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Lettura di una frase dell’antologia a p.5. Ogni antologia che pur si rispetta è frutto di una
dimenticanza perché vuole colmare il fatto che qualcuno non ci pensa a degli autori, e a sua volta
può provocare un’altra dimenticanza (cioè resta aperta).
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Il prof. dice che la sacratio è la “consacrazione”
Problema legato a coloro che battezzati in contesto eretico poi si convertivano e chiedevano di
entrare nella Chiesa; ci si chiedeva se andasse riconosciuto valido il loro battesimo o se andassero
ribattezzati. Il confronto tra papa Stefano e Cipriano si fece sempre più forte fino al punto che
l’incomprensione fu totale. A me interessano le argomentazioni. Fonti le lettere di Cipriano, mentre
di papa Stefano abbiamo un volume scritto nella sua scuola (De rebaptismate: che sostiene la tesi
che non bisogna ribattezzare). Per Cipriano non va riconosciuto il battesimo di questi eretici; papa
Stefano è più indulgente e dice: accogliamoli, semmai facciamo far loro una penitenza.
Si poneva il probl perché San Paolo aveva detto: “… un solo Signore, una sola Chiesa, un solo
battesimo…” (si nasce una sola volta). Cipriano: extra ecclesiam nula salus; e qual è la Chiesa?
Cipriano: la Chiesa deve essere una sola; generare figli fuori dal talamo della Chiesa significa
scambiare la sposa con la prostituta.
Gli risponde papa Stefano: lo sappiamo ma qual è la vera Chiesa? La Chiesa vera è quella intorno al
proprio vescovo (ecclesia sine epsicopo non è Chiesa; l’aveva detto anche Ignazio d’Antiochia; la
Chiesa senza il vescovo non è Chiesa). Però hanno celebrato il battesimo e hanno invocato la
santissima trinità; cosa rende possibile il battesimo? L’invocsaz della Santissima Trinità o la bontà e
la rettitudine del ministro? Papa Stefano dice che è più importante l’invocazione della S.Trinità; il
battesimo ha valore perché è la S.Trinità che opera; ma come può essere invocata la S.Trinità fuori
dalla Chiesa? Non si rischia di fare una Chiesa parallela? Botta e risposta.
Facevano riferimento a due prassi tutte e due presenti nella Chiesa: le chiese nord africane
praticavano il battesimo … la Chiesa di Roma non praticava il battesimo (dei lapsi). Si fa strada
l’affermazione che il battesimo è uno solo, e dunque anche se lo celebra un eretico, purché abbia
invocato la S.Trinità con l’intenzione di celebrare un rito della Chiesa, il rito celebrato è valido (e
non va ripetuto). Dirà poi Agostino: c’è una Chiesa visibile che si ritrova intorno al vescovo, e c’è
una Chiesa invisibile che si ritrova intorno alla professione di fede di tutti nella Santissima Trinità
(non sono in opposizione le due Chiesa). In tutto ciò dobbiamo dare priorità all’azione della
Santissima Trinità. Ciò che si compie nell’eretico non è dell’eretico ma è della Chiesa. Ciò che di
buono c’è nell’eretico non è suo in quanto eretico ma è della Chiesa in quanto è a servizio
dell’azione della S.Trinità (anche in mano all’eretico).
Questo dibattito è l’unica problematica di carattere sacramentale in cui ci imbattiamo.
Per Agostino: l’eucaristia è signum corporis Christi (segno/figura del corpo di Cristo. È corpo di
Cristo? Questa domanda Ago non se la poneva; parlare di signum significa che ciò che vediamo ci
deve portare a ciò che non vediamo; il legame tra signum e il corpus è intrinseco). E quindi una vera
disputa eucaristica non esiste; semmai (e ve lo dico nelle pp.54 e ss.) il problema sull’eucaristia
viene avvertito come ricaduta del problema cristologico. In che senso? Quanto più si afferma la
duplice natura della Persona di Gesù (natura umanaa e divina tenute insieme dall’unica ipostasi,
tanto più viene facile dire di mettere insieme l’elemento materiale e l’elemento spirituale (il pane
che noi vediamo dobbiamo riconoscerlo come pane spirituale, come Gesù Cristo che nutre noi; ma
come la natura umana non viene trasformata dalla natura divina (non smette di essere natura umana
pur essendo congiunta a quella divina) così il pane è bene che resti pane perché è in analogia alla
natura umana e però il senso ultimo del pane è il suo essere legato al corpo del Signore. Al fine di
non scivolare in concezioni monofisite (assorbimento della natura umana in quella divina), si insiste
sulla distinzione nell’eucaristia tra ciò che corrisponde alla natura umana (pane) e ciò che
corrisponde alla natura divina (la presenza di Cristo, il suo corpo).
La concezione dell’eucaristia che i padri ci consegnano ha questo afflato mistico, prevale questa
concezione di assimilazione del mistero, e l’eucaristia in qualche modo è ricapitolativa della vita
della Chiesa (e anche dell’esperienza del Cristo).
I problemi nasceranno quando dal IX sec. in poi si comincerà a leggere i testi patristici … ci si
muoverà nell’orizzonte germanico (non più neoplatonico) i conti non tornano più. Le dispute
nasceranno in seguito alla ricezione dei testi patristici, non letti più nel loro contesto, ma che voluti
interpretati nel loro contesto portano problemi.
Vogliamo leggere un brano di Cipriano pag.26 lettera 73.
Fotocopiare da pp.19-21 per lunedì.
Lezione di lunedì 23 marzo 2011
Agostino [p.73 ss].
In lui prevale la prospettiva cristologica dalla (o nella?) quale sintetizza il pensiero neoplatonico.
Coordinate della semiologia agostiniana: p.19 Antologia: per la prima volta ci troviamo dinanzi al
termine “dottrina”; fin ora i padri ci presentano commenti alle scritture e ai riti, ma l’idea di fare
una elaborazione teorica che questa volta inizia a diventare sistema in cui si muove la Scrittura e le
acquisizioni della Chiesa avviene con Agostino. Il De doctrina christiana è la sua teoria su come va
letta la Scrittura: vuole consentire a chi prende in mano la Scrittura un approccio dottrinalmente
corretto; la Scrittura è fonte di questi contenuti, ma l’organizzazione di questi contenuti nella
Scrittura non c’è [e la si deve alla patristica a partire da Agostino]. L’elaborazione dottrinale
diventerà più programmatica e consueta nel medioevo, nella schola, per cui nasce la scolastica:
nasceranno in quel periodo i trattati.
Il contenuto specifico del De doctrina christiana di partenza è qual è la verità cristiana e come va
conseguita in rapporto con la Scrittura (dunque il rapporto tra verità e Scrittura).
Nella realtà bisogna distinguere res et signa: le cose (realtà: ciò che esiste) e i segni (che hanno a
che fare con la significazione). Le cose esistono: alcune cose le possiamo utilizzare come signa. Ci
sono delle cose che diventano signa di altre cose. Una parola ci può servire anche per indicare
qualche altra cosa (es. acqua: non serve solo per pulire, ma anche a chi se ne serve per un altro uso).
Vi sono per Agostino tre elementi:
le cose (vi sono delle semplici cose),
i signa (ci sono alcune cose che hanno il compito di signficare altre cose),
la parola (non è una cosa; ma è qualcosa che è soltanto utilizzata per significare).
Il signum è una cosa che possiamo vedere, toccare. Quando diventa signum? Agostino ne dà una
definizione. Signum est res …[PAG 75 nota 138], cioè è una cosa, la quale – oltre la species (che è
la res in quanto ciò che vediamo), l’immagine che fa ingerire ai sensi [fa introiettare i sensi e fa
venire alla conoscenza di qualcos’altro da sé] qualcosa altro da sé porta a conoscenza. Es. dalle
tracce dell’animale, sappiamo che è passato un animale (dall’orma possiamo individuare l’animale);
altro es. che fa è il fumo: dal tipo di fumo potremo scoprire il legno (fumo = segno di un legno
acceso); altro es. il discorso di un essere vivente: ... suono di tromba (a seconda del suono si
comprende il comando). Poi Agostino parla di segni naturali (es. traccia), segni intenzionali (quelli
che hanno a che fare con le emozioni) e segni verbali (questi servono solo per analizzare/?). Alla
fine approda ai segni e libertà cristiana: i segni che hanno a che fare con la nostra liberazione; e qui
inizia a parlare dei segni sacramentali. Mettiamo da parte l’antologia.
Nella realtà: res, signum (res che hanno il compito di significare un'altra cosa), verba (ci aiutano a
comprendere questo processo di significazione). Che uso fare delle res? Qui altra distinzione (di
Agostino) passata attraverso la predicazione (è un tema presente nella predicazione); dice Agost
dobbiamo distingue … = le cose della quali ci serviamo (ci dobbiamo servire) e … = le cose di cui
fruiamo. La distinzione è radicale perché uti significa prendere una cosa per quello che è servirsene
solo per quello che è; il frui ha a che fare con un atteggiamento contemplativo verso la realtà; il frui
indica il gioire per qualcosa (e non perché ce ne possiamo servire). Di che cosa l’uomo si deve
servire e di cosa deve fruire? Dice Agost di buona parte delle cose del mondo dobbiamo servirci
(perché sono utili), però noi del mondo facciamo buon uso solo quando lo leggiamo come signum,
come res che ci rinvia a un’altra res (a colui che l’ha creato e posto in essere). E allora a poco a
poco il mondo delle res è sempre più un mondo di signa o il signum per eccellenza, per cui il vero
uso delle cose avviene quando dall’uso passiamo alla fruizione, ma non delle cose, ma della res che
le cose ci fanno intravedere. Nel mondo fare un doppio percorso: uno di utilità (per quel che basta),
un altro di fruizione (per il rinvio a colui che ha creato le res), e quindi tutto lo spazio della
significazione è importante x l’uomo perché lo porta alla scoperta di colui che dal visibile ci attrae
verso di Sé. La realtà ci serve in quanto ci sollecita verso la Res che l’ha posta in essere. VEDI
P.74. Noi pellegrini dal Signore [dal = è un exitus] ci imbattiamo nella realtà, e le res devono
accompagnarci verso la Summa Res [redditus], la quale sostiene tutte le cose.
II Ora
Agostino: dimensione cristologica. Nel mondo filosofico il Logos è quello che presiede a tutto, ma
è ciò verso cui dobbiamo metterci in cammino, perché nelle sue emanazioni il Verbo va perdendo
qualcosa di se stesso… come pensare l’Incarnazione del Figlio di Dio cosicché non fosse
condizionata da questa impostazione? E qui Agostino parla del Verbum interiore, su Dio che
cammina dentro l’uomo e gli fa sentire la sua parola dentro la sua coscienza = primo itinerario è
quello del Verbum interius: più interiore all’uomo dell’uomo stesso; ma anche il Verbum exterius:
il Verbo che viene all’uomo dall’esterno, la realtà che lo circonda, e ogni parola che l’uomo esprime
è eco dell’unico Verbo di Dio. Il Verbo di Dio che bussa dall’interno dell’uomo e si lascia
intravedere dalle cose e dall’uso della parola che l’uomo fa (l’uomo può parlare), nell’Incarnazione
ciò si trova in una grande sintesi: nel Verbo di Dio, Dio incontra l’uomo e gli si dà come momento
ricapitolativo del senso di tutte le cose; verbo incarnato = è la sintesi di tutta la creazione; l’umanità
di Gesù è il sacramento … sacramentum è un signum rei sacrae, segno di una realtà sacra; niente
più dell’umanità di Gesù può essere pensato come signum rei sacrae. Sacramentum può essere
detto di tante cose (parola di Dio, padre nostro, battesimo, eucaristia, consacrazione, penitenza; si
comincia a usare in riferimento ai riti, ma l’accezione di sacramento è ancora molto ampia. Ma tutto
questo serve ad Agostino per esplicitare il rapporto estrinseco tra ciò che vediamo e ciò che non
vediamo: a renderci visibile questo rapporto è la parola. L’orizzonte teologico di Agostino diventa
l’Incarnazione, come parola fatta carne e carne che è capax, capacità di accogliere il Verbo di Dio.
Se è così diventa allora pensabile il sacramentum, i sacramenti di cui ora iniziamo a parlare. Lettura
intratesto p.77. La Parola di Dio si avvicina all’uomo, e può assumere res di questo mondo e,
attraverso queste res, comunicare a noi. La Parola di Dio si lega fa alleanza con l’uomo (foedus) e
dunque Dio ci rivela che la sua comunicazione avviene attraverso le res di questo mondo. Accedit
verbum ad elementum et fit sacramentum = il sacramento è il verbo visibile, è parola resa visibile
nell’orizzonte del Figlio di Dio fattosi uomo. agostino ci dà 11definizioni di sacramento che poi
viaggeranno verso il medioevo ed elaboreranno il settenario sacramentale. Lettura delle
11definizioni a pag.77-78: punto d.
Passo indietro. Cosa avviene sul piano della prassi sacramentale? Primo paradigma è il paradigma
mistagogico. … l’iniziazione cristiana poco a poco si smembrerà (la diffusione del cristianesimo
non renderà facile la visita del vescovo; il diffondersi del cristianesimo renderà lontana la presenza
del vescovo fino al punto in cui si darà solo il sacramento del battesimo e si attende il vescovo per il
completamento dell’iniziazione di grazia; presenza del vescovo ha il compito di mantenere unita la
Chiesa a partire dai sacramenti dell’iniziazione cristiana. Il battesimo viene sempre più dato ai
bambini. E quindi l’iniziazione cristiana dal V sec comincia a perdete tutta la sua densità. Cosa
andrà emergendo? Sempre più il sacramento della penitenza. La prassi penitenziale era molto
rigida, prevedeva anni di digiuno; c’era l’ordo penitentiae; i peccati gravi erano tre: omicidio,
adulterio, idolatria. Nell’antologia trovate le due testimonianze di Tertulliano (quando era a favore e
a contrario della remissione dei peccati; leggetevi questi testi se volete dedicarvi all’epoca
patristica; leggetevi come commentava prima e come commentava dopo). La penitenza viene
sempre più richiesta. Saranno i monaci irlandesi che scendendo dall’Irlanda verso l’Europa a poco a
poco estendono la loro prassi, dinanzi alle reazioni di tanti vescovi; a poco a poco ha avuto la
meglio, come migliore modo per venire incontro a certe situazioni; il sacramento della penitenza
diventerà reiterabile; la penitenza sarà tariffata, legata a opere … pellegrinaggi, ecc.; la penitenza va
accentuando l’aspetto della confessione, e la celebrazione si va privatizzando cioè legandosi alla
comunità e ai confessori (i confessori erano i martiri che avevano conquistato una ministerialità per
poter riconciliare). … sacramento della penitenza e della riconciliazione (lo vedremo nella fase
successiva).
Cosa avviene per l’unzione? L’unzione è per i malati; olio consacrato dal vescovo; i laici stessi
potevano ungere i malati = la comunità si prendeva cura dei malati.
Ministero ordinato (pp.62-64): nel passaggio dalla fine del I sec in avanti assistiamo a tre processi:
1) la sacerdotalizzazione del ministero, 2) la concentrazione della ministerialità nella figura del
presbitero, del vescovo e dei diaconi.
La sacerdotalizzazione è (pag.64 … il presbitero è sacerdos, perché offre il sacrificio di Cristo (c’è
sacerdos dove c’è sacrificio e viceversa) …
Concentrazione dei carismi e dei ministeri nella figura del sacerdos … autorizzato a possedere tutto;
e quindi 3) assistiamo a una verticalizzazione.