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Rural Sustainability
di Toby Hemenway
Pubblicato su Permaculture Activist 25.12.2004
tradotto da Nicola Savio
Più di dieci anni fa io e mia moglie ci trasferimmo in campagna. Una delle molte ragioni
che ci spinsero a lasciare la città era il poter finalmente perseguire il sogno di una
autosufficienza: creare una fondo progettato in permacultura che limitasse il nostro
consumo di risorse e che ci permettesse di approfittare maggiormente dell'abbondanza
della natura. Nascosta nel profondo dei miei pensieri cera la sottile sensazione che,
prima o poi, il party dell'iperconsumo sarebbe finito – il petrolio si sarebbe esaurito e le
cose sarebbero potute degenerare. Volevo riuscire a collocarci dove avremmo potuto
essere meno dipendenti dai combustibili fossili quando il cordone ombelicale del
petrolio si sarebbe rotto.
Abbiamo fatto un sacco di strada verso la realizzazione di quel sogno. La rossa argilla di
quella che era una radura artificiale divenne terriccio color del cioccolato anche se
notai come, nonostante i nostri alberi crescessero e maturassero, io avessi bisogno di
importare cippato dalla centrale elettrica o letame dalla stalla a due miglia di distanza.
Dal giardino proveniva un flusso continuo di frutta e verdura ma, confesso, facevo finta
di ignorare la quantità di acqua che dovevamo estrarre dal pozzo quando la riserva di
acqua piovana si esauriva nei quattro mesi di stagione secca dell'Oregon Meridionale.
Lentamente mi feci cogliere da una sottile paranoia. Iniziai a chiedermi se, nel momento
in cui si fosse avvenuto Il Big Crash, noi fossimo realmente nel posto giusto. Avevamo
l'orto-giardino migliore per miglia e miglia, lo sapevano tutti. Se il sistema fosse
collassato non c'era forse la possibilità che il mio vicino, un spacciatore di
metanfetamine ex-galeotto collezionista di armi, mi sparasse per tutto quel cibo? E che
dire del fondamentalista destrorso che vive dopo di lui che spara alle ghiandaie per
divertimento e che abbatté tutti gli alberi della sua proprietà quando scoprì che forse ci
abitava una civetta? O le due famiglie feudali un po' oltre – uno di loro sparò un colpo di
pistola durante una discussione e nessuno di loro ha mai ceduto il passo all'altro quando
le auto si sono incontrate sulla strada. Iniziai a percepire i confini di un modello
personale che si replicava nella società collettiva. Abbiamo i mezzi tecnici per sfamarci,
per vestirci e per dare un tetto a tutti. Ma legioni intere patiscono la fame perché non
abbiamo imparato a tollerarci ed aiutarci l'un l'altro. I problemi reali delle persone non
sono tecnici ma sociali e politici. A Douglas County avevo risolto molti dei problemi
tecnici per garantire la nostra sopravvivenza ma i limiti sociali alla vera sicurezza erano
li di fronte a noi.
Ci siamo goduti gli oltre dieci anni in campagna ma, probabilmente, gli indizi di una
realtà differente iniziavano ad accumularsi. Non c'era mercato locale per il nostro
lavoro. Gli eventi locali ci lasciavano sempre un po delusi per l'abisso di differenza tra il
nostro stile di vita e quello degli altri. Ed eravamo ancora incatenati al mostro dei
combustibili fossili, la catena di cavi, tubature ed asfalto era molto più lunga. Il fatto
che il mostro sembrasse più piccolo visto da lontano non ci ingannava più.
C'era comunque un aspetto positivo. Avevamo raggiunto lo scopo che c'eravamo posti:
dare un senso alle nostre vite, fare il lavoro che amavamo, e crescere come persone. I
presagi erano chiari. Era ora di tornare dove c'erano le persone, tornare al centro delle
cose un'altra volta.
Nei primi giorni in città stavo fermo nel porticato sul retro a guardare il nostro giardino,
sognando di progetti in permacultura. Il solo albero presente era uno spennato pruno.
Oltre a quello solo una spianata dominata da un patio in mattoni, un prato ed il sentiero
battuto di un cane. Ed è anche un giardino piccolo. Mi chiedevo come fare ad inserirci
tutti gli alberi dei miei frutti preferiti in quel micro spazio.
La risposta arrivo poco dopo. Il pruno si spingeva oltre la palizzata che dividiamo con il
nostro vicino Johnny il quale abita lì da 55 anni. Un giorno, io e Johnny, dai lati opposti
della palizzata, stavamo raccogliendo una piccola parte dell'enorme carico di prugne che
piegavano i rami dell'albero, lui mi chiese “ti piacciono i fichi?”. Risposi di si e, a breve,
un secchio pieno di fichi neri saltò dalla nostra parte del giardino.
Quando ho incontrato il mio vicino Will mi ha pregato di prendere qualcuna delle pere
che stavano per marcire nel suo giardino. Il castagno in cima alla strada sta
fruttificando abbondantemente anche se la comunità asiatica si sveglia sempre molto
presto per raccoglierne i frutti, molto prima che io mi svegli. Ho assaggiato un paio delle
noci che crescono qua in zona e non sono male. Ieri, inoltre, ho scoperto un corbezzolo
carico di frutti.
Questo ricollocamento informale delle risorse locali ha modificato il mio approccio alla
progettazione del paesaggio. Non ho bisogno di coltivare tutti i miei alberi preferiti ma
solo quelli che non sono presenti nei giardini dei miei vicini (sto pensando ad una qualità
particolare di pere, kaki ed alcune mele da conserva e premature). I giardini dei miei
vicini sono le mie zone 2 e 3 [nde: è uso comune nelle progettazioni in permacultura
dividere la proprietà in zone numerate da 1 a 5 in base alla prossimità con la casa ed ai
livelli richiesti per la loro manutenzione]. Paul, Stacey e Troy, nell'isolato dopo il nostro,
hanno convinto il proprietario di un lotto vacante a prestarlo ad otto famiglie per creare
un community garden. Un servizio di potatura locale scaricherà, a breve, il cippato per
la pacciamatura a strati ed il prossimo anno saremo sommersi dal cibo.
Ho sempre dato per assunto che le città fossero il posto peggiore dove stare in periodi
difficili. Sto rivedendo le mie posizioni. Va da sé che Portland è un posto speciale.
(Shhhh! Non ditelo a nessuno) Ma non posso fare a meno di paragonare il mio nuovo
vicinato a quello vecchio. La eravamo dodici famiglie su una strada di più di tre
chilometri con viali d'accesso lunghi centinaia di metri tutti serviti da lunghi cavi del
telefono ed elettrici, ognuno con la propria fossa settica ed il proprio pozzo, tutti
collegati su tragitti lunghissimi. Con posizioni politiche e sociali così divergenti che le
faide, i pettegolezzi e le chiacchiere vacue su argomenti “neutrali” erano all'ordine del
giorno.
In città, lo stesso nucleo di dodici famiglie, utilizza il 10% delle strade, dei cavi e delle
tubature richieste dal mio vecchio vicinato. Molti vanno a lavorare con i mezzi pubblici o
in bicicletta o, al peggio, guidano per tratti che non superano kilometraggi a cifra
singola. Le nostre posizioni sociali e politiche sono sufficientemente vicine da rendermi
abbastanza sicuro che, se le cose dovessero andare per il peggio, potremmo cavarcela
aiutandoci mutualmente.
Questo non è lo spazio per approfondire la questione se le città siano più sostenibili
dell'attuale vita rurale americana ma, ogni volta che mi confronto con questo problema,
gli indizi indicano come, probabilmente, l'impronta ecologica pro capite dei cittadini sia
inferiore.
Nelle ultime due decadi milioni di persone hanno abbandonato le città. Molti di queste
sono persone dalle possibilità limitate, trasferitesi a causa degli alti costi della vita
cittadina. Sfortunatamente hanno portato con loro lo stile della città. I nostri vicini in
campagna, nessuno escluso, avevano tagliato tutti gli alberi per sostituirli con prati.
Molti hanno costruito case enormi grazie alle normative più permissive. Molti hanno
messo abbaglianti impianti di illuminazione in giardino. Hanno comprato case, ATV, RV
ed altri giocattoli succhia benzina. A differenza dei primi insediamenti rurali
autosufficienti queste sono solo persone di città con enormi giardini. E ce ne sono a
milioni.
I sociologi Jane Jacobs e Lewis Mumford hanno entrambi notato come, durante la
Depressione ed in altri momenti di crisi, gli abitanti delle città se la sono cavata meglio
di quelli nelle campagne. Le cause risiedono principalmente nelle forze che agiscono sul
mercato e nella fisica di base. Poiché la stragrande maggioranza delle persone vivono
nei centri urbani od in prossimità di questi nei periodi di scarsità la maggiore domanda,
densità e potere economico delle città condiziona la direzione delle risorse verso
quest'ultime. I grandi centri di distribuzione sono principalmente in aree urbane in modo
da svuotare i camion prima che escano dai confini cittadini.
Competenze di Sopravvivenza
Uno dei principi della permacultura è quello di progettare per il disastro. Mentre teneva
una lezione sull'incendio che distrusse la sua casa presso la Lama Foundation,
all'architetto Ben Haggard venne chiesto quale fosse stata la lezione che ne aveva
appreso. “Pianificare per il disastro” rispose. “Quale che sia la catastrofe che
ipoteticamente potrebbe colpire il vostro sito, fate conto che sia reale. Aperchè prima o
poi lo sarà.”
Ciò che la natura non fa, ma che gli uomini invece fanno spesso, è trattare enormi
energie come nemici da essere sconfitti e distrutti. Quest'estate, mentre gli uragani
flagellavano ripetutamente i Caraibi, proposte ridicole apparivano nelle colonne delle
“lettere al direttore” dei quotidiani: costruiamo enormi ventilatori sulle coste della
Florida per soffiare via le tempeste. Versiamo olio sulla superficie dell'oceano per
rallentare le onde. E (inevitabilmente) perché non sparare un paio di atomiche nei
perfidi uragani? (Sia che si tratti di rimpiazzare il canale di Panama o liberarsi di
Saddam, pare che qualcuno debba sempre promuovere l'opzione “bomba atomica”)
La Natura utilizza due strumenti principali per ottenere questa protezione contro le
catastrofi. La prima è la diversità nello spazio – in dimensione, forma, modelli fisici e
composizione. Se tutti i pezzi di un sistema sono sulla stessa dimensione di scala fisica –
stesse dimensioni o stessa mappa genetica per fare un paio di esempi – una
perturbazione che avvenga su quel piano di scala sarà in grado di spazzare via l'intero
sistema. La diversità in scala genera protezione. Quando un uragano colpisce un
campeggio i camper vengono spazzati via ma i batteri, i topi e gli elementi di diversa
dimensione sfuggono alla distruzione. Un invasione di gatti, d'altro canto, colpirà sulla
scala dei topi lasciando camper e batteri illesi. Gli ecosistemi maturi dispongono di una
tale diversità che qualsiasi catastrofe potrà spazzare gli elementi che vivono a quella
particolare scala ma non distruggerà quasi mai l'intero sistema.
Traduzione a cura di
Nicola Savio
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