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La formazione culturale
La formazione culturale di Pirandello iniziò sulla base di quella classica, che non gli fornì,
però, un'armoniosa tavola di valori, ma nella sua formazione siciliana incontrò autori veristi
come Verga e Capuana dai quali prese le mosse per poi superare la loro visione del mondo
ed i moduli narrativi del Verismo. Pirandello aveva nutrito interesse per gli studi di psicologia
di Alfred Binet, il quale citava la debolezza dell'io. Pirandello fu attirato anche dal pensiero di
Bergson il quale diceva che il mondo è un enorme organismo vivente che contiene in sè
l'energia del suo perpetuo espandersi.
L'indebolimento dell'Io
Quanto avvenuto nella società novecentesca, dunque,porta , inizialmente, l'individuo a
rifiutare la realtà oggettiva e a chiudersi gelosamente nella soggettività ( caratteristica del
Decadentismo e degli autori decadenti: D'Annunzio: l'esteta, il superuomo) ma, poi
progressivamente anche questa finisce per sfaldarsi: l'individuo non conta più, l'io si
indebolisce, perde la sua identità, si frantuma in una serie di stati incoerenti,la sfiducia nella
realtà esterna si dilata, dunque, anche all'IO.
Pirandello è uno degli interpreti più acuti di questi fenomeni e li riflette lucidamente nelle sue
teorie e nelle sue opere letterarie.
La trappola
Nei personaggi pirandelliani la presa di coscienza di questa inconsistenza dell'io suscita
smarrimento e dolore. La consapevolezza di non essere “nessuno”, l'impossibilità di avere
un'identità certa provoca in loro angoscia ed orrore e genera un senso di tremenda solitudine.
Viceversa l'individuo soffre anche ad essere fissato dagli altri in “forme” in cui non può
riconoscersi. L'uomo si vede vivere, si esamina dall'esterno, come se fosse sdoppiato,mentre
compie gli atti abituali che la sua “forma”, la sua maschera gli impone di compiere e che a lui
appaiono assurdi perché la sua identità personale è in continuo fluire, in continuo scorrere e
non corrisponde più a quella “forma” cristallizzata ed irrigidita.
Queste “forme” sono sentite, quindi, dall'individuo come una “trappola”, come un “carcere” in
cui l'individuo si dibatte, lottando invano per liberarsi.
Pirandello identifica le trappole che imprigionano l'individuo negli istituti della vita sociale, nei
ruoli che la vita sociale impone all'uomo, nelle convenzioni su cui si fonda.
L'istituto in cui si manifesta per eccellenza la “trappola” della “forma” che imprigiona l'uomo,
separandolo dall'immediatezza della “vita”, è la famiglia.
Pirandello è molto bravo nel cogliere il carattere opprimente dell'ambiente familiare, il suo
grigiore avvilente, le tensioni segrete, gli odi, i rancori, le ipocrisie, le menzogne che si
mescolano alla vita degli affetti più profondi ed oscuri.
L'altra “trappola” è quella economica, la condizione sociale e il lavoro, almeno a livello piccolo
borghese : i suoi eroi sono prigionieri di una condizione di vita misera e stentata, di lavori
monotoni e frustranti, di un'organizzazione gerarchica e oppressiva.
Quale possibilità di salvezza per uscire da queste trappole esiste per l'uomo?
Per Pirandello non esiste un modo per cambiare le caratteristiche della società borghese che
lui esamina, né ricerca le cause storiche per cui la società è una “trappola”, per lui è la società
in quanto tale, in assoluto, che è condannabile in quanto negazione del movimento vitale.
La società borghese del suo tempo che egli indaga per lui non è altro che un simbolo
particolare di una condizione metafisica, universale.
L'unica possibilità di relativa salvezza che gli eroi pirandelliani hanno è :
1) la fuga nell'irrazionale: nell'immaginazione che trasporta verso una realtà fantastica, come
per l'impiegato Belluca di “il treno ha fischiato” che sogna paesi lontani e, attraverso
questa evasione può sopportare l'oppressione del suo lavoro di contabile e della famiglia
composta di tre cieche, due figlie vedove con sette nipoti da mantenere.
2) la follia, che è lo strumento di contestazione per eccellenza, in Pirandello delle forme della
vita sociale, l'arma che fa esplodere convenzioni e rituali, riducendoli all'assurdo e
rivelandone l'inconsistenza( si pensi ai protagonisti dell'Enrico IV o di Uno, nessuno,
centomila.)
Il rifiuto della vita sociale dà luogo, nell'opera pirandelliana, ad una figura ricorrente:
il “forestiere dalla vita”, colui che “ha capito il gioco” , ha preso coscienza del carattere del
tutto ingannevole (falso) del meccanismo sociale e si esclude, si isola, guardando vivere gli
altri dall'esterno della vita e dall'alto della sua superiore consapevolezza, rifiutando di
assumere la sua “parte”, osservando gli uomini imprigionati dalla “trappola” con un
atteggiamento umoristico, di irrisione e pietà.
Questo atteggiamento Pirandello lo definisce “Filosofia del lontano”: essa consiste nel
contemplare la realtà come da un'infinita distanza, in modo da vedere in una prospettiva
assorta (straniata) tutto ciò che l'abitudine ci fa considerare “normale” e in modo da coglierne
l'inconsistenza, l'assurdità, la mancanza totale di senso.