nel caso in


cui queste dichiarazioni non siano state verbalizzate, non è
prevista alcuna nullità e nessuna inutilizzabilità nel codice di

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5

procedura penale ed il teste di polizia giudiziaria può sempre


riferire al dibattimento sul contenuto delle dichiarazioni.
Un’interpretazione del genere si presta a un elevato abuso; il
teste di polizia giudiziaria omette di redigere il verbale e quindi
potrebbe deporre al dibattimento sul contenuto di queste
dichiarazioni.
C’è un orientamento della giurisprudenza di cassazione che
comunque segue questa seconda tesi che potremmo dire meno
rigorosa e che rimane però, come soluzione, aspramente criticata
dalla dottrina.
In altri ordinamenti come l’ordinamento americano, dove il
problema dell’esame incrociato è stato più approfondito, si ammette
che il teste di polizia giudiziaria o comunque un altro teste, possano
riferire sulle dichiarazioni che sono ricevute nei luoghi e
nell’immediatezza del reato commesso.
In questo caso, addirittura, non si pretende come invece si
pretende nel nostro ordinamento, che sia sicuramente identificata
la fonte perché si dice che, in questa situazione, non si può
richiedere al teste di polizia giudiziaria oppure ad altra persona che
ha ricevuto la dichiarazione di avere la prontezza di riflessi tale da
preoccuparsi di individuare la fonte.
Ed anzi, dato che queste dichiarazioni sono state ricevute
nell’immediatezza del fatto, vengono ritenute particolarmente
credibili.
Questo sicuramente non avviene almeno allo stato attuale nel
nostro ordinamento, nel senso che laddove la fonte non è
identificata o è identificabile, la dichiarazione non può essere
riportata.
Lo dice espressamente l’articolo 195 comma 7; non può essere
utilizzata la testimonianza di chi si rifiuta o non è in grado di
indicare la persona, la fonte da cui ha appreso la notizia.
Come già detto l’altra volta questa norma non significa che occorra
necessariamente generalizzare la persona, ma è sufficiente che la
persona sia identificabile.

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L’articolo 195, fissa il principio generale che se la persona che


rende le dichiarazioni in un processo si riferisce ad altri come
propria fonte di informazione, nel momento in cui una delle parti
del processo chiede che questa persona, il teste diretto, sia sentita,
il Giudice non può omettere di sentirlo.
Se omette di sentirlo la dichiarazione del teste che ha fatto
riferimento a questa persona non è utilizzabile.
A questo punto si pone il problema del che cosa significhi
esattamente testimonianza indiretta.
Per parlare di testimonianza indiretta, è sufficiente che un soggetto
dica che la persona informata dei fatti sia un’altra o è necessario
che la persona sappia quale sia il contenuto di questa dichiarazione
e lo riferisca ?
Esempio: se io sono il testimone indiretto, è sufficiente che dica che sono a conoscenza che
Caio è informato di quello che è successo o è necessario che io dica quello che mi ha riferito
Caio, lo riporti, e quindi le parti qualora vogliano controllare l’attendibilità della dichiarazione,
chiedano di sentire la persona che mi ha riferito questa dichiarazione?

Questo è un problema non ancora risolto in maniera chiara dalla


giurisprudenza.
A volte ci sono interpretazioni più restrittive e a volte più estensive.
Ricordiamo che l’articolo 195 dice:
⇒ primo che è il teste di polizia giudiziaria che non può riferire sul
contenuto delle dichiarazioni perché il teste di polizia giudiziaria a
differenza di qualsiasi altro cittadino privato, apprende queste
dichiarazioni nel contesto del procedimento e le verbalizza;
⇒ secondo, non dice che un privato cittadino non può riferire delle
dichiarazioni che ha ricevuto dal compagno di cella o comunque
dall’indagato.; dice solo che, eventualmente, se la fonte è
un’altra può chiedersi di sentire la fonte diretta.
Una volta che è stata sentita la fonte diretta, non c’è l’obbligo del
Giudice di ritenere più attendibile la fonte diretta che la fonte
indiretta; non è detto che il Giudice creda di più al teste diretto
rispetto che al teste indiretto.
Non c’è un ordine di preferenza tra le due dichiarazioni
Il Giudice, ovviamente motivando, può convincersi che il teste
indiretto sia più attendibile del teste diretto.

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Il problema dell’articolo 195 non è di porre una gerarchia tra


testimonianza diretta e testimonianza indiretta ma è di assicurare
che nel processo, una volta che è acquisita una testimonianza
indiretta, si possa andare ad acquisire anche la testimonianza
diretta per valutare la credibilità della testimonianza indiretta;
questo perché sentendo solo il teste indiretto, il Giudice non può
farsi un’idea sul livello di credibilità del teste indiretto.
Se il teste di polizia giudiziaria dice di avere accertato un qualcosa,
in realtà poi il problema non si pone più di tanto perché il Giudice
può ritenere attendibile quella dichiarazione sulla base di quanto
affermato.
Il problema però va distinto in due sottoquestioni:
1. il teste di polizia giudiziaria dice “ho accertato questa situazione
e poi tre testimoni, tre informatori mi hanno confermato che era
così”.
La dichiarazione resa dal teste di polizia giudiziaria, per quello
che aveva accertato direttamente, è pienamente utilizzabile; non
è utilizzabile laddove dice che tre persone hanno confermato
questa situazione.
Il Giudice infatti deve andare a sentire queste persone, che
renderanno le loro dichiarazioni e sulla base delle dichiarazioni
che renderanno ci sarà la conferma o meno della dichiarazione
resa dal teste di polizia giudiziaria.
2. Se il teste di polizia giudiziaria ha invece fatto l’accertamento in
un luogo in cui è avvenuto l’infortunio e, per ricostruire la
situazione dei luoghi, deve fare riferimento solo alle fonti
testimoniali, il tutto dipenderà da quello che diranno le fonti
testimoniali al processo.
Diventa infatti determinante il momento in cui la polizia
giudiziaria, per eseguire un determinato accertamento, non abbia
potuto constatare direttamente una situazione ma abbia dovuto
solamente fare riferimento alle dichiarazioni ricevute dagli
informatori.
Quindi il teste di polizia giudiziaria potrà dire: “ho ricostruito
questa situazione e l’ho ricostruita sulla base delle dichiarazioni

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di Tizio, Caio e Sempronio”; se poi Tizio, Caio e Sempronio non


confermeranno quello che ha detto il teste di polizia giudiziaria, il
Giudice non potrà ritenere provata la circostanza.
Ci si può chiedere allora, dato che l’articolo 195 stabilisce questa
regola, qual sia la rilevanza che possono avere le dichiarazioni rese
da un testimone adesso nel corso delle indagini.
La risposta a questa domanda si trova nell’articolo 500 del codice
di procedura che è la norma che prevede le contestazioni.
Nel processo accade che, dopo aver sentito il teste di polizia
giudiziaria che ha riferito di aver ricevuto le dichiarazioni da Tizio,
Caio e Sempronio, andranno sentiti, sempre che il pubblico
ministerno abbia formato correttamente la lista testi, Tizio, Caio e
Sempronio, i quali potranno confermare le dichiarazioni rese al
teste di polizia giudiziaria e allora non si porrà nessuna questione
oppure potranno cambiare versione (es. perché non ricordano i
fatti, avendo reso delle dichiarazioni al teste di polizia giudiziaria
molti anni prima, oppure perché sono stati condizionati in qualche
modo da avvenimenti successivi).
A questo punto entra in gioco il meccanismo della
contestazione che è previsto nell’articolo 500 del c.p.p.

Art. 500. - Contestazioni nell'esame testimoniale.


1. Fermi i divieti di lettura e di allegazione, le parti, per contestare in tutto o in parte il contenuto della deposizione,
possono servirsi delle dichiarazioni precedentemente rese dal testimone e contenute nel fascicolo del pubblico
ministero. Tale facoltà può essere esercitata solo se sui fatti o sulle circostanze da contestare il testimone abbia
già deposto.
2. Le dichiarazioni lette per la contestazione possono essere valutate ai fini della credibilità del teste.
3. Se il teste rifiuta di sottoporsi all'esame o al controesame di una delle parti, nei confronti di questa non possono
essere utilizzate, senza il suo consenso, le dichiarazioni rese ad altra parte, salve restando le sanzioni penali
eventualmente applicabili al dichiarante.
4. Quando, anche per le circostanze emerse nel dibattimento, vi sono elementi concreti per ritenere che il testimone
è stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità, affinché non deponga
ovvero deponga il falso, le dichiarazioni contenute nel fascicolo del pubblico ministero precedentemente rese dal
testimone sono acquisite al fascicolo del dibattimento e quelle previste dal comma 3 possono essere utilizzate.
5. Sull'acquisizione di cui al comma 4 il giudice decide senza ritardo, svolgendo gli accertamenti che ritiene
necessari, su richiesta della parte, che può fornire gli elementi concreti per ritenere che il testimone è stato
sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità.
6. A richiesta di parte, le dichiarazioni assunte dal giudice a norma dell'articolo 422 sono acquisite al fascicolo del
dibattimento e sono valutate ai fini della prova nei confronti delle parti che hanno partecipato alla loro
assunzione, se sono state utilizzate per le contestazioni previste dal presente articolo. Fuori dal caso previsto dal
periodo precedente, si applicano le disposizioni di cui ai commi 2, 4 e 5.
7. Fuori dai casi di cui al comma 4, su accordo delle parti le dichiarazioni contenute nel fascicolo del pubblico
ministero precedentemente rese dal testimone sono acquisite al fascicolo del dibattimento.

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Per risolvere il meccanismo della contestazione, la parte che ha


interesse, prende il verbale delle dichiarazioni rese dal teste di
polizia giudiziaria e contesta nel seguente modo: indica il verbale a
cui ha fatto riferimento e legge il passo del verbale che è difforme,
quindi legge la dichiarazione diversa;
A questo punto, il teste che è davanti al Giudice, potrà confermare
la dichiarazione che aveva reso alla polizia giudiziaria oppure potrà
mantenere una dichiarazione diversa.
Questo è un momento cruciale del processo accusatorio.
Mentre fino a pochi anni fa una volta che era stata eseguita questa
contestazione il Giudice, se rimaneva la difformità, poteva acquisire
il precedente verbale reso alla polizia giudiziaria e ritenere più
attendibile la versione precedente, se confermata da elementi di
prova, adesso il Giudice non potrà più acquisire la dichiarazione
resa alla polizia giudiziaria ma al massimo ritenere che la
dichiarazione che è stata resa in aula durante l’udienza non sia una
dichiarazione attendibile perché il teste in precedenza aveva
dichiarato una certa cosa e poi ha cambiato la sua dichiarazione al
dibattimento.
Avendo il teste fornito due versioni fra loro in contrasto, non
è una persona credibile.
La norma a cui si è appena fatto riferimento è quindi l’articolo 500
comma 2: “Le dichiarazioni lette per le contestazioni possono
essere valutate ai fini dell’attendibilità”.
Attenzione perché il comma non dice ai fini della prova, dice ai fini
dell’attendibilità.
Quindi se il teste continua a sostenere la versione data in aula e
non quella resa alla polizia giudiziaria, il Giudice potrà dire che il
teste non è credibile ma non potrà dire quale delle due versioni sia
quella vera.

Rapporto tra questo atteggiamento di contestazione e la falsa testimonianza:


Nel momento in cui una persona rende delle dichiarazioni che appaiono poco credibili,
il Giudice può, e questo lo dice l’articolo 207 del codice di procedura penale, avvertire
il teste della situazione che si è creata e cioè ammonirlo circa le testimonianze rese
all’interno di un processo e che la dichiarazione che lui ha reso è poco attendibile.
Detto questo il teste vedrà se ribadire o meno la precedente dichiarazione.

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In ogni caso, se il teste conferma una dichiarazione poco attendibile, il Giudice a


questo punto non può fare nulla.
Eventualmente può essere il pubblico ministero che chiede immediatamente
la trasmissione degli atti al suo ufficio per procedere per il delitto di falsa
testimonianza.
Il Giudice può trasmettere gli atti all’ufficio del pubblico ministero per procedere per il
delitto di falsa testimonianza in due momenti:
⇒ immediatamente nel corso del processo se la persona si rifiuta di rispondere
perché la falsa testimonianza può avvenire anche nella forma per omissione nel
caso in cui uno si rifiuti di rispondere e quindi il teste si è dimostrato reticente;
⇒ all’esito del giudizio quando, valutate tutte le prove, si convince che la persona
abbia mentito, solo allora può trasmettere, non lo può fare subito perché se lo
facesse subito, il Giudice anticiperebbe in qualche modo il suo giudizio sull’esito del
procedimento
Resta il fatto che, anche se il Giudice si convince che la persona che ha reso le
dichiarazioni davanti a lui ha mentito, non può dire “La macchina è gialla” solo perché
nella fase delle indagini aveva detto che era gialla, deve dire “Il teste ha cambiato
versione, aveva detto gialla, poi ha detto rossa, secondo me ha mentito e quindi
ritengo che abbia commesso il delitto di falsa testimonianza”.
Non può dire di aver raggiunto la prova però che la macchina sia di colore diverso
rispetto a quello che aveva dichiarato il teste.

E qui sta tutto il problema della prova in contraddittorio; se il teste


ritratta non c’è nulla da fare, la prova non si forma in
contraddittorio.
C’è un limite a tutto questo, il limite lo trovate spiegato sempre
nell’articolo 500 al quarto comma: “quando, per le circostanze
emerse nel dibattimento, vi siano elementi concreti per ritenere che
il testimone è stato sottoposto a violenza, minaccia, offerte
promiscue di denaro o di altra utilità purché non deponga oppure
deponga il falso, le dichiarazioni contenute nel fascicolo del pubblico
ministero precedentemente rese sono acquisite al fascicolo del
dibattimento e quindi possono essere utilizzate” e questo è l’unico
limite.
È estremamente difficile comunque, provare che il testimone sia
stato sottoposto a minacce o violenze.
Molto più frequenti saranno i casi in cui dal punto di vista logico si
arriva a dire che siccome la contraddizione tra la precedente
dichiarazione e quella successiva è evidente e non è spiegabile il

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teste ha cambiato versione senza giustificazione e che quindi non è


credibile.
È altro dire che sia stato sottoposto a violenze o minacce e la
dichiarazione può essere recuperata solo in questo caso
limite.
L’articolo 195 è importante là dove dice che il teste di polizia
giudiziaria non può riferire sul contenuto delle dichiarazioni
rese da un informatore mentre è tutto sommato meno
importante laddove dice che non può riferire sul contenuto delle
dichiarazioni rese dall’indagato o dall’imputato.
Diciamo che è meno importante perché quello che ci dice l’articolo
195 ce lo dice già in maniera chiara un’altra norma ed è l’articolo
62 del codice di procedura penale.

Art. 62. - Divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell'imputato.


1. Le dichiarazioni comunque rese nel corso del procedimento dall'imputato o dalla persona sottoposta alle indagini
non possono formare oggetto di testimonianza.

Le dichiarazioni comunque rese nel procedimento


dall’imputato o dalla persona sottoposta alle indagini non
possono formare oggetto di testimonianza.
Questa norma chiude ogni problema circa la possibilità che un teste
di polizia giudiziaria possa riferire sul contenuto della dichiarazione
che nel corso del procedimento penale ha assunto da parte prima di
una persona indagata e poi, dopo l’esercizio dell’azione penale, da
una persona imputata.
Però questa norma va anche interpretata perché se fate attenzione
non esordisce dicendo “il teste di polizia giudiziaria”, esordisce con
una formula più ampia “Nessuno può testimoniare sulle
dichiarazioni rese nel corso del procedimento da parte dell’indagato
o dell’imputato”.
Vediamo intanto il significato di quel NESSUNO e cerchiamo di fare
completa chiarezza sui rapporti tra l’articolo 62 e l’articolo 195.
NESSUNO significa che né il teste di polizia giudiziaria, né qualsiasi
altra persona può riferire sul contenuto delle dichiarazioni rese nel
contesto procedimentale da parte dell’indagato o dell’imputato.

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Nel contesto procedimentale vuol dire nell’ambito del


procedimento e quando viene assunto un atto tipico del
procedimento.
Se io sono un poliziotto e sto eseguendo un arresto ad esempio, ai
giardini pubblici e, mentre arresto questa persona questa persona
mi rende delle dichiarazioni, io non potrò come teste di polizia
giudiziaria, riferire sul contenuto di queste dichiarazioni.
E questo è pacifico.
Non potrà riferire sul contenuto delle dichiarazioni rese nemmeno il
privato cittadino che era accanto a me e che magari è anche la
persona offesa a cui era stato rubato il portafoglio, che ha sentito
queste dichiarazioni.
E questo perché le dichiarazioni sono state rese in un
contesto procedimentale.
Se invece il compagno di cella dell’indagato o dell’imputato riceve
una dichiarazione, dopo che la persona che ha reso la dichiarazione
è già sottoposta alle indagini, sotto il profilo puramente temporale
la dichiarazione viene resa nel procedimento ma non viene resa nel
contesto procedimentale, viene resa al di fuori da tale contesto.
Da ciò quindi, il compagno di cella può riferire sul contenuto di
queste dichiarazioni.
Se invece, il compagno di cella sente un dialogo tra un poliziotto,
un carabiniere e l’indagato o l’imputato e quindi mentre il poliziotto
o il carabiniere sta prendendo delle dichiarazioni da questa persona,
allora sente delle dichiarazioni che sono rese nel contesto
procedimentale e non può deporre su queste.

Ricordiamo che il problema è che il teste di polizia giudiziaria, quando nel corso di un
procedimento riceve delle dichiarazioni, come regola generale le deve verbalizzare e il
verbale delle dichiarazioni rese dal teste di polizia giudiziaria, entra nel processo
penale solo a determinate condizioni.
L’articolo 500 dice che, anche se vengono fatte delle contestazioni, questo verbale
non entrerà nel processo ma entrerà per esempio nel caso in cui sia provato che la
persona che è stata sentita prima dal teste di polizia giudiziaria e poi dal Giudice sia
stato sottoposto a pressioni o minacce.
Se il legislatore permettesse al teste di polizia giudiziaria di deporre sul contenuto
delle dichiarazioni ricevute, non avrebbe più senso porre dei limiti all’acquisizione nel
fascicolo del dibattimento dei verbali perché quello che non si apprenderebbe

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attraverso i verbali, si apprenderebbe attraverso le dichiarazioni del teste di polizia
giudiziaria.
Quindi, e per cercare di essere il più chiaro possibile, non è assolutamente un
problema di credibilità del teste di polizia giudiziaria, è un problema relativo a quali
atti dell’indagine possono essere acquisiti nel fascicolo del dibattimento.
Il teste di polizia giudiziaria, a differenza di un qualsiasi privato cittadino, quando
sente l’imputato lo sente non perché è un suo amico, lo sente perché lui è un pubblico
ufficiale e l’altra è una persona indagata o imputata e il pubblico ufficiale sta
eseguendo delle indagini; quindi in un contesto procedimentale.
Il pubblico ufficiale redige un verbale, lo redige al di fuori del contraddittorio perchè
c'è solo il pubblico ufficiale non c’è il difensore.
La regola del processo accusatorio è che la prova si formi in contraddittorio, quindi il
legislatore dice, questa dichiarazione che il pubblico ufficiale ha preso e che è stata
riportata nel verbale, entrerà nel processo solo in determinate condizioni.
E queste condizioni sono condizioni limite, per il resto questa dichiarazione servirà
solo per fare delle contestazioni al dibattimento.
Anche il privato cittadino che sente quello che dice l’indagato al pubblico ufficiale non
può riferirlo perché si tratta di una dichiarazione resa nel contesto del procedimento.
Cerco di essere più chiaro: siamo ai giardini pubblici, la persona offesa vede che le
viene sottratto il portafoglio, chiama la polizia, la polizia arresta la persona che gli
viene indicata dal soggetto passivo del reato e questa persona dice: “Non ero da solo,
c’era anche un complice” e lo dice alla polizia giudiziaria.
Questa dichiarazione è resa nel contesto del procedimento; non viene resa al privato
cittadino, viene resa nel contesto del procedimento.
Il fatto che sia ascoltata dalla persona offesa, è un accidente, non è decisivo ed è per
questo che rientriamo allora nei limiti dell’articolo 62 il quale dice che in generale le
dichiarazioni rese nel corso del procedimento non possono essere riferite.
La persona offesa che è ai giardini non può riferire queste dichiarazioni perché ha
sentito delle dichiarazioni che sono state rese nel contesto del procedimento in quanto
sono state sentite mentre dialogavano il poliziotto o il carabiniere e l’indagato.
Questo vale anche se chi ascolta la dichiarazione è persona che non c’entra nulla, che
non ha avuto nessun danno, una quarta persona; vale sempre il divieto dell’articolo
62.

Diverso sarebbe questo caso: la persona offesa si accorge che le hanno rubato il
portafoglio, corre dietro alla persona che gli ha rubato il portafoglio, glielo contesta,
questa persona decide di restituire il portafogli e gli dice anche “Con me c’era un’altra
persona, c’era il mio complice”.
Poco dopo arriva la polizia giudiziaria, la polizia giudiziaria arresta la persona
indagata.
In questo caso, la dichiarazione che ha ricevuto la persona offesa, il testimone, non è
stata ricevuta nel contesto procedimentale mentre dialogavano il teste di polizia
giudiziaria e l’indagato, è stata resa al di fuori del procedimento e quindi nulla osta a
che questa dichiarazione sia riferita.
Se la dichiarazione viene ripetuta alla presenza della polizia, il testimone privato
cittadino, potrà riferire quello che ha sentito al di fuori del procedimento, non quello
che ha sentito all’interno del procedimento.

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Quello che è importante capire è che non sono delle formalità ma è


il cuore del processo accusatorio.
È importante questo perché, il principio del processo accusatorio, è
che la prova si forma nel contraddittorio.
Nel contraddittorio vuol dire quando c’è non solo il poliziotto, il
carabiniere ma ci sia anche il difensore.
Se noi facciamo entrare nel processo come prova le dichiarazioni
che si sono formate senza il difensore, non seguiamo le regole del
sistema accusatorio.
Quindi non è una questione di forma, ma è una questione di
sostanza.
Attenzione però.
Le dichiarazioni che l’indagato regolarmente assistito, perché
generalmente questa situazione si verifica prima dell’esercizio
dell’azione penale, rende nel corso dell’interrogatorio davanti a un
pubblico ministero, entrano nel fascicolo del dibattimento anche se
la persona durante il processo si rifiuta di rendere la dichiarazione.
Entrano nel dibattimento attraverso una norma che è l’articolo 513
e cioè nel caso in cui la persona, dopo aver reso le dichiarazioni in
fase di indagini, ovviamente regolarmente assistita, rifiuti di
sottoporsi all’esame nella fase del dibattimento.
Però, ed ecco che ritornano i principi del sistema accusatorio,
queste dichiarazioni che lui ha reso potranno essere
utilizzate contro di lui non nei confronti di terzi.

Art. 513. - Lettura delle dichiarazioni rese dall'imputato nel corso delle indagini preliminari o
nell'udienza preliminare.
1. Il giudice, se l'imputato è contumace o assente ovvero rifiuta di sottoporsi all'esame, dispone, a richiesta di parte,
che sia data lettura dei verbali delle dichiarazioni rese dall'imputato al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria
su delega del pubblico ministero o al giudice nel corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare, ma tali
dichiarazioni non possono essere utilizzate nei confronti di altri senza il loro consenso salvo che ricorrano i
presupposti di cui all'articolo 500, comma 4.
2. Se le dichiarazioni sono state rese dalle persone indicate nell'articolo 210, comma 1, il giudice, a richiesta di
parte, dispone, secondo i casi, l'accompagnamento coattivo del dichiarante o l'esame a domicilio o la rogatoria
internazionale ovvero l'esame in altro modo previsto dalla legge con le garanzie del contradditorio. Se non è
possibile ottenere la presenza del dichiarante, ovvero procedere all'esame in uno dei modi suddetti, si applica la
disposizione dell'articolo 512 qualora la impossibilità dipenda da fatti o circostanze imprevedibili al momento delle
dichiarazioni. Qualora il dichiarante si avvalga della facoltà di non rispondere, il giudice dispone la lettura dei
verbali contenenti le suddette dichiarazioni soltanto con l'accordo delle parti.
3. Se le dichiarazioni di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo sono state assunte ai sensi dell'articolo 392, si
applicano le disposizioni di cui all'articolo 511.

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Quindi, se nel corso di un interrogatorio, davanti a un pubblico ministero in


sede di indagini, una persona dice ”Io ho commesso questo fatto di reato e
insieme a me l’ha commesso Caio”.
Dopo anni si va al dibattimento e questa persona davanti al Giudice dice che
non vuole sottoporsi all’esame; a quel punto, ai sensi dell’articolo 513 del
codice di procedura penale, il verbale dell’interrogatorio verrà acquisito.

La situazione è diversa rispetto al testimone.


Mentre come regola generale per il testimone, il verbale in caso di
difformità della dichiarazione non viene acquisito, per l’imputato
viene acquisito.
Però le dichiarazioni l’imputato ha reso, potranno essere utilizzate
contro di lui e non nei confronti del terzo.
Quella parte di elemento probatorio dato dalla dichiarazione contro
altri, si perde completamente.
E con ciò si torna all’articolo 111 della costituzione laddove dice “la
persona ha il diritto di confrontarsi con il suo accusatore, se questo
diritto di confrontarsi gli viene tolto la dichiarazione non può essere
utilizzata”.

Art. 111. - La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. (1)
Ogni processo si svolge nel contradditorio tra le parti, in condizioni di parita', davanti a giudice terzo e imparziale. La
legge ne assicura la ragionevole durata. (1)
Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel pi¨ breve tempo possibile,
informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle
condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facolta', davanti al giudice, di interrogare o di far
interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di
persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore;
sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo. (1)
Il processo penale e' regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza
dell'imputato non puo' essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si e' sempre
volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore. (1)
La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato o
per accertata impossibilita' di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita. (1)
Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.
Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla liberta' personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o
speciali, e' sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si puo' derogare a tale norma soltanto
per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra.
Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione e' ammesso per i soli motivi
inerenti alla giurisdizione.
(1) Comma introdotto con l'art. 1 della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 (G.U. 23 dicembre 1999, n. 300).
All'art. 2, la stessa legge costituzionale cosi' dispone: "1. La legge regola l'applicazione dei principi contenuti nella presente legge
costituzionale ai procedimenti penali in corso alla data della sua entrata in vigore".

L’articolo 62 è una regola generale, si applica alle dichiarazioni rese


dall’indagato o dall’imputato da chiunque siano apprese però si
applica solo, nelle dichiarazioni rese nel contesto procedimentale in

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occasione di un atto tipico del procedimento penale; questo è il


limite dell’articolo 62 che va quindi applicato alle dichiarazioni di
contenuto narrativo e non a quelle che rilevano come fatto storico.

Se io sto per arrestare una persona e questa persona dice “Scappa!”.


Questa affermazione non rileva una dichiarazione di contenuto narrativo, rileva come
un fatto storico.
Fatto storico vuol dire che, nel contesto in cui è avvenuto l’arresto, una persona ha
reso una dichiarazione che non era affatto rivolta al teste di polizia giudiziaria che lo
stava arrestando ma era una comunicazione ad altre persone.
Questa dichiarazione assume il valore non di dichiarazione ma di fatto storico e quindi
questa può essere riferita; così come nel caso in cui la dichiarazione abbia una
rilevanza ai fini dell’indicazione del reato.
Se voi andate in un luogo per sentire una persona, per ad esempio dirimere una
controversia tra due vicini e sentite che un vicino inizia a insultare l'altro vicino e lo
offende e cioè commette il reato di ingiuria, queste affermazioni che fa il teste
rilevano come un fatto storico del delitto di ingiuria, non sono una dichiarazione resa a
voi; anche su questa voi potreste testimoniare.

Quindi, nell’ambito generale delle dichiarazioni vanno individuate


quelle affermazioni che fa l’indagato o l’imputato che
rilevano come fatto storico di reato; tali affermazioni vengono
in rilievo non come dichiarazione ma come fatto, e su queste il
testimone di polizia giudiziaria può riferire come chiunque altro.
I fatti storici possono essere riferiti, non possono essere
riferite le dichiarazioni di contenuto narrativo.

La dichiarazione che l’indagato rende davanti alla polizia giudiziaria delegata


dal pubblico ministero o davanti al pubblico ministero, potranno emergere nel
corso del dibattimento attraverso il meccanismo dell'acquisizione che vi ho
indicato, l’articolo 513.
Non potranno emergere nel corso del dibattimento attraverso le dichiarazioni
dell’ufficiale di polizia giudiziaria che ha assunto quelle dichiarazioni.
Altro è dire che la dichiarazione non può essere oggetto di testimonianza, altro
è dire che il contenuto delle dichiarazioni presenti nel verbale non possa
assumere rilievo nel corso del dibattimento.
Assumerà rilievo nel corso del dibattimento attraverso la lettura diretta del
verbale.
Voi provate a studiarvi l’articolo 195 e l’articolo 62 e meditarci sopra, un po’
alla volta dovrebbe riuscire a emergere qual è la logica che ho tentato di
spiegarvi di queste due norme.

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Se voi inserite queste due norme nel contesto del processo accusatorio, capite
che non è un pregiudizio contro il teste di polizia giudiziaria quello che c’è
scritto in queste norme ma è una regola coessenziale a un’impronta
accusatoria del processo.

In generale, testimone è una persona che è a conoscenza dei fatti


oggetto di prova e che non riveste una qualifica in relazione alla
quale è collegata la incapacità a testimoniare.
Questo perché l’articolo 197 riporta i casi in cui esiste
l’incompatibilità a testimoniare e questi casi li abbiamo in parte già
visti quando abbiamo parlato dell’articolo 64.
Come linea generale i casi elencati nell’articolo 197 possono
collegarsi alla logica che ci sono alcune persone che il legislatore
non vuole che assumano la qualifica di testimone nell’ambito del
processo e questo per garantire a loro un maggiore spazio nella
difesa e quindi non vuole che si assumano l’obbligo di dichiarare la
verità.
Rientra in questa logica il comma primo dell’articolo 197, la lettera
a e la lettera b e la lettera c .
Delle lettere a e b ne abbiamo già parlato con riguardo
all’imputato di procedimento connesso e all’imputato di
procedimento correlato.
La lettera c , richiamando il responsabile civile e la persona
civilmente obbligata per la pena pecuniaria, richiama due esempi di
parti private diverse dalla parte privata imputato.
Questa è una caratteristica del processo penale rispetto al processo
civile, la parte civile.
Perché la parte civile può assumere la veste di testimone.
Nel caso in cui nessuna delle parti del processo introducesse la
parte civile come testimone, allora sì che anche la parte civile
potrebbe essere sottoposta all’esame come semplice parte, ma
salvo questa ipotesi che nell’esperienza pratica è inesistente, la
parte civile viene sentita come testimone.
Questo vuol dire che è una persona alla quale viene fatta
leggere la formula di rito e che assume l’obbligo di dire la
verità.
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Nella lettera d infine, vengono indicati dei soggetti che hanno


svolto delle determinate funzioni nell’ambito del procedimento.
In questa categoria trovate il Giudice, trovate il pubblico ministero
ma anche coloro che hanno partecipato alla formazione dei loro atti.
Se ad esempio, una persona che appartiene alla polizia giudiziaria
assiste il pubblico ministero nel corso delle indagini, mentre viene
redatto un atto tipico, in relazione a quell’atto tipico la persona che
appartiene alla polizia giudiziaria non può assumere il ruolo di
testimone appunto perché siamo di fronte a un atto tipico e per la
stessa ragione per cui non potrebbe deporre il pubblico ministero
non può deporre nemmeno il suo ausiliario.
La polizia giudiziaria non potrà assumere la veste di testimone
sull’oggetto dell’interrogatorio delegato anche se però in quel caso
di interrogatorio delegato, la risposta non viene da questa norma
che parla di ausiliario.
Nel momento in cui la polizia giudiziaria ha la delega e viene a
compiere un atto del procedimento quale è l’interrogatorio, non
sarà un semplice ausiliario perché ausiliario è colui che
materialmente assiste il pubblico ministero e redige il verbale
materialmente; sarà nello stesso ufficio del pubblico ministero,
dove lui pone le domande e la polizia giudiziaria scriverà al
computer le risposte.
Questa è l'ipotesi dell'ausiliario che viene presa in considerazione.
Vi ricordo l’articolo 197, così come l’articolo 198 relativo al
privilegio contro l’autoincriminazione, l’articolo 199 che riguarda la
testimonianza dei prossimi congiunti e le norme sul segreto
professionale, perché sono norme che sono espressamente
richiamate a proposito delle sommarie informazioni rese davanti
alla polizia giudiziaria.
Art. 198. - Obblighi del testimone.
1. Il testimone ha l'obbligo di presentarsi al giudice e di attenersi alle prescrizioni date dal medesimo per le esigenze
processuali e di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte.
2. Il testimone non può essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità
penale.

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Art. 199. - Facoltà di astensione dei prossimi congiunti.


1. I prossimi congiunti dell'imputato non sono obbligati a deporre. Devono tuttavia deporre quando hanno
presentato denuncia, querela o istanza ovvero essi o un loro prossimo congiunto sono offesi dal reato.
2. Il giudice, a pena di nullità, avvisa le persone predette della facoltà di astenersi chiedendo loro se intendono
avvalersene.
3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano anche a chi è legato all'imputato da vincolo di adozione. Si applicano
inoltre, limitatamente ai fatti verificatisi o appresi dall'imputato durante la convivenza coniugale:
a) a chi, pur non essendo coniuge dell'imputato, come tale conviva o abbia convissuto con esso;
b) al coniuge separato dell'imputato;
c) alla persona nei cui confronti sia intervenuta sentenza di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti
civili del matrimonio contratto con l'imputato.

Quindi per sapere i casi in cui come polizia giudiziaria, potete


assumere queste sommarie informazioni da una persona che
considerate come futuro teste, dovete tener presente l’articolo
197; non potreste prendere delle dichiarazioni come semplice
informatore da una persona che è indagata in un procedimento
collegato.
Per quello è importante che voi conosciate l’articolo 197, non è una
norma che si applica solo nel dibattimento, si applica anche nella
fase delle indagini.
Si applica anche nella fase delle indagini la norma relativa alla
facoltà di astensione dei prossimi congiunti che è l’articolo 199.
Per sapere chi siano i prossimi congiunti, voi dovete prendere un
articolo del codice penale, è facile da ricordare nel momento in cui
svolgete la vostra attività perché in tutti i codici è richiamato; è
l’articolo 307 comma 4 del codice penale.

Art. 307. - Assistenza ai partecipi di cospirazione o di banda armata.


Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato o di favoreggiamento, dà rifugio o fornisce vitto, ospitalità, mezzi di
trasporto, strumenti di comunicazione a taluna delle persone che partecipano all'associazione o alla banda indicate
nei due articoli precedenti, è punito con la reclusione fino a due anni.
La pena è aumentata se l'assistenza è prestata continuatamente .
Non è punibile chi commette il fatto in favore di un prossimo congiunto.
Agli effetti della legge penale, s'intendono per i prossimi congiunti gli ascendenti, i discendenti, il
coniuge, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti: nondimeno, nella
denominazione di prossimi congiunti, non si comprendono gli affini, allorché sia morto il coniuge e non
vi sia prole.

Questo articolo dà la definizione agli effetti dell’articolo 199 di chi


sia il prossimo congiunto e questo per capire il grado di parentela
che potrebbe rilevare.
Sottolineo questo a proposito dell’articolo 199, che rientra anche il
convivente di fatto tra le persone che devono ricevere questo

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avvertimento per i fatti di cui ha avuto conoscenza nell’ambito della


convivenza di fatto.
L’articolo 199 dice infatti, limitatamente ai fatti verificatisi o appresi
durante la convivenza coniugale.
Quindi, non sono solo il coniuge, i parenti fino a un certo grado e gli
affini fino a un certo grado e per guardare i gradi prendete in
considerazione l’articolo 307 comma 4 del codice penale, ma anche
il convivente di fatto che ha diritto di ricevere questo avviso da
parte vostra.
Se non riceve questo avviso commettete una nullità; è una nullità
di modesto rilievo perché è una nullità relativa che potrebbe essere
sanata.
Peraltro, una persona anche se riceve l’avviso e decide di rendere
delle dichiarazioni, al dibattimento, nel momento in cui viene
sentito dal Giudice, potrebbe cambiare idea e decidere di non
rendere più alcuna dichiarazione.
Il problema che si pone a questo punto è se sia utilizzabile o meno
il verbale delle dichiarazioni rese in sede di indagini.
Il problema si pone perché si potrebbe dire, richiamando una
norma che è l’articolo 512 che siamo di fronte a un caso in cui la
ripetizione dell’esame è diventata impossibile per una causa
sopravvenuta.

Art. 512. - Lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione.


1. Il giudice, a richiesta di parte, dispone che sia data lettura degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico
ministero, dai difensori delle parti private e dal giudice nel corso della udienza preliminare quando, per fatti o
circostanze imprevedibili, ne è divenuta impossibile la ripetizione.
1-bis. È sempre consentita la lettura dei verbali relativi all'acquisizione ed alle operazioni di distruzione degli atti di
cui all'articolo 240.

Ovvero, se una persona rende delle dichiarazioni durante le indagini


preliminari anche se è un familiare, posso presumere che abbia
fatto una determinata scelta e che quindi poi renda delle
dichiarazioni anche al dibattimento.
Al dibattimento cambia idea, non vuole più rendere le dichiarazioni,
si potrebbe ipotizzare di essere di fronte a un caso in cui la
mancanza di ripetitività dell’atto è dovuta a una causa

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sopravvenuta non prevedibile e quindi diventa applicabile l’articolo


512 del codice.
Le sezioni unite della corte di cassazione hanno detto che in questo
caso, siccome la persona può decidere anche al dibattimento di non
rendere queste dichiarazioni, ciò che verrà reso in sede delle
indagini preliminari, non sarà utilizzabile.
Quindi risulta inutile cercare in qualsiasi modo di acquisire
dichiarazioni dei prossimi congiunti in sede di indagini senza che
questi si rendano ben conto che hanno la possibilità di non
rispondere alle vostre domande perché un domani, al dibattimento,
potranno decidere, una volta che il Giudice li informa di questa loro
facoltà, di non rispondere e le dichiarazioni che hanno reso nella
sede delle indagini andranno completamente perse.
Sono tutte norme queste che vi aiutano a capire come ci sia un
netto discrimine tra la fase delle indagini preliminari e la fase del
dibattimento.
E tanti elementi di prova che si formano nella fase delle indagini
preliminari, diventano nel dibattimento inutilizzabili.
Diverso è il caso in cui una persona presenta una denuncia contro
un famigliare, perché l’articolo che viene ad essere interessato è il
199 primo comma che recita: “I prossimi congiunti dell’imputato
non sono obbligati a deporre, devono tuttavia deporre quando
hanno presentato denunce, querele, istanza ovvero essi o un loro
prossimo congiunto sono offesi dal reato”.
Quindi, rimanendo nel reato tipico dove si pongono questi problemi,
cioè nel reato di maltrattamenti in famiglia, se una persona
presenta una denuncia contro un familiare, poi non può astenersi
dal deporre.
Se poi questa persona presenta la denuncia, un altro prossimo
congiunto, coinvolto nella vicenda, dato che la denunciante e
persona offesa è un suo stretto congiunto, ugualmente non può
astenersi dal deporre.
L’ambito di applicazione della facoltà di astensione riguarda
tipicamente un altro caso, ovvero il caso in cui si applica un
procedimento nei confronti di una persona e le informazioni utili alle

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indagini potrebbero essere apprese da stretti congiunti i quali però


non hanno un altro familiare coinvolto come persona offesa nel
procedimento né sono denuncianti.
Queste sono tutte norme che dovete applicare.
L’articolo 198, sempre richiamato tra le norme che dovrete voi
applicare, riguarda il privilegio contro l’auto incriminazione.
Significa che una persona non può essere costretta a deporre su
fatti da cui potrebbe conseguire una propria incriminazione.
Le conseguenze a cui va incontro nel momento in cui rende una
dichiarazione auto-incriminante sono già state viste, quello che
bisogna tenere presente è che questa persona ha la facoltà di non
rispondere a queste domande ma non ha diritto ad essere avvisato
che ha facoltà di non rispondere ad una domanda auto
incriminante.
Cioè, non c’è l’obbligo, e non è nemmeno previsto che chi sta
svolgendo l’esame, o l’interrogatorio o l’assunzione di informazione
dia tale avviso alla persona in esame.
Questo non è previsto, è previsto piuttosto che l’esame venga
interrotto nel momento in cui emergano queste dichiarazioni.
Prendiamo in considerazione l’articolo 210 del codice di procedura
penale e cioè “le dichiarazioni rese da imputati di un procedimento
connesso”.
Non stiamo parlando direttamente dell’esame dell’imputato ma
dell’esame di un’altra persona che è accusata comunque di un reato
che è connesso o collegato a quello per cui si procede.

Art. 210. - Esame di persona imputata in un procedimento connesso.


1. Nel dibattimento, le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'articolo 12, comma 1, lettera
a), nei confronti delle quali si procede o si è proceduto separatamente e che non possono assumere l'ufficio di
testimone, sono esaminate a richiesta di parte, ovvero, nel caso indicato nell'articolo 195, anche di ufficio.
2. Esse hanno obbligo di presentarsi al giudice, il quale, ove occorra, ne ordina l'accompagnamento coattivo. Si
osservano le norme sulla citazione dei testimoni.
3. Le persone indicate nel comma 1 sono assistite da un difensore che ha diritto di partecipare all'esame. In
mancanza di un difensore di fiducia è designato un difensore di ufficio.
4. Prima che abbia inizio l'esame, il giudice avverte le persone indicate nel comma 1 che, salvo quanto disposto
dall'articolo 66 comma 1, esse hanno facoltà di non rispondere.
5. All'esame si applicano le disposizioni previste dagli articoli 194, 195, 498, 499 e 500.
6. Le disposizioni dei commi precedenti si applicano anche alle persone imputate in un procedimento connesso ai
sensi dell'articolo 12, comma 1, lettera c), o di un reato collegato a norma dell'articolo 371, comma 2, lettera b),
che non hanno reso in precedenza dichiarazioni concernenti la responsabilità dell'imputato. Tuttavia a tali
persone è dato l'avvertimento previsto dall'articolo 64, comma 3, lettera c), e, se esse non si avvalgono della
facoltà di non rispondere, assumono l'ufficio di testimone. Al loro esame si applicano, in tal caso, oltre alle
disposizioni richiamate dal comma 5, anche quelle previste dagli articoli 197-bis e 497.

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Anche questa norma è una norma che poi viene richiamata nella
fase delle indagini a proposito delle persone che la polizia
giudiziaria dovrà sentire.
L’articolo 210, pone una disciplina che riguarda in generale, gli
indagati e gli imputati di un procedimento connesso o collegato a
quello in cui si procede.
Le regole che pone l’articolo 210 sono queste:
⇒ nel caso in cui vi sia una connessione molto stretta fra i
procedimenti, e cioè la connessione prevista dall’articolo 12
comma 1° lettera a , questa persona sarà sempre assistita da
un difensore, avrà sempre la facoltà di non rispondere alle
domande, dovrà presentarsi ma non sarà obbligata a rispondere;
questa regola si ricava leggendo l’articolo 210 comma 1.
⇒ un regime un po’ più complicato, anzi complicatissimo, è previsto
dall’articolo 210 6° ed ultimo comma nei casi di connessione
debole o collegamento probatorio cioè nel caso in cui il reato
per cui si procede nei confronti di una persona è quello per cui si
procede nei confronti della persona che rende la dichiarazione
abbiano un collegamento meno stringente.
In questi casi è previsto che la persona sia avvisata della facoltà
di non deporre; nel caso in cui questa persona dica: “Io voglio
deporre”, avrà ovviamente come nel caso precedente, la
presenza di un difensore che lo assisterà.
A questo punto è previsto che gli sia dato un avviso, l’avviso è
quello dell’articolo 64, 3° comma lettera c .

Quindi io la avverto “Guardi, se lei renderà dichiarazioni a carico di terzi, in ordine a queste
dichiarazioni lei potrà assumere la veste di testimone”, primo avviso “lei ha la facoltà di non
rispondere”.
“Io voglio deporre”.
“Va bene, abbiamo il suo difensore vicino, io adesso la avverto che se lei renderà dichiarazioni
a carico di terzi, assumerà in relazione a tali dichiarazioni, l’obbligo di deporre”.
Lui dice che intende continuare a rispondere.
Quello che succede nel dibattimento è una cosa veramente strana.
Questa persona a questo punto inizierà a rendere delle dichiarazioni.
Rende una dichiarazione a carico di un terzo, quindi una dichiarazione erga alias.
Il Giudice a questo punto gli deve far leggere la formula dei testimoni, “consapevole delle
responsabilità morali e civili che assume con la sua deposizione, si impegni a dire la verità e a
non nascondere nulla di quanto è in sua conoscenza”.

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24

Bene, da questo momento in poi, con riferimento alla precedente dichiarazione che ha reso a
carico di altri, ha gli obblighi del testimone.
Continua a parlare.
Inizia nuovamente a parlare non con riferimento a questa dichiarazione, ma a dichiarazioni che
riguardano la sua persona.
In quel momento non è più un testimone.
Ecco perché dicevo che la situazione è complicatissima; siamo di fronte a quello che viene
chiamato testimone ad intermittenza.

Il legislatore, con l’articolo 210 comma 6° del codice di procedura


penale, ha introdotto nel nostro ordinamento la figura di un
soggetto il quale, nel corso della sua deposizione potrà essere, a
seconda del momento, testimone o non testimone con tutti i
problemi pratici che vi lascio immaginare.
Problemi pratici che i giudici spesso risolvono facendo leggere la
formula della testimonianza fin da subito.
Capita infatti che spesso il Giudice non si rende conto, nel momento
in cui la persona rende dichiarazioni a carico di terzi, che sta
rendendo una dichiarazione a carico di terzi.
Lo capisce dopo e quindi ometterebbe di dargli questo avviso.
Capiterà spesso quindi di vedere una persona interrogata
esaminata con l’articolo 210 ultimo comma che riceve l’avviso della
facoltà di non rispondere, l’avviso previsto dall’articolo 64 3°
comma lettera c . e che gli faranno leggere subito la formula di
rito.
Nel nostro sistema processuale esiste, grazie a questa regola,
anche il testimone ad intermittenza.

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1

DIRITTO PROCESSUALE
LE INDAGINI PRELIMINARI.
Nel codice di procedura penale, gli articoli che interessano le
indagini preliminari vanno dall’articolo 326 in poi.

Art. 326. - Finalità delle indagini preliminari.


1. Il pubblico ministero e la polizia giudiziaria svolgono, nell'ambito delle rispettive attribuzioni, le indagini
necessarie per le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale.

L’articolo 326 dovrebbe indicare quelle che sono le finalità


dell’indagine preliminare ma in realtà indica solo quella che è una
delle finalità dell’indagine dicendo che le indagini servono per
consentire a pubblico ministero di assumere le sue determinazioni
in ordine all’esercizio del tribunale.
Se fosse solo questo, le indagini preliminari sarebbero qualcosa di
interno al procedimento mentre in realtà non è così in quanto le
indagini preliminari a volte possono diventare anche un luogo di
formazione della prova.
Questo accade quando non si è in contraddittorio con il consenso
delle parti o negli altri casi che sono pure previsti dall’articolo 111
della Costituzione e quindi nei casi di condotta illecita o quando per
irreperibilità oggettiva la prova non si può formare nel giudizio e
cioè nel pieno contraddittorio delle parti.
L’ipotesi più comune in cui la prova viene a formarsi al i fuori del
contraddittorio, è quella di due riti speciali come sono il rito del
patteggiamento e il rito del giudizio abbreviato.
⇒ Il giudizio ordinario è quello che si celebra davanti al Giudice del
dibattimento attraverso l’assunzione delle prove nel
contraddittorio.
⇒ Riti speciali come quello del patteggiamento o come quello del
giudizio abbreviato sono riti che, a prescindere dal Giudice
davanti a cui si svolgono (a volte può essere il Giudice del
dibattimento, a volte può essere il Giudice delle indagini
preliminari), sono caratterizzati dal fatto che, il Giudice per
decidere, utilizza il fascicolo del pubblico ministero.

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2

Quindi utilizza tutti gli atti che sono contenuti al suo interno e tra
questi atti vi sono anche le indagini della polizia giudiziaria.
Quindi i verbali di sommarie informazioni della polizia giudiziaria,
che di regola non sono utilizzabili per la decisione, in questo caso
diventano utilizzabili.
Il giudizio abbreviato ed il patteggiamento sono due riti speciali che
possono essere attivati con il consenso dell’imputato; senza il
consenso dell’imputato ciò non può avvenire.
Nelle indagini preliminari le figure centrali sono quelle del PM e
della polizia giudiziaria.
Il GIP, cioè il Giudice per le Indagini Preliminari, interviene
solo nei casi che sono previsti e su richiesta delle parti.
Il Giudice per le indagini preliminari non interviene in questa fase
d’ufficio, di propria iniziativa, ma ha il compito di svolgere delle
funzioni di controllo in alcuni particolari momenti.
Questi particolari momenti sono:
⇒ quelli in cui la persona sottoposta alle indagini viene privata della
libertà e cioè nel caso di arresto in flagranza di reato o di fermo;
⇒ i casi in cui proprio il GIP ha emesso delle misure coercitive,
quindi delle misure cautelari nei confronti della persona indagata;
⇒ l’autorizzazione di intercettazioni;
⇒ i casi in cui non sia possibile rinviare alla fase del dibattimento
l’assunzione di una prova ovvero quando il codice prevede
espressamente che la formazione della prova in contraddittorio
non avvenga nel giudizio ma nell’ambito di un sub-procedimento
all’interno della fase delle indagini preliminari.
Quest’ultima possi9bilità non è altro che il significato di “incidente
probatorio”.
L’incidente probatorio è quindi una parentesi che si apre
all’interno delle indagini preliminari in cui in contraddittorio delle
parti, e quindi con la presenza del difensore, vengono assunte
delle prove che non possono essere rinviate al dibattimento.
Un caso può essere quello della perizia nel caso in cui rinviata al
dibattimento non potrebbe più essere utilmente esperita oppure si
tratta di una perizia di lunga durata e quindi superiore a 60 giorni.

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3

Quelle che si formano nell’ambito dell’incidente probatorio


sono delle vere e proprie prove e quindi confluiscono fin
dall’inizio all’interno del fascicolo del dibattimento.
In sostanza vi è un anticipo del dibattimento nella fase delle
indagini preliminari.
I mezzi di ricerca della prova che sono disciplinati dal nostro codice,
sono principalmente:
⇒ le ispezioni;
⇒ le perquisizioni;
⇒ i sequestri;
e si caratterizzano, rispetto ai mezzi di prova, perché attraverso i
mezzi di ricerca delle prove, entrano nel procedimento degli
elementi probatori che preesistono allo svolgersi dello stesso mezzo
di ricerca della prova.
Quindi, mentre ad esempio con la testimonianza, la prova si forma
davanti al Giudice, con un mezzo di ricerca della prova io vado alla
ricerca di un elemento che preesiste e che viene acquisito al
procedimento.
In una perquisizione ciò che viene ricercato preesiste allo svolgersi
della perquisizione stessa; la perquisizione è il mezzo che permette
a questo elemento di entrare nel procedimento.
Correntemente si differenziano i metodi di ricerca della prova
rispetto ai mezzi di prova anche perché i soggetti che sono
protagonisti sono più che il Giudice (anche se pure il Giudice può
compiere dei mezzi di ricerca della prova), il pubblico ministero e la
polizia giudiziaria.
Sono infine tendenzialmente caratterizzati per essere generalmente
degli atti a sorpresa ed essendo atti a sorpresa non prevedono che
il difensore della persona sottoposta alle indagini sia avvisato dello
svolgersi del mezzo, anche se, in molti casi, può partecipare allo
svolgersi del mezzo stesso.
 L’ ispezione consiste nell’osservare e descrivere cose, luoghi e
persone; l’ispezione è un mezzo di ricerca della prova che ha una
finalità prettamente descrittiva.

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4

Esistono due forme di ispezione:


⇒ l’ispezione personale;
⇒ l’ispezione di cose e di luoghi.
Per quanto riguarda l’ispezione personale e quindi l’ispezione che è
eseguita nei confronti di una persona vivente, il codice prevede che
la persona sia avvertita della facoltà di farsi assistere da una
persona di fiducia non incapace.
Non incapace significa tendenzialmente maggiore degli anni 14
(quattordici).
È previsto che il pubblico ministero, quando svolga un’ispezione,
possa ricorrere a un medico, ad un sanitario e quando ricorre a un
sanitario l’autorità giudiziaria può non assistere e, questo è quello
che volevo sottolineare, questo tipo di atto non può essere
compiuto dalla polizia giudiziaria.
Lo ricavate, questo principio, dall’articolo 354 del codice di
procedura penale dove, al 3° comma viene spiegato che, se
ricorrono i presupposti previsti dal comma 2 e, in sostanza, vi è un
pericolo nel ritardo oppure il pubblico ministero non ha ancora
assunto la direzione dell’indagine, gli ufficiali di polizia giudiziaria
possono compiere i necessari accertamenti e rilievi diversi dalla
ispezione personale.
Quindi la polizia giudiziaria non può condurre un’ispezione
personale.

Art. 354. - Accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone. Sequestro.
1. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria curano che le tracce e le cose pertinenti al reato siano conservate e
che lo stato dei luoghi e delle cose non venga mutato prima dell'intervento del pubblico ministero.
2. Se vi è pericolo che le cose, le tracce e i luoghi indicati nel comma 1 si alterino o si disperdano o comunque si
modifichino e il pubblico ministero non può intervenire tempestivamente, ovvero non ha ancora assunto la
direzione delle indagini, gli ufficiali di polizia giudiziaria compiono i necessari accertamenti e rilievi sullo stato dei
luoghi e delle cose. Se del caso, sequestrano il corpo del reato e le cose a questo pertinenti.
3. Se ricorrono i presupposti previsti dal comma 2, gli ufficiali di polizia giudiziaria compiono i necessari
accertamenti e rilievi sulle persone diversi dalla ispezione personale. Se gli accertamenti comportano il prelievo di
materiale biologico, si osservano le disposizioni del comma 2-bis dell'articolo 349.

Vi è da dire anche che, in caso di necessità, l’articolo 114 delle


disposizioni di attuazione prevede che questi accertamenti e rilievi
diversi dall’ispezione personale possano essere compiuti anche
da agenti di polizia giudiziaria.

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5

Si tratta comunque di accertamenti che non comportino una


modificazione dello stato di luoghi.
Se infatti, l’osservazione che deve essere compiuta, per essere
efficace, deve comportare necessariamente una modificazione dello
stato di luoghi, non è possibile ricorrere a una semplice ispezione
ma occorre ricorrere a un accertamento tecnico non ripetibile
che è disciplinato dall’articolo 360.

Art. 360. - Accertamenti tecnici non ripetibili.


1. Quando gli accertamenti previsti dall'articolo 359 riguardano persone, cose o luoghi il cui stato è soggetto a
modificazione, il pubblico ministero avvisa, senza ritardo, la persona sottoposta alle indagini, la persona offesa
dal reato e i difensori del giorno, dell'ora e del luogo fissati per il conferimento dell'incarico e della facoltà di
nominare consulenti tecnici.
2. Si applicano le disposizioni dell'articolo 364 comma 2.
3. I difensori nonché i consulenti tecnici eventualmente nominati hanno diritto di assistere al conferimento
dell'incarico, di partecipare agli accertamenti e di formulare osservazioni e riserve.
4. Qualora, prima del conferimento dell'incarico, la persona sottoposta alle indagini formuli riserva di promuovere
incidente probatorio, il pubblico ministero dispone che non si proceda agli accertamenti salvo che questi, se
differiti, non possano più essere utilmente compiuti.
5. Se il pubblico ministero, malgrado l'espressa riserva formulata dalla persona sottoposta alle indagini e pur non
sussistendo le condizioni indicate nell'ultima parte del comma 4, ha ugualmente disposto di procedere agli
accertamenti, i relativi risultati non possono essere utilizzati nel dibattimento.

Tale accertamento tecnico non ripetibile è un tipo di attività che non


può svolgere la polizia giudiziaria ma deve svolgere un consulente
nominato dal pubblico ministero e lo farà solo dopo che siano dati
determinati avvisi del compimento dell’atto ai difensori.
Un tipo particolare di attività che viene ricondotta dalla
giurisprudenza al concetto di ispezione è l’esame radiografico che
viene fatto, ad esempio, nel caso in cui si ritenga che all’interno del
corpo di una persona vi possano essere degli ovuli di sostanza
stupefacente.
L’articolo 364 del codice di procedura penale, regola come deve
essere svolta una ispezione da parte del pubblico ministero.

Art. 364. - Nomina e assistenza del difensore.


1. Il pubblico ministero, se deve procedere a interrogatorio, ovvero a ispezione o confronto cui deve partecipare la
persona sottoposta alle indagini, la invita a presentarsi a norma dell'articolo 375.
2. La persona sottoposta alle indagini priva del difensore è altresì avvisata che è assistita da un difensore di ufficio,
ma che può nominarne uno di fiducia.
3. Al difensore di ufficio o a quello di fiducia in precedenza nominato è dato avviso almeno ventiquattro ore prima
del compimento degli atti indicati nel comma 1 e delle ispezioni a cui non deve partecipare la persona sottoposta
alle indagini.
4. Il difensore ha in ogni caso diritto di assistere agli atti indicati nei commi 1 e 3, fermo quanto previsto
dall'articolo 245.
5. Nei casi di assoluta urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che il ritardo possa pregiudicare la ricerca o

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6

l'assicurazione delle fonti di prova, il pubblico ministero può procedere a interrogatorio, a ispezione o a confronto
anche prima del termine fissato dandone avviso al difensore senza ritardo e comunque tempestivamente.
L'avviso può essere omesso quando il pubblico ministero procede a ispezione e vi è fondato motivo di ritenere
che le tracce o gli altri effetti materiali del reato possano essere alterati. E' fatta salva, in ogni caso, la facoltà del
difensore d'intervenire.
6. Quando procede nei modi previsti dal comma 5, il pubblico ministero deve specificamente indicare, a pena di
nullità, i motivi della deroga e le modalità dell'avviso.
7. E' vietato a coloro che intervengono agli atti di fare segni di approvazione o disapprovazione. Quando assiste al
compimento degli atti, il difensore può presentare al pubblico ministero richieste, osservazioni e riserve delle
quali è fatta menzione nel verbale.

È previsto che il difensore eventualmente nominato d’ufficio, abbia


diritto ad assistere all’atto e deve di regola essere avvisato almeno
24 ore prima del compimento.
Questa è già un’eccezione rispetto alla regola vista all’inizio ovvero
che generalmente si tratta di atti a sorpresa a cui, eventualmente,
il difensore ha diritto di assistere ma non ha il diritto di essere
avvisato previamente.
Nel caso dell’ispezione regolata dall’articolo 364 del codice di
procedura penale, è previsto che il difensore sia avvisato
previamente e questo almeno 24 ore prima.
Oltre a ciò, l’articolo 364 prevede anche che, nel caso in cui l’avviso
al difensore possa pregiudicare il tipo di accertamento (ispezioni e
non di perquisizioni) che deve essere eseguito, questo termine
può essere abbreviato o addirittura escluso.
Comunque però deve essere dato avviso al difensore del
compimento dell’atto.
Più importante sicuramente per la polizia giudiziaria, è il problema
delle perquisizioni.
 Le perquisizioni sono degli atti che servono per ricercare:
⇒ il corpo del reato;
⇒ una cosa pertinente al reato;
⇒ una persona da sottoporre ad arresto.
Il concetto di cosa pertinente al reato è un concetto molto ampio;
Se si prende l’articolo 253 comma 2° del codice di procedura
penale, che è una norma dettata in tema sequestri, si trova la
definizione non di cosa pertinente al reato ma di corpo del reato che
viene definito come quella cosa sulla quale o mediante la quale il

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reato è stato commesso nonché le cose che ne costituiscono il


prodotto, il profitto e il prezzo.

Art. 253. - Oggetto e formalità del sequestro.


1. L'autorità giudiziaria dispone con decreto motivato il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato
necessarie per l'accertamento dei fatti.
2. Sono corpo del reato le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso nonché le cose che ne
costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo.
3. Al sequestro procede personalmente l'autorità giudiziaria ovvero un ufficiale di polizia giudiziaria delegato con lo
stesso decreto.
4. Copia del decreto di sequestro è consegnata all'interessato, se presente.

La cosa pertinente al reato è, più genericamente, qualsiasi cosa


che serva per provare un reato o la responsabilità del suo autore.
Se quindi oggetto di una perquisizione, può essere quello di andare
alla ricerca o del corpo del reato o più genericamente di una cosa
pertinente al reato, occorre partire dal presupposto che:
⇒ corpo del reato è quello che è definito dall’articolo 253;
⇒ cosa pertinente al reato è tutto quello che serve per provare lo
stesso reato.
Le perquisizioni possono essere eseguite nel caso in cui si sia in
presenza di sufficienti indizi, non quindi di gravi indizi di
colpevolezza, ma di semplici e sufficienti indizi di reato.
Anche le perquisizioni si distinguono in personali e locali.
Premesso che se la persona è presente gli va consegnata una copia
del decreto di perquisizione, l’ avvertimento che gli deve essere
dato è quello di avvisarlo che ha la facoltà di poter farsi assistere
da un soggetto di sua fiducia.
A questo proposito la regola è analoga a quella che è prevista per
l’ispezione personale.
È previsto anche, e questo lo dice l’articolo 365 del codice di
procedura penale, che alla persona presente deve essere spiegato
che ha diritto di farsi assistere da un difensore di fiducia ed
eventualmente deve essere nominato un difensore.

Art. 365. - Atti ai quali il difensore ha diritto di assistere senza avviso.


1. Il pubblico ministero, quando procede al compimento di atti di perquisizione o sequestro, chiede alla persona
sottoposta alle indagini, che sia presente, se è assistita da un difensore di fiducia e, qualora ne sia priva, designa
un difensore di ufficio a norma dell'articolo 97 comma 3.
2. Il difensore ha facoltà di assistere al compimento dell'atto, fermo quanto previsto dall'articolo 249.
3. Si applicano le disposizioni dell'articolo 364 comma 7.

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Quello occorre rilevare è che, nel caso di perquisizione, la persona


non deve essere avvisata previamente ma nel momento in cui
venga eseguita la perquisizione e nel caso in cui il soggetto sia
presente, deve essere avvisato della facoltà di farsi assistere da un
difensore.
Le perquisizioni, come le ispezioni, possono possono riguardare
persone o possono riguardare dei luoghi.
Il codice, nell’articolo 250 comma 3, regola quella che viene
considerata una perquisizione mista che è il caso in cui una
perquisizione locale, quando sia previsto ed indicato dal decreto di
perquisizione del PM, possa essere estesa alle persone che sono
presenti sui luoghi.
L’articolo 250 al comma 3 recita: “L’autorità giudiziaria, nel
procedere alla perquisizione, può disporre con decreto che siano
perquisite le persone presenti o sopraggiunte quando ritiene che le
stesse possano occultare il corpo del reato”.

Art. 250. - Perquisizioni locali.


1. Nell'atto di iniziare le operazioni, copia del decreto di perquisizione locale è consegnata all'imputato, se presente,
e a chi abbia l'attuale disponibilità del luogo, con l'avviso della facoltà di farsi rappresentare o assistere da
persona di fiducia, purché questa sia prontamente reperibile e idonea a norma dell'articolo 120.
2. Se mancano le persone indicate nel comma 1, la copia è consegnata e l'avviso è rivolto a un congiunto, un
coabitante o un collaboratore ovvero, in mancanza, al portiere o a chi ne fa le veci.
3. L'autorità giudiziaria, nel procedere alla perquisizione locale, può disporre con decreto motivato che siano
perquisite le persone presenti o sopraggiunte, quando ritiene che le stesse possano occultare il corpo del reato o
cose pertinenti al reato. Può inoltre ordinare, enunciando nel verbale i motivi del provvedimento, che taluno non
si allontani prima che le operazioni siano concluse. Il trasgressore è trattenuto o ricondotto coattivamente sul
posto.

Occorre quindi che il decreto di perquisizione lo preveda


espressamente.
Nel codice di procedura penale, le perquisizioni della polizia
giudiziaria sono regolate dall’articolo 352 del codice che indica
appunto quali sono i casi in cui la polizia giudiziaria può procedere
alla perquisizione.
I presupposti previsti dall’articolo 352 per la perquisizione di
iniziativa della polizia giudiziaria sono:
⇒ flagranza del reato o evasione;
⇒ Il fondato motivo che si possono trovare tracce del reato;
⇒ Il pericolo del ritardo.

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Art. 352. - Perquisizioni.


1. Nella flagranza del reato o nel caso di evasione, gli ufficiali di polizia giudiziaria procedono a perquisizione
personale o locale quando hanno fondato motivo di ritenere che sulla persona si trovino occultate cose o tracce
pertinenti al reato che possono essere cancellate o disperse ovvero che tali cose o tracce si trovino in un
determinato luogo o che ivi si trovi la persona sottoposta alle indagini o l'evaso.
2. Quando si deve procedere alla esecuzione di un'ordinanza che dispone la custodia cautelare o di un ordine che
dispone la carcerazione nei confronti di persona imputata o condannata per uno dei delitti previsti dall'articolo
380 ovvero al fermo di una persona indiziata di delitto, gli ufficiali di polizia giudiziaria possono altresì procedere
a perquisizione personale o locale se ricorrono i presupposti indicati nel comma 1 e sussistono particolari motivi di
urgenza che non consentono la emissione di un tempestivo decreto di perquisizione.
3. La perquisizione domiciliare può essere eseguita anche fuori dei limiti temporali dell'articolo 251 quando il ritardo
potrebbe pregiudicarne l'esito.
4. La polizia giudiziaria trasmette senza ritardo, e comunque non oltre le quarantotto ore, al pubblico ministero del
luogo dove la perquisizione è stata eseguita il verbale delle operazioni compiute. Il pubblico ministero, se ne
ricorrono i presupposti, nelle quarantotto ore successive, convalida la perquisizione.

Vi sono poi altri casi sempre previsti dall’articolo 352, in cui sia
necessario eseguire delle ordinanze di custodia cautelari o degli
ordini di incarcerazione e si proceda al fermo di polizia giudiziaria.
È previsto che il difensore abbia il diritto di assistere alla
perquisizione e questo analogamente a quanto avviene nel
sequestro.
Ovviamente non ha il diritto di ricevere un avviso prima del
momento in cui verrà compiuto l’atto.
Nel momento in cui viene eseguita la perquisizione, viene redatto
un verbale ove viene descritto l’oggetto che viene sequestrato e le
ragioni per cui si procede al sequestro ovvero i motivi per cui la
polizia giudiziaria ritenga che la cosa sottoposta al sequestro abbia
rilevanza probatoria.
Questo verbale deve essere trasmesso secondo uno schema che è
tipico delle perquisizioni della polizia giudiziaria entro 48 ore al
pubblico ministero il quale, entro le successive 48 ore, procede alla
convalida.
Sul significato da attribuire a queste 48 ore, non c’è una uniformità
di opinioni nella giurisprudenza ma l’opinione prevalente è che sia
importante che vengano rispettati i termini di 48 ore sia per la
trasmissione del verbale sia per la convalida da parte del PM.
Il verbale va trasmesso al pubblico ministero che procede alla
convalida in tutti i casi.
Quella disciplinata dall’articolo 352 è solo una delle tante
perquisizioni che possono essere eseguite su iniziativa della polizia

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giudiziaria; l’articolo 352 infatti prevede delle ipotesi tipiche, però


in realtà queste ipotesi, nella pratica, sono molte di più.
Senza bisogno di ricordare questi articoli, li voglio un attimo accennare
Tra quelle che ricorrono più frequentemente l’articolo 103 del testo unico in
materia di stupefacenti prevede le perquisizioni di locali volte alla ricerca di
sostanze stupefacenti e le perquisizioni sul posto di persone o autovetture
previste dall’articolo 4 della legge 152 del ’75 mentre l’articolo 41 del testo
per le leggi di pubblica sicurezza prevede la perquisizione dei locali dove si
ritenga possano essere custodite delle armi o materie esplosive.
Ricordo che la polizia giudiziaria non può fare l’ispezione delle persone, lo
prevede espressamente il codice di procedura penale, l’ispezione della persona
è un atto che va compiuto da un sanitario oppure dal pubblico ministero.

Nel verbale di sequestro probatorio, devono essere indicate le


ragioni per cui si è proceduto al sequestro, questo perché il PM una
volta che ha ricevuto entro le 48 ore il verbale, procede alla
convalida spesso con della clausole di stile e allora diventa
particolarmente importante la motivazione del sequestro che è
presente nel verbale della polizia giudiziaria appunto perché queste
clausole di stile rinviano per relationem a quanto è contenuto nel
verbale.
Una volta che avviene la convalida da parte del pubblico ministero,
il decreto con cui viene convalidato il sequestro, può essere
sottoposto a riesame e, nel momento in cui viene sottoposto a
riesame, sarà il Giudice che dovrà, attraverso la motivazione per
relationem che è contenuta nel vostro atto, individuare quali sono
le esigenze probatorie che sussistono nel caso concreto.
Generalmente, si ha la perquisizione e immediatamente dopo il
sequestro.
Esistono tre tipi di sequestri nel nostro ordinamento:
⇒ il sequestro probatorio;
⇒ il sequestro conservativo;
⇒ il sequestro preventivo.
 Il sequestro conservativo serve per evitare che si possano
disperdere le garanzie patrimoniali dell’imputato o del
responsabile civile, garanzie che servono per ottenere, al termine
del procedimento, il pagamento delle spese di giustizia e

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ottenere l’effettivo pagamento della somma del risarcimento del


danno che il Giudice ha condannato l’imputato o il responsabile
civile.
Non spetta alla polizia giudiziaria eseguire il sequestro
conservativo che può essere richiesto, e questo solo dopo
l’esercizio dell’azione penale, da parte del PM o della parte civile.
Il sequestro conservativo non è regolato tra i mezzi di ricerca
della prova, ma è regolato tra le misure cautelari reali e
generalmente si da la spiegazione che, siccome incide in maniera
particolare su beni dell’indagato, dell’imputato o del responsabile
civile è preferibile lasciare fin da subito un controllo al Giudice
delle indagini preliminari.
 Nel sequestro probatorio c’è sempre un vincolo sulla cosa ma
questo vincolo in realtà può essere su una cosa non
appartenente all’indagato o all’imputato e la finalità non è quella
di apprendere dei beni del soggetto per poter soddisfare
eventualmente spese di giustizia o risarcimento del danno in un
secondo momento.
Il sequestro che segue la perquisizione è in linea di massima, un
sequestro di natura probatoria, cioè è il sequestro di qualcosa
che potrebbe essere un bene materiale mobile o immobile che ha
delle finalità di natura probatoria.
Questa quindi è la ragione che viene di solito utilizzata per
cercare di spiegare perché due tipi di sequestro vengono regolati
in ambiti diversi del codice di procedura penale.
 La finalità del sequestro preventivo è quella di interrompere un
reato o impedire l’esecuzione di nuovi reati.
Quindi mentre nel sequestro probatorio io ricerco una prova,
perché il sequestro probatorio serve per ricercare una prova, il
sequestro preventivo serve per interrompere la consumazione di
un reato o impedirne dei nuovi; serve anche per apprendere al
procedimento determinate cose che vengono ritenute in sé
pericolose e sono quelle cose di cui è impossibile la confisca.
Questi sono quindi i casi in cui si può procedere al sequestro
preventivo.

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Chiarimento circa la differenza tra sequestro e confisca


La confisca è una misura ablatoria che viene posta sulla cosa al termine del
procedimento.
La polizia giudiziaria perquisisce e sequestra.
Al termine del procedimento il Giudice si deve porre il problema di quale debba
essere la destinazione della cosa che è stata sottoposta a sequestro.
Si deve restituire alla persona o si deve confiscare ?
Se si confisca, la cosa rimane per sempre a disposizione dell’autorità e non può
più essere restituita; è una misura ablatoria di carattere definitivo.
Nel sequestro si priva il proprietario della disponibilità del bene, nella confisca
si priva anche della proprietà.
Nel caso di sequestro il bene rimane di proprietà della persona e anche al
termine del procedimento quindi, in base al fatto che il bene è di sua proprietà
ne può rivendicare la restituzione.
La confisca è una misura che viene studiata nel diritto penale sostanziale e non
nel diritto penale processuale.
Comunque, per capire quali sono i casi più comuni di confisca si deve prendere
l’articolo 240 del codice penale.
Tendenzialmente la confisca può riguardare anche il corpo del reato quindi ci
può essere coincidenza tra le cose sottoposte a sequestro e quelle oggetto di
confisca ma non necessariamente.

Lasciamo da parte il sequestro conservativo che poco ci interessa, e


concentriamoci sui sequestri probatorio e preventivo.
Torniamo un attimo al punto della motivazione.
Si è accennato alla perquisizione dicendo che è finalizzata a
ricercare un bene da sottoporre a sequestro e con riferimento ai
verbali di perquisizione, è prevista la trasmissione del verbale
all’autorità giudiziaria entro precisi termini.
Distinguere le finalità dei sequestri è importante, non è solo una
questione nominalistica e questo nemmeno per la polizia giudiziaria
che nel momento in cui procede a un sequestro, deve porsi il
problema se il sequestro del bene avviene per finalità probatorie
oppure per finalità preventive
La polizia giudiziaria, una volta che si trovati di fronte a un
bene nel corso della perquisizione e sia convinta che questo
bene sia utile alle indagini, si deve porre il problema di
valutare se sia un bene da sequestrare per ragioni
probatorie o preventive.
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Se trovo una persona che sta spacciando una sostanza stupefacente, e questa persona ha del
denaro con sé, sicuramente lo stupefacente ha una finalità probatoria.
Il sequestro dello stupefacente serve per dimostrare, in un momento successivo, che questa
persona possedesse lo stupefacente. Questo è uno dei requisiti per integrare il reato previsto
dall’articolo 73 del testo unico sugli stupefacenti.
Il denaro, se è il profitto del reato in materia di stupefacenti, è una cosa che può essere
sicuramente confiscata.
Se magari questa persona ha con sé molto denaro, si può supporre che questo denaro possa
servire alla persona per andare a rifornirsi di sostanza stupefacente da poi piazzare sul
mercato.
La finalità del sequestro del denaro, non è la stessa finalità del sequestro dello stupefacente,
ma è una finalità tipicamente preventiva.

Mentre il sequestro probatorio non pone particolari problemi, e


cioè una volta redatto il verbale di sequestro, questo verbale viene
trasmesso al pubblico ministero e con i termini delle 48 ore e delle
successive 48 ore sarà sottoposto a convalida, nel caso di sequestro
preventivo bisogna ricordarsi che di regola la convalida è un
provvedimento che non viene adottato dal pubblico ministero ma
viene adottato dal GIP nel termine di 10 giorni; il GIP a sua
volta dovrà adottare un decreto di sequestro preventivo

Nel sequestro di denaro con delle finalità tipicamente probatorie e trasmissione entro
le 48 ore del verbale al pubblico ministero per la convalida del sequestro che deve
avvenire entro i termini delle successive 48 ore, la persona interessata potrà proporre
una richiesta di riesame, impugnare il provvedimento del pubblico ministero e
dedurre, davanti al Giudice del tribunale del riesame, che in realtà si è adottato il
sequestro probatorio per un bene rispetto a cui possono evidenziarsi esclusivamente
delle finalità preventive.

Nell’infortunio sul lavoro, il problema potrebbe essere quello di una macchina con la
quale una persona si è infortunata.
La finalità probatoria è in realtà la più facile da individuare in quanto la polizia
giudiziaria pone il vincolo sul bene perché possano poi essere eseguite delle indagini
più approfondite ed evitare che nel frattempo la macchina subisca delle modificazioni;
quindi la finalità probatoria c’è tutta.
Poniamo un’ipotesi un po’ più residuale di una macchina con cui è avvenuto un
infortunio e che non vi sia nessun problema nella ricostruzione dell’infortunio.
Poniamo il problema possa essere quello che la macchina venga utilizzata nuovamente
e che, siccome non è una macchina sicura, con questa macchina possono avvenire
ulteriori incidenti.
In questo caso, non vi sono delle finalità probatorie, vi è solo una finalità di natura
preventiva ovvero l’evitare che possa avvenire un ulteriore reato.

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Se la situazione fosse così chiara, anche qui bisognerebbe distinguere il sequestro


probatorio dal sequestro preventivo.
È importante distinguere la finalità preventiva da quella probatoria perché, se si
utilizza il sequestro probatorio per sequestrare dei beni rispetto a cui si pone una sola
finalità preventiva, il Giudice del tribunale del riesame, su richiesta dell’interessato,
potrebbe ordinare il dissequestro.
Questo è il motivo per cui è importante distinguere e motivare le diverse finalità nel
verbale.
Vi possono essere anche entrambe le finalità, si tratterà di distinguere se,
relativamente allo stesso bene, sussistono entrambe le finalità altrimenti potrebbe non
reggere il sequestro preventivo mentre potrebbe reggere il solo sequestro probatorio.
Se ci sono entrambe le finalità ma rispetto a beni diversi, è necessario seguire degli
schemi diversi.

Supponiamo che si sequestrino beni rispetto a cui vi sia solo una finalità
preventiva con lo schema del sequestro probatorio.
Trasmetto il verbale al pubblico ministero entro le 48 ore, il pubblico ministero
convalida il sequestro e, a questo punto, si pone il problema che la persona
interessata, che potrà essere la persona a cui è stato sequestrato il bene
oppure la persona che rivendica dei diritti su questo bene, potrà sottoporre il
sequestro all’attenzione del tribunale del riesame.
Il termine è 10 giorni.
Se questa persona impugna, va davanti al tribunale del riesame ed afferma la
finalità del sequestro è una finalità tipicamente preventiva ed è stato utilizzato
lo schema del sequestro probatorio, il tribunale del riesame non può integrare
la motivazione e cioè dire che è vero che non sussistevano esigenze probatorie
ma sussistevano esigenze preventive e per questo motivo viene comunque
confermo il sequestro, ma deve prendere atto dell’assenza di esigenze
probatorie e deve annullare il provvedimento di sequestro.
Questo per dire che se la polizia giudiziaria non evidenzia l’esigenza probatoria,
il pubblico ministero si limita a convalidare e non indica a sua volta qual è la
finalità probatoria, non c’è un potere integrativo da parte del tribunale del
riesame e quindi si perde il caso di impugnazione e il vincolo su questo bene e
questo anche nell’ipotesi in cui il vincolo dell’esigenza probatoria
eventualmente sussista nella realtà.

La causa di sequestro per finalità preventive è una misura che adotta


tendenzialmente il GIP perché il sequestro preventivo è una misura cautelare
reale che è disciplinata accanto al sequestro conservativo.
Ciò non toglie che, in casi di urgenza, il sequestro preventivo possa essere
compiuto anche dal pubblico ministero o anche, in caso di urgenza, dagli
ufficiali di polizia giudiziaria.

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La polizia giudiziaria che procede al sequestro preventivo deve, entro 48 ore,


trasmettere il verbale al PM.
Il PM, se ritiene che vi siano delle esigenze preventive non deve convalidare
lui il sequestro,ed è qui la grossa differenza, ma deve chiedere entro le
successive 48 ore la convalida al GIP che a questo punto ha 10 giorni di
tempo per convalidare il sequestro preventivo eseguito in caso di urgenza dalla
polizia giudiziaria oppure eseguito in caso di urgenza anche dal PM, ed
adottare a sua volta un decreto di sequestro preventivo.

Nel caso ricorrano sia esigenze probatorie che preventive, il modo


in cui procedere è evidenziare che come polizia giudiziaria si ritiene
procedere a un sequestro sia probatorio, sia di urgenza preventivo.
A questo punto spetterà al pubblico ministero decidere come
procedere, cioè se coltivare solo le esigenze probatorie, oppure se
coltivare sia le esigenze probatorie, sia quelle preventive e questo
perché generalmente la giurisprudenza ritiene che su un bene
possono essere applicati due tipi di sequestri, sia sequestro
probatorio che sequestro preventivo.

Poniamo il caso di una discarica, una volta che sono venute meno le esigenze probatorie
perché tutti gli accertamenti che dovevano essere fatti sono stati fatti, potrebbero rimanere le
esigenze preventive, ed allora se si è agito solo con il sequestro probatorio, di fronte ad una
richiesta di dissequestro, una volta venute meno le esigenze probatorie, non avrei nulla da
opporre, se invece si è proceduto anche per esigenze di natura preventiva, posso ritenere che
il mantenimento del bene in sequestro serva per impedire la prosecuzione del reato.

L’articolo 354 riguarda il sequestro probatorio e non il sequestro preventivo.


Quindi se la polizia giudiziaria deve procedere a un sequestro, deve tenere presente la
disciplina:
⇒ degli articoli 253 e seguenti come regole generali in materia di sequestro
probatorio;
⇒ l’articolo 321 al comma 3 bis come disciplina particolare del sequestro preventivo;
⇒ l’articolo 354 in tema di sequestro probatorio eseguito dalla polizia giudiziaria.
Molte volte quando si trova semplicemente l’espressione “sequestro” o l’espressione
“sequestro penale” senza dire altro, si intende fare riferimento al sequestro
probatorio, che è quello che ricorre di più nella pratica.
L’espressione “sequestro penale”, è un’espressione impropria, perché il sequestro
penale può essere in realtà di tre tipi, cioè può essere probatorio, preventivo o
conservativo.

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La polizia giudiziaria, sia nel caso di sequestro probatorio, sia nel


caso di sequestro preventivo, deve trasmettere il verbale al
pubblico ministero entro 48 ore.
La grande differenza sta nell’individuazione dell’autorità
giudiziaria che è competente a convalidare il provvedimento
di sequestro.
⇒ se il sequestro è di natura probatoria competente è il
pubblico ministero;
⇒ se il sequestro ha finalità preventive il pubblico ministero
deve chiederne la convalida al GIP;
Diviene quindi importante che siano evidenziate la finalità del
sequestro per consentire al pubblico ministero di decidere se
essere lui a convalidare oppure inviare il verbale, perché avvenga la
convalida, al Giudice per le Indagini Preliminari.
Nulla esclude che voi qualifichiate il sequestro come probatorio e
che il pubblico ministero decida invece che si tratti di un sequestro
preventivo o anche viceversa.
Questo per dire che, una volta che siano indicate le finalità del
sequestro, non si vincola il pubblico ministero e comunque lo si
aiuta ad individuare quale strada scegliere per ottenere la convalida
del provvedimento.
Spesso comunque, nei provvedimenti di convalida si richiama per
relazione nella motivazione del vostro verbale; il Giudice nel
momento in cui sarà sottoposto a riesame il decreto, potrà
attingere alla vostra motivazione per dire che era adeguatamente
motivato il sequestro.
Il pubblico ministero chiede che insieme al verbale sia trasmessa
l’informativa perché, nel momento in cui la polizia giudiziaria ha
una notizia di reato, la deve comunicare e questa è la regola
generale, senza ritardo e per iscritto all’autorità giudiziaria.
Ci sono però delle eccezioni a questa regola.
Una delle eccezioni è proprio il caso degli atti in cui è prevista
l’assistenza del difensore.
Siccome al sequestro può assistere il difensore, in questo caso è
previsto espressamente che l’informativa debba essere trasmessa

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al PM entro le 48 ore, ed è per questo che il pubblico ministero


esige che gli venga trasmessa insieme al verbale di sequestro
anche l’informativa.
È previsto espressamente dal codice che in questo caso si debbano
accelerare i tempi di trasmissione dell’informativa di reato rispetto
alla regola generale che indica genericamente senza ritardo, ma
non vi dice, non stabilisce un termine stringente entro cui operare.

Con riferimento ai termini si è detto che il termine è di 48 ore per la


trasmissione dei verbali, e che il pubblico ministero ha 48 ore per procedere
alla convalida; devo però dirvi che a volte si trovano degli orientamenti nella
corte di cassazione, secondo cui il secondo termine, quello che ha il pubblico
ministero per convalidare il verbale che voi trasmettete, sarebbe un termine
ordinatorio, quindi anche se non rispettato il termine di 48 ore, la misura non
dovrebbe decadere.
Questo è comunque un orientamento che è contrastato dalla giurisprudenza e
su cui non credo che ci si possa molto contare.

Il difensore ha diritto di assistere al sequestro, così come aveva


diritto di assistere alla perquisizione.
Sottolineo quanto detto in precedenza, ovvero che ci sono dei
presupposti per procedere alla perquisizione e poi nel caso in cui si
trovi il bene da sequestrare, si può procedere al sequestro.
È interessante notare che tendenzialmente la giurisprudenza spiega
che i vizi della perquisizione non hanno dirette conseguenze
sul sequestro.
Infatti, nel caso in cui ci si trovi di fronte a una perquisizione
viziata, perché non sono state rispettate certe garanzie, oppure
perché è stata eseguita al di fuori dei casi in cui era prevista, ed a
seguito di questa perquisizione si sia giunti all’individuazione del
corpo del reato e si proceda al sequestro, i vizi della
perquisizione non si estendono al sequestro.
Ricordiamo che la definizione di corpo del reato è molto estesa,
anche senza raggiungere i confini della cosa pertinente al reato,
riguarda beni estremamente diversi tra di loro.
Quando si dice che i vizi della perquisizione non si estendono al
sequestro, significa che se un domani si corresse davanti ad un
tribunale del riesame obiettando che è stato sì sequestrato un corpo
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del reato, che è vero che questo corpo del reato ha delle finalità
probatorie, ma che è pur vero che la perquisizione è stata eseguita
al di fuori dei casi previsti quando invece la perquisizione è prevista
solo in determinati casi, il tribunale del riesame dovrebbe dire che i
vizi della perquisizione non hanno conseguenze sul sequestro, e
pertanto il sequestro rimane valido.
Aggiungiamo che, se il pubblico ministero convaliderà la
perquisizione e il sequestro, mentre rispetto al sequestro è prevista
la possibilità di impugnare il provvedimento davanti al Giudice del
tribunale del riesame, la convalida del decreto di perquisizione è
inoppugnabile, cioè una volta che il pubblico ministero l’ha
convalidata non vi sono forme di impugnazione.
Nel caso di fronte alla polizia giudiziaria vi fosse una persona che
non parla l’italiano, non vi è la necessità di tradurre il verbale di
sequestro.
Su questo punto c’è proprio della giurisprudenza di illegittimità,
della corte di cassazione che dice che la mancata traduzione del
verbale di sequestro non dà luogo a nessuna nullità.
La probabile spiegazione è data dal fatto che non si tratta di uno di
quegli atti del procedimento attraverso cui viene veicolata
l’imputazione e quindi eventualmente il problema che si potrà porre
non è se l’atto che la polizia giudiziaria ha compiuto sia nullo, ma
da quale momento inizia effettivamente a decorrere il termine di
impugnazione se l’atto non è tradotto.
Sul problema della motivazione del provvedimento di sequestro, io
tutto quello che vi ho detto ve l’ho detto a proposito della differenza
tra sequestro preventivo e sequestro probatorio.
Per il resto la motivazione di un provvedimento di sequestro è una
motivazione poco complessa nel senso che è sufficiente
l’individuazione di un riferimento normativo, non è che nel
provvedimento deve essere dato conto di un’imputazione con una
completa descrizione del dato reato e non occorre poi
assolutamente che sussistano gravi indizi di colpevolezza per
procedere al sequestro, basta che vi sia quello che tendenzialmente

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viene chiamato il fumus del reato e cioè che, il fatto così come
viene descritto, possa eventualmente integrare un reato.
Questo ve lo dico perché in sede di riesame, e cioè quando poi si
deve valutare se il sequestro è stato eseguito correttamente o
meno, è sufficiente verificare se, sulla base degli argomenti che
vengono indicati nel verbale di sequestro e nell’eventuale
motivazione che segue del pubblico ministero, le ragioni del
sequestro abbiano una loro logica.
Il fatto che poi a questa logica, la difesa sia in grado di
contrapporre un’altra, questo non è sufficiente per far ricadere il
sequestro, perché il sequestro è un tipo di provvedimento che viene
adottato nell’ambito delle indagini, e le indagini sono in continua
evoluzione, quindi la funzione del tribunale del riesame nel caso di
sequestro, non è quella di fare un processo all’interno del processo
e stabilire fin dall’inizio, cioè fin dal momento in cui viene eseguito il
sequestro, se l’imputato sia colpevole o innocente; deve solo
valutare se sussiste un reato che possa individuarsi in riferimento a
quella fattispecie concreta, se vi sia una plausibilità dell’ipotesi
accusatoria, e se siano motivate le esigenze probatorie.
Nella massima parte dei casi, è proprio sulla motivazione
dell’esigenza probatoria che si concentra l’interesse nella difesa,
perché è lì che spesso sono più deboli i provvedimenti di sequestro.

Come metodi di ricerca della prova regolati dal codice, oltre alle
ispezioni, alle perquisizioni ed ai sequestri, abbiamo le
intercettazioni.
Le intercettazioni servono per captare il contenuto di una
conversazione o comunicazione segreta.
Tre sono le caratteristiche delle intercettazioni:
⇒ la prima è che questa comunicazione deve essere segreta,
nel senso che deve essere una comunicazione che avviene tra
più persone e con cui queste persone vogliono escludere altri
dal sentire la conversazione.

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Non si parla quindi di intercettazioni nel caso in cui una


persona parli in un luogo pubblico ad alta voce con altre
persone.
Non si parla generalmente di intercettazione nemmeno nel
caso in cui una conversazione avvenga per onde radio che
possono essere sentite da qualunque persone.
Quindi il primo requisito è quello della segretezza della
comunicazione.
⇒ il secondo requisito perché si possa parlare di intercettazione è
quello che questa comunicazione viene intercettata
attraverso degli strumenti tecnici idonei, che possono
essere elettronici o elettromeccanici; questo per dire che se io
mi metto dietro una porta e provo ad ascoltare il dialogo di
una persona non sto eseguendo una intercettazione.
Sto invece eseguendo una intercettazione nel caso in cui metta
un registratore in una stanza e poi mi allontano, questo per
dire che non è necessario perché si possa parlare di
intercettazione, che il dialogo sia ascoltato in diretta,
perché se io inserisco il registratore in una stanza, lo lascio e
poi lo vado a prendere successivamente, non sentirò in diretta.
Però nel caso del registratore, utilizzo uno strumento che
serve per captare una comunicazione che viene segretamente
da altre persone, questo è il secondo requisito.
⇒ terzo requisito, la persona che esegue questa
intercettazione deve essere un soggetto estraneo
rispetto alle persone che dialogano tra di loro, e cioè se
io porto con me un registratore e ascolto un’altra persona, non
sto eseguendo un’intercettazione.
Sto registrando e questa registrazione rappresenterà in un
successivo momento un documento, quindi non sto eseguendo
un’intercettazione se miro semplicemente a registrare le
dichiarazioni che un’altra persona mi sta rendendo.
Non vengono considerate intercettazioni i pedinamenti che vengono
eseguiti tramite GPS, non sono intercettazioni le acquisizioni di
tabulati telefonici.

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Quindi sono tre i requisiti fondamentali per individuare la nozione di


intercettazione:
1. segretezza della comunicazione,
2. utilizzo di uno strumento tecnico idoneo,
3. clandestinità dell’ascolto.
La disciplina che regola quando si può procedere a
un’intercettazione si trova sempre tra i metodi di ricerca della prova
negli articoli 266 e seguenti del codice di procedura penale.
Non si può eseguire un’intercettazione per qualsiasi reato,
deve trattarsi di uno dei reati previsti dal codice di
procedura penale.

Art. 266. - Limiti di ammissibilità.


1. L'intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche e di altre forme di telecomunicazione è consentita
nei procedimenti relativi ai seguenti reati:
a) delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque
anni determinata a norma dell'articolo 4;
b) delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel
massimo a cinque anni determinata a norma dell'articolo 4;
c) delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope;
d) delitti concernenti le armi e le sostanze esplosive;
e) delitti di contrabbando;
f) reati di ingiuria, minaccia, usura, abusiva attività finanziaria, abuso di informazioni privilegiate, manipolazione
del mercato, molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono;
f-bis) delitti previsti dall'articolo 600-ter, terzo comma, del codice penale, anche se relativi al materiale
pornografico di cui all'articolo 600-quater.1 del medesimo codice.
2. Negli stessi casi è consentita l'intercettazione di comunicazioni tra presenti. Tuttavia, qualora queste avvengano
nei luoghi indicati dall'articolo 614 del codice penale, l'intercettazione è consentita solo se vi è fondato motivo di
ritenere che ivi si stia svolgendo l'attività criminosa.

Sono in genere reati abbastanza gravi quelli per cui si può


procedere a un’intercettazione.
Vi devono essere gravi indizi di reato e l’intercettazione deve essere
assolutamente indispensabile; non è quindi sufficiente come in
materia di una perquisizione che vi siano sufficienti indizi, occorre
la presenza di gravi indizi.
È inoltre prevista una riserva di giurisdizione ovvero che non spetta
al pubblico ministero ma spetta al Giudice per le indagini
preliminari autorizzare l’intercettazione.
In caso di urgenza può provvedere il pubblico ministero, ma deve
chiedere la convalida entro termini particolarmente stringenti e cioè
comunicandolo entro 24 ore al GIP; sarà poi il GIP che convaliderà
l’intercettazione eseguita d’urgenza da parte del pubblico ministero.

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22

Una volta poi che il GIP abbia autorizzato l’intercettazione, il


pubblico ministero adotterà un decreto con cui regolamenterà
l’esecuzione dell’intercettazione quindi regolamenterà durata e
tempi.
I tempi possono essere al massimo di 15 giorni, dopo di che
occorre chiedere una proroga al GIP.
L’intercettazione può essere eseguita solo con impianti
esistenti presso la procura della repubblica; per utilizzare altri
impianti, occorre che quelli presenti nella sede della procura della
repubblica non siano sufficienti o idonei e per fare questo il pubblico
ministero deve motivare.
Molte volte i problemi che si pongono in giurisprudenza non sono
quelli della motivazione del decreto che autorizza l’intercettazione,
ma sono la carenza di motivazione del decreto che regolamenta
l’esecuzione dell’intercettazione, eventualmente nel caso in cui non
siano usati impianti della procura.
Una vota che ci sia stata l’autorizzazione del GIP, sia stata
regolamentata l’esecuzione da parte del PM, poi si redige un
verbale di intercettazione, quindi delle operazioni di intercettazione,
e vengono predisposti dei brogliacci di ascolto.
Questi brogliacci di ascolto servono unicamente nella sede delle
indagini preliminari e perché possano essere utili ovvero dati al
Giudice nella fase del giudizio, occorre che si proceda a una perizia
di trascrizione salvo che non vi sia un accordo tra il pubblico
ministero e la difesa.
Questo per dirvi che se in un processo emerge che sono state
eseguite delle intercettazioni, che nel corso delle intercettazioni
sono state ascoltate certe dichiarazioni, e rispetto a queste
dichiarazioni con le modalità previste dalla perizia non è stata
compiuta la trascrizione, tutto quello che viene detto nel processo è
non utilizzabile.
Rimane tutto materiale probatorio non utilizzabile; i brogliacci di
ascolto possono essere utilizzati solo nella fase delle indagini
preliminari salvo che vi sia diverso accordo tra le parti.

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23

La disciplina dei tabulati telefonici non la trovate nel codice di


procedura penale, ma la trovate nell’articolo 132 del decreto
legislativo 196 del 2003 che è esattamente il codice in materia di
protezione dei dati personali il quale prevede che la polizia
giudiziaria non può procedere autonomamente all’acquisizione dei
tabulati telefonici.

Art. 132 (1) - Conservazione di dati di traffico per altre finalità


1. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 123, comma 2, i dati relativi al traffico telefonico sono conservati
dal fornitore per ventiquattro mesi, per finalità di accertamento e repressione dei reati. (2)
2. Decorso il termine di cui al comma 1, i dati relativi al traffico telefonico sono conservati dal fornitore per ulteriori
ventiquattro mesi per esclusive finalità di accertamento e repressione dei delitti di cui all'articolo 407, comma 2,
lettera a) del codice di procedura penale, nonché dei delitti in danno di sistemi informatici o telematici. (2)
3. Entro il termine di cui al comma 1, i dati sono acquisiti presso il fornitore con decreto motivato del giudice su
istanza del pubblico ministreo o del difensore dell'imputato, della persona sottoposta alle indagini, della persona
offesa e delle altre parti private. Il difensore dell'imputato o della persona sottoposta alle indagini può richiedere,
direttamente al fornitore i dati relativi alle utenze intestate al proprio assistito con le modalità indicate
dall'articolo 391-quater del codice di procedura penale, ferme restando le condizioni di cui all'articolo 8, comma
2, lettera f), per il traffico entrante. (2)
4. Dopo la scadenza del termine indicato al comma 1, il giudice autorizza l'acquisizione dei dati, con decreto
motivato, se ritiene che sussistano sufficienti indizi dei delitti di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a), del
codice di procedura penale, nonchè dei delitti in danno di sistemi informatici o telematici.
4-bis. Nei casi di urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave pregiudizio
alle indagini, il pubblico ministero dispone la acquisizione dei dati relativi al traffico telefonico con decreto
motivato che è comunicato immediatamente, e comunque non oltre ventiquattro ore, al giudice competente per
il rilascio dell'autorizzazione in via ordinaria. Il giudice, entro quarantotto ore dal provvedimento, decide sulla
convalida con decreto motivato. Se il decreto del pubblico ministero non è convalidato nel termine stabilito, i dati
acquisiti non possono essere utilizzati. (3)
5. Il trattamento dei dati per le finalità di cui ai commi 1 e 2 è effettuato nel rispetto delle misure e degli
accorgimenti a garanzia dell'interessato prescritti ai sensi dell'art.17, volti anche a:
a) prevedere in ogni caso specifici sistemi di autenticazione informatica e di autorizzazione degli incaricati del
trattamento di cui all'allegato b);
b) disciplinare le modalità di conservazione separata dei dati una volta decorso il termine di cui al comma 1;
c) individuare le modalità di trattamento dei dati da parte di specifici incaricati del trattamento in modo tale che,
decorso il termine di cui al comma 1, l'utilizzazione dei dati sia consentita solo nei casi di cui al comma 4 e
all'articolo 7;
d) indicare le modalità tecniche per la periodica distruzione dei dati, decorsi i termini di cui ai commi 1 e 2.
6. Le modalità di trattamento dei dati di cui al comma 5 sono individuate con decreto del Ministro della giustizia, di
concerto con il Ministro dell'interno, con il Ministro delle comunicazioni e con il Ministro per l'innovazione e le
tecnologie, su conforme parere del Garante]

(1) Articolo così sostituito dal D.L. 24 dicembre 2003, n. 354.


(2) Articolo così modificato dal D.L. 27 luglio 2005, n. 144.
(3) Comma aggiunto dal D.L. 27 luglio 2005, n. 144.

È pacifico che i tabulati telefonici non integrino una intercettazione.


Perché si possa procedere all’acquisizione dei tabulati
telefonici, occorre un decreto del pubblico ministero.
Attraverso il decreto del pubblico ministero possono essere acquisiti
i tabulati telefonici che sono conservati per 24 mesi in regime
ordinario.

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24

Quindi è possibile risalire al traffico telefonico solo dei 24 mesi


precedenti, perché successivamente i tabulati telefonici non
vengono conservati ed addirittura, per il traffico telematico, il
termine è più ristretto, 6 mesi.
Sappiate quindi che il regime ordinario di acquisizione prevede
tempi per la conservazione di questo materiale, ed un decreto del
pubblico ministero per l’acquisizione.
Esiste poi un regime speciale, che riguarda solo determinati tipi di
reati e solo per finalità relative a reprimere certi tipi di reati; in tale
regime speciale è prevista la conservazione del traffico telefonico e
del traffico telematico per un ulteriore limite di tempo, pari ad altri
24 e 6 mesi a seconda del tipo di tabulato, e che per ottenere
questi tabulati occorre un’autorizzazione del GIP, oppure un decreto
del PM che sia convalidato successivamente dal GIP.
Le video riprese sono un metodo di ricerca della prova atipico
nonregolamentato in nessuna norma del codice di procedura
penale; la regolamentazione delle video riprese è frutto di
elaborazione giurisprudenziale.
L’orientamento della giurisprudenza in questo momento è che se
una video ripresa:
⇒ è eseguita da un soggetto privato è un documento, e quindi
segue la disciplina dei documenti;
⇒ se la video ripresa è eseguita da soggetti pubblici, come un
operatore della polizia giudiziaria occorre distinguere se:
o con queste video riprese si vuole riprendere delle
comunicazioni tra persone, allora siamo di fronte a una vera e
propria intercettazione, bisogna fare riferimento alla disciplina
delle intercettazioni e seguirla per eseguire la video ripresa;
o si tratta di una video ripresa di contenuto comunicativo, ad
esempio si vuole descrivere uno stato dei luoghi, occorre
distinguere:
 se si tratta di un luogo pubblico questa è una tipica prova
atipica, ossia una prova non disciplinata dal codice di
procedura penale ma che può essere ammessa nel corso del

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25

procedimento penale; è quindi ammissibile anche se è una


prova atipica;
 se è un luogo privato, si distingue ulteriormente:
◊ per il domicilio privato non è possibile farla, quindi
all’interno di un domicilio privato non si possono eseguire
delle video riprese;
◊ se sono luoghi non pubblici dove una persona ha diritto a
conservare la privacy, però non tale da integrare il
domicilio privato, è possibile procedere con
un’autorizzazione di un’autorità giudiziaria (tali luoghi
sono in genere i privè).

In materia di lotta alla prostituzione, quindi si dice che la polizia fa irruzione nei
locali e fa delle video riprese entra nei privé; nei privé sorprende delle persone
che sono con delle prostitute e via dicendo, questi sono considerati dalla
giurisprudenza luoghi diversi dai suoli pubblici, e quindi la polizia giudiziaria
può procedere ma solo con un’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, ma non
sono nemmeno dei domicili privati, e quindi lo si può fare.
Nel caso si fosse all’interno di un’azienda, ci si avvicina ad un luogo riservato
non costituente domicilio, quindi ci vuole un’autorizzazione dell’autorità
giudiziaria, altrimenti c’è il rischio, che in sede di emissione delle prove, vi si
contesti il fatto che non è un luogo pubblico e che il Giudice, seguendo
l’orientamento giurisprudenziale corrente, non ritenga ammissibile la prova.

In tema di sequestro probatorio ho fatto una ricerca su quella che è


la più recente giurisprudenza affinché possiate essere informati di
quelli che sono i problemi che tendenzialmente oggi vengono posti
all’esame dei giudici.
Velocemente vi espongo alcune di queste massime:
 Una sentenza della cassazione del 2007 che continua a ripetere
quello che vi ho detto prima ovvero che i vizi derivati dalla
inosservanza delle formalità prescritte per il compimento della
perquisizione non riverberano effetti invalidanti sull’eventuale
sequestro del corpo del reato; questo è un punto direi
abbastanza fermo.
 Un altro punto abbastanza fermo è che il decreto di sequestro
probatorio non deve essere notificato al difensore; quindi il
termine di 10 giorni decorre dalla notifica alla persona
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26

interessata ma non al difensore, se viene eseguita la notifica al


difensore è qualcosa in più.
 Non occorre la formulazione di un capo di imputazione nei
provvedimenti di sequestro, ovvero nel caso in cui il pubblico
ministero emetta un decreto di perquisizione disponendo che nel
caso in cui si trovi l’oggetto che deve essere rinvenuto, si
proceda al sequestro e durante la perquisizione venga trovato
questo oggetto, il sequestro che consegue non è un sequestro di
iniziativa, ed allora non deve essere convalidato.
Ricapitolando se il pubblico ministero emette un decreto di
perquisizione sul sequestro e la polizia giudiziaria esegue la
perquisizione, trova un oggetto che doveva essere sequestrato e
lo sequestra, non deve essere convalidato il sequestro.
Molte volte però capita che il pubblico ministero non indichi con
precisione che cosa si debba sequestrare, perché probabilmente
non sa, dato lo stadio a cui sono le indagini, che cosa possa
avere rilevanza probatoria e quindi utilizzi delle formule di stile,
“tutto ciò che può essere utile all’indagine”; la polizia giudiziaria
trova qualcosa che a suo giudizio può essere utile alle indagini, e
procede al sequestro; in questo caso la giurisprudenza dice che il
sequestro deve essere convalidato.
È vero che all’origine c’è un decreto del pubblico ministero ma
siccome in questo decreto il pubblico ministero non individua con
sufficiente precisione l’oggetto da sequestrare, occorre il decreto
di convalida da parte del pubblico ministero.
 Partendo dal presupposto che il sequestro preventivo va sempre
convalidato dal GIP, se il pubblico ministero vuole eseguire un
sequestro preventivo ha due strade:
o emettere un decreto d’urgenza con cui dispone il sequestro
preventivo e lo trasmette al GIP per la convalida;
o se non ricorrono gli estremi dell’urgenza chiede al GIP di
emettere un’ordinanza di decreto di sequestro preventivo.
Il pubblico ministero non chiederà a voi di fare un sequestro
preventivo, sarete voi eventualmente che nella situazione di
urgenza, senza poter ricorrere al pubblico ministero, avete la

mAnsa 6 Appunti - DIRITTO PROCESSUALE PENALE.doc


27

necessità di eseguire un sequestro preventivo e allora dovete poi


trasmettere il provvedimento adottato al pubblico ministero
affinché chieda la convalida al GIP.

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1

DIRITTO PROCESSUALE
INDAGINI PRELIMINARI.
La notizia di reato non è altro che un’informazione di un illecito
penale che arriva o alla polizia giudiziaria, o al pubblico ministero.
Le conseguenze fondamentali dell’inoltro di una notizia di reato
sono tre:
⇒ La prima è che la polizia assume compiti da polizia di sicurezza,
polizia amministrativa, a polizia giudiziaria, quindi le stesse
persone fisiche assumono una veste diversa.
⇒ La seconda conseguenza importante è che la polizia giudiziaria
ha un obbligo di informazione del pubblico ministero;
⇒ La terza è che il pubblico ministero ha il dovere di iscrivere la
notizia di reato in un apposito registro che è nella sede della
procura della repubblica.
L’argomento è affrontato nel codice di procedura penale e tra gli
articoli dedicati alle indagini preliminari, vi sono due articoli che
spiegano quali siano delle particolari notizie di reato, e cioè
l’articolo 332 che parla della denuncia (insieme ad altri articoli che
dopo vi elencherò) e l’articolo 334 che riguarda il referto (insieme
ad altri articoli relativi alle condizioni di procedibilità).

Art. 332. - Contenuto della denuncia.


1. La denuncia contiene la esposizione degli elementi essenziali del fatto e indica il giorno dell'acquisizione della
notizia nonché le fonti di prova già note. Contiene inoltre, quando è possibile, le generalità, il domicilio e quanto
altro valga alla identificazione della persona alla quale il fatto è attribuito, della persona offesa e di coloro che
siano in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti.

Art. 334. - Referto.


1. Chi ha l'obbligo del referto deve farlo pervenire entro quarantotto ore o, se vi è pericolo nel ritardo,
immediatamente al pubblico ministero o a qualsiasi ufficiale di polizia giudiziaria del luogo in cui ha prestato la
propria opera o assistenza ovvero, in loro mancanza, all'ufficiale di polizia giudiziaria più vicino.
2. Il referto indica la persona alla quale è stata prestata assistenza e, se è possibile, le sue generalità, il luogo dove
si trova attualmente e quanto altro valga a identificarla nonché il luogo, il tempo e le altre circostanze
dell'intervento; dà inoltre le notizie che servono a stabilire le circostanze del fatto, i mezzi con i quali è stato
commesso e gli effetti che ha causato o può causare.
3. Se più persone hanno prestato la loro assistenza nella medesima occasione, sono tutte obbligate al referto, con
facoltà di redigere e sottoscrivere un unico atto.

Come regola generale la denuncia da parte di un cittadino privato è


facoltativa, quindi un privato che assiste alla commissione di un
reato non ha un obbligo giuridico di inoltrare una denuncia.

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2

I casi in cui il privato cittadino ha questo obbligo sono limitati e


sono in massima parte individuati da norme penali del codice
oppure da leggi speciali.

Esempi:
Se una persona trova delle cose provenienti da un delitto, deve presentare una
denuncia e questo ce lo dice l’articolo 709 del codice civile.
Lo stesso avviene nel caso in cui abbia notizia di materie esplodenti in un luogo dove
lui abita, e questo lo dice l’articolo 679 del codice penale.
Altri casi sono quelli in cui il cittadino abbia notizia di un delitto contro la personalità
dello Stato punito con la pena dell’ergastolo, o abbia notizie di un sequestro di
persona a scopo di estorsione.
Ne ho elencati solo alcuni, ve ne sono altri, sono comunque casi del tutto particolari.

Diversa è la situazione per i pubblici ufficiali e gli incaricati di


pubblico servizio; la norma di riferimento in questo caso diventa
l’articolo 331 del codice di procedura penale.

Art. 331. - Denuncia da parte di pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio.


1. Salvo quanto stabilito dall'articolo 347, i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che, nell'esercizio o
a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia
per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito.
2. La denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria.
3. Quando più persone sono obbligate alla denuncia per il medesimo fatto, esse possono anche redigere e
sottoscrivere un unico atto.
4. Se, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, emerge un fatto nel quale si può configurare un reato
perseguibile di ufficio, l'autorità che procede redige e trasmette senza ritardo la denuncia al pubblico ministero.

Per questi particolari soggetti, i quali non sono definiti dalla


normativa processuale ma dalla normativa di diritto penale
sostanziale agli articoli 357 e 358 del codice penale, vi è un
obbligo di inoltrare la denuncia del fatto che costituisce reato, e se
vengono a conoscenza nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o
del servizio esercitato.

Art. 357. - Nozione del pubblico ufficiale.


Agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa,
giudiziaria o amministrativa.
Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e
caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo
svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi.
Art. 358. - Nozione della persona incaricata di un pubblico servizio.
Agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un
pubblico servizio.
Per pubblico servizio deve intendersi un'attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma
caratterizzata, dalla mancanza dei poteri tipici di quest'ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici
mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale.

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3

Quando si dice nell’esercizio, si fa riferimento a una nozione di


carattere temporale, e quindi vuol dire mentre si sta svolgendo
l’attività che costituisce pubblico esercizio, o l’esercizio di pubblico
ufficio o di un pubblico servizio.
Quando invece il codice fa riferimento al concetto di causa, si
prescinde dal fatto che la persona stia eseguendo la propria attività
lavorativa.

Esempio:
Se un insegnante di una scuola pubblica viene a conoscenza di reati che sono stati
commessi a danno dei propri alunni, anche fuori dal contesto lavorativo, ma ne viene
a conoscenza appunto perché è un insegnante, in questo caso avrà l’obbligo di
denuncia.

Stiamo facendo riferimento sempre a reati perseguibili d’ufficio.


Una particolare categoria di pubblici ufficiali, è data dagli agenti e
ufficiali di polizia giudiziaria.
Per questi particolari soggetti, in ogni caso in cui vengano a
conoscenza di una notizia di reato, per loro scatta l’obbligo della
denuncia, questo obbligo lo ricavate dall’articolo 361 secondo
comma del codice penale.

Art. 361. - Omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale.


Il pubblico ufficiale, il quale omette o ritarda di denunciare all'autorità giudiziaria, o ad un'altra autorità che a quella
abbia obbligo di riferirne, un reato di cui ha avuto notizia nell'esercizio o a causa delle sue funzioni, è punito con la
multa da euro 30 a euro 516.
La pena è della reclusione fino ad un anno, se il colpevole è un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria, che ha
avuto comunque notizia di un reato del quale doveva fare rapporto.
Le disposizioni precedenti non si applicano se si tratta di delitto punibile a querela della persona offesa.

Dice la norma: la pena è della di reclusione … se il colpevole è un


ufficiale o un agente di polizia giudiziaria che ha avuto comunque
notizie di reato del quale doveva fare rapporto; quindi qui non si fa
riferimento al fatto che la notizia di reato sia stata presa a causa
dell’esercizio, ma si dice comunque.
Una particolare ipotesi di pubblico ufficiale è quella invece del
difensore.
Una volta che è stato inserito nel codice di procedura penale la
materia delle indagini difensive, esistono dei casi particolari in cui
anche il difensore della persona indagata o della persona imputata,
può assumere la veste di pubblico ufficiale.
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4

Per lui però c’è una norma ad hoc che è stata prevista dal codice,
ed è l’articolo 334 bis del codice, il quale esclude che questi
soggetti, nonostante siano pubblici ufficiali, abbiano l’obbligo di
presentare la denuncia.

Art. 334-bis. - Esclusione dell'obbligo di denuncia nell'ambito dell'attività di investigazioni difensiva.


1. Il difensore e gli altri soggetti di cui all'articolo 391-bis non hanno obbligo di denuncia neppure relativamente ai
reati dei quali abbiano avuto notizia nel corso delle attività investigative da essi svolte.

Il contenuto della denuncia viene descritto in maniera dettagliata


dall’articolo 332 del codice di procedura penale.

Art. 332. - Contenuto della denuncia.


1. La denuncia contiene la esposizione degli elementi essenziali del fatto e indica il giorno dell'acquisizione della
notizia nonché le fonti di prova già note. Contiene inoltre, quando è possibile, le generalità, il domicilio e quanto
altro valga alla identificazione della persona alla quale il fatto è attribuito, della persona offesa e di coloro che
siano in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti.

Si parla di:
 esposizione degli elementi essenziali del fatto,
 le fonti di prova;
 le generalità il domicilio e quant’altro serva ad identificare la
persona a cui il fatto è attribuito;
 la persona offesa e le persone informate.
Quando viene presentata un’informativa di reato, è bene che siano
indicati, nella stessa, in maniera chiara quali ufficiali o agenti di
polizia giudiziaria siano in grado di riferire la notizia, perché a volte
capita che la notizia sia inoltrata dalla persona più alta in grado, ma
questa persona non sia a conoscenza diretta dei fatti e quindi il
pubblico ministero non è posto nelle condizioni di individuare la
persona da chiamare a testimoniare.
Il referto lo trovate indicato nell’articolo 334 del codice di
procedura penale e non è altro che una particolare forma di
denuncia, presentata da un soggetto che esercita la professione
sanitaria.
L’articolo 334 stabilisce che colui che esercita la professione
sanitaria che ha portato assistenza in un contesto in cui emerga un
fatto che può essere considerato alla stregua di un reato
perseguibile d’ufficio, ha l’obbligo di presentare questa peculiare
denuncia, con una fondamentale eccezione che è data dal fatto che
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5

l’obbligo viene meno nel caso in cui presentare il referto (presentare


questa particolare forma di denuncia), esporrebbe la persona a cui è
stata prestata assistenza a un procedimento penale.
A questo proposito, si crea un conflitto per i sanitari che
appartengono a strutture pubbliche tra queste eccezioni che vi ho
appena indicato e la loro qualifica di pubblici ufficiali, prevista
dall’articolo 331 del codice penale.
Come pubblici ufficiali, hanno sempre l’obbligo di presentare la
denuncia in relazione a un fatto che assume i caratteri di un illecito
penale di cui sono venuti a conoscenza dell’esercizio delle loro
funzioni, dall’altra parte dovrebbero essere esentati dal farlo tenuto
conto che la persona che è ricorsa ala loro assistenza potrebbe
essere sottoposta in determinati casi a un procedimento penale.
Questo conflitto viene risolto dando la prevalenza all’articolo 331
ovvero che il medico che appartiene alla struttura sanitaria pubblica
ha l’obbligo di presentare la denuncia.

Il medico che appartiene a una struttura sanitaria pubblica, è un pubblico


ufficiale, faccio riferimento al medico e può assumere rilievo anche il restante
personale sanitario; ora il fatto che una persona rivesta la qualifica di pubblico
ufficiale, non dipende dall’attività lavorativa che svolge, ma dalla funzione che
in concreto svolge.
Quindi anche chi non è medico, e anche più in generale, chi non è un
dipendente pubblico può in determinati casi assumere la veste di pubblico
ufficiale.
Le nozioni di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio, lo ripeto,
sono delle nozioni di diritto penale sostanziale e non di diritto penale
processuale, che vengono affrontate in due articoli del codice penale l’articolo
357 e 358; sono nozioni che spesso sono di difficile applicazione soprattutto
con riferimento alla funzione amministrativa.
E allora, per sapere chi in concreto è un pubblico ufficiale o un incaricato di
pubblico servizio, in prima battuta dovete fare riferimento alle nozioni che sono
indicate in queste due norme del codice.
In secondo luogo dovete tener presente la vastissima casistica
giurisprudenziale che distingue soggetto per soggetto, chi può e in quali casi
assumere la nunzio e di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio.
E quindi sicuramente non solo il medico può assumere, nell’ambito
dell’esercizio di una professione sanitaria, la qualifica di pubblico ufficiale.

mAnsa 7 Appunti - DIRITTO PROCESSUALE PENALE.doc


6

Cercavo di spiegarvi il conflitto che si crea tra l’articolo 334 e l’articolo 331 del
codice di procedura penale.
Il referto non deve essere presentato nel caso in cui la persona che si
sottopone a cure da parte del sanitario, potrebbe essere sottoposto a un
procedimento penale.
Quindi questo è un caso in cui chi esercita la professione sanitaria, non ha
l’obbligo, per il fatto solo di esercitare la professione sanitaria, di presentare il
referto.
Bisogna però considerare il fatto che molte volte il sanitario non è solo una
persona che esercita questa professione, è contemporaneamente un pubblico
ufficiale.
Il conflitto allora sta nel rapporto tra l’articolo 331 che obbliga i pubblici ufficiali
a presentare la denuncia, e l’articolo 334 che con riferimento al referto pone
questo limite.
Il conflitto è risolto nel senso che chi è pubblico ufficiale e ha
conoscenza di un fatto che costituisce reato o a causa dell’esercizio
delle proprie funzioni, è comunque obbligato a presentare la denuncia.
Il medico del pronto soccorso ha l’obbligo di presentare la denuncia perché
sicuramente il medico del pronto soccorso è o pubblico ufficiale, o incaricato di
pubblico servizio.
A volte ci sono delle sentenze che gli attribuiscono la prima qualifica e altre
volte la seconda, ma in una di queste due qualifiche rientra comunque, e
perciò lui è tenuto a presentare questa particolare denuncia che noi abbiamo
denominato referto.
Nel momento in cui anche gli specializzandi, che lavorano all’interno di un
reparto, sono anche loro dei pubblici ufficiali, la figura dello specializzando
potrebbe distinguersi da quella del medico strutturato sotto il profilo della
colpa, nel senso che il livello di perizia che si richiede a un medico
specializzando è minore rispetto a quello di uno strutturato, ciò non toglie che
costoro siano comunque dei pubblici ufficiali nel momento in cui intervengono
al pronto soccorso o in un altro reparto, eseguendo l’attività sanitaria.

Ora, il codice accanto alla denuncia e al referto, disciplina le


condizioni di procedibilità, e qui arriviamo alla distinzione tra reati
perseguibili a querela, e reati perseguibili d’ufficio.
In genere il procedimento penale si instaura a prescindere dalla
volontà della persona offesa.
Vi sono determinati reati per i quali invece l’ordinamento non
prescinde dalla volontà della persona offesa, richiede che vi sia una
manifestazione di volontà perché possa essere perseguito il reato.

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7

La definizione generale di “condizioni di procedibilità” è data da atti


ai quali la legge subordina l’esercizio dell’azione penale è quella.
Sotto un certo profilo questa nozione potrebbe trarre in inganno,
nel senso che, in realtà, non è solo l’azione penale che è
condizionata, ma in linea di massima anche le indagini; le indagini
che possono essere compiute fino a quando non interviene questa
condizione di procedibilità, sono limitate a quelle che servono
per assicurare delle fonti di prova e non altre.
I reati che sono perseguibili a querela di parte e che quindi
rappresentano delle eccezioni, sono reati in cui rileva in particolare,
come lesione dell’interesse, quello di una persona fisica, come
potrebbe essere nei delitti di lesione personale, oppure reati in cui
comunque l’interesse offeso appartiene in maniera prevalente a
determinati soggetti.
Ad esempio l’ingiuria, la diffamazione sono reati che per la maggior
parte hanno una limitata offensività, ma ciò non necessariamente.
I motivi per cui lo stato può subordinare alla volontà della persona
offesa la persecuzione del reato, possono essere da un lato il
carattere bagatellare del fatto, o dall’altro il fatto che l’iniziativa
della autorità giudiziaria di perseguire il reato, possa creare un
danno alla stessa persona offesa.
L’esempio che generalmente viene fatto a proposito di questo
gruppo di reati, è quello dei reati in materia di violenza sessuale.
Ora, tutti capiamo che i reati sono particolarmente gravi, però
l’ordinamento richiede che in linea di principio e salvo eccezioni,
non si possa prescindere dalla volontà della persona offesa per
perseguire questi reati.
Per sapere quando un reato è perseguibile d’ufficio oppure è
procedibile a querela, bisogna guardare la norma
incriminatrice, perché è nella norma incriminatrice che si
dice che il reato è perseguibile a querela.
Se non è indicato che è perseguibile a querela, vale la regola
generale.
In genere uno dei due sottogruppi in cui ritroviamo i reati
procedenti a querela, sono reati bagatellari, di limitata offensività,

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dove l’interesse penalistico offeso con la condotta criminosa è


modesto; questo elemento non è sufficiente per individuare la
categoria, perché da un lato vi deve essere anche una persona
offesa ben individuata a cui la legge vuole attribuire il diritto di
decidere se il reato deve essere perseguito.
Reati bagatellari in cui non sia individuabile una persona offesa ben
precisa, non sono perseguibili a querela, ma sono perseguibili
d’ufficio.
D’altro canto vi sono reati in cui non si può certo dire che la lesione
è lieve, come per esempio le gravi lesioni colpose non connesse agli
infortuni sul lavoro.
In materia infortunistica i reati di lesioni gravi e gravissime sono
perseguibili d’ufficio, non così le altre lesioni colpose.
In questo caso siamo di fronte a reati oggettivamente gravi, ma
comunque il legislatore non vuole perseguire se non nei casi in cui
vi sia la volontà della persona offesa, qui probabilmente perché è
modesto l’elemento soggettivo del reato: si tratta di lesioni colpose
e non dolose.
Questo per dire che se si vogliono individuare due categorie
tendenziali di reati perseguibili a querela troveremo da un lato reati
di natura bagatellare quindi di modesta offensività, in cui sia
individuabile una persona offesa, e dall’altra reati la cui
persecuzione potrebbe pregiudicare gli interessi della persona
offesa; queste però sono solo due categorie tendenziali in quanto vi
sono una serie di eccezioni che è difficile fare rientrare in una di
queste due categorie.
Tutte le contravvenzioni sono perseguibili d’ufficio
La più importante condizione di procedibilità è la querela; la
differenza tra querela e denuncia sta nel fatto che la querela
contiene un qualcosa di più rispetto alla denuncia.
Mentre la denuncia contiene essenzialmente una notizia di reato,
la querela contiene anche una manifestazione di volontà del
soggetto che è persona offesa del reato, a che quel reato
venga perseguito.

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9

Quindi se io sono una persona offesa di un reato perseguibile a


querela, mi reco dalla polizia giudiziaria e descrivo un fatto che ha
le caratteristiche di un illecito penale ma non manifesto la volontà
che questo fatto sia perseguito, questo fatto non potrà essere
perseguito.

Il caso emblematico è quello del furto semplice che è perseguibile a querela mentre i furti
aggravati sono perseguibili d’ufficio.
Se una persona denuncia un furto e in questo furto non sono ravvisabili delle aggravanti che lo
rendono perseguibile d’ufficio, l’autorità giudiziaria non potrà esercitare l’azione penale per
quel fatto e qualora l’azione penale venisse esercitata, il Giudice dovrebbe pronunciare una
sentenza di proscioglimento per ragioni di diritto e cioè dichiarare di non dover più procedere o
il non luogo a procedere a seconda delle fasi del procedimento, nei confronti dell’imputato
perché l’azione non poteva essere esercitata.

Uno dei problemi che si debbono tenere presente nel caso in cui si
riceva una notizia di reato rispetto a un delitto perseguibile a
querela, è verificare se ci sia la manifestazione di volontà della
persona offesa.
La seconda caratteristica di una querela rispetto a una
denuncia è quella determinata dal soggetto che la presenta.
A presentare la querela può essere solo la persona offesa, e cioè
quel soggetto il cui interesse è stato offeso con l’azione delittuosa.
Ogni norma incriminatrice tutela diversi interessi, in alcuni casi la
norma incriminatrice tutela gli interessi di determinate persone
fisiche, oppure anche persone giuridiche.
Nel caso di persone giuridiche, deve essere questo soggetto (es.
legale rappresentante) a presentare la querela.

Nel furto in un supermercato, generalmente la persona offesa viene individuata nella società
che gestisce il supermercato.
Ora, nell’ambito delle società il soggetto che è titolare del diritto di querela, è tendenzialmente
il legale rappresentante.
Il direttore di un supermercato che non ha ricevuto una procura speciale in tal senso, non può
presentare la querela; qualora la presentasse la sua potrebbe valere non come querela, ma
esclusivamente come denuncia.
Se quindi è un reato perseguibile d’ufficio, può procedersi ugualmente, oppure sia la polizia
giudiziaria, sia il pubblico ministero non potrebbero procedere per carenza della condizione di
procedibilità.

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Accanto alla querela, il nostro codice prevede altre figure di


condizioni di procedibilità, le quali però hanno un ruolo molto meno
limitato nella pratica; tali figure sono:
⇒ l’istanza che è sempre una manifestazione di volontà della
persona offesa e rileva rispetto a determinati reati che sono
commessi all’estero, commessi o da cittadino italiano o da
persona straniera.
Nei primi articoli del codice di procedura penale vi si spiegano i
casi in cui un delitto compiuto all’estero, può essere perseguito
dall’autorità giudiziaria italiana; in determinati casi il codice dice
che il reato può essere perseguito solo se presentata istanza,
questa è una condizione di procedibilità.
⇒ Un’altra condizione di procedibilità, è la richiesta che invece è
presentata non dalla persona offesa del reato, ma da un’autorità
pubblica: il Ministro di Giustizia.
Per determinati reati, sia commessi all’estero, sia commessi in
territorio italiano, la legge richiede che debba essere presentata
questa particolare istanza da parte del ministro della giustizia;
anche questa è una condizione di procedibilità.
⇒ Un’ulteriore condizione di procedibilità, è la autorizzazione a
procedere, che è un atto discrezionale di cui è titolare un
determinato organo pubblico, ad esempio per i reati commessi
da ministri nell’esercizio delle loro funzioni, non si può procedere
per questi reati, come linea generale, se non vi è l’autorizzazione
a procedere da parte della camera cui il ministro appartiene.
Quindi un atto discrezionale di una particolare assemblea che ha
una duplice funzione:
• tutelare di fronte a azioni persecutorie soggetti che
rivestono particolari qualifiche come indagati;
• tutelare determinate persone offese; vi sono dei casi in cui
è necessario, per tutelare l’interesse della persona offesa,
avere l’autorizzazione a procedere, che è questa particolare
condizione di procedibilità.

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11

Nel momento in cui la polizia giudiziaria riceve una denuncia, un


referto, una querela, deve presentare un’informativa al pubblico
ministero.
Il contenuto dell’informativa, che rispecchia in linea di massima il
contenuto della denuncia, lo si trova disciplinato nell’articolo 347
del codice di procedura penale.

Art. 347. - Obbligo di riferire la notizia del reato.


1. Acquisita la notizia di reato, la polizia giudiziaria, senza ritardo, riferisce al pubblico ministero, per iscritto, gli
elementi essenziali del fatto e gli altri elementi sino ad allora raccolti, indicando le fonti di prova e le attività
compiute, delle quali trasmette la relativa documentazione.
2. Comunica, inoltre, quando è possibile, le generalità, il domicilio e quanto altro valga alla identificazione della
persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire
su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti.
2-bis. Qualora siano stati compiuti atti per i quali è prevista l'assistenza del difensore della persona nei cui confronti
vengono svolte le indagini, la comunicazione della notizia di reato è trasmessa al più tardi entro quarantotto ore
dal compimento dell'atto, salve le disposizioni di legge che prevedono termini particolari.
3. Se si tratta di taluno dei delitti indicati nell'articolo 407, comma 2, lettera a), numeri da 1) a 6) e, in ogni caso,
quando sussistono ragioni di urgenza, la comunicazione della notizia di reato è data immediatamente anche in
forma orale. Alla comunicazione orale deve seguire senza ritardo quella scritta con le indicazioni e la
documentazione previste dai commi 1 e 2.
4. Con la comunicazione, la polizia giudiziaria indica il giorno e l'ora in cui ha acquisito la notizia.

Debbono essere acquisiti quindi:


• gli elementi esenziali del fatto,
• le indicazioni delle fonti di prove individuate,
• le indicazioni dell’indagato ed eventualmente della persona offesa
ed eventualmente di altri soggetti che sono in grado di riferire
notizie utili,
• la data dell’acquisizione della notizia di reato.
Il significato di quest’ultimo requisito, sta nel fatto che la polizia
giudiziaria nel momento in cui riceve la notizia di reato non può
prescindere dal comunicarla al pubblico ministero e la
comunicazione deve avvenire con determinate scadenze temporali.
Tali scadenze variano a seconda dei casi e per permettere il
controllo sul rispetto di questi termini occorre quindi che la polizia
giudiziaria precisi nella nota informativa, che a volte viene chiamata
“comunicazione di notizia di reato”, quando è venuta a
conoscenza del fatto.
La regola generale è che questa comunicazione debba
avvenire senza ritardo e per iscritto.

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Il problema che si potrebbe porre è come determinare il termine


iniziale, fatta questa definizione abbastanza generica.
Per risolvere questo quesito occorra fare riferimento al fatto che
nell’informativa devono essere contenuti gli elementi essenziali del
fatto.
Nel momento in cui si venga ad individuare un fatto che sotto
l’aspetto oggettivo e soggettivo abbia l’apparenza di un illecito
penale, scatta l’obbligo di informativa al PM.
Occorre inoltre tenere presente che la polizia giudiziaria non deve
solo limitarsi solo a ricevere passivamente le notizie di reato, ma le
può anche acquisire di propria iniziativa, e che quindi nel momento
in cui ha il sospetto che possa esser stato commesso un reato, si
deve anche attivare per approfondire la questione, quindi valutare
se ci sono gli estremi di un reato rispetto al quale inoltrare la
comunicazione al pubblico ministero.
Nell’articolo 347 sono previsti anche altri termini oltre a questo di
carattere generale.
Ricordiamo che quando a seguito di sequestri, la notizia di reato
deve essere comunicare entro le 48 ore ed in effetti questo prevede
l’articolo 347, ed in generale ciò è previsto nei casi in cui siano
compiuti degli atti in cui è prevista la possibilità di assistenza da
parte del difensore.
Vi sono poi determinati reati particolarmente gravi rispetto ai quali
il codice all’articolo 347 richiede che la comunicazione avvenga
immediatamente.
All’articolo 407 del codice di procedura penale, si trovano i reati per
cui questa comunicazione deve avvenire immediatamente, così
come immediatamente deve avvenire la comunicazione nel caso in
cui sia stato eseguito un arresto o un fermo.

Art. 407. - Termini di durata massima delle indagini preliminari.


1. Salvo quanto previsto all'articolo 393 comma 4, la durata delle indagini preliminari non può comunque superare
diciotto mesi.
2. La durata massima è tuttavia di due anni se le indagini preliminari riguardano:
a) i delitti appresso indicati:
1) delitti di cui agli articoli 285, 286, 416-bis e 422 del codice penale, 291-ter, limitatamente alle ipotesi
aggravate previste dalle lettere a), d) ed e) del comma 2, e 291-quater, comma 4, del testo unico
approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43;
2) delitti consumati o tentati di cui agli articoli 575, 628, terzo comma, 629, secondo comma, e 630 dello

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stesso codice penale;


3) delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis del codice penale ovvero al fine
di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo;
4) delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale per i quali la
legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni,
nonché delitti di cui agli articoli 270, terzo comma e 306, secondo comma, del codice penale;
5) delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto in
luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse, di esplosivi, di armi
clandestine nonché di più armi comuni da sparo escluse quelle previste dall'articolo 2, comma terzo, della
legge 18 aprile 1975, n. 110;
6) delitti di cui agli articoli 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'articolo 80, comma 2, e 74
del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con decreto del Presidente della
Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni;
7) delitto di cui all'articolo 416 del codice penale nei casi in cui è obbligatorio l'arresto in flagranza;
7-bis) dei delitti previsto dagli articoli 600, 600-bis, comma 1, 600-ter, comma 1, 601, 602, 609-bis nelle
ipotesi aggravate previste dall'articolo 609-ter, 609-quater, 609-octies del codice penale;
b) notizie di reato che rendono particolarmente complesse le investigazioni per la molteplicità di fatti tra loro
collegati ovvero per l'elevato numero di persone sottoposte alle indagini o di persone offese;
c) indagini che richiedono il compimento di atti all'estero;
d) procedimenti in cui è indispensabile mantenere il collegamento tra più uffici del pubblico ministero a norma
dell'articolo 371.
3. Salvo quanto previsto dall'articolo 415-bis, qualora il pubblico ministero non abbia esercitato l'azione penale o
richiesto l'archiviazione nel termine stabilito dalla legge o prorogato dal Giudice, gli atti di indagine compiuti dopo
la scadenza del termine non possono essere utilizzati.

Quando una persona viene arrestata esistono innanzitutto degli


obblighi che sono posti immediatamente a carico della polizia
giudiziaria.
Tra questi obblighi vi sono quello di comunicare immediatamente
l’avvenuto arresto o fermo al pubblico ministero, e di mettere entro
un determinato termine di 24 ore, la persona a disposizione del
pubblico ministero.
Successivamente si instaura un procedimento volto a convalidare
il fermo o l’arresto, ma questo è un procedimento in cui è previsto
l’intervento del Giudice; la convalida è prevista in caso di arresto,
o fermo, però è un atto del Giudice.
Quindi il termine generale per cui la notizia di reato deve
semplicemente essere comunicata senza ritardo è previsto
nell’articolo 347, e sempre all’interno dell’articolo 347, in
determinate ipotesi disciplinari, vi sono dei termini più stringenti.

Abbiamo visto essere 3 i casi di comunicazione:


1) senza ritardo come regola generale;
2) entro 48 ore per atti per i quali è prevista l'assistenza del difensore;
3) immediatamente per determinati reati particolarmente gravi.

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Esiste una regola generale che vale nell’ambito delle indagini


preliminari, che viene individuata dall’articolo 329 del codice che ci
dice quali atti sono conoscibili da parte dell’indagato, e in quale
momento.

Art. 329. - Obbligo del segreto.


1. Gli atti d'indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando
l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari.
2. Quando è necessario per la prosecuzione delle indagini, il pubblico ministero può, in deroga a quanto previsto
dall'articolo 114, consentire, con decreto motivato, la pubblicazione di singoli atti o di parti di essi. In tal caso, gli
atti pubblicati sono depositati presso la segreteria del pubblico ministero.
3. Anche quando gli atti non sono più coperti dal segreto a norma del comma 1, il pubblico ministero, in caso di
necessità per la prosecuzione delle indagini, può disporre con decreto motivato:
a) l'obbligo del segreto per singoli atti, quando l'imputato lo consente o quando la conoscenza dell'atto può
ostacolare le indagini riguardanti altre persone;
b) il divieto di pubblicare il contenuto di singoli atti o notizie specifiche relative a determinate operazioni.

Ora, l’articolo 329, a proposito dell’obbligo del segreto


investigativo, dice: “gli atti di indagini compiute dal PM e dalla PG,
sono coperti dal segreto fino a quando l’imputato non ne possa
avere conoscenza e comunque non oltre la chiusura delle indagini
preliminari”; quindi non dice fino a quando l’imputato non ne viene
a conoscenza, ma fino a quando non ne possa avere conoscenza,
quindi parliamo di conoscibilità astratta.
La regola è che rispetto agli atti delle indagini preliminari vi
è un obbligo di segreto investigativo, cioè questi atti non
devono essere divulgati.
Si pone una deroga per quegli atti i quali siano conoscibili dalla
persona qui identificata come imputato, ma che sarebbe più
opportuno chiamare di indagato, perché durante le indagini non è
ancora stata esercitata l’azione penale.
Esistono due tipi di atti conoscibili, e li trovate indicati negli articoli
364 e 365 del codice di procedura penale.
L’articolo 364 parla di interrogatori, confronti e ispezioni e
rispetto a questi atti prevede una procedura la quale permette al
difensore di conoscere che dovrà essere compiuto l’atto,
tendenzialmente prima del compimento dell’atto stesso
Questi generalmente vengono denominati con un’espressione
generica, “atti garantiti”.

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Gli atti garantiti previsti all’art. 364 sono quindi l’interrogatorio,


il confronto e l’ispezione.
È comunque previsto, nel caso in cui l’avviso possa compromettere
l’esecuzione dell’atto stesso e fermo restando il diritto del difensore
ad assistere al compimento dell’atto, di poter ridurre il termine
entro il quale il difensore deve essere avvisato.
Tale eccezione si trova al 5° comma: “Nei casi di assoluta urgenza
quando vi è fondato motivo di ritenere che il ritardo possa
pregiudicare la ricerca o l’assicurazione delle fonti di prova, il PM
può concedere a interrogatorio all’ispezione o a confronto anche
prima del termine fissato, dandone avviso al difensore senza ritardo
e comunque tempestivamente. L’avviso può essere del tutto
omesso quando il PM procede a ispezione e vi è fondato motivo di
ritenere che le tracce o gli altri effetti materiali del reato possano
essere alterati. E' fatta salva, in ogni caso, la facoltà del difensore
d'intervenire”.
La caratteristica quindi è che il difensore ha il diritto alla facoltà di
assistere e si dice facoltà perché non è obbligatoria la presenza.
Ci sono anche altri atti in cui il difensore ha diritto di assistere e la
differenza rispetto ai precedenti è che in questi atti non c’è il
problema del previo avviso ai difensori.
Si tratta di atti a sorpresa e la finalità a cui tende l’atto, verrebbe
frustrata nel caso in cui prima di andare a compiere l’atto il
difensore fosse avvisato che lo si sta per compierlo.
In tali atti, la persona viene informata, nel momento in cui viene
compiuto l’atto stesso, che ha la facoltà di fare assistere un
difensore all’esecuzione dell’atto.
Gli “atti a sorpresa” in cui non occorre previo avviso sono le
perquisizioni e i sequestri, e sono indicati nell’articolo 365.

Riepilogando: la regola generale nelle indagini è quella del segreto


investigativo, il segreto investigativo cade per degli atti che sono conoscibili da
parte dell’indagato.
Gli atti conoscibili dall’indagato sono quelli disciplinati dagli articoli 364 e 365
e sono tutti atti in cui il difensore ha facoltà di assistere.
La differenza fra queste due categorie di atti sta nel fatto che in certi atti il
difensore tendenzialmente non deve avere solo la facoltà di assistere, ma deve

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essere anche preventivamente avvisato, salvo l’ipotesi prevista al comma 5
indicata prima, e sono gli atti cosiddetti “atti garantiti” previsti all’ articolo
364 (interrogatorio, confronto e ispezione).
Altri atti in cui il difensore ha la facoltà di assistere, ma non deve essere
previamente avvisato, sono i cosiddetti “atti a sorpresa” previsti dall’articolo
365 (perquisizioni e sequestri).

L’ispezione è un atto descrittivo che rientra nella categoria dell’articolo 364,


cioè un atto in cui non solo il difensore ha la facoltà di assistere, ma
tendenzialmente deve essere avvisato prima del compimento.
La perquisizione è il classico atto a sorpresa, in cui il difensore ha la facoltà di
assistere, ma non deve essere in precedenza avvisato.
Quando si dice facoltà di assistere, si intende che abbia il diritto di poter
partecipare al compimento dell’atto e dire facoltà o diritto non cambia molto in
questo caso, basta che non si fraintenda nel senso che deve essere
obbligatoriamente presente.

Vi sono degli atti che compie la polizia giudiziaria in cui, da un lato


il difensore ha facoltà di assistere, dall’altro vi è l’obbligo da parte
della polizia giudiziaria, di ottenere la presenza del difensore.
Il caso più importante è quando la polizia giudiziaria assume
informazioni da parte di una persona indagata.
Il codice prevede che nel momento in cui venga compiuto un atto in
cui è prevista la possibilità per il difensore di presenziare, debba
essere inoltrata la cosiddetta “informazione di garanzia” che è
disciplinata nell’articolo 369.

Art. 369. - Informazione di garanzia.


1. Solo quando deve compiere un atto al quale il difensore ha diritto di assistere, il pubblico ministero invia per
posta, in piego chiuso raccomandato con ricevuta di ritorno, alla persona sottoposta alle indagini e alla persona
offesa una informazione di garanzia con indicazione delle norme di legge che si assumono violate della data e del
luogo del fatto e con invito a esercitare la facoltà di nominare un difensore di fiducia.
2. Qualora ne ravvisi la necessità ovvero l'ufficio postale restituisca il piego per irreperibilità del destinatario, il
pubblico ministero può disporre che l'informazione di garanzia sia notificata a norma dell'articolo 151.

L’articolo 369 dice che solo quando si deve compiere un atto al


quale il difensore ha diritto di assistere deve essere inviata
l’informazione di garanzia che deve contenere determinati elementi.
L’informazione di garanzia non contiene un’imputazione vera e
propria ma contiene solo l’indicazione delle norme di legge violate,
la data e il luogo del fatto, e prevede che la persona abbia il diritto
di nominare il proprio difensore di fiducia.
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Il codice dice che quando si deve compiere un atto a cui il difensore


deve assistere si deve comunicare l’informazione di garanzia; gli
atti a cui il difensore ha la facoltà o il diritto di assistere sono le
perquisizioni ed i sequestri.
Ma la perquisizione e il sequestro sono degli atti a sorpresa che non
possono essere preceduti dall’informazione di garanzia.
Si è stabilito quindi che non devono essere preceduti però devono
essere contestuali e quindi, nel momento in cui il PM dispone una
perquisizione o dispone un sequestro, l’atto che deve essere
preparato deve contenere non solo gli elementi essenziali della
perquisizione e del sequestro, ma deve contenere anche tutti gli
elementi essenziali di una informazione di garanzia.
La corte di Cassazione, ha detto che nel momento in cui viene
compiuta una perquisizione e un sequestro è previsto, a
prescindere dal fatto che sia comunicata un’informazione di
garanzia, che alla persona presente sia spiegato che ha la facoltà di
nominare un difensore di fiducia ed eventualmente gli viene
nominato un difensore d’ufficio.
⇒ Nel caso in cui la persona sottoposta a perquisizione o che
subisce il sequestro sia presente, non c’è bisogno di inoltrare
una informazione di garanzia ma occorre invitarla a nominare un
difensore di fiducia ed in alternativa gli si nomina un difensore
d’ufficio.
Quando si dice che un sequestro o una perquisizione sono nulli
perché non preceduti da un’informazione di garanzia, in realtà si
commette un errore perché gli elementi essenziali
dell’informazione di garanzia sono già previsti da norme relative
alla perquisizione e al sequestro; ciò che di garantistico c’è
all’interno di un’informazione di garanzia, è già presente in quelle
norme che prevedono la perquisizione e il sequestro e non c’è
bisogno di ripetere l’informazione di garanzia.
⇒ Nel caso invece in cui la persona sottoposta a perquisizione o che
subisce il sequestro non sia presente, l’informazione di
garanzia gli deve essere comunicata tempestivamente e
successivamente, all’avvenuta esecuzione dell’atto.

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Riassumendo: vi sono degli atti a sorpresa quali perquisizione e sequestro.


Vi è una norma del codice che prevede l’informazione di garanzia ma il
problema diventa che se deve essere compiuta una perquisizione o un
sequestro l’informazione di garanzia data preventivamente renderebbe vano
l’atto di perquisizione o sequestro perché se una persona viene avvisata,
potrebbe inquinare le prove.
È quindi Escluso che l’informazione di garanzia debba precedere la
perquisizione o il sequestro.
La soluzione che potrebbe essere possibile è che l’informazione di garanzia
venga comunicata contestualmente all’atto di perquisizione o sequestro.
Questa soluzione è stata però superata da una lettura di carattere sostanziale
delle norme che riguardano l’informazione di garanzia e riguardano le
perquisizioni e i sequestri.
Visto infatti che il contenuto essenziale dell’informazione di garanzia è
avvertire la persona che può nominare un difensore di fiducia, quando viene
compiuta una perquisizione o sequestro, se la persona è presente gli viene già
dato questo avviso.
Diviene ovvio che in questi casi non è necessaria l’informazione di garanzia.
Nell’ipotesi in cui la persona non sia presente, una volta compiuto l’atto di
perquisizione o sequestro, dovrà essere inoltrata l’informazione di garanzia.
La ricostruzione fatta della materia è contenuta in una sentenza delle Sezioni
Unite della Corte di Cassazione Penale che è la sentenza Mariano.

Nel momento in cui il pubblico ministero dice alla PG che sta


procedendo nei confronti di Tizio per il reato di cui l’articolo xxx del
codice penale ecc…., la invita a far dichiarare alla persona indagata
un domicilio; la PG convoca la persona, spiega che è indagata per il
reato di cui a questo articolo, e lo invita a dichiarare il domicilio.
La PG non è tenuta a dare informazioni ulteriori sul reato per cui si
procede.
Il momento della dichiarazione di domicilio non è un momento in
cui la persona indagata deve essere informata sul contenuto
sostanziale dell’indagine che gli viene rivolta così come non lo è
nemmeno nel momento in cui la PG assume delle dichiarazioni con
l’articolo 350 dalla parte dell’indagato.
Prima comunque di approfondire tale problematica concludiamo il
discorso sul segreto investigativo.

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Si è detto che la regola generale è che gli atti sono segreti, con
l’eccezione di alcuni atti che sono conoscibili (interrogatorio, ispezione,
confronto, perquisizione, sequestro).
È previsto, una volta che sono stati individuati quali siano gli atti
conoscibili, che questi atti una volta che sono stati compiuti col
relativo verbale, siano depositati presso la segreteria del PM entro il
terzo giorno successivo e, se non è stato dato avviso del
compimento dell’atto, il difensore deve essere avvisato di questo.
L’avviso di deposito deve essere notificato e questo per mettere il
difensore nella possibilità di controllare il contenuto dell’atto.
Eccezionalmente, il pubblico ministero può segretare degli atti di
indagini conoscibili con il consenso dell’indagato oppure per
esigenze investigative.

Quindi, la regola è che gli atti sono segreti, ed eccezione alla regola è che ci
sono degli atti conoscibili rispetto a cui non c’è invece questa segretezza ed
eccezione dell’eccezione che vi sono dei casi in cui il pubblico ministero in
presenza di determinati presupposti, può segretare l’atto.

Quando si segreta l’atto che significa che non si può rivelare


il contenuto dello stesso.
Vi sono dei casi particolari in cui il pubblico ministero può avere
l’esigenza che la persona che ha sentito, non solo non riveli il
contenuto dell’atto ma non riveli i fatti di cui si è parlato e di cui lui
è a conoscenza e che siano rilevanti rispetto alle indagini.
Come regola generale quindi se una persona è sottoposta a un
interrogatorio e gli vengono chieste delle informazioni, non può
rivelare il contenuto delle domande che ha ricevuto o delle risposte
che ha fornito ma, sempre come regola generale, la persona
informata dei fatti, potrebbe raccontare in giro quello che sa di
quell’omicidio.
L’eccezione alla regola generale si trova all’articolo 391 quinquis e
che dice: “Se sussistono specifiche esigenze attinenti all’attività di
indagine, il pubblico ministero può, con decreto motivato, vietare
alle persone sentite di comunicare i fatti e le circostanze oggetto
dell’indagine”.

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Art. 391-quinquies - Potere di segretazione del pubblico ministero.


1. Se sussistono specifiche esigenze attinenti all'attività di indagine, il pubblico ministero può, con decreto
motivato, vietare alle persone sentite di comunicare i fatti e le circostanze oggetto dell'indagine di cui hanno
conoscenza. Il divieto non può avere una durata superiore a due mesi.
2. Il pubblico ministero, nel comunicare il divieto di cui al comma 1 alle persone che hanno rilasciato le
dichiarazioni, le avverte delle responsabilità penali conseguenti all'indebita rivelazione delle notizie.

In questo caso il segreto non riguarda solo il contenuto specifico


dell’atto ma è ben più esteso perché riguarda l’intero fatto storico
che è rilevante per le indagini e può avere la durata limitata nel
tempo di due mesi.

Non è corretto dire che con l’informazione di garanzia cessa l’obbligo di


segretezza rispetto agli atti delle indagini.
Ricordiamo infatti che l’articolo 329, dice per quanto riguarda gli atti
dell’indagine, fino a quanto l’indagato non ne possa venire a conoscenza.
Ora, con l’informazione di garanzia, l’indagato è a conoscenza dell’indagine ma
non è a conoscenza di tutti gli atti dell’indagine.
Se ad esempio nel corso dell’indagine viene compiuta una individuazione
fotografica, l’individuazione fotografica non è un atto conoscibile in quanto non
è uno degli atti previsti negli articoli 164 e 165.
Questo atto l’indagato non lo può conoscere, nel momento in cui c’è
un’informazione di garanzia e non lo può conoscere perché non è un atto
conoscibile.
Lo conoscerà nel momento in cui, al termine delle indagini con l’avviso di
conclusione delle indagini, cosiddetto avviso previsto dall’articolo 415 bis,
verranno depositati tutti gli atti e questa circostanza gli verrà comunicata.
In questo momento cessa l’obbligo di segretezza.

Quello che si vuole evidenziare è che ci sono degli atti rispetto a cui
l’indagato non ha il diritto di venirne a conoscenza; questi atti sono
da considerarsi, durante le indagini, segreti.
L’indagato verrà a conoscenza di tutti gli atti dell’indagine quando il
pubblico ministero deciderà o di inoltrare un avviso di conclusione
delle indagini che rappresenta la premessa per eventuali capi di
imputazione nei suoi confronti, oppure quando chiede
l’archiviazione.
L’obbligo di segretezza è correlato alla conoscibilità e la
conoscibilità si ha in due momenti:

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⇒ per determinati atti si ha a seguito del loro stesso compimento o


addirittura prima e sono gli atti che già abbiamo visto
(interrogatorio, ispezione, confronto, perquisizione, sequestro);
⇒ per altri può non aversi sino alla chiusura delle indagini.

Il diritto di accesso non riguarda gli atti di indagine, riguarda gli atti
amministrativi non gli atti di contenuto penale.
Se vi è un atto amministrativo segue la regola degli atti amministrativi, se
l’atto è invece un atto di indagine compiuto come polizia giudiziaria, la regola
del diritto di accesso non si applica.
Se si hanno atti complessi, dico che sarebbe meglio non fare atti complessi che
contengono contemporaneamente notizie che hanno interesse amministrativo
e notizie che hanno un interesse penalistico perché, a quel punto, occorre fare
degli omissis oppure la persona ne verrà a conoscenza.

È importante acquisire la seguente terminologia:


 sommarie informazioni sono le dichiarazioni che la persona
indagata rende alla polizia giudiziaria;
 interrogatorio sono le dichiarazioni che la persona indagata
rende al PM;
 esame sono le dichiarazioni che la persona imputata rende
davanti al Giudice nel dibattimento;
L’articolo 350 tratta delle SOMMARIE INFORMAZIONI dell’indagato e
riguarda quindi i casi in cui la polizia giudiziaria sente una persona
indagata.
Per inciso, non è previsto che le sommarie informazioni siano date
ad un possibile testimone perché si diventa testimone solo nel
dibattimento.
All’interno di questo articolo sono previste tre ipotesi diverse che
hanno una diversa disciplina.
 La prima ipotesi è quella in cui la persona sottoposta all’indagine
può essere sentita a sommarie informazioni da parte della polizia
giudiziaria solo nel caso in cui non sia detenuta.
Se la persona è detenuta la PG non può sentirla.
Detenuta è anche una persona sottoposta a una misura
precautelare e cioè è in quella fase intermedia che sussiste tra
l’arresto o il fermo e la condanna.
Una persona privata della libertà non può essere sentita dalla PG.
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Il primo comma dell’articolo 350 dice che quando la PG sente


questa persona, questa persona ha diritto di essere assistita da
un difensore; non solo ha il diritto ad essere assistita da un
difensore, ma c’è l’obbligo della presenza di un difensore.
Quindi una persona indagata la PG non la può sentire se
non vi sia il difensore.
Questa è la differenza tra le sommarie informazioni acquisite
come polizia giudiziaria e l’interrogatorio dell’indagato eseguito
da parte del pubblico ministero.
Quindi se l’indagato è interrogato dal pubblico ministero, può
ipoteticamente, non essere assistito dal difensore senza che
questa situazione determini alcuna nullità.
Se la PG sente una persona indagata senza difensore
commettete una nullità di ordine generale che potrà essere fatta
rilevare nelle fasi successive del processo.
 La seconda regola fondamentale è data dal fatto che l’articolo
350 richiama espressamente solo l’articolo 64 e non l’articolo 65
del codice di procedura penale; l’articolo 64 è quella norma che
indica gli avvisi che voi dovete dare alla persona che viene
sentita.
Non è previsto quindi che a pena di nullità la PG indichi gli
elementi di prova, il fatto che viene attribuito e via dicendo, non
è questo un requisito delle sommarie informazioni previste dalla
polizia giudiziaria.
Nella pratica, spesso il fatto viene precisato ma non è
obbligatorio farlo e questo perché l’articolo 350 richiama il 64
ma non l’articolo 65.
 L’altro punto importante è che l’operatore di polizia giudiziaria
può sentire una persona indagata o di sua iniziativa o su delega
del pubblico ministero con la particolarità che le sommarie
informazioni della PG hanno bisogno dell’assistenza del
difensore, l’interrogatorio del PM non ne ha bisogno.
Questo avviene perché, in generale, l’attività di investigazione
del pubblico ministero può essere delegata alla polizia giudiziaria.

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Se il pubblico ministero decide di delegare l’interrogatorio


dell’indagato, come avviene abbastanza spesso, sarà obbligatoria
o la presenza del difensore.
Questo lo dice l’articolo 370 che riguarda gli atti diretti delegati.

Art. 370. - Atti diretti e atti delegati.


1. Il pubblico ministero compie personalmente ogni attività di indagine. Può avvalersi della polizia giudiziaria
per il compimento di attività di indagine e di atti specificamente delegati, ivi compresi gli interrogatori ed i
confronti cui partecipi la persona sottoposta alle indagini che si trovi in stato di libertà, con l'assistenza
necessaria del difensore.
2. Quando procede a norma del comma 1, la polizia giudiziaria osserva le disposizioni degli articoli 364, 365 e
373.
3. Per singoli atti da assumere nella circoscrizione di altro tribunale, il pubblico ministero, qualora non ritenga
di procedere personalmente, può delegare, secondo la rispettiva competenza per materia, il pubblico
ministero presso il tribunale del luogo.
4. Quando ricorrono ragioni di urgenza o altri gravi motivi, il pubblico ministero delegato a norma del comma 3
ha facoltà di procedere di propria iniziativa anche agli atti che a seguito dello svolgimento di quelli
specificamente delegati appaiono necessari ai fini delle indagini.

L’articolo 370 dice che possono essere delegati anche gli


interrogatori cui partecipi la persona sottoposta alle indagini che
si trovi in uno stato di libertà con l’assistenza necessaria del
difensore.
Riepilogando nelle sommarie informazioni dell’indagato:
⇒ non c’è l’obbligo di contestare l’addebito come previsto
dall’articolo 65,
⇒ è obbligatorio dare tutti gli avvisi previsti dall’articolo 64,
⇒ è obbligatoria la presenza di un difensore
⇒ non può essere sentito dalla PG nel caso in cui la persona sia in
stato detentivo.
L’articolo 350 regola altri due generi di dichiarazioni che vengono
acquisite dalla polizia giudiziaria.
Il secondo genere di dichiarazioni sono le DICHIARAZIONI
SPONTANEE.
La differenza tra una dichiarazione spontanea e le sommarie
informazioni sta nel fatto che:
• nelle sommarie informazioni vi sono delle domande e delle
risposte con verbalizzazione tanto delle domande quanto delle
risposte
• le spontanee dichiarazioni sono dichiarazioni rese
unilateralmente da parte della persona indagata e non è previsto

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che venga dato a questa persona alcun avviso e non è previsto


che ci sia l’assistenza di un difensore.
Si tratta quindi di dichiarazioni che questa persona rende senza
essere garantito davanti alla polizia giudiziaria e che hanno nel
processo una limitata utilizzazione in quanto possono servire solo
per le contestazioni al dibattimento.
Se, nel corso dell’esame dibattimentale, una persona che è
imputata racconta una determinata versione del fatto e
precedentemente, davanti alla polizia giudiziaria sentita a
spontanee dichiarazioni ne aveva riferita un’altra, può essergli
contestata questa precedente versione e gli può essere contestata
anche se non aveva assistito il difensore.
 Il terzo genere di dichiarazioni sono le notizie che
vengono date nell’immediatezza del fatto alla polizia
giudiziaria e che servono alla stessa solo per proseguire le
indagini e non all’interno del procedimento per redigere degli
atti che hanno una certa utilizzabilità come prova.
In questo caso non si distingue se la persona sia libera o
detenuta ma si tratta di dichiarazioni che non possono essere
mai utilizzate nel corso del procedimento; il codice nell’articolo
350 ne vieta anche la documentazione.
Si tratta di informazioni che, nel momento del contatto tra la
polizia giudiziaria e la persona indagata, possono servire alla
polizia giudiziaria per proseguire nell’immediatezza le indagini.
È fondamentale tenere distinte queste tre categorie di atti.
Supponiamo che la persona che è indagata diventi poi imputata e
nei suoi confronti venga celebrato il processo e vi sia la possibilità
che questa persona rimanga contumace e cioè non si presenti al
processo pur se regolarmente citata, oppure vi è la possibilità che
questa persona, pur presentandosi al processo, non voglia
rispondere alle domande.
Mentre per determinate categorie di soggetti (gli imputati in
procedimento connesso o collegato, quelli presi in considerazione
dall’articolo 210) è previsto che possono diventare testimoni,
l’imputato di un reato, l’imputato semplice, non può mai

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essere obbligato a deporre nel processo; non può essere mai


obbligato a subire l’esame che quindi non è mai obbligatorio.
Nel caso in cui questa persona non si sottoponga all’esame perché
non voglia o perché addirittura è rimasto contumace, si pone il
problema dell’utilizzazione delle dichiarazioni che questa persona ha
reso nel corso delle indagini.
Questo problema lo risolve l’articolo 513 comma 1° del codice di
procedura penale.

Art. 513. - Lettura delle dichiarazioni rese dall'imputato nel corso delle indagini preliminari o
nell'udienza preliminare.
1. Il giudice, se l'imputato è contumace o assente ovvero rifiuta di sottoporsi all'esame, dispone, a richiesta di parte,
che sia data lettura dei verbali delle dichiarazioni rese dall'imputato al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria
su delega del pubblico ministero o al giudice nel corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare, ma tali
dichiarazioni non possono essere utilizzate nei confronti di altri senza il loro consenso salvo che ricorrano i
presupposti di cui all'articolo 500, comma 4.
2. Se le dichiarazioni sono state rese dalle persone indicate nell'articolo 210, comma 1, il giudice, a richiesta di
parte, dispone, secondo i casi, l'accompagnamento coattivo del dichiarante o l'esame a domicilio o la rogatoria
internazionale ovvero l'esame in altro modo previsto dalla legge con le garanzie del contradditorio. Se non è
possibile ottenere la presenza del dichiarante, ovvero procedere all'esame in uno dei modi suddetti, si applica la
disposizione dell'articolo 512 qualora la impossibilità dipenda da fatti o circostanze imprevedibili al momento delle
dichiarazioni. Qualora il dichiarante si avvalga della facoltà di non rispondere, il giudice dispone la lettura dei
verbali contenenti le suddette dichiarazioni soltanto con l'accordo delle parti.
3. Se le dichiarazioni di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo sono state assunte ai sensi dell'articolo 392, si
applicano le disposizioni di cui all'articolo 511.

L’articolo 513 prevede che nel caso in cui non sia possibile
procedere all’esame dell’imputato, a richiesta di parte, il Giudice
dispone che sia data lettura delle dichiarazioni rese dall’imputato al
PM o alla polizia giudiziaria su delega del PM.
Questo significa che viene acquisito il fascicolo del dibattimento e
sono utilizzati per la decisione, le dichiarazioni rese dall’imputato al
PM o alla polizia giudiziaria su delega del PM.
Attenzione, non le dichiarazioni ricevute dalla polizia giudiziaria
senza delegadel PM.
La differenza sta proprio nel fatto che
⇒ se si tratta di dichiarazioni che la PG riceve avendo avuto la
delega del PM, queste dichiarazioni un domani al dibattimento
saranno sicuramente utilizzabili perché, o l’imputato è presente,
rende l’esame e qualora renda dichiarazioni difformi rispetto a
quelle rese davanti a voi potranno essere fatte delle
contestazioni, oppure l’imputato non si presenta oppure non

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vuole rendere l’esame e, su richiesta di parte, queste


dichiarazioni potranno essere acquisite.
⇒ se si tratta di dichiarazioni che la PG riceve senza delega del PM,
non è prevista la possibilità che queste dichiarazioni, nel caso
dell’imputato contumace o che non si vuole sottoporre all’esame,
entrino nel fascicolo del dibattimento e siano utilizzabili per la
decisione.
C’è da dire anche che, nel caso in cui la persona non scelga il
dibattimento, quindi non scelga il processo ordinario ma scelga i riti
alternativi del patteggiamento o del giudizio abbreviato (i riti
alternativi in linea di massima si sostanziano nel fatto che il Giudice
può acquisire l’intero fascicolo del PM), tutte le dichiarazioni rese e
utilizzabili, nel senso che non sono affette da una patologia, prese
dall’indagato nel corso dell’indagine diventano utilizzabili.
Nel caso del patteggiamento e nel giudizio abbreviato, le
dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria ed addirittura le
dichiarazioni spontanee entrano tra il materiale probatorio
che il Giudice può utilizzare ai fini della decisione.
Questo in deroga ai principi del processo accusatorio e la deroga è
giustificata dal consenso dell’imputato.
In questi due riti, un aspetto particolare è dato dal fatto che
l’imputato dice di essere d’accordo affinché il Giudice utilizzi per la
decisione tutta l’indagine.
Quindi l’attività di indagine diventa riconoscibile dal Giudice e da lui
può essere utilizzata.
Non potrebbe essere utilizzata solo l’attività di polizia giudiziaria
affetta da delle nullità di ordine generale che sono le nullità più
gravi.
E tra le nullità più gravi, c’è sicuramente una nullità determinata dal
fatto che un atto per cui è prevista l’assistanza del difensore, viene
compiuto senza l’assistenza del difensore.
Quindi, se la polizia giudiziaria compie le sommarie informazioni
dell’indagato senza il difensore, commette un atto nullo; questo
atto nullo non diventerà utilizzabile mai, nemmeno nel caso in cui

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l’indagato, l’imputato accetti di essere giudicato con il rito


alternativo.

Questo può corrispondere anche ad una strategia processuale perché se la


polizia giudiziaria compie degli atti nulli che nella sostanza evidenziano la
responsabilità dell’imputato ma hanno queste patologie, il difensore potrebbe
consigliare al suo cliente di intraprendere un rito alternativo e il Giudice
avrebbe degli atti che, nella sostanza proverebbero la colpevolezza
dell’imputato ma che non possono essere utilizzati e a quel punto il Giudice
pronuncerà una sentenza di assoluzione.

Siamo abituati a pensare che il contraddittorio sia qualsiasi atto in cui sia
presente il difensore; non è così.
Il contraddittorio forte in cui il difensore ha il diritto di porre domande esiste
tendenzialmente al dibattimento, non prima.
Il difensore è presente negli atti che voi dovete compiere per garantire che
questi atti siano compiuti nel rispetto delle norme previste dal codice, non per
altro.
Quindi, eventualmente, il difensore potrà presentare un’istanza, chiedere che a
verbale sia messa una sua dichiarazione, ma non ha il diritto di rivolgere lui
delle domande.
Potrà eventualmente sollecitare voi a porre una domanda ma non ha il diritto
di porre lui delle domande.
Quindi, eventualmente, voi potete sentire quello che il difensore vorrebbe
sapere e se lo giudicate rilevante potete porre la domanda, ma lui non ha il
diritto di porre domande.

L’articolo 351 è la norma che riguarda le dichiarazioni rese davanti


alla PG da parte di una persona informata dei fatti o da una persona
indagata in procedimento connesso o collegato.
Ricapitoliamo alcune circostanze relative all’articolo 351 perché
quello di importante che dovevamo dire rispetto a queste norme
l’abbiamo già detto nelle lezioni precedente.
⇒ Punto a) la persona che è davanti a voi come possibile testimone
ha l’obbligo di dire la verità.
⇒ Punto b) non commette reato se non dice la verità e questo
perché il codice prevede come reato le false informazioni davanti
al PM e il reato di falsa testimonianza davanti al Giudice ma non
prevede il reato di falsa testimonianza davanti alla polizia
giudiziaria.
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⇒ Punto c) può comunque commettere un reato e commette il


reato di favoreggiamento nei confronti della persona che viene
indagata.
Diciamo quindi che, tendenzialmente, una persona sentita dalla PG
pur avendo l’obbligo di dire la verità non commette un reato se non
riferisce la verità e in secondo luogo può commettere un reato
qualora commette il reato di favoreggiamento nei confronti della
persona che viene indagata.
Rispetto alle sommarie informazioni della polizia giudiziaria queste
vengono utilizzante nel dibattimento quando avvengono delle
contestazioni e cioè quando la persona renda al dibattimento delle
dichiarazioni diverse rispetto a quelle che sono state rese durante le
indagini davanti alla PG con due precisazioni:
⇒ la prima precisazione è che questa contestazione vale ai fini
della credibilità
⇒ la seconda precisazione è che se il teste non cambia la sua
versione rispetto a quella resa precedentemente la
contestazione non vale come prova dei fatti.
L’identificazione è l’atto mediante il quale la polizia giudiziaria
procede alla identificazione della persona sottoposta alle indagini.
C’è una norma che spesso non viene applicata che indica tutte le
domande che dovrebbero farsi; si trova all’articolo 21 delle
disposizioni d’attuazione (dopo il codice di procedura penale ci sono
le disposizioni d’attuazione).
Tali disposizioni molto spesso sono solo in apparenza meno
importanti rispetto a quelle contenute nel codice.

21 Notizie da chiedere all`imputato nel primo atto cui egli è presente


1. Quando procede a norma dell`art. 66 del Codice, il giudice o il pubblico ministero invita l`imputato o la persona
sottoposta alle indagini a dichiarare se ha un soprannome o uno pseudonimo, se ha beni patrimoniali e quali sono
le sue condizioni di vita individuale, familiare e sociale. Lo invita inoltre a dichiarare se è sottoposto ad altri
processi penali, se ha riportato condanne nello Stato o all`estero e, quando ne è il caso, se esercita o ha
esercitato uffici o servizi pubblici o servizi di pubblica necessità e se ricopre o ha ricoperto cariche pubbliche.

Vediamo ora la dichiarazione o elezione del domicilio.


La norma fondamentale che la PG deve tenere presente, è:
l’articolo 349 che dice come si compie un’identificazione.

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Sulla dichiarazione o elezione del domicilio, importantissimo


l’articolo 161.

Art. 161. - Domicilio dichiarato, eletto o determinato per le notificazioni.


1. Il giudice, il pubblico ministero o la polizia giudiziaria, nel primo atto compiuto con l'intervento della persona
sottoposta alle indagini o dell'imputato non detenuto né internato, lo invitano a dichiarare uno dei luoghi indicati
nell'articolo 157 comma 1 ovvero a eleggere domicilio per le notificazioni, avvertendolo che, nella sua qualità di
persona sottoposta alle indagini o di imputato, ha l'obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio
dichiarato o eletto e che in mancanza di tale comunicazione o nel caso di rifiuto di dichiarare o eleggere
domicilio, le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore. Della dichiarazione o della elezione
di domicilio, ovvero del rifiuto di compierla, è fatta menzione nel verbale.
2. Fuori del caso previsto dal comma 1, l'invito a dichiarare o eleggere domicilio è formulato con l'informazione di
garanzia o con il primo atto notificato per disposizione dell'autorità giudiziaria. L'imputato è avvertito che deve
comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto e che in caso di mancanza, di insufficienza o di
inidoneità della dichiarazione o della elezione, le successive notificazioni verranno eseguite nel luogo in cui l'atto
è stato notificato.
3. L'imputato detenuto che deve essere scarcerato per causa diversa dal proscioglimento definitivo e l'imputato che
deve essere dimesso da un istituto per l'esecuzione di misure di sicurezza, all'atto della scarcerazione o della
dimissione ha l'obbligo di fare la dichiarazione o l'elezione di domicilio con atto ricevuto a verbale dal direttore
dell'istituto. Questi lo avverte a norma del comma 1, iscrive la dichiarazione o elezione nell'apposito registro e
trasmette immediatamente il verbale all'autorità che ha disposto la scarcerazione o la dimissione.
4. Se la notificazione nel domicilio determinato a norma del comma 2 diviene impossibile, le notificazioni sono
eseguite mediante consegna al difensore. Nello stesso modo si procede quando, nei casi previsti dai commi 1 e
3, la dichiarazione o l'elezione di domicilio mancano o sono insufficienti o inidonee. Tuttavia, quando risulta che,
per caso fortuito o forza maggiore, l'imputato non è stato nella condizione di comunicare il mutamento del luogo
dichiarato o eletto, si applicano le disposizioni degli articoli 157 e 159.

La persona a cui deve essere fatto dichiarare o eleggere un


domicilio ai fini delle rettifiche deve essere avvisata mediante gli
avvertimenti elencati nell’articolo 161 primo comma.
Questi avvertimenti prevedono in sostanza che a questa persona
venga comunicato che:
⇒ si stanno svolgendo indagini nei suoi confronti;
⇒ ha l’obbligo di dichiarare o eleggere un domicilio
⇒ nel caso in cui non venga dichiarato o eletto un domicilio oppure
questo domicilio diventerà in un secondo momento non veritiero,
gli atti verranno notificati al difensore.
è importante ricordare che vanno dati gli avvisi perché nel caso non
fossero dati la dichiarazione o elezione di domicilio è inidonea.
Se la dichiarazione o elezione di domicilio sono inidonee, allora il
Giudice non le potrà sfruttare per le notifiche e se non le potrà
sfruttare il Giudice, le eventuali notificazioni fate successivamente
potrebbero essere nulle.
Gli avvisi da dare sono quelli del primo comma dell’articolo 161 e
non tutti gli avvisi previsti nell’articolo 161, anche quelli nel
secondo comma che non riguardano questa ipotesi.
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Esempio: chiedo alla persona di dichiarare o eleggere un domicilio, non gli do gli avvertimenti.
La persona dice “Dichiaro domicilio presso la mia abitazione sita in Padova in via Nazaret” e
indica il numero.
Successivamente questa persona cambia la propria residenza, allora secondo la regola
generale della dichiarazione o elezione del domicilio, siccome la persona non ha comunicato il
trasferimento di residenza come segreteria del pubblico ministero, farò successive notifiche
presso il difensore.
Si arriva al dibattimento e davanti al Giudice, il difensore che conosce gli atti dirà che la polizia
giudiziaria nel momento in cui ha fatto dichiarare o eleggere il domicilio si era dimenticata di
dare gli avvisi.
Una dichiarazione o elezione compiuta in questi casi non è valida e le conseguenze sono che
successivamente sono state sbagliate tutte le notifiche perché è stata sbagliata la notifica
dell’avviso di conclusione delle indagini, la notifica del decreto di citazione a giudizio e via
dicendo.
La conseguenza ultima è che il Giudice chiude il fascicolo, dichiara nullo tutto e restituisce gli
atti al pubblico ministero.

Se un indagato si rifiuta di dare le sue generalità davanti alla PG


commette due reati:
⇒ se dà generalità false commette il reato di cui agli articoli 495 o
496 del codice penale.
⇒ se si rifiuta di rispondere commette una contravvenzione che è il
reato di cui all’articolo 651 del codice penale.

Art. 495. - Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali
proprie o di altri.
Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, l'identità o lo stato o altre qualità
della propria o dell'altrui persona è punito con la reclusione fino a tre anni.
Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto in una dichiarazione destinata a essere riprodotta in un atto pubblico.
La reclusione non è inferiore ad un anno:
1. se si tratta di dichiarazione in atti dello stato civile;
2. se la falsa dichiarazione sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità personali è resa da un
imputato all'autorità giudiziaria o da una persona sottoposta ad indagini alla stessa autorità o alla polizia
giudiziaria delegata alle indagini, ovvero se, per effetto della falsa dichiarazione, nel casellario giudiziale una
decisione penale viene iscritta sotto falso nome.
La pena è diminuita se chi ha dichiarato il falso intendeva ottenere, per sé o per altri, il rilascio di certificati o di
autorizzazioni amministrative sotto falso nome, o con altre indicazioni mendaci.

Art. 496. - False dichiarazioni sull'identità o su qualità personali proprie o di altri.


Chiunque, fuori dei casi indicati negli articoli precedenti, interrogato sull'identità, sullo stato o su altre qualità della
propria o dell'altrui persona, fa mendaci dichiarazioni a un pubblico ufficiale , o a persona incaricata di un pubblico
servizio, nell'esercizio delle funzioni o del servizio, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a
euro 516.

Art. 651. - Rifiuto d'indicazioni sulla propria identità personale.


Chiunque, richiesto da un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni, rifiuta di dare indicazioni sulla propria
identità personale, sul proprio stato, o su altre qualità personali, è punito con l'arresto fino a un mese o con
l'ammenda fino a euro 206.

FINE
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1
APPENDICE
articoli in ordine numerico a prescindere dalla norma d’origine

Art. 4. - Regole per la determinazione della competenza.


1. Per determinare la competenza si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge
per ciascun reato consumato o tentato. Non si tiene conto della
continuazione, della recidiva e delle circostanze del reato, fatta eccezione
delle circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di
specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale.

Art. 5. - Competenza della corte di assise.


1. La corte di assise è competente:
a) per i delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della
reclusione non inferiore nel massimo a ventiquattro anni, esclusi i delitti di
tentato omicidio, di rapina e di estorsione, comunque aggravati, e i delitti
previsti dall'articolo 630, primo comma, del codice penale e dal decreto del
Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309;
b) per i delitti consumati previsti dagli articoli 579, 580, 584 del codice penale;
c) per ogni delitto doloso se dal fatto è derivata la morte di una o più persone,
escluse le ipotesi previste dagli articoli 586, 588 e 593 del codice penale;
d) per i delitti previsti dalle leggi di attuazione della XII disposizione finale della
Costituzione, dalla legge 9 ottobre 1967 n. 962 e nel titolo I del libro II del
codice penale, sempre che per tali delitti sia stabilita la pena della
reclusione non inferiore nel massimo a dieci anni.

Art. 8. - Regole generali.


1. La competenza per territorio è determinata dal luogo in cui il reato è stato
consumato.
2. Se si tratta di fatto dal quale è derivata la morte di una o più persone, è
competente il giudice del luogo in cui è avvenuta l'azione o l'omissione.
3. Se si tratta di reato permanente, è competente il giudice del luogo in cui ha
avuto inizio la consumazione, anche se dal fatto è derivata la morte di una o
più persone.
4. Se si tratta di delitto tentato, è competente il giudice del luogo in cui è stato
compiuto l'ultimo atto diretto a commettere il delitto.

Art. 12. - Casi di connessione.


1. Si ha connessione di procedimenti:
a) se il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o
cooperazione fra loro, o se più persone con condotte indipendenti hanno
determinato l'evento;

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2
b) se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od
omissione ovvero con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo
disegno criminoso;
c) se dei reati per cui si procede gli uni sono stati commessi per eseguire o per
occultare gli altri.

Art. 13. - Connessione di procedimenti di competenza di giudici


ordinari e speciali.
1. Se alcuni dei procedimenti connessi appartengono alla competenza di un
giudice ordinario e altri a quella della Corte costituzionale, è competente per
tutti quest'ultima.
2. Fra reati comuni e reati militari, la connessione di procedimenti opera
soltanto quando il reato comune è più grave di quello militare, avuto
riguardo ai criteri previsti dall'articolo 16 comma 3. In tale caso, la
competenza per tutti i reati è del giudice ordinario.

Art. 14. - Limiti alla connessione nel caso di reati commessi da


minorenni.
1. La connessione non opera fra procedimenti relativi a imputati che al
momento del fatto erano minorenni e procedimenti relativi a imputati
maggiorenni.
2. La connessione non opera, altresì, fra procedimenti per reati commessi
quando l'imputato era minorenne e procedimenti per reati commessi
quando era maggiorenne.

Art. 15. - Competenza per materia determinata dalla connessione.


1. Se alcuni dei procedimenti connessi appartengono alla competenza della
corte di assise ed altri a quella del tribunale, è competente per tutti la corte
di assise.

Art. 16. - Competenza per territorio determinata dalla connessione.


1. La competenza per territorio per i procedimenti connessi rispetto ai quali più
giudici sono ugualmente competenti per materia appartiene al giudice
competente per il reato più grave e, in caso di pari gravità, al giudice
competente per il primo reato.
2. Nel caso previsto dall'articolo 12 comma 1 lettera a) se le azioni od
omissioni sono state commesse in luoghi diversi e se dal fatto è derivata la
morte di una persona, è competente il giudice del luogo in cui si è verificato
l'evento.
3. I delitti si considerano più gravi delle contravvenzioni. Fra delitti o fra
contravvenzioni si considera più grave il reato per il quale è prevista la pena

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3
più elevata nel massimo ovvero, in caso di parità dei massimi, la pena più
elevata nel minimo; se sono previste pene detentive e pene pecuniarie, di
queste si tiene conto solo in caso di parità delle pene detentive.

21 Notizie da chiedere all`imputato nel primo atto cui egli è presente


1. Quando procede a norma dell`art. 66 del Codice, il giudice o il pubblico
ministero invita l`imputato o la persona sottoposta alle indagini a dichiarare
se ha un soprannome o uno pseudonimo, se ha beni patrimoniali e quali
sono le sue condizioni di vita individuale, familiare e sociale. Lo invita inoltre
a dichiarare se è sottoposto ad altri processi penali, se ha riportato
condanne nello Stato o all`estero e, quando ne è il caso, se esercita o ha
esercitato uffici o servizi pubblici o servizi di pubblica necessità e se ricopre
o ha ricoperto cariche pubbliche.

Art. 27. - Costituzione Italiana

La responsabilità penale è personale.


L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e
devono tendere alla rieducazione del condannato.
Non è ammessa la pena di morte.

Art. 60. - Assunzione della qualità di imputato.


1. Assume la qualità di imputato la persona alla quale è attribuito il reato nella
richiesta di rinvio a giudizio, di giudizio immediato, di decreto penale di
condanna, di applicazione della pena a norma dell'articolo 447 comma 1, nel
decreto di citazione diretta a giudizio e nel giudizio direttissimo.
2. La qualità di imputato si conserva in ogni stato e grado del processo, sino a
che non sia più soggetta a impugnazione la sentenza di non luogo a
procedere, sia divenuta irrevocabile la sentenza di proscioglimento o di
condanna o sia divenuto esecutivo il decreto penale di condanna.
3. La qualità di imputato si riassume in caso di revoca della sentenza di non
luogo a procedere e qualora sia disposta la revisione del processo.

Art. 61. - Estensione dei diritti e delle garanzie dell'imputato.


1. I diritti e le garanzie dell'imputato si estendono alla persona sottoposta alle
indagini preliminari.
2. Alla stessa persona si estende ogni altra disposizione relativa all'imputato,
salvo che sia diversamente stabilito.

Art. 62. - Divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell'imputato.

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4
1. Le dichiarazioni comunque rese nel corso del procedimento dall'imputato o
dalla persona sottoposta alle indagini non possono formare oggetto di
testimonianza.

Art. 63. - Dichiarazioni indizianti.


1. Se davanti all'autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria una persona non
imputata ovvero una persona non sottoposta alle indagini rende
dichiarazioni dalle quali emergono indizi di reità a suo carico, l'autorità
procedente ne interrompe l'esame, avvertendola che a seguito di tali
dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti e la invita a
nominare un difensore. Le precedenti dichiarazioni non possono essere
utilizzate contro la persona che le ha rese.
2. Se la persona doveva essere sentita sin dall'inizio in qualità di imputato o di
persona sottoposta alle indagini, le sue dichiarazioni non possono essere
utilizzate.

Art. 64. - Regole generali per l'interrogatorio.


1. La persona sottoposta alle indagini, anche se in stato di custodia cautelare o
se detenuta per altra causa, interviene libera all'interrogatorio, salve le
cautele necessarie per prevenire il pericolo di fuga o di violenze.
2. Non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona
interrogata, metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di
autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti
.
3. Prima che abbia inizio l'interrogatorio, la persona deve essere avvertita che:
a) le sue dichiarazioni potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti;
b) salvo quanto disposto dall'articolo 66, comma 1, ha facoltà di non
rispondere ad alcuna domanda, ma comunque il procedimento seguirà il suo
corso;
c) se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri,
assumerà, in ordine a tali fatti, l'ufficio di testimone, salve le incompatibilità
previste dall'articolo 197 e le garanzie di cui all'articolo 197-bis.
3-bis. L'inosservanza delle disposizioni di cui al comma 3, lettere a) e b), rende
inutilizzabili le dichiarazioni rese dalla persona interrogata. In mancanza
dell'avvertimento di cui al comma 3, lettera c), le dichiarazioni
eventualmente rese dalla persona interrogata su fatti che concernono la
responsabilità di altri non sono utilizzabili nei loro confronti e la persona
interrogata non potrà assumere, in ordine a detti fatti, l'ufficio di testimone.

Art. 65. - Interrogatorio nel merito.

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5
1. L'autorità giudiziaria contesta alla persona sottoposta alle indagini in forma
chiara e precisa il fatto che le è attribuito, le rende noti gli elementi di prova
esistenti contro di lei e, se non può derivarne pregiudizio per le indagini,
gliene comunica le fonti.
2. Invita, quindi, la persona ad esporre quanto ritiene utile per la sua difesa e
le pone direttamente domande.
3. Se la persona rifiuta di rispondere, ne è fatta menzione nel verbale. Nel
verbale è fatta anche menzione, quando occorre, dei connotati fisici e di
eventuali segni particolari della persona.

Art. 66. - Verifica dell'identità personale dell'imputato.


1. Nel primo atto cui è presente l'imputato, l'autorità giudiziaria lo invita a
dichiarare le proprie generalità e quant'altro può valere a identificarlo,
ammonendolo circa le conseguenze cui si espone chi si rifiuta di dare le
proprie generalità o le dà false.
2. L'impossibilità di attribuire all'imputato le sue esatte generalità non
pregiudica il compimento di alcun atto da parte dell'autorità procedente,
quando sia certa l'identità fisica della persona.
3. Le erronee generalità attribuite all'imputato sono rettificate nelle forme
previste dall'articolo 130.

Art. 107. - Non accettazione, rinuncia o revoca del difensore.


1. Il difensore che non accetta l'incarico conferitogli o vi rinuncia ne dà subito
comunicazione all'autorità procedente e a chi lo ha nominato.
2. La non accettazione ha effetto dal momento in cui è comunicata all'autorità
procedente.
3. La rinuncia non ha effetto finché la parte non risulti assistita da un nuovo
difensore di fiducia o da un difensore di ufficio e non sia decorso il termine
eventualmente concesso a norma dell'articolo 108.
4. La disposizione del comma 3 si applica anche nel caso di revoca.

Art. 111. - La giurisdizione si attua mediante il giusto processo


regolato dalla legge. (1)
Ogni processo si svolge nel contradditorio tra le parti, in condizioni di parita',
davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole
durata. (1)
Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia,
nel pi¨ breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei
motivi dell'accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle
condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facolta', davanti al
giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono

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6
dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di
persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione di
ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non
comprende o non parla la lingua impiegata nel processo. (1)
Il processo penale e' regolato dal principio del contraddittorio nella formazione
della prova. La colpevolezza dell'imputato non puo' essere provata sulla
base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si e' sempre
volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo
difensore. (1)
La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in
contraddittorio per consenso dell'imputato o per accertata impossibilita' di
natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita. (1)
Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.
Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla liberta' personale, pronunciati
dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, e' sempre ammesso ricorso in
Cassazione per violazione di legge. Si puo' derogare a tale norma soltanto
per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra.
Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in
Cassazione e' ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione.
(1) Comma introdotto con l'art. 1 della legge costituzionale 23 novembre
1999, n. 2 (G.U. 23 dicembre 1999, n. 300).
All'art. 2, la stessa legge costituzionale cosi' dispone: "1. La legge regola
l'applicazione dei principi contenuti nella presente legge costituzionale ai
procedimenti penali in corso alla data della sua entrata in vigore".

Art. 132 (1) - Conservazione di dati di traffico per altre finalità


1. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 123, comma 2, i dati relativi al
traffico telefonico sono conservati dal fornitore per ventiquattro mesi, per
finalità di accertamento e repressione dei reati. (2)
2. Decorso il termine di cui al comma 1, i dati relativi al traffico telefonico sono
conservati dal fornitore per ulteriori ventiquattro mesi per esclusive finalità
di accertamento e repressione dei delitti di cui all'articolo 407, comma 2,
lettera a) del codice di procedura penale, nonché dei delitti in danno di
sistemi informatici o telematici. (2)
3. Entro il termine di cui al comma 1, i dati sono acquisiti presso il fornitore con
decreto motivato del giudice su istanza del pubblico ministreo o del
difensore dell'imputato, della persona sottoposta alle indagini, della persona
offesa e delle altre parti private. Il difensore dell'imputato o della persona
sottoposta alle indagini può richiedere, direttamente al fornitore i dati
relativi alle utenze intestate al proprio assistito con le modalità indicate
dall'articolo 391-quater del codice di procedura penale, ferme restando le

mAnsa Appendice-Articoli.doc
7
condizioni di cui all'articolo 8, comma 2, lettera f), per il traffico entrante.
(2)
4. Dopo la scadenza del termine indicato al comma 1, il giudice autorizza
l'acquisizione dei dati, con decreto motivato, se ritiene che sussistano
sufficienti indizi dei delitti di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a), del
codice di procedura penale, nonchè dei delitti in danno di sistemi informatici
o telematici.
4-bis. Nei casi di urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che dal
ritardo possa derivare grave pregiudizio alle indagini, il pubblico ministero
dispone la acquisizione dei dati relativi al traffico telefonico con decreto
motivato che è comunicato immediatamente, e comunque non oltre
ventiquattro ore, al giudice competente per il rilascio dell'autorizzazione in
via ordinaria. Il giudice, entro quarantotto ore dal provvedimento, decide
sulla convalida con decreto motivato. Se il decreto del pubblico ministero
non è convalidato nel termine stabilito, i dati acquisiti non possono essere
utilizzati. (3)
5. Il trattamento dei dati per le finalità di cui ai commi 1 e 2 è effettuato nel
rispetto delle misure e degli accorgimenti a garanzia dell'interessato
prescritti ai sensi dell'art.17, volti anche a:
a) prevedere in ogni caso specifici sistemi di autenticazione informatica e di
autorizzazione degli incaricati del trattamento di cui all'allegato b);
b) disciplinare le modalità di conservazione separata dei dati una volta decorso
il termine di cui al comma 1;
c) individuare le modalità di trattamento dei dati da parte di specifici incaricati
del trattamento in modo tale che, decorso il termine di cui al comma 1,
l'utilizzazione dei dati sia consentita solo nei casi di cui al comma 4 e
all'articolo 7;
d) indicare le modalità tecniche per la periodica distruzione dei dati, decorsi i
termini di cui ai commi 1 e 2.
6. Le modalità di trattamento dei dati di cui al comma 5 sono individuate con
decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'interno,
con il Ministro delle comunicazioni e con il Ministro per l'innovazione e le
tecnologie, su conforme parere del Garante]

(1) Articolo così sostituito dal D.L. 24 dicembre 2003, n. 354.


(2) Articolo così modificato dal D.L. 27 luglio 2005, n. 144.
(3) Comma aggiunto dal D.L. 27 luglio 2005, n. 144.

Art. 161. - Domicilio dichiarato, eletto o determinato per le


notificazioni.

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1. Il giudice, il pubblico ministero o la polizia giudiziaria, nel primo atto
compiuto con l'intervento della persona sottoposta alle indagini o
dell'imputato non detenuto né internato, lo invitano a dichiarare uno dei
luoghi indicati nell'articolo 157 comma 1 ovvero a eleggere domicilio per le
notificazioni, avvertendolo che, nella sua qualità di persona sottoposta alle
indagini o di imputato, ha l'obbligo di comunicare ogni mutamento del
domicilio dichiarato o eletto e che in mancanza di tale comunicazione o nel
caso di rifiuto di dichiarare o eleggere domicilio, le notificazioni verranno
eseguite mediante consegna al difensore. Della dichiarazione o della
elezione di domicilio, ovvero del rifiuto di compierla, è fatta menzione nel
verbale.
2. Fuori del caso previsto dal comma 1, l'invito a dichiarare o eleggere domicilio
è formulato con l'informazione di garanzia o con il primo atto notificato per
disposizione dell'autorità giudiziaria. L'imputato è avvertito che deve
comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto e che in caso
di mancanza, di insufficienza o di inidoneità della dichiarazione o della
elezione, le successive notificazioni verranno eseguite nel luogo in cui l'atto
è stato notificato.
3. L'imputato detenuto che deve essere scarcerato per causa diversa dal
proscioglimento definitivo e l'imputato che deve essere dimesso da un
istituto per l'esecuzione di misure di sicurezza, all'atto della scarcerazione o
della dimissione ha l'obbligo di fare la dichiarazione o l'elezione di domicilio
con atto ricevuto a verbale dal direttore dell'istituto. Questi lo avverte a
norma del comma 1, iscrive la dichiarazione o elezione nell'apposito registro
e trasmette immediatamente il verbale all'autorità che ha disposto la
scarcerazione o la dimissione.
4. Se la notificazione nel domicilio determinato a norma del comma 2 diviene
impossibile, le notificazioni sono eseguite mediante consegna al difensore.
Nello stesso modo si procede quando, nei casi previsti dai commi 1 e 3, la
dichiarazione o l'elezione di domicilio mancano o sono insufficienti o
inidonee. Tuttavia, quando risulta che, per caso fortuito o forza maggiore,
l'imputato non è stato nella condizione di comunicare il mutamento del
luogo dichiarato o eletto, si applicano le disposizioni degli articoli 157 e 159.

Art. 189. - Prove non disciplinate dalla legge.


1. Quando è richiesta una prova non disciplinata dalla legge, il Giudice può
assumerla se essa risulta idonea ad assicurare l'accertamento dei fatti e non
pregiudica la libertà morale della persona. Il Giudice provvede
all'ammissione, sentite le parti sulle modalità di assunzione della prova.

Art. 190. - Diritto alla prova.

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1. Le prove sono ammesse a richiesta di parte. Il giudice provvede senza
ritardo con ordinanza escludendo le prove vietate dalla legge e quelle che
manifestamente sono superflue o irrilevanti.
2. La legge stabilisce i casi in cui le prove sono ammesse di ufficio.
3. I provvedimenti sull'ammissione della prova possono essere revocati sentite
le parti in contraddittorio.

Art. 192. - Valutazione della prova.


1. Il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti
e dei criteri adottati.
2. L'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi
siano gravi, precisi e concordanti.
3. Le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato o da persona
imputata in un procedimento connesso a norma dell'articolo 12 sono
valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano
l'attendibilità.
4. La disposizione del comma 3 si applica anche alle dichiarazioni rese da
persona imputata di un reato collegato a quello per cui si procede, nel caso
previsto dall'articolo 371 comma 2 lettera b).

Art. 195. - Testimonianza indiretta.


1. Quando il testimone si riferisce, per la conoscenza dei fatti, ad altre
persone, il giudice, a richiesta di parte, dispone che queste siano chiamate a
deporre.
2. Il giudice può disporre anche di ufficio l'esame delle persone indicate nel
comma 1.
3. L'inosservanza della disposizione del comma 1 rende inutilizzabili le
dichiarazioni relative a fatti di cui il testimone abbia avuto conoscenza da
altre persone, salvo che l'esame di queste risulti impossibile per morte,
infermità o irreperibilità.
4. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono deporre sul
contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui
agli articoli 351 e 357, comma 2, lettere a) e b). Negli altri casi si applicano
le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 del presente articolo.
5. Le disposizioni dei commi precedenti si applicano anche quando il testimone
abbia avuto comunicazione del fatto in forma diversa da quella orale.
6. I testimoni non possono essere esaminati su fatti comunque appresi dalle
persone indicate negli articoli 200 e 201 in relazione alle circostanze
previste nei medesimi articoli, salvo che le predette persone abbiano
deposto sugli stessi fatti o li abbiano in altro modo divulgati.

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7. Non può essere utilizzata la testimonianza di chi si rifiuta o non è in grado di
indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto
dell'esame.

Art. 197. - Incompatibilità con l'ufficio di testimone.

1. Non possono essere assunti come testimoni:


a) i coimputati del medesimo reato o le persone imputate in un procedimento
connesso a norma dell'articolo 12, comma 1, lettera a), salvo che nei loro
confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di
condanna o di applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444;
b) salvo quanto previsto dall'articolo 64, comma 3, lettera c), le persone
imputate in un procedimento connesso a norma dell'articolo 12, comma 1,
lettera c), o di un reato collegato a norma dell'articolo 371, comma 2,
lettera b), prima che nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza
irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai
sensi dell'articolo 444;
c) il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena
pecuniaria;
d) coloro che nel medesimo procedimento svolgono o hanno svolto la funzione
di giudice, pubblico ministero o loro ausiliario nonché il difensore che abbia
svolto attività di investigazione difensiva e coloro che hanno formato la
documentazione delle dichiarazioni e delle informazioni assunte ai sensi
dell'articolo 391-ter.

Art. 197-bis. - Persone imputate o giudicate in un procedimento


connesso o per reato collegato che assumono l'ufficio di testimone.

1. L'imputato in un procedimento connesso ai sensi dell'articolo 12 o di un


reato collegato a norma dell'articolo 371, comma 2, lettera b), può essere
sempre sentito come testimone quando nei suoi confronti è stata
pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di
applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444.
2. L'imputato in un procedimento connesso ai sensi dell'articolo 12, comma 1,
lettera c), o di un reato collegato a norma dell'articolo 371, comma 2,
lettera b), può essere sentito come testimone, inoltre, nel caso previsto
dall'articolo 64, comma 3, lettera c).
3. Nei casi previsti dai commi 1 e 2 il testimone è assistito da un difensore. In
mancanza di difensore di fiducia è designato un difensore di ufficio. (1)
4. Nel caso previsto dal comma 1 il testimone non può essere obbligato a
deporre sui fatti per i quali è stata pronunciata in giudizio sentenza di

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condanna nei suoi confronti, se nel procedimento egli aveva negato la
propria responsabilità ovvero non aveva reso alcuna dichiarazione. Nel caso
previsto dal comma 2 il testimone non può essere obbligato a deporre su
fatti che concernono la propria responsabilità in ordine al reato per cui si
procede o si è proceduto nei suoi confronti.
5. In ogni caso le dichiarazioni rese dai soggetti di cui al presente articolo non
possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese nel procedimento
a suo carico, nel procedimento di revisione della sentenza di condanna ed in
qualsiasi giudizio civile o amministrativo relativo al fatto oggetto dei
procedimenti e delle sentenze suddette.
6. Alle dichiarazioni rese dalle persone che assumono l'ufficio di testimone ai
sensi del presente articolo si applica la disposizione di cui all'articolo 192,
comma 3. (1)

(1) La Corte costituzionale con sentenza 21 novembre 2006, n. 381 ha


dichiarato l’illegittimità dei commi 3 e 6 del presente articolo nella parte in
cui prevedono, rispettivamente, l'assistenza di un difensore e l'applicazione
della disposizione di cui all'art. 192, comma 3, anche per le dichiarazioni
rese dalle persone, indicate al comma 1 del art. 197-bis cod. proc. pen., nei
cui confronti sia stata pronunciata sentenza di assoluzione «per non aver
commesso il fatto» divenuta irrevocabile.

Art. 198. - Obblighi del testimone.


1. Il testimone ha l'obbligo di presentarsi al giudice e di attenersi alle
prescrizioni date dal medesimo per le esigenze processuali e di rispondere
secondo verità alle domande che gli sono rivolte.
2. Il testimone non può essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe
emergere una sua responsabilità penale.

Art. 199. - Facoltà di astensione dei prossimi congiunti.


1. I prossimi congiunti dell'imputato non sono obbligati a deporre. Devono
tuttavia deporre quando hanno presentato denuncia, querela o istanza
ovvero essi o un loro prossimo congiunto sono offesi dal reato.
2. Il giudice, a pena di nullità, avvisa le persone predette della facoltà di
astenersi chiedendo loro se intendono avvalersene.
3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano anche a chi è legato all'imputato
da vincolo di adozione. Si applicano inoltre, limitatamente ai fatti verificatisi
o appresi dall'imputato durante la convivenza coniugale:
a) a chi, pur non essendo coniuge dell'imputato, come tale conviva o abbia
convissuto con esso;
b) al coniuge separato dell'imputato;

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c) alla persona nei cui confronti sia intervenuta sentenza di annullamento,
scioglimento o cessazione degli effetti
civili del matrimonio contratto con l'imputato.

Art. 210. - Esame di persona imputata in un procedimento connesso.


1. Nel dibattimento, le persone imputate in un procedimento connesso a norma
dell'articolo 12, comma 1, lettera a), nei confronti delle quali si procede o si
è proceduto separatamente e che non possono assumere l'ufficio di
testimone, sono esaminate a richiesta di parte, ovvero, nel caso indicato
nell'articolo 195, anche di ufficio.
2. Esse hanno obbligo di presentarsi al giudice, il quale, ove occorra, ne ordina
l'accompagnamento coattivo. Si osservano le norme sulla citazione dei
testimoni.
3. Le persone indicate nel comma 1 sono assistite da un difensore che ha
diritto di partecipare all'esame. In mancanza di un difensore di fiducia è
designato un difensore di ufficio.
4. Prima che abbia inizio l'esame, il giudice avverte le persone indicate nel
comma 1 che, salvo quanto disposto dall'articolo 66 comma 1, esse hanno
facoltà di non rispondere.
5. All'esame si applicano le disposizioni previste dagli articoli 194, 195, 498,
499 e 500.
6. Le disposizioni dei commi precedenti si applicano anche alle persone
imputate in un procedimento connesso ai sensi dell'articolo 12, comma 1,
lettera c), o di un reato collegato a norma dell'articolo 371, comma 2,
lettera b), che non hanno reso in precedenza dichiarazioni concernenti la
responsabilità dell'imputato. Tuttavia a tali persone è dato l'avvertimento
previsto dall'articolo 64, comma 3, lettera c), e, se esse non si avvalgono
della facoltà di non rispondere, assumono l'ufficio di testimone. Al loro
esame si applicano, in tal caso, oltre alle disposizioni richiamate dal comma
5, anche quelle previste dagli articoli 197-bis e 497.

Art. 250. - Perquisizioni locali.


1. Nell'atto di iniziare le operazioni, copia del decreto di perquisizione locale è
consegnata all'imputato, se presente, e a chi abbia l'attuale disponibilità del
luogo, con l'avviso della facoltà di farsi rappresentare o assistere da persona
di fiducia, purché questa sia prontamente reperibile e idonea a norma
dell'articolo 120.
2. Se mancano le persone indicate nel comma 1, la copia è consegnata e
l'avviso è rivolto a un congiunto, un coabitante o un collaboratore ovvero, in
mancanza, al portiere o a chi ne fa le veci.

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13
3. L'autorità giudiziaria, nel procedere alla perquisizione locale, può disporre
con decreto motivato che siano perquisite le persone presenti o
sopraggiunte, quando ritiene che le stesse possano occultare il corpo del
reato o cose pertinenti al reato. Può inoltre ordinare, enunciando nel verbale
i motivi del provvedimento, che taluno non si allontani prima che le
operazioni siano concluse. Il trasgressore è trattenuto o ricondotto
coattivamente sul posto.

Art. 253. - Oggetto e formalità del sequestro.


1. L'autorità giudiziaria dispone con decreto motivato il sequestro del corpo del
reato e delle cose pertinenti al reato necessarie per l'accertamento dei fatti.
2. Sono corpo del reato le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato
commesso nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il
prezzo.
3. Al sequestro procede personalmente l'autorità giudiziaria ovvero un ufficiale
di polizia giudiziaria delegato con lo stesso decreto.
4. Copia del decreto di sequestro è consegnata all'interessato, se presente.

Art. 266. - Limiti di ammissibilità.


1. L'intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche e di altre
forme di telecomunicazione è consentita nei procedimenti relativi ai seguenti
reati:
a) delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della
reclusione superiore nel massimo a cinque anni determinata a norma
dell'articolo 4;
b) delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della
reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni determinata a norma
dell'articolo 4;
c) delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope;
d) delitti concernenti le armi e le sostanze esplosive;
e) delitti di contrabbando;
f) reati di ingiuria, minaccia, usura, abusiva attività finanziaria, abuso di
informazioni privilegiate, manipolazione del mercato, molestia o disturbo
alle persone col mezzo del telefono;
f-bis) delitti previsti dall'articolo 600-ter, terzo comma, del codice penale,
anche se relativi al materiale pornografico di cui all'articolo 600-quater.1 del
medesimo codice.
2. Negli stessi casi è consentita l'intercettazione di comunicazioni tra presenti.
Tuttavia, qualora queste avvengano nei luoghi indicati dall'articolo 614 del
codice penale, l'intercettazione è consentita solo se vi è fondato motivo di
ritenere che ivi si stia svolgendo l'attività criminosa.

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Art. 307. - Assistenza ai partecipi di cospirazione o di banda armata.


Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato o di favoreggiamento, dà rifugio
o fornisce vitto, ospitalità, mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione a
taluna delle persone che partecipano all'associazione o alla banda indicate
nei due articoli precedenti, è punito con la reclusione fino a due anni.
La pena è aumentata se l'assistenza è prestata continuatamente .
Non è punibile chi commette il fatto in favore di un prossimo congiunto.
Agli effetti della legge penale, s'intendono per i prossimi congiunti gli
ascendenti, i discendenti, il coniuge, i fratelli, le sorelle, gli affini
nello stesso grado, gli zii e i nipoti: nondimeno, nella denominazione
di prossimi congiunti, non si comprendono gli affini, allorché sia
morto il coniuge e non vi sia prole.

Art. 326. - Finalità delle indagini preliminari.


1. Il pubblico ministero e la polizia giudiziaria svolgono, nell'ambito delle
rispettive attribuzioni, le indagini necessarie per le determinazioni inerenti
all'esercizio dell'azione penale.

Art. 329. - Obbligo del segreto.


1. Gli atti d'indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria
sono coperti dal segreto fino a quando l'imputato non ne possa avere
conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari.
2. Quando è necessario per la prosecuzione delle indagini, il pubblico ministero
può, in deroga a quanto previsto dall'articolo 114, consentire, con decreto
motivato, la pubblicazione di singoli atti o di parti di essi. In tal caso, gli atti
pubblicati sono depositati presso la segreteria del pubblico ministero.
3. Anche quando gli atti non sono più coperti dal segreto a norma del comma
1, il pubblico ministero, in caso di necessità per la prosecuzione delle
indagini, può disporre con decreto motivato:
a) l'obbligo del segreto per singoli atti, quando l'imputato lo consente o quando
la conoscenza dell'atto può ostacolare le indagini riguardanti altre persone;
b) il divieto di pubblicare il contenuto di singoli atti o notizie specifiche relative
a determinate operazioni.

Art. 331. - Denuncia da parte di pubblici ufficiali e incaricati di un


pubblico servizio.
1. Salvo quanto stabilito dall'articolo 347, i pubblici ufficiali e gli incaricati di un
pubblico servizio che, nell'esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro
servizio, hanno notizia di reato perseguibile di ufficio, devono farne

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denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale
il reato è attribuito.
2. La denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero o
a un ufficiale di polizia giudiziaria.
3. Quando più persone sono obbligate alla denuncia per il medesimo fatto,
esse possono anche redigere e sottoscrivere un unico atto.
4. Se, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, emerge un fatto
nel quale si può configurare un reato perseguibile di ufficio, l'autorità che
procede redige e trasmette senza ritardo la denuncia al pubblico ministero.

Art. 332. - Contenuto della denuncia.


1. La denuncia contiene la esposizione degli elementi essenziali del fatto e
indica il giorno dell'acquisizione della notizia nonché le fonti di prova già
note. Contiene inoltre, quando è possibile, le generalità, il domicilio e
quanto altro valga alla identificazione della persona alla quale il fatto è
attribuito, della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su
circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti.

Art. 334. - Referto.


1. Chi ha l'obbligo del referto deve farlo pervenire entro quarantotto ore o, se
vi è pericolo nel ritardo, immediatamente al pubblico ministero o a qualsiasi
ufficiale di polizia giudiziaria del luogo in cui ha prestato la propria opera o
assistenza ovvero, in loro mancanza, all'ufficiale di polizia giudiziaria più
vicino.
2. Il referto indica la persona alla quale è stata prestata assistenza e, se è
possibile, le sue generalità, il luogo dove si trova attualmente e quanto altro
valga a identificarla nonché il luogo, il tempo e le altre circostanze
dell'intervento; dà inoltre le notizie che servono a stabilire le circostanze del
fatto, i mezzi con i quali è stato commesso e gli effetti che ha causato o può
causare.
3. Se più persone hanno prestato la loro assistenza nella medesima occasione,
sono tutte obbligate al referto, con facoltà di redigere e sottoscrivere un
unico atto.

Art. 334-bis. - Esclusione dell'obbligo di denuncia nell'ambito


dell'attività di investigazioni difensiva.
1. Il difensore e gli altri soggetti di cui all'articolo 391-bis non hanno obbligo di
denuncia neppure relativamente ai reati dei quali abbiano avuto notizia nel
corso delle attività investigative da essi svolte.

Art. 347. - Obbligo di riferire la notizia del reato.

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1. Acquisita la notizia di reato, la polizia giudiziaria, senza ritardo, riferisce al
pubblico ministero, per iscritto, gli elementi essenziali del fatto e gli altri
elementi sino ad allora raccolti, indicando le fonti di prova e le attività
compiute, delle quali trasmette la relativa documentazione.
2. Comunica, inoltre, quando è possibile, le generalità, il domicilio e quanto
altro valga alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte
le indagini, della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su
circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti.
2-bis. Qualora siano stati compiuti atti per i quali è prevista l'assistenza del
difensore della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, la
comunicazione della notizia di reato è trasmessa al più tardi entro
quarantotto ore dal compimento dell'atto, salve le disposizioni di legge che
prevedono termini particolari.
3. Se si tratta di taluno dei delitti indicati nell'articolo 407, comma 2, lettera a),
numeri da 1) a 6) e, in ogni caso, quando sussistono ragioni di urgenza, la
comunicazione della notizia di reato è data immediatamente anche in forma
orale. Alla comunicazione orale deve seguire senza ritardo quella scritta con
le indicazioni e la documentazione previste dai commi 1 e 2.
4. Con la comunicazione, la polizia giudiziaria indica il giorno e l'ora in cui ha
acquisito la notizia.

Art. 349. - Identificazione della persona nei cui confronti vengono


svolte le indagini e di altre persone.
1. La polizia giudiziaria procede alla identificazione della persona nei cui
confronti vengono svolte le indagini e delle persone in grado di riferire su
circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti.
2. Alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini
può procedersi anche eseguendo, ove occorra, rilievi dattiloscopici,
fotografici e antropometrici nonché altri accertamenti.
2-bis. Se gli accertamenti indicati dal comma 2 comportano il prelievo di
capelli o saliva e manca il consenso dell'interessato, la polizia giudiziaria
procede al prelievo coattivo nel rispetto della dignità personale del soggetto,
previa autorizzazione scritta, oppure resa oralmente e confermata per
iscritto, del pubblico ministero.
3. Quando procede alla identificazione, la polizia giudiziaria invita la persona
nei cui confronti vengono svolte le indagini a dichiarare o a eleggere il
domicilio per le notificazioni a norma dell'articolo 161. Osserva inoltre le
disposizioni dell'articolo 66.
4. Se taluna delle persone indicate nel comma 1 rifiuta di farsi identificare
ovvero fornisce generalità o documenti di identificazione in relazione ai quali
sussistono sufficienti elementi per ritenerne la falsità, la polizia giudiziaria la

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accompagna nei propri uffici e ivi la trattiene per il tempo strettamente
necessario per la identificazione e comunque non oltre le dodici ore ovvero,
previo avviso anche orale al pubblico ministero, non oltre le ventiquattro
ore, nel caso che l'identificazione risulti particolarmente complessa oppure
occorra l'assistenza dell'autorità consolare o di un interprete, ed in tal caso
con facoltà per il soggetto di chiedere di avvisare un familiare o un
convivente.
5. Dell'accompagnamento e dell'ora in cui questo è stato compiuto è data
immediata notizia al pubblico ministero il quale, se ritiene che non ricorrono
le condizioni previste dal comma 4, ordina il rilascio della persona
accompagnata.
6. Al pubblico ministero è data altresì notizia del rilascio della persona
accompagnata e dell'ora in cui esso è avvenuto.

Art. 350. - Sommarie informazioni dalla persona nei cui confronti


vengono svolte le indagini.
1. Gli ufficiali di polizia giudiziaria assumono, con le modalità previste
dall'articolo 64, sommarie informazioni utili per le investigazioni dalla
persona nei cui confronti vengono svolte le indagini che non si trovi in stato
di arresto o di fermo a norma dell'articolo 384.
2. Prima di assumere le sommarie informazioni, la polizia giudiziaria invita la
persona nei cui confronti vengono svolte le indagini a nominare un difensore
di fiducia e, in difetto, provvede a norma dell'articolo 97 comma 3.
3. Le sommarie informazioni sono assunte con la necessaria assistenza del
difensore, al quale la polizia giudiziaria dà tempestivo avviso. Il difensore ha
l'obbligo di presenziare al compimento dell'atto.
4. Se il difensore non è stato reperito o non è comparso, la polizia giudiziaria
richiede al pubblico ministero di provvedere a norma dell'articolo 97,
comma 4.
5. Sul luogo o nell'immediatezza del fatto, gli ufficiali di polizia giudiziaria
possono, anche senza la presenza del difensore, assumere dalla persona nei
cui confronti vengono svolte le indagini, anche se arrestata in flagranza o
fermata a norma dell'articolo 384, notizie e indicazioni utili ai fini della
immediata prosecuzione delle indagini.
6. Delle notizie e delle indicazioni assunte senza l'assistenza del difensore sul
luogo o nell'immediatezza del fatto a norma del comma 5 è vietata ogni
documentazione e utilizzazione.
7. La polizia giudiziaria può altresì ricevere dichiarazioni spontanee dalla
persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, ma di esse non è
consentita la utilizzazione nel dibattimento, salvo quanto previsto
dall'articolo 503 comma 3.

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Art. 351. - Altre sommarie informazioni.


1. La polizia giudiziaria assume sommarie informazioni dalle persone che
possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini. Si applicano le
disposizioni del secondo e terzo periodo del comma 1 dell'articolo 362.
1-bis. All'assunzione di informazioni da persona imputata in un procedimento
connesso ovvero da persona imputata di un reato collegato a quello per cui
si procede nel caso previsto dall'articolo 371 comma 2 lettera b), procede
un ufficiale di polizia giudiziaria. La persona predetta, se priva del difensore,
è avvisata che è assistita da un difensore di ufficio, ma che può nominarne
uno di fiducia. Il difensore deve essere tempestivamente avvisato e ha
diritto di assistere all'atto.

Art. 352. - Perquisizioni.


1. Nella flagranza del reato o nel caso di evasione, gli ufficiali di polizia
giudiziaria procedono a perquisizione personale o locale quando hanno
fondato motivo di ritenere che sulla persona si trovino occultate cose o
tracce pertinenti al reato che possono essere cancellate o disperse ovvero
che tali cose o tracce si trovino in un determinato luogo o che ivi si trovi la
persona sottoposta alle indagini o l'evaso.
2. Quando si deve procedere alla esecuzione di un'ordinanza che dispone la
custodia cautelare o di un ordine che dispone la carcerazione nei confronti di
persona imputata o condannata per uno dei delitti previsti dall'articolo 380
ovvero al fermo di una persona indiziata di delitto, gli ufficiali di polizia
giudiziaria possono altresì procedere a perquisizione personale o locale se
ricorrono i presupposti indicati nel comma 1 e sussistono particolari motivi
di urgenza che non consentono la emissione di un tempestivo decreto di
perquisizione.
3. La perquisizione domiciliare può essere eseguita anche fuori dei limiti
temporali dell'articolo 251 quando il ritardo potrebbe pregiudicarne l'esito.
4. La polizia giudiziaria trasmette senza ritardo, e comunque non oltre le
quarantotto ore, al pubblico ministero del luogo dove la perquisizione è
stata eseguita il verbale delle operazioni compiute. Il pubblico ministero, se
ne ricorrono i presupposti, nelle quarantotto ore successive, convalida la
perquisizione.

Art. 354. - Accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone.
Sequestro.
1. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria curano che le tracce e le cose
pertinenti al reato siano conservate e che lo stato dei luoghi e delle cose
non venga mutato prima dell'intervento del pubblico ministero.

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2. Se vi è pericolo che le cose, le tracce e i luoghi indicati nel comma 1 si
alterino o si disperdano o comunque si modifichino e il pubblico ministero
non può intervenire tempestivamente, ovvero non ha ancora assunto la
direzione delle indagini, gli ufficiali di polizia giudiziaria compiono i necessari
accertamenti e rilievi sullo stato dei luoghi e delle cose. Se del caso,
sequestrano il corpo del reato e le cose a questo pertinenti.
3. Se ricorrono i presupposti previsti dal comma 2, gli ufficiali di polizia
giudiziaria compiono i necessari accertamenti e rilievi sulle persone diversi
dalla ispezione personale. Se gli accertamenti comportano il prelievo di
materiale biologico, si osservano le disposizioni del comma 2-bis dell'articolo
349.

Art. 357. - Documentazione dell'attività di polizia giudiziaria.


1. La polizia giudiziaria annota secondo le modalità ritenute idonee ai fini delle
indagini, anche sommariamente, tutte le attività svolte, comprese quelle
dirette alla individuazione delle fonti di prova.
2. Fermo quanto disposto in relazione a specifiche attività, redige verbale dei
seguenti atti:
a) denunce, querele e istanze presentate oralmente;
b) sommarie informazioni rese e dichiarazioni spontanee ricevute dalla persona
nei cui confronti vengono svolte le indagini;
c) informazioni assunte, a norma dell'articolo 351;
d) perquisizioni e sequestri;
e) operazioni e accertamenti previsti dagli articoli 349, 353 e 354;
f) atti, che descrivono fatti e situazioni, eventualmente compiuti sino a che il
pubblico ministero non ha impartito le direttive per lo svolgimento delle
indagini.
3. Il verbale è redatto da ufficiali o agenti di polizia giudiziaria nelle forme e
con le modalità previste dall'articolo 373.
4. La documentazione dell'attività di polizia giudiziaria è posta a disposizione
del pubblico ministero.
5. A disposizione del pubblico ministero sono altresì poste le denunce, le
istanze e le querele presentate per iscritto, i referti, il corpo del reato e le
cose pertinenti al reato.

Art. 357. - Nozione del pubblico ufficiale.


Agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano
una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa.
Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di
diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla

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manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo
svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi.

Art. 358. - Nozione della persona incaricata di un pubblico servizio.


Agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i
quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio.
Per pubblico servizio deve intendersi un'attività disciplinata nelle stesse forme
della pubblica funzione, ma caratterizzata, dalla mancanza dei poteri tipici di
quest'ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di
ordine e della prestazione di opera meramente materiale.

Art. 360. - Accertamenti tecnici non ripetibili.


1. Quando gli accertamenti previsti dall'articolo 359 riguardano persone, cose
o luoghi il cui stato è soggetto a modificazione, il pubblico ministero avvisa,
senza ritardo, la persona sottoposta alle indagini, la persona offesa dal
reato e i difensori del giorno, dell'ora e del luogo fissati per il conferimento
dell'incarico e della facoltà di nominare consulenti tecnici.
2. Si applicano le disposizioni dell'articolo 364 comma 2.
3. I difensori nonché i consulenti tecnici eventualmente nominati hanno diritto
di assistere al conferimento dell'incarico, di partecipare agli accertamenti e
di formulare osservazioni e riserve.
4. Qualora, prima del conferimento dell'incarico, la persona sottoposta alle
indagini formuli riserva di promuovere incidente probatorio, il pubblico
ministero dispone che non si proceda agli accertamenti salvo che questi, se
differiti, non possano più essere utilmente compiuti.
5. Se il pubblico ministero, malgrado l'espressa riserva formulata dalla persona
sottoposta alle indagini e pur non sussistendo le condizioni indicate
nell'ultima parte del comma 4, ha ugualmente disposto di procedere agli
accertamenti, i relativi risultati non possono essere utilizzati nel
dibattimento.

Art. 361. - Omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale.


Il pubblico ufficiale, il quale omette o ritarda di denunciare all'autorità
giudiziaria, o ad un'altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, un
reato di cui ha avuto notizia nell'esercizio o a causa delle sue funzioni, è
punito con la multa da euro 30 a euro 516.
La pena è della reclusione fino ad un anno, se il colpevole è un ufficiale o un
agente di polizia giudiziaria, che ha avuto comunque notizia di un reato del
quale doveva fare rapporto.
Le disposizioni precedenti non si applicano se si tratta di delitto punibile a
querela della persona offesa.

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Art. 364. - Nomina e assistenza del difensore.


1. Il pubblico ministero, se deve procedere a interrogatorio, ovvero a ispezione
o confronto cui deve partecipare la persona sottoposta alle indagini, la invita
a presentarsi a norma dell'articolo 375.
2. La persona sottoposta alle indagini priva del difensore è altresì avvisata che
è assistita da un difensore di ufficio, ma che può nominarne uno di fiducia.
3. Al difensore di ufficio o a quello di fiducia in precedenza nominato è dato
avviso almeno ventiquattro ore prima del compimento degli atti indicati nel
comma 1 e delle ispezioni a cui non deve partecipare la persona sottoposta
alle indagini.
4. Il difensore ha in ogni caso diritto di assistere agli atti indicati nei commi 1 e
3, fermo quanto previsto dall'articolo 245.
5. Nei casi di assoluta urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che il
ritardo possa pregiudicare la ricerca o l'assicurazione delle fonti di prova, il
pubblico ministero può procedere a interrogatorio, a ispezione o a confronto
anche prima del termine fissato dandone avviso al difensore senza ritardo e
comunque tempestivamente. L'avviso può essere omesso quando il pubblico
ministero procede a ispezione e vi è fondato motivo di ritenere che le tracce
o gli altri effetti materiali del reato possano essere alterati. E' fatta salva, in
ogni caso, la facoltà del difensore d'intervenire.
6. Quando procede nei modi previsti dal comma 5, il pubblico ministero deve
specificamente indicare, a pena di nullità, i motivi della deroga e le modalità
dell'avviso.
7. E' vietato a coloro che intervengono agli atti di fare segni di approvazione o
disapprovazione. Quando assiste al compimento degli atti, il difensore può
presentare al pubblico ministero richieste, osservazioni e riserve delle quali
è fatta menzione nel verbale.

Art. 365. - Atti ai quali il difensore ha diritto di assistere senza avviso.


1. Il pubblico ministero, quando procede al compimento di atti di perquisizione
o sequestro, chiede alla persona sottoposta alle indagini, che sia presente,
se è assistita da un difensore di fiducia e, qualora ne sia priva, designa un
difensore di ufficio a norma dell'articolo 97 comma 3.
2. Il difensore ha facoltà di assistere al compimento dell'atto, fermo quanto
previsto dall'articolo 249.
3. Si applicano le disposizioni dell'articolo 364 comma 7.

Art. 369. - Informazione di garanzia.


1. Solo quando deve compiere un atto al quale il difensore ha diritto di
assistere, il pubblico ministero invia per posta, in piego chiuso

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raccomandato con ricevuta di ritorno, alla persona sottoposta alle indagini e
alla persona offesa una informazione di garanzia con indicazione delle
norme di legge che si assumono violate della data e del luogo del fatto e
con invito a esercitare la facoltà di nominare un difensore di fiducia.
2. Qualora ne ravvisi la necessità ovvero l'ufficio postale restituisca il piego per
irreperibilità del destinatario, il pubblico ministero può disporre che
l'informazione di garanzia sia notificata a norma dell'articolo 151.

Art. 370. - Atti diretti e atti delegati.


1. Il pubblico ministero compie personalmente ogni attività di indagine. Può
avvalersi della polizia giudiziaria per il compimento di attività di indagine e
di atti specificamente delegati, ivi compresi gli interrogatori ed i confronti
cui partecipi la persona sottoposta alle indagini che si trovi in stato di
libertà, con l'assistenza necessaria del difensore.
2. Quando procede a norma del comma 1, la polizia giudiziaria osserva le
disposizioni degli articoli 364, 365 e 373.
3. Per singoli atti da assumere nella circoscrizione di altro tribunale, il pubblico
ministero, qualora non ritenga di procedere personalmente, può delegare,
secondo la rispettiva competenza per materia, il pubblico ministero presso il
tribunale del luogo.
4. Quando ricorrono ragioni di urgenza o altri gravi motivi, il pubblico ministero
delegato a norma del comma 3 ha facoltà di procedere di propria iniziativa
anche agli atti che a seguito dello svolgimento di quelli specificamente
delegati appaiono necessari ai fini delle indagini.

Art. 371. - Rapporti tra diversi uffici del pubblico ministero.


1. Gli uffici diversi del pubblico ministero che procedono a indagini collegate, si
coordinano tra loro per la speditezza, economia ed efficacia delle indagini
medesime. A tali fini provvedono allo scambio di atti e di informazioni
nonché alla comunicazione delle direttive rispettivamente impartite alla
polizia giudiziaria. Possono altresì procedere, congiuntamente, al
compimento di specifici atti.
2. Le indagini di uffici diversi del pubblico ministero si considerano collegate:
a) se i procedimenti sono connessi a norma dell'articolo 12;
b) se si tratta di reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli
altri, o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il
prezzo, il prodotto o l'impunità, o che sono stati commessi da più persone in
danno reciproco le une delle altre, ovvero se la prova di un reato o di una
sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un'altra
circostanza;
c) se la prova di più reati deriva, anche in parte, dalla stessa fonte.

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3. Salvo quanto disposto dall'articolo 12, il collegamento delle indagini non ha
effetto sulla competenza.

Art. 391-quinquies - Potere di segretazione del pubblico ministero.


1. Se sussistono specifiche esigenze attinenti all'attività di indagine, il pubblico
ministero può, con decreto motivato, vietare alle persone sentite di
comunicare i fatti e le circostanze oggetto dell'indagine di cui hanno
conoscenza. Il divieto non può avere una durata superiore a due mesi.
2. Il pubblico ministero, nel comunicare il divieto di cui al comma 1 alle
persone che hanno rilasciato le dichiarazioni, le avverte delle responsabilità
penali conseguenti all'indebita rivelazione delle notizie.

Art. 407. - Termini di durata massima delle indagini preliminari.


1. Salvo quanto previsto all'articolo 393 comma 4, la durata delle indagini
preliminari non può comunque superare diciotto mesi.
2. La durata massima è tuttavia di due anni se le indagini preliminari
riguardano:
a) i delitti appresso indicati:
1) delitti di cui agli articoli 285, 286, 416-bis e 422 del codice penale, 291-ter,
limitatamente alle ipotesi aggravate previste dalle lettere a), d) ed e) del
comma 2, e 291-quater, comma 4, del testo unico approvato con decreto
del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43;
2) delitti consumati o tentati di cui agli articoli 575, 628, terzo comma, 629,
secondo comma, e 630 dello stesso codice penale;
3) delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis
del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni
previste dallo stesso articolo;
4) delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento
costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non
inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni, nonché delitti
di cui agli articoli 270, terzo comma e 306, secondo comma, del codice
penale;
5) delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita,
cessione, detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi
da guerra o tipo guerra o parti di esse, di esplosivi, di armi clandestine
nonché di più armi comuni da sparo escluse quelle previste dall'articolo 2,
comma terzo, della legge 18 aprile 1975, n. 110;
6) delitti di cui agli articoli 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi
dell'articolo 80, comma 2, e 74 del testo unico delle leggi in materia di
disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con decreto

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del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive
modificazioni;
7) delitto di cui all'articolo 416 del codice penale nei casi in cui è obbligatorio
l'arresto in flagranza;
7-bis) dei delitti previsto dagli articoli 600, 600-bis, comma 1, 600-ter, comma
1, 601, 602, 609-bis nelle ipotesi aggravate previste dall'articolo 609-ter,
609-quater, 609-octies del codice penale;
b) notizie di reato che rendono particolarmente complesse le investigazioni per
la molteplicità di fatti tra loro collegati ovvero per l'elevato numero di
persone sottoposte alle indagini o di persone offese;
c) indagini che richiedono il compimento di atti all'estero;
d) procedimenti in cui è indispensabile mantenere il collegamento tra più uffici
del pubblico ministero a norma dell'articolo 371.
3. Salvo quanto previsto dall'articolo 415-bis, qualora il pubblico ministero non
abbia esercitato l'azione penale o richiesto l'archiviazione nel termine
stabilito dalla legge o prorogato dal Giudice, gli atti di indagine compiuti
dopo la scadenza del termine non possono essere utilizzati.

Art. 495. - Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale


sulla identità o su qualità personali proprie o di altri.
Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto
pubblico, l'identità o lo stato o altre qualità della propria o dell'altrui persona
è punito con la reclusione fino a tre anni.
Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto in una dichiarazione destinata a
essere riprodotta in un atto pubblico.
La reclusione non è inferiore ad un anno:
1. se si tratta di dichiarazione in atti dello stato civile;
2. se la falsa dichiarazione sulla propria identità, sul proprio stato o sulle
proprie qualità personali è resa da un imputato all'autorità giudiziaria o da
una persona sottoposta ad indagini alla stessa autorità o alla polizia
giudiziaria delegata alle indagini, ovvero se, per effetto della falsa
dichiarazione, nel casellario giudiziale una decisione penale viene iscritta
sotto falso nome.
La pena è diminuita se chi ha dichiarato il falso intendeva ottenere, per sé o
per altri, il rilascio di certificati o di autorizzazioni amministrative sotto falso
nome, o con altre indicazioni mendaci.

Art. 496. - False dichiarazioni sull'identità o su qualità personali


proprie o di altri.

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Chiunque, fuori dei casi indicati negli articoli precedenti, interrogato
sull'identità, sullo stato o su altre qualità della propria o dell'altrui persona,
fa mendaci dichiarazioni a un pubblico ufficiale , o a persona incaricata di un
pubblico servizio, nell'esercizio delle funzioni o del servizio, è punito con la
reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 516.

Art. 500. - Contestazioni nell'esame testimoniale.


1. Fermi i divieti di lettura e di allegazione, le parti, per contestare in tutto o in
parte il contenuto della deposizione, possono servirsi delle dichiarazioni
precedentemente rese dal testimone e contenute nel fascicolo del pubblico
ministero. Tale facoltà può essere esercitata solo se sui fatti o sulle
circostanze da contestare il testimone abbia già deposto.
2. Le dichiarazioni lette per la contestazione possono essere valutate ai fini
della credibilità del teste.
3. Se il teste rifiuta di sottoporsi all'esame o al controesame di una delle parti,
nei confronti di questa non possono essere utilizzate, senza il suo consenso,
le dichiarazioni rese ad altra parte, salve restando le sanzioni penali
eventualmente applicabili al dichiarante.
4. Quando, anche per le circostanze emerse nel dibattimento, vi sono elementi
concreti per ritenere che il testimone è stato sottoposto a violenza,
minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità, affinché non
deponga ovvero deponga il falso, le dichiarazioni contenute nel fascicolo del
pubblico ministero precedentemente rese dal testimone sono acquisite al
fascicolo del dibattimento e quelle previste dal comma 3 possono essere
utilizzate.
5. Sull'acquisizione di cui al comma 4 il giudice decide senza ritardo, svolgendo
gli accertamenti che ritiene necessari, su richiesta della parte, che può
fornire gli elementi concreti per ritenere che il testimone è stato sottoposto
a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità.
6. A richiesta di parte, le dichiarazioni assunte dal giudice a norma dell'articolo
422 sono acquisite al fascicolo del dibattimento e sono valutate ai fini della
prova nei confronti delle parti che hanno partecipato alla loro assunzione, se
sono state utilizzate per le contestazioni previste dal presente articolo. Fuori
dal caso previsto dal periodo precedente, si applicano le disposizioni di cui ai
commi 2, 4 e 5.
7. Fuori dai casi di cui al comma 4, su accordo delle parti le dichiarazioni
contenute nel fascicolo del pubblico ministero precedentemente rese dal
testimone sono acquisite al fascicolo del dibattimento.

Art. 512. - Lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione.

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1. Il giudice, a richiesta di parte, dispone che sia data lettura degli atti assunti
dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero, dai difensori delle parti
private e dal giudice nel corso della udienza preliminare quando, per fatti o
circostanze imprevedibili, ne è divenuta impossibile la ripetizione.
1-bis. È sempre consentita la lettura dei verbali relativi all'acquisizione ed alle
operazioni di distruzione degli atti di cui all'articolo 240.

Art. 513. - Lettura delle dichiarazioni rese dall'imputato nel corso delle
indagini preliminari o nell'udienza preliminare.
1. Il giudice, se l'imputato è contumace o assente ovvero rifiuta di sottoporsi
all'esame, dispone, a richiesta di parte, che sia data lettura dei verbali delle
dichiarazioni rese dall'imputato al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria
su delega del pubblico ministero o al giudice nel corso delle indagini
preliminari o nell'udienza preliminare, ma tali dichiarazioni non possono
essere utilizzate nei confronti di altri senza il loro consenso salvo che
ricorrano i presupposti di cui all'articolo 500, comma 4.
2. Se le dichiarazioni sono state rese dalle persone indicate nell'articolo 210,
comma 1, il giudice, a richiesta di parte, dispone, secondo i casi,
l'accompagnamento coattivo del dichiarante o l'esame a domicilio o la
rogatoria internazionale ovvero l'esame in altro modo previsto dalla legge
con le garanzie del contradditorio. Se non è possibile ottenere la presenza
del dichiarante, ovvero procedere all'esame in uno dei modi suddetti, si
applica la disposizione dell'articolo 512 qualora la impossibilità dipenda da
fatti o circostanze imprevedibili al momento delle dichiarazioni. Qualora il
dichiarante si avvalga della facoltà di non rispondere, il giudice dispone la
lettura dei verbali contenenti le suddette dichiarazioni soltanto con l'accordo
delle parti.
3. Se le dichiarazioni di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo sono state
assunte ai sensi dell'articolo 392, si applicano le disposizioni di cui
all'articolo 511.

Art. 530. - Sentenza di assoluzione.


1. Se il fatto non sussiste, se l'imputato non lo ha commesso, se il fatto non
costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero se il reato è
stato commesso da persona non imputabile o non punibile per un'altra
ragione, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione indicandone la causa
nel dispositivo.
2. Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è
insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che
l'imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è
stato commesso da persona imputabile.

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3. Se vi è la prova che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di
giustificazione o di una causa personale di non punibilità ovvero vi è dubbio
sull'esistenza delle stesse, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione a
norma del comma 1.
4. Con la sentenza di assoluzione il giudice applica, nei casi previsti dalla
legge, le misure di sicurezza.

Art. 533. - Condanna dell'imputato.


1. Il giudice pronuncia sentenza di condanna se l'imputato risulta colpevole del
reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio. Con la sentenza il
giudice applica la pena e le eventuali misure di sicurezza.
2. Se la condanna riguarda più reati, il giudice stabilisce la pena per ciascuno
di essi e quindi determina la pena che deve essere applicata in osservanza
delle norme sul concorso di reati e di pene o sulla continuazione . Nei casi
previsti dalla legge il giudice dichiara il condannato delinquente o
contravventore abituale o professionale o per tendenza.
3. Quando il giudice ritiene di dover concedere la sospensione condizionale
della pena o la non menzione della condanna nel certificato del casellario
giudiziale, provvede in tal senso con la sentenza di condanna.
3-bis. Quando la condanna riguarda procedimenti per i delitti di cui all'articolo
407, comma 2, lettera a), anche se connessi ad altri reati, il giudice può
disporre, nel pronunciare la sentenza, la separazione dei procedimenti
anche con riferimento allo stesso condannato quando taluno dei condannati
si trovi in stato di custodia cautelare e, per la scadenza dei termini e la
mancanza di altri titoli, sarebbe rimesso in libertà.

Art. 640. - Truffa.


Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad
altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei
mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032 .
La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a
euro 1.549:
1. se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col
pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare;
2. se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un
pericolo immaginario o l'erroneo convincimento di dovere eseguire un
ordine dell'autorità.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna
delle circostanze previste dal capoverso precedente o un'altra circostanza
aggravante.

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Art. 651. - Rifiuto d'indicazioni sulla propria identità personale.

Chiunque, richiesto da un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni,


rifiuta di dare indicazioni sulla propria identità personale, sul proprio stato, o
su altre qualità personali, è punito con l'arresto fino a un mese o con
l'ammenda fino a euro 206.

Art. 652. - Efficacia della sentenza penale di assoluzione nel giudizio


civile o amministrativo di danno.
1. La sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a
dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all'accertamento che il fatto
non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato
compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà
legittima, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il
risarcimento del danno promosso dal danneggiato o nell'interesse dello
stesso, sempre che il danneggiato si sia costituito o sia stato posto in
condizione di costituirsi parte civile, salvo che il danneggiato dal reato abbia
esercitato l'azione in sede civile a norma dell'articolo 75, comma 2.
2. La stessa efficacia ha la sentenza irrevocabile di assoluzione pronunciata a
norma dell'articolo 442, se la parte civile ha accettato il rito abbreviato.

Art. 2043. - Risarcimento per fatto illecito.


Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto,
obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.

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