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Filippo De Mari
Indice
Capitolo 1. Insiemi 5
1. Nozioni di base. 5
2. Gli insiemi numerici. 11
3. L’induzione. 12
Capitolo 2. Numeri reali 17
1. Descrizione assiomatica dei numeri reali. 18
2. La retta e i numeri reali. 20
3. Intervalli. Insiemi aperti e intorni. 21
4. Valore assoluto e disuguaglianza triangolare. 23
5. Alcune proprietà dei numeri reali. 24
6. Estremo superiore e inferiore. 25
7. Potenze e radici. 28
Capitolo 3. Funzioni 33
1. Prodotto cartesiano. Il grafico di una funzione. 36
2. Operazioni sui grafici e simmetrie. 43
3. Funzioni surgettive, iniettive e bigettive. 52
4. Elementi di calcolo combinatorio. 55
5. Funzioni monotone. 61
6. Composizione di funzioni. 64
7. Funzioni invertibili. 68
8. Esponenziali e logaritmi. 73
Capitolo 4. Limiti e continuità 83
1. Successioni e loro limiti. 85
2. Limiti di funzioni. 113
3. Funzioni continue. 138
4. Proprietà globali delle funzioni continue. 144
Capitolo 5. Calcolo differenziale 155
1. Linearizzazione e derivabilità 155
2. Derivate di funzioni elementari 166
3. I teoremi classici del calcolo differenziale 171
4. Sviluppi di Taylor 182
5. Proprietà locali di funzioni regolari 202
Bibliografia 211
3
CAPITOLO 1
Insiemi
1. Nozioni di base.
Se A è un insieme, scriveremo a ∈ A se a è un elemento di A e a �∈ A se a non è
un elemento di A. La scrittura a ∈ A si legge “a appartiene ad A”. Per gli insiemi si
usano solitamente lettere maiuscole e per gli elementi lettere minuscole. Per descrivere
quali sono gli elementi di un insieme si usano parentesi graffe, all’interno delle quali si
elencano gli elementi dell’insieme oppure le proprietà che li individuano. Ad esempio,
A = {2, 4, 6} oppure P = {numeri primi}.
Si ammette l’esistenza di uno ed un solo insieme privo di elementi. Questo insieme
si chiama l’insieme vuoto e si denota ∅. Quindi la scrittura a ∈ ∅ è sempre falsa, quale
che sia a, mentre a �∈ ∅ è sempre vera.
5
6 Analisi Matematica 1
A
C
per ogni i ∈ I è definito un insieme Ai , si suole indicare la famiglia mediante {Ai }i∈I ,
ossia
{Ai }i∈I = {Ai : i ∈ I}.
Esso è un insieme di insiemi. L’unione di tutti gli insiemi Ai si denota invece
�
Ai .
i∈I
dove I = {1, 2, 3, 4}. L’uso di indici sarà adottato in varie circostanze; sarà ad esempio
molto utile per scrivere somme o prodotti di molti numeri.
Se A e B sono insiemi, la loro intersezione A ∩ B è l’insieme i cui elementi sono
gli elementi che appartengono sia ad A sia a B . Quindi, x ∈ A ∩ B se e solo se
x ∈ A e x ∈ B . Per esempio, se A = {2, 3, 4, 8} e B = {−2, 3, 8, 197}, allora
A ∩ B = {3, 8}. Le inclusioni (A ∩ B) ⊆ A e (A ∩ B) ⊆ B sono ovvie, cosı̀ come
l’uguaglianza A ∩ B = B ∩ A. Naturalmente, per l’intersezione di tutti gli insiemi di
una famiglia {Ai }i∈I varrà la notazione
�
Ai .
i∈I
A A∩C
C
A∩B
B∩C
B
Insiemi 9
Si osservi che se due insiemi non hanno elementi comuni, allora la loro intersezione
è l’insieme vuoto. Ad esempio, nel disegno, (A ∩ B) ∩ C = ∅. Questa è una delle
ragioni che giustificano l’introduzione dell’insieme vuoto. Per coerenza logica e formale,
è infatti ragionevole richiedere che dati due insiemi qualunque la loro intersezione sia
ancora un insieme. Quindi, per coprire anche il caso in cui i due insiemi siano disgiunti,
si deve ammettere la possibilità che vi sia un insieme senza elementi. È poi piuttosto
evidente che un siffatto insieme è necessariamente unico: se ve ne fosse un altro e i
due fossero quindi diversi, allora ci sarebbe un elemento che sta in uno dei due ma non
nell’altro; d’altra parte non si può esibire un siffatto elemento perché per definizione
entrambi gli insiemi sono privi di elementi.
Se A e B sono insiemi, la differenza A \ B è costituita dagli elementi di A che
non sono elementi di B . Per esempio, se A = {2, 3, 5, 6} e B = {3, 6, 8, 12}, allora
A \ B = {2, 5} mentre B \ A = {8, 12}. Se si sta lavorando in un contesto in cui gli
insiemi che si considerano sono tutti intesi come sottoinsiemi di uno stesso insieme X ,
allora ci si riferisce all’insieme X \ A come al complementare di A. Si sottointende cioè
A ⊂ X e si scrive Ac in luogo di X \ A. La scrittura Ac si legge ”il complementare di
A in X ”. Poiché l’insieme X non compare nel simbolo, deve essere molto chiaro dal
contesto quale sia X .
1.2. Connettivi logici, quantificatori. Le proposizioni matematiche sono affer-
mazioni che stabiliscono relazioni tra varie entità. Una proposizione può essere vera o
falsa, nel senso corrente delle parole. Ad esempio la proposizione “ogni numero pari è
divisibile per 4” è falsa, in quanto il numero 6 è pari ma non è divisibile per 4, mentre
la proposizione “ogni numero divisibile per 4 è pari” è vera, perché ogni numero che
contiene il fattore 4 = 2 × 2 contiene anche il fattore 2.
A partire da una o più proposizioni, se ne possono formare delle altre mediante i
cosiddetti connettivi logici. Sono connettivi la negazione, la disgiunzione e la congiun-
zione. Per spiegare questi concetti, consideriamo il caso in cui siano date le proposizioni:
P = (il numero tre è positivo) Q = (oggi piove).
La negazione di P , ossia “nonP ” si denota in logica matematica ¬P . Nel caso in
questione la negazione di P è la proposizione “il numero tre non è positivo”, mentre la
negazione di Q è evidentemente “oggi non piove”. La disgiunzione di P e Q, denotata
P ∨ Q, è la proposizione “P oppure Q”. Essa è vera se almeno una tra P e Q è vera,
ed è falsa se sono entrambe false. Nel nostro caso, la proposizione P ∨ Q è “tre è
positivo, oppure oggi piove”; siccome tre è positivo, essa è vera. La congiunzione di
P e Q, denotata P ∧ Q, è la proposizione “P e Q”. Essa è vera se entrambe P e
Q sono vere, ed è falsa se almeno una di esse è falsa. Nel nostro caso, P ∧ Q è vera
solamente se oggi piove.
Si faccia caso alla somiglianza grafica tra i simboli ∪ e ∨ e tra i simboli ∩ e ∧.
Essa non è casuale: se infatti abbiamo le proposizioni:
P = (a ∈ A) Q = (a ∈ B),
allora P ∨Q è vera se e solo se a ∈ A oppure a ∈ B , ossia se e solo se a ∈ A∪B , mentre
P∧Q è vera se e solo se a ∈ A e anche a ∈ B , ossia se e solo se a ∈ A∩B . Sottolineiamo
infine che per quanto l’accento di questi appunti non cada mai su questioni meramente
10 Analisi Matematica 1
logiche, è tuttavia molto importante essere sempre in grado di stabilire quale sia la
negazione di una proposizione e quando due proprietà che intervengono in un enunciato
vadano intese in senso disgiuntivo o di congiunzione.
Fondamentale è il connettivo implicazione. In matematica esso si denota “⇒”.
Quando scriviamo P ⇒ Q intendiamo che P implica Q, ossia che se P è vera, allora
anche Q è vera. In tal caso si è soliti dire che P è l’ipotesi, mentre Q è la tesi.
Altre possibili espressioni sono: P è condizione sufficiente affinché valga Q, oppure
Q è condizione necessaria affinché valga P . Se oltre a valere P ⇒ Q vale anche
l’implicazione opposta Q ⇒ P , se esse cioè valgono congiuntamente, si scrive allora
P ⇐⇒ Q e si legge “P se e solo se Q”. Naturalmente, ciò va inteso nel senso che P
e Q sono sempre entrambe vere o entrambe false.
La logica insegna che ogni implicazione è equivalente alla sua implicazione con-
tronominale, ossia “P implica Q” è equivalente all’implicazione “se Q è falsa, allora
è falsa anche P ”. Utilizzando le notazioni della logica abbiamo perciò perfetta equiva-
lenza tra P ⇒ Q e (¬Q) ⇒ (¬P). Questo fatto è di grande importanza in matema-
tica, ed è il fondamento delle cosiddette dimostrazioni per assurdo. Un esempio è la
dimostrazione della Proposizione 1.4 del prossimo capitolo, nel corso della quale si sta-
bilisce che se il quadrato (p/q)2 del rapporto p/q tra due numeri interi è uguale a 2,
allora p e q non possono essere primi tra loro. L’implicazione contronominale della
precedente è che il rapporto p/q tra due numeri interi primi tra loro non soddisfa mai
(p/q)2 = 2. Unitamente al teorema di scomposizione in fattori primi - che implica che
ogni rapporto tra numeri interi è esprimibile come rapporto
√ tra numeri interi primi tra
loro - questo dimostra la ben nota irrazionalità di 2.
Nella maggior parte delle proposizioni matematiche intervengono i cosiddetti quan-
tificatori logici. Essi non sono altro che la locuzione per ogni, oppure più semplicemente
ogni, e la locuzione esiste. Il primo si denota “∀” e si dice un po’ pomposamente
quantificatore universale, mentre il secondo si denota “∃” e si dice altrettanto pom-
posamente quantificatore esistenziale. Va detto che questi due simboli sono di estrema
utilità nella pratica della scrittura matematica ma che, in generale, l’abuso di sosti-
tuti simbolici dei termini della lingua corrente può sortire l’effetto opposto a quello
desiderato: appesantire anziché alleggerire il discorso.
Illustriamo brevemente un aspetto dei quantificatori logici, forse per alcuni versi
sorprendente, che verrà ulteriormente esemplificato nel corso della Sezione 3 del Capi-
tolo 3: i simboli ∀ e ∃ svolgono un ruolo simmetrico nell’enunciato di una proposizione
e della sua negazione. Tipicamente infatti, una proposizione affermerà che tutte le en-
tità di un certo tipo godono di una certa proprietà, ad esempio “tutti gli asini volano”.
Per negare l’affermazione precedente è sufficiente asserire che vi sono delle eccezioni,
ossia che “esiste un asino che non vola”. Similmente, negare la proposizione “esiste un
numero primo pari diverso da 2” significa affermare che “tutti i numeri primi diversi
da 2 sono dispari”.
Infine, una semplice questione notazionale. Per motivi che hanno soprattutto a che
fare con la sintassi, la locuzione “tale che” compare, implicita o esplicita, in quasi tutte
le pagine di matematica e merita perciò un’abbreviazione. Al simbolo “�” adottato
talvolta nei paesi anglosassoni preferiremo il semplice acronimo “t.c.” oppure una
Insiemi 11
sbarretta verticale “|” oppure ancora il segno di interpunzione dei due punti. Quindi,
per esempio
{x ∈ R t.c. x ≥ 2} = {x ∈ R | x ≥ 2} = {x ∈ R : x ≥ 2}.
3. L’induzione.
Supponiamo di voler calcolare la somma S(n) dei primi n interi positivi. Per farci
un’idea, calcoliamone qualche valore:
S(1) = 1
S(2) = 1 + 2 = 3
S(3) = 1 + 2 + 3 = (1 + 3) + 2 = 6
S(4) = 1 + 2 + 3 + 4 = (1 + 4) + (2 + 3) = 10
S(5) = 1 + 2 + 3 + 4 + 5 = (1 + 5) + (2 + 4) + 3 = 15.
Un modo rapido per fare il conto è suggerito dall’uso che abbiamo fatto delle parentesi:
si somma l’ultimo con il primo e si ottiene n + 1, il penultimo con il secondo e si ottiene
ancora (n − 1) + 2 = n + 1 e via dicendo. L’addendo (n + 1) compare un certo numero
k di volte ed eventualmente rimane un resto. Più precisamente, se n è pari k = n/2 e
non c’è resto, se n è dispari k = (n − 1)/2 e il resto è (n + 1)/2. Quindi
n
(n + 1) se n è pari
2
S(n) =
(n − 1) (n + 1) (n + 1)(n − 1 + 1)
(n + 1) + = se n è dispari
2 2 2
e giungiamo a formulare la congettura:
n(n + 1)
(3.2) S(n) = .
2
In effetti, non abbiamo dimostrato alcunché, ma arguito ragionevolmente a partire dai
primi 5 casi. Per essere certi che la formula sia vera, procediamo come segue.
Insiemi 13
Un’ultima riflessione convincerà il lettore che questa è esattamente la prima delle due
uguaglianze in (3.3). Infatti, le lettere i e j sono perfettamente interscambiabili in
quanto rappresentano, come si suol dire, variabili mute. Esse rappresentano semplice-
mente un indice; l’insieme degli elementi che esse indicizzano è lo stesso.
A titolo di esempio del metodo di dimostrazione per induzione e dell’uso del simbolo
di sommatoria, dimostriamo la formula
� n
(2i − 1) = n2
i=1
Insiemi 15
che vale per ogni intero positivo n. La proposizione P(n) è evidentemente la precedente
uguaglianza, con n intero positivo. Ora, P(1) asserisce 2·1−1 = 1, ed è evidentemente
vera. Se si assume vera P(n), si avrà dunque, ponendo ai = 2i − 1
n+1
� n+1
�
(2i − 1) = ai
i=1 i=1
� n
�
�
= ai + an+1
i=1
n
�
= (2i − 1) + 2n + 1
i=1
2
(per ipotesi induttiva) = n + 2n + 1
= (n + 1)2 ,
cioè P(n + 1).
Un altro risultato che si dimostra facilmente per induzione è la formula del binomio
di Newton. Si veda la Proposizione 4.1 del Capitolo 3.
16 Analisi Matematica 1
Esercizi
Numeri reali
Storicamente i numeri reali sono stati introdotti per misurare le grandezze geome-
triche. Se ad esempio vogliamo assegnare un numero al rapporto tra la lunghezza
d della diagonale e la lunghezza l del lato del quadrato, applichiamo il teorema di
Pitagora e scriviamo l2 + l2 = d2 ossia (d/l)2 = 2. Siamo portati a dire che il numero
cercato,√ reale in quanto esprime una relazione geometrica reale, è esattamente uguale a
d/l = 2. Analogamente, dalla geometria siamo convinti dell’esistenza di π , il numero
che esprime
√ il rapporto tra la circonferenza e la lunghezza del diametro del cerchio. I
numeri 2 e π non si possono scrivere come rapporto di numeri interi, non sono cioè
razionali. Viceversa, ogni numero razionale, potendosi pensare come un numero che
esprime il rapporto tra lunghezze di coppie di segmenti commensurabili, ha da essere
un numero reale.
Che cosa sono, dunque, i numeri reali? Si potrebbe dire che sono delle entità
adeguate a misurare la lunghezza di ogni segmento. Questa risposta è insoddisfacente
dal punto di vista formale, anche se per molti versi accurata. La risposta formale viene
formulata nell’ambito della teoria degli insiemi mediante la costruzione, a partire dai
numeri naturali, di un insieme normalmente denotato R e i cui elementi si dicono
numeri reali. L’insieme R ha tutte le proprietà algebriche che si desiderano. In esso
cioè valgono le regole usuali che governano la somma, il prodotto e le relazioni d’ordine,
e ha l’ulteriore cruciale proprietà che si chiama completezza. Essa consente di compiere
uno dei passi più importanti della matematica: pensare i punti di una retta come
numeri e viceversa, costruendo cioè una corrispondenza biunivoca1 tra la retta ed R.
La corrispondenza tra punti e numeri non è unica, né banale, ma è proprio ad essa che
la costruzione di R è ispirata. Non è unica perché la scelta di un’origine e di una scala
sono arbitrarie, ossia la selezione di due punti sulla retta cui si danno i nomi zero e
uno. Una volta fatta questa scelta, esiste un modo essenzialmente unico, quantomeno
canonico, per procedere nell’identificazione punto–numero.
Naturalmente, per parlare di corrispondenza biunivoca tra due insiemi è necessario
dapprima sapere che cosa sono, cioè come sono definiti. Da un lato si presuppone
nota la nozione di retta; si assume di sapere che cosa sia l’insieme retta e quali ne
siano le proprietà che siamo disposti ad accettare a priori. Dall’altro, bisogna disporre
dell’insieme R dei numeri reali, definito in modo più o meno astratto. Solo a questo
punto si può procedere alla definizione di una corrispondenza. La costruzione di R
può essere fatta in diverse maniere equivalenti ma presenta difficoltà concettuali ed
1La nozione esatta di corrispondenza biunivoca tra due insiemi verrà data nel Capitolo 3. Infor-
malmente, ciò significa che ad ogni elemento di un insieme si associa uno ed un solo elemento dell’altro
e viceversa, cosicché i due insiemi risultano identificabili l’uno con l’altro.
17
18 Analisi Matematica 1
espositive che esulano dagli scopi di questi appunti. Noi procederemo per una via più
breve. Elencheremo dapprima una serie di proprietà, i cosiddetti assiomi dei numeri
reali. In seguito enunceremo, senza dimostrarla, l’esistenza di un insieme non vuoto
R, essenzialmente unico, che soddisfa tutti gli assiomi elencati. Accenneremo infine
brevemente alla corrispondenza tra R e la retta.
✉ ✉ ✉ � � � � �
O U D↔2
OU S
✉ ✉ ❡
❜ ✉ ✉ � � � � �
O R ↔ 3/2 P ↔3
OR
OP = 2 OR
Numeri reali 21
Viceversa, dato il numero razionale positivo p/q , il punto razionale R che ad esso
corrisponde è costruito dividendo in q segmenti uguali il segmento OP : esso sarà
l’estremo destro del primo di tali segmenti. Riportando specularmente i punti razionali
positivi sulla semiretta negativa si ottengono i punti razionali negativi. Abbiamo quindi
determinato una corrispondenza biunivoca tra Q ed un certo sottoinsieme della retta i
cui elementi abbiamo chiamato punti razionali. Osserviamo che tra due punti razionali
distinti vi è sempre almeno un altro punto razionale, ad esempio il punto medio.
Il quarto passo consiste nel completare la corrispondenza tra i punti della retta ed
i numeri reali. Questo è ovviamente il passo più sottile. Innanzitutto definiamo sulla
retta l’ordine naturale, stabilendo cioè che P > Q se P è a destra di Q, nel senso
intuitivo cui abbiamo fatto già riferimento. In secondo luogo, ci appelliamo ancora
una volta alla nostra intuizione geometrica per osservare che l’assioma di completezza
(ordinale) ha sulla retta un significato evidente e lo assumiamo quindi come vero: se
due sottoinsiemi giacciono l’uno completamente alla destra dell‘altro, salvo avere al più
un punto in comune, si potrà “tagliare” la retta in due semirette in modo che uno dei
due insiemi sia completamente contenuto in una semiretta e l’altro nell’altra, perdendo
al più il punto di taglio.
Prendiamo dunque un punto qualunque X sulla retta e consideriamo gli insiemi A
e B formati rispettivamente da tutti i punti razionali a sinistra di X e da tutti i punti
razionali a destra di X . Come conseguenza del fatto che tra punti razionali distinti ve
ne è sempre un altro, si può vedere che X è l’unico elemento separatore tra A e B .
Ai sottoinsiemi A e B della retta corrispondono sottoinsiemi A� e B � in R formati
da numeri razionali e per i quali risulta a < b per ogni a ∈ A� e per ogni b ∈ B � .
Si può dimostrare che l’elemento separatore x ∈ R tra A� e B � , certo esistente per
via dell’assioma di completezza, è anch’esso unico. Associamo quindi a X il numero
reale x. Viceversa, dato il numero reale x, consideriamo i sottoinsiemi A� e B � di
R formati rispettivamente da tutti i numeri razionali minori di x e da tutti i numeri
razionali maggiori di x. Agli insiemi A� e B � corrispondono sottoinsiemi A e B della
retta formati da punti razionali e per i quali risulta P < Q per ogni P ∈ A e per ogni
Q ∈ B . Il punto X della retta che separa A e B è anch’esso unico, ed è il punto
associato ad x.
Si dicono intervalli degeneri gli insiemi del tipo {a} ove a ∈ R. Infine, R stesso è da
riguardarsi come un intervallo, fatto che viene evidenziato scrivendo R = (−∞, +∞).
Si noti che l’intersezione di due intervalli è sempre un intervallo, eventualmente degenere
o vuoto, mentre l’unione di due intervalli può essere un intervallo oppure no. Ad
esempio, (0, 3] ∪ [4, 5) non è un intervallo, mentre (0, 3) ∪ [1, 3] = (0, 3].
Convenzionalmente, come abbiamo fatto noi, si usano parentesi tonde in corrispon-
denza di estremi esclusi e parentesi quadre in corrispondenza di estremi inclusi. Nel
primo caso, abbiamo usato la parola aperto e nel secondo la parola chiuso. Queste
parole hanno, come vedremo, un significato preciso.
Si dice intervallo aperto centrato nel punto x0 di semiampiezza a > 0 l’intervallo
(x0 − a, x0 + a). Esso è un intervallo aperto il cui punto medio è esattamente x0 .
� � � ✉ � � �
x0 − a x0 x0 + a
( )
potremo certo trovare un a > 0 tale che (x0 − a, x0 + a) ⊂ (s, d): basta scegliere a
minore o uguale al più piccolo tra (x0 − s)/2 e (d − x0 )/2.
s d
� � � ✉ � � �
� x0 − a x0 x0 + a �
( )
Similmente, sono aperte le semirette aperte del tipo (−∞, a) oppure (a, +∞).
Osserviamo che l’unione di due o più insiemi aperti è sempre aperta. È invece forse un
po’ meno evidente che gli intervalli chiusi sono chiusi nel senso della Definizione (3.1).
Basta però notare che
[a, b] = R \ {(−∞, a) ∪ (b, +∞)}
e siccome (−∞, a)∪(b, +∞) è aperto, [a, b] risulta essere il complementare di un aperto
ed è quindi chiuso. Similmente, da
(−∞, a] = R \ (a, +∞), [a, +∞) = R \ (−∞, a)
si vede che le semirette chiuse sono chiuse nel senso della Definizione (3.1).
� � � ✉ � � �
x 0 |x|
� � � � � �
x y
Riassumiamo alcune proprietà del valore assoluto nella proposizione che segue. Si
faccia particolare attenzione al punto (iii).
Proposizione 4.2. Valgono le seguenti proprietà:
(i) | − x| = |x| per ogni x ∈ R;
24 Analisi Matematica 1
(ii) se a > 0 la relazione |x| < a è equivalente alla relazione −a < x < a e
similmente |x| ≤ a è equivalente alla relazione −a ≤ x ≤ a;
(iii) per ogni x, y ∈ R vale la disuguaglianza triangolare, cioè |x + y| ≤ |x| + |y|;
(iv) |xy| = |x| |y| per ogni x, y ∈ R;
(v) ||x| − |y|| ≤ |x − y| per ogni x, y ∈ R.
Dimostrazione. (i) Questo è ovvio.
(ii) Se x ≥ 0 allora x > −a è sempre soddisfatta, ed inoltre x = |x| < a. Se invece
x < 0 allora x < a è sempre soddisfatta, ed inoltre x = −|x| > −a.
(iii) Se x ed y sono entrambi non negativi, allora |x + y| = x + y = |x| + |y|, mentre
se sono entrambi negativi tale è anche x+y e quindi |x+y| = −(x+y) = (−x)+(−y) =
|x| + |y|. Supponiamo allora che siano l’uno negativo e l’altro non negativo, ad esempio
x < 0 ≤ y . Allora x + y < y < y + |x| = |y| + |x| e x + y ≥ x ≥ x − |y| = −|x| − |y|.
In altre parole abbiamo
−(|x| + |y|) ≤ x + y ≤ (|x| + |y|)
e l’asserto segue da (ii).
(iv) Questo è ovvio per via di (i).
(v) Dalla disuguaglianza triangolare si ha
|x| = |x − y + y| ≤ |x − y| + |y|,
ossia |x| − |y| ≤ |x − y|. D’altra parte anche
|y| = |y − x + x| ≤ |y − x| + |x|,
ossia −|x − y| ≤ |x| − |y|. Abbiamo visto che −|x − y| ≤ |x| − |y| ≤ |x − y| e possiamo
perciò concludere utilizzando (ii). �
Dimostrazione. Se fosse |x| > 0, allora in virtù del teorema precedente esisterebbe
un intero positivo tale che n|x| > 1, contro l’ipotesi. �
Un’altra proprietà importantissima di R è la cosiddetta densità dei razionali, ossia
il fatto che tra due reali qualunque cade sempre un razionale.
Teorema 5.3 (Densità di Q). Se x, y ∈ R e x < y , allora esiste r ∈ Q tale che
x < r < y.
Dimostrazione. Poiché x < y si ha y − x > 0 e per la proprietà archimedea di
R esiste un intero positivo n tale che n(y − x) > 1. Applicando ancora due volte la
proprietà archimedea, otteniamo due interi positivi m1 ed m2 tali che m1 = m1 1 > nx
e m2 = m2 1 > −nx, ossia
−m2 < nx < m1 .
Perciò esiste un intero m con −m2 ≤ m ≤ m1 tale che
m − 1 ≤ nx < m.
Dalle disuguaglianze precedenti otteniamo
nx < m ≤ 1 + nx < ny.
Infine, siccome n > 0 si ha
m
x< <y
n
e l’asserto è dimostrato con r = m/n. �
Dal Teorema (6.4) segue appunto che poiché R è ordinalmente completo, cioè vale
la proprietà (i), allora ogni sottoinsieme non vuoto e superiormente limitato di R
ammette estremo superiore, ossia vale la proprietà (ii). Di più è vero: si potrebbe
sostituire l’assioma di completezza ordinale (C) con una qualunque delle proprietà (ii)
oppure (iii) e ancora si otterrebbe un unico corpo ordinato con tale proprietà, ossia R.
Passiamo ora a dare una caratterizzazione di sup e inf .
Proposizione 6.5. Sia S un sottoinsieme non vuoto di R.
Il numero β ∈ R è l’estremo superiore di S se e solo se
(i) β è un maggiorante per S ;
(ii) per ogni x ∈ R con x < β esiste s ∈ S tale che x < s.
Il numero α ∈ R è l’estremo inferiore di S se e solo se
(i) α è un minorante per S ;
(ii) per ogni x ∈ R con x > α esiste s ∈ S tale che s < x.
Dimostrazione. Supponiamo che β = sup S e proviamo che β soddisfa (i) e (ii). La
(i) è banalmente soddisfatta. Sia ora x ∈ R con x < β . Siccome β è il minimo dei
maggioranti, x non è un maggiorante e quindi esiste un s ∈ S più grande di x, cioè
tale che s > x.
Viceversa, supponiamo che β soddisfi (i) e (ii) e proviamo che allora β = sup S .
Dobbiamo provare che β è il minimo dei maggioranti. Supponiamo invece che vi sia
un maggiorante x più piccolo di β , cioè tale che x < β . Per la (ii) esiste allora s ∈ S
tale che x < s, in contraddizione con l’ipotesi che x sia un maggiorante. Pertanto β è
il minimo dei maggioranti.
La dimostrazione dell’enunciato relativo all’estremo inferiore è del tutto analoga e
viene lasciata per esercizio. �
7. Potenze e radici.
Se x ∈ R ed n ∈ N \ {0} è ben noto che cosa si intenda per la potenza n-esima di
x, denotata xn , ossia
xn = x
� · x��· · · x� .
n volte
La associatività del prodotto rende non ambigua l’espressione precedente. Si osservi
che se x > 0 allora xn > 0 per ogni intero positivo n (mentre se x < 0, il segno di
xn dipende da n: se n è pari allora xn > 0 mentre se n è dispari, allora xn < 0). In
particolare quindi, se fissiamo un intero positivo n l’insieme
Pn = {xn : x > 0}
è un sottoinsieme di R+ = (0, +∞). Una domanda naturale da porsi è se Pn sia un
sottoinsieme proprio di R+ o se viceversa coincida con esso. In questo secondo caso,
che è naturalmente quello che si verifica, si ha che per ogni intero positivo n ed ogni
y > 0 esiste x > 0 tale che xn = y (vedi il Teorema (1.30) qui sotto). Il numero reale
positivo x si chiama la radice n-esima di y , e si denota con uno dei simboli y 1/n oppure
√n y . Per poter dimostrare questo semplice ma fondamentale teorema, premettiamo due
semplici osservazioni.
Numeri reali 29
Lemma 7.1. Sia k un intero positivo. Se 0 < a < b allora 0 < ak < bk .
Dimostrazione. Esercizio. �
Lemma 7.2. Se 0 < a < b ed n è un intero positivo, allora
(7.5) bn − an ≤ n(b − a)bn−1
Dimostrazione. Fattorizzando ed utilizzando il lemma precedente si ha
bn − an = (b − a)(bn−1 + bn−2 a + · · · + ban−2 + an−1 )
≤ (b − a)(bn−1 + bn−2 b + · · · + bbn−2 + bn−1 )
= (b − a)nbn−1 .
�
Teorema 7.3. Per ogni numero reale positivo y ed ogni intero positivo n esiste
una ed una sola radice n-esima positiva y 1/n .
Dimostrazione. L’unicità è ovvia per via del Lemma (7.1): se 0 < x1 < x2 si ha
anche 0 < xn1 < xn2 . Sia ora y > 0 fissato e consideriamo l’insieme
A = {x ∈ R : xn ≤ y}.
Questo insieme non è vuoto, perché α = min{1, y} ∈ A ed è limitato superiormente
perché β = max{1, y} è un maggiorante. Infatti:
αn = (min{1, y})n ≤ min{1, y} ≤ y
β n = (max{1, y})n ≥ max{1, y} ≥ y.
Esiste quindi x = sup A. Proveremo ora che xn = y . Scegliamo un qualunque numero
positivo ε. Siccome x ≥ α > 0, posto
� ε x�
δ = min ;
n2n xn−1 2
si ha ovviamente 0 < δ < x. Allora, da
0<x−δ <x<x+δ
segue
(x − δ)n < xn < (x + δ)n .
D’altra parte, per le proprietà dell’estremo superiore, tra x − δ ed x vi è certamente
un elemento di A, mentre senz’altro x + δ �∈ A. Quindi
(x − δ)n < y < (x + δ)n .
Da queste diseguaglianze, e da (7.5), segue
|xn − y| < (x + δ)n − (x − δ)n ≤ 2δn(x + δ)n−1 < 2δn(2x)n−1 = δn2n xn−1 ≤ ε.
Poiché quindi |xn − y| < ε per ogni ε > 0 si ha xn = y , come volevasi. �
30 Analisi Matematica 1
Esercizi
Nota: gli esercizi dal (4) al (13) servono per ripassare l’algebra delle disuguaglianze.
Essi sono “in ordine”, nel senso che per svolgerne uno può essere necessario utilizzarne
uno precedente.
4. Siano x, y ∈ R. Provare che x ≤ y se e solo se y − x ≥ 0 e x < y se e solo
se y − x > 0. Dedurne che l’opposto di un numero positivo è un numero negativo e
l’opposto di un numero negativo è un numero positivo.
5. Siano x1 , x2 , y1 , y2 ∈ R. Provare che se x1 ≤ y1 e x2 ≤ y2 allora si ha anche
x1 + x2 ≤ y1 + y2 ; provare inoltre che quest’ultima diseguaglianza è stretta (ossia “<”)
se e solo se una delle due precedenti lo è.
6. Provare che la somma di un numero finito di numeri reali non negativi è non negativa
e che se almeno uno di essi è positivo, la somma è positiva.
7. Siano x, y , z ∈ R con z < 0. Provare che se x ≤ y , allora xz ≥ yz e se x < y ,
allora xz < yz .
8. Provare che per ogni numero reale x si ha x2 ≥ 0 e che se x2 = 0 allora x = 0.
9. Siano x1 , x2 , y1 , y2 ∈ R. Provare che
(a) se 0 ≤ x1 ≤ y1 e 0 ≤ x2 ≤ y2 allora x1 x2 ≤ y1 y2 ;
(b) se y1 > 0 e y2 > 0 e x1 < y1 oppure x2 < y2 , allora x1 x2 < y1 y2 .
Numeri reali 31
10. Provare che il prodotto di un numero finito di numeri reali positivi è positivo.
11. Provare che se x ∈ R è positivo, allora 1/x > 0 e se è negativo allora 1/x < 0.
12. Siano x e y due numeri reali positivi. Provare che x ≤ y se e solo se y/x ≥ 1 e
x < y se e solo se y/x > 1.
13. Siano x, y ∈ R entrambi non nulli. Provare che
(a) se 0 < x < y oppure x < y < 0, allora 1/x > 1/y ;
(b) se x < 0 < y allora 1/x < 1/y .
14. Risolvere le seguenti disequazioni
(i) x(x + 2)2 < 0;
(ii) (2x + 3)4 (x + 4) < 0;
2x − 1
(iii) ≥ 0;
x+2
x2 − 3x − 10
(iv) < 0.
x2 + x + 1
15. Siano Ak = {x ∈ R : kx − 5 ≥ 0} e B = {x ∈ R : x − 3 < 0}. Per quali k ∈ R si
ha Ak ⊆ B ? Per quali k ∈ R si ha Ak ∩ B �= ∅?
16. Sia s ∈ Q tale che s2 < 2.
(i) si provi utilizzando l’archimedeità di Q che esiste un intero n > 1 per il quale
n(2 − s2 ) > 2s + 1;
(ii) utilizzando il punto precedente, si provi che esiste un numero razionale del
tipo r = s + 1/n con n intero positivo, tale che r2 < 2.
17. Si provi che se esistesse un razionale s che separa gli insiemi A = {a ∈ Q : a2 < 2}
e B = {b ∈ Q : b2 > 2}, allora necessariamente s2 = 2. [Traccia: si proceda provando
che né s2 < 2 né s2 > 2 possono essere vere per via di quanto visto all’esercizio
precedente.]
18. Provare che se A e B sono sottoinsiemi limitati di R tali sono anche A ∪ B e
A ∩ B.
19. Dimostrare il punto (ii) della Proposizione 6.5.
20. Dimostrare il Lemma 7.1.
CAPITOLO 3
Funzioni
Moltissime leggi della scienza sono espresse come relazioni che legano fra loro due
o più quantità. Tipicamente, una legge fisica si formula affermando che una certa
quantità y dipende da un’altra quantità x secondo una precisa regola, ossia che x e y
soddisfano una relazione per la quale ad ogni valore di x corrisponde un ben preciso
valore di y . Il modo in cui y è determinato a partire dalla conoscenza di x è, né più
né meno, il contenuto della legge fisica. Per questa ragione, i modelli classici della
fisica sono anche noti come modelli deterministici: la conoscenza del valore di uno o
più parametri fisici determina univocamente il valore di altri parametri ad essi legati
mediante ciò che si suol definire una relazione funzionale. Si potrebbe parafrasare
dicendo che una legge della fisica classica è spesso un’affermazione del tipo: “dimmi
quanto vale x e io ti dico quanto vale y ”.
Il tipo di relazione appena descritta si presenta in molte altre situazioni, non solo
nelle leggi fisiche. Ad esempio, se ogni persona che entra in un negozio ritira un biglietto
numerato, ad ogni numero chiamato dal negoziante corrisponderà un unico avventore:
“dimmi un numero e io ti dico a chi tocca”. Se una banca pattuisce un certo interesse
annuo per le somme in deposito, ad ogni cliente verrà riconosciuta a fine anno una
somma di competenza: “dimmi quanto hai in deposito e io ti dico quale è l’interesse
dovuto”. La lista dei possibili esempi è naturalmente infinita.
Il punto di vista matematico consiste nell’estrarre gli elementi essenziali di una
vasta classe di modelli di riferimento e definire un concetto generale che si possa poi
adattare a varie possibili situazioni, non solo ai modelli da cui si è partiti. Il concetto
generale cui stiamo alludendo è il concetto di funzione. Il punto di partenza consiste
nell’individuare due insiemi, diciamo A e B . L’insieme A sarà l’insieme all’interno del
quale x può variare – e per questa ragione x sarà detta una variabile – mentre B sarà
l’insieme dei possibili valori di y . Una funzione da A a B non è altro che una legge
che ad ogni x ∈ A fa corrispondere uno ed un solo y ∈ B . Formalizziamo ciò in una
definizione.
Una funzione è quindi una terna (A, B, f ), nel senso che per avere una funzione
devono essere specificati l’insieme A di partenza, l’insieme B di arrivo e la regola che
abbiamo sinteticamente indicato con la lettera f . Ne segue che due funzioni f : A → B
e g : C → D sono uguali se e solo se (A, B, f ) = (C, D, g), ossia se e solo se coincidono
33
34 Analisi Matematica 1
gli insiemi di partenza, cioè A = C , gli insiemi di arrivo, cioè B = D e le regole, cioè
f = g , nel senso che f (a) = g(a) per ogni a ∈ A = C .
Alle volte è utile rappresentare le funzioni mediante disegni del tipo
f
A ✲ B
(5) Indichiamo con [x] la cosiddetta parte intera di x, dove x è un numero reale
qualsiasi. Essa è definita come il più grande numero intero minore o uguale a x, cioè
[x] = max{m ∈ Z : m ≤ x}.
Chiaramente, [x] ∈ Z per ogni x ∈ R, cosicché [ · ] : R → Z, x �→ [x] è una funzione.
Una questione di terminologia: spesso si usa il termine mappa invece di applicazione
o funzione. La ragione è semplice. Ci si riferisce al fatto che una mappa è un disegno
che rappresenta una certa regione, o città, o edificio. Ad ogni punto del disegno è
associato uno ed un solo luogo geografico.
La maggior parte delle funzioni nelle quali siamo interessati in questi appunti sono
funzioni tra sottoinsiemi degli insiemi numerici N, Z, Q ed R. In particolare, il vero
oggetto di studio saranno le funzioni del tipo f : I → R dove I è un sottoinsieme
di R. Per questa ragione è utile stabilire una convenzione che abbrevia in molti casi
la scrittura e che in un certo senso rimuove l’ambiguità illustrata nell’Esempio (2.4).
Vogliamo cioè poter assegnare formule che definiscano funzioni in modo chiaro, senza
dover specificare di volta in√volta quali siano gli insiemi di partenza e di arrivo. Se ad
√ f (x) = 1 − x vogliamo dire che f è la funzione f : [−1, 1] → R
esempio scriviamo 2
definita da x �→ 1 − x2 .
36 Analisi Matematica 1
Esempi.
(6) Il dominio di f (x) = x2 è I = R: si può fare il quadrato di ogni numero reale.
√ √
(7) Il dominio di f (x) = x + −x è l’insieme {0}. Infatti, devono valere simultane-
amente le diseguaglianze x ≥ 0 e −x ≥ 0.
(8) Il dominio I di f (x) =
�tan(1−x
2
) si trova imponendo 1−x2 �∈ {π/2+kπ : k ∈ Z}.
� �
Esso è quindi I = R \ {± j π + 12 + 1 : j ∈ Z}. Il lettore è naturalmente invitato a
verificare quest’ultima affermazione.
❡ ✉
P
✉ ❡
O
r
Poiché r ed s possono essere identificate con R, a ciascuno dei due punti di inter-
sezione può essere associato un numero reale. In ultima analisi, possiamo associare a
P una coppia di numeri reali.
Ogniqualvolta si sia fissata la scelta delle identificazioni di r ed s con R, la proce-
dura appena descritta definisce ciò che si chiama un sistema di coordinate nel piano.
Solitamente, si scelgono r ed s ortogonali e si identifica con 0 ∈ R il punto O di inter-
sezione su entrambe le rette. In questo caso il sistema di coordinate si dirà ortogonale
Funzioni 37
✉ Us
✉
O Ur
r
O ✲
1 x
Riprendiamo la discussione iniziale sulla corrispondenza tra punti del piano e coppie
di numeri reali. A ben vedere, il concetto di coppia è del tutto generale, e si formallizza
nella seguente definizione.
Definizione 1.1. Siano A e B due insiemi. Si chiama prodotto cartesiano di A e
B l’insieme denotato A × B i cui elementi sono le coppie (a, b) dove a ∈ A e b ∈ B :
� �
A × B = (a, b) : a ∈ A, b ∈ B .
Sottolineiamo che gli elementi di un prodotto cartesiano sono coppie ordinate, nel
senso che in generale (a, b) �= (b, a). In effetti, si richiede che il primo elemento della
38 Analisi Matematica 1
coppia (a, b), cioè a, stia nel primo insieme A ed il secondo, b, nel secondo insieme B .
Quindi, se a ∈ A e b ∈ B , la coppia (b, a) non appartiene a A × B , ma a B × A, che
è un insieme diverso. Questa osservazione diventa cruciale quando A = B . In questo
caso gli insiemi A × B e B × A coincidono, in quanto sono entrambi formati dalle
coppie (a, b) con a e b in A = B . Ma se a �= b, la coppia (a, b) è diversa dalla coppia
(b, a).
Il caso che a noi interessa maggiormente è il prodotto cartesiano R × R, perché
vogliamo stabilire una corrispondenza biunivoca tra i suoi elementi ed i punti del piano.
Supponiamo dunque di aver fissato un sistema di coordinate ortogonale e monometrico
nel piano. Ad ogni punto P0 del piano associamo la coppia (x0 , y0 ) ∈ R × R, dove
x0 è l’ascissa del punto di intersezione tra la retta passante per P0 e parallela all’asse
verticale delle ordinate e y0 è l’ordinata del punto di intersezione tra la retta passante
per P0 e parallela all’asse orizzontale delle ascisse.
y✻
y0 . . . . . . . . . . . . .� P0
..
..
. ✲
x0 x
y✻
. . . . . . . . . . . . . . . .�
(x0 , f (x0 ))
f (x0 )
..
..
�
..
..
�
..
...
..
..
✲
a x0 b x
Esempi.
(10) Mettiamo subito in guardia il lettore sul fatto che, contrariamente a ciò che si
potrebbe forse pensare, non tutte le funzioni hanno grafici disegnabili. Si consideri per
40 Analisi Matematica 1
−r r
(14) Consideriamo ora una interessante funzione, la mantissa di x, denotata (x). Essa
è definita a partire dalla parte intera [x] (cfr. ’esempio (5)) dalla relazione
(x) = x − [x].
Si osservi che naturalmente [x] = n se n ≤ x < n + 1. Il grafico di x �→ [x] sarà quindi
42 Analisi Matematica 1
Quali sono i valori di x che corrispondono alle intersezioni con gli assi e ai valori
massimi e minimi?
Funzioni 43
(16) È bene abituarsi a saper disegnare il grafico delle funzioni definite, come si suol
dire, “a pezzi”. Anziché tentare di dare una definizione generale astrusa, consideriamo
il seguente esempio
3
sin(x ) se x < 0
f (x) = cos x se 0 ≤ x < π
−1 se x ≥ π.
Il grafico sarà ottenuto “incollando” varie parti di grafici di funzioni semplici.
� � � � � �
0 1 3 4
( ) ( )
I ✲ I +a
Il grafico Γ(τa f ) si otterrà semplicemente traslando Γ(f ) a destra di una lunghezza a,
se a > 0. Infatti, il valore in x = y + a di τa f è uguale al valore in y di f , in quanto
τa f (y + a) = f (y).
Γ(f ) Γ(τa f )
Γ(f + a)
� �
Γ(f )
Funzioni 45
� � � � � �
0 1/2 3/2
( ) )
� � � � � �
1 3/2 3 9/2
( ) ( )
Γ(f )
Γ(δ2 f )
In figura sono riportati i grafici di una sinusoide e della sua dilatata di un fattore
due: il grafico viene dilatato orizzontalmente. Sotto invece, la stessa sinusoide è dilatata
di un fattore 1/2: il grafico viene compresso orizzontalmente.
46 Analisi Matematica 1
Γ(δ1/2 f )
Γ(f )
Γ(f )
Γ(2f )
Esaminiamo ora due proprietà di simmetria molto importanti sia dal punto di vista
teorico sia nelle applicazioni. Si tratta delle nozioni di funzione pari e funzione dispari.
Per evitare inutili complicazioni formali, è bene considerare sin dall’inizio funzioni
definite su insiemi simmetrici, nel senso che chiariamo immediatamente:
Definizione 2.1. Un sottoinsieme S di R si dirà simmetrico rispetto all’origine
se vale la seguente proprietà: x ∈ S ⇐⇒ −x ∈ S . Un sottoinsieme S di R si dirà
simmetrico rispetto al punto x0 ∈ R se S − x0 = {s − x0 : s ∈ S} è simmetrico rispetto
all’origine.
Sono ovviamente simmetrici rispetto all’origine gli intervalli del tipo [−a, a], ma an-
che insiemi che non contengono l’origine, come ad esempio (−b, −a)∪(a, b). L’intervallo
S = [1, 3] è simmetrico rispetto al punto x0 = 2 in quanto il traslato S −2 = [1, 3]−2 =
[−1, 1] è simmetrico rispetto all’origine. Ci interesseremo primariamente di insiemi
simmetrici rispetto all’origine, ma altre simmetrie possono essere utili.
Definizione 2.2. Sia I ⊆ R un insieme simmetrico rispetto all’origine e sia f :
I → R una funzione. Diremo che f è una funzione pari se
f (−x) = f (x) per ogni x ∈ I,
Funzioni 47
Esempi.
(17) Il prototipo di funzione pari è dato da una potenza pari di x. In effetti se
f (x) = x2n con n ∈ N, allora evidentemente (−x)2n = x2n per ogni x ∈ R. Anche
la funzione |x| è chiaramente pari. Il prototipo di funzione dispari è invece dato da
una potenza dispari di x. In effetti se f (x) = x2n+1 con n ∈ N, allora evidentemente
(−x)2n+1 = −(x2n+1 ). Naturalmente, tutte le potenze, pari e dispari, sono definite su
tutto R che è un insieme simmetrico rispetto all’origine.
(18) Altri esempi canonici di funzioni simmetriche si ottengono dalla trigonometria: è
pari il coseno e sono dispari il seno e la tangente.
Il grafico di una funzione pari è simmetrico rispetto all’asse y : la parte sinistra del
grafico (ascisse negative) è l’immagine speculare della parte destra. Ad esempio
è l’aspetto di una tipica funzione pari. Per ottenere la parte sinistra del grafico di una
funzione dispari è necessario rifletterne la parte destra due volte: prima nell’asse x
e poi nell’asse y . Oppure, più semplicemente, la si riflette rispetto all’origine. Una
funzione dispari è quindi del tipo:
Si osservi che se l’origine appartiene all’insieme I , allora la richiesta f (x) = f (−x) si
riduce, per x = 0, all’identità f (0) = f (0), che è sempre verificata. In altri termini, se
f è pari su un insieme che contiene l’origine, possiamo modificarne il valore nell’origine
in modo arbitrario ed essa rimarrà pari. La richiesta f (x) = −f (−x) si riduce invece,
per x = 0, all’uguaglianza f (0) = −f (0), che implica f (0) = 0. Quindi, se f è dispari
su un insieme che contiene l’origine, necessariamente f (0) = 0.
In generale, una funzione, quand’anche definita su un insieme simmetrico rispetto
all’origine, non sarà né pari né dispari. Ad esempio, la funzione f (x) = x3 + x2 è
definta su R ma f (1) = 2 e f (−1) = 0 e quindi non è né pari né dispari. Si noti
peraltro che f è la somma di una funzione pari, cioè x �→ x2 , e di una funzione dispari,
48 Analisi Matematica 1
Abbiamo marcato con un cerchio pieno il punto (0, −2) = (0, f (0)) che appartiene al
grafico e marcato con un cerchio vuoto il punto (0, 0) che non è sul grafico.
Questo tipo di convenzione grafica sarà adottata anche nel seguito, quando sia
necessario chiarire situazioni analoghe a questa.
Il dominio di f è R, ovviamente simmetrico rispetto all’origine. Ha quindi senso
cercare di determinare fp , fd e di disegnarne i grafici. È chiaro che conviene analizzare
le formule che definiscono fp e fd separatamente nei seguenti sottoinsiemi di R:
(−∞, −2), {−2}, (−2, −1), {−1}, (−1, 0), {0}.
Saranno poi considerazioni di simmetria a guidare l’analisi nell’insieme (0, +∞). Ini-
ziamo col determinare fp in (−∞, −2). Se x ∈ (−∞, −2), allora −x ∈ (2, +∞).
50 Analisi Matematica 1
Il lettore è invitato a fare ancora qualche verifica: in primo luogo, che le formule per
fd conducono alla funzione ora scritta, in secondo luogo che quest’ultima sia dispari,
e infine che effettivamente fp + fd = f . D’altra parte, utilizzando ancora una volta la
Proposizione 2.4, sappiamo che se (2.8) e (2.9) definiscono rispettivamente una funzione
pari ed una dispari e se la loro somma è f , allora sono necessariamente fp e fd .
Ancora qualche osservazione. Se f è definita su un insieme che contiene l’origine,
allora il calcolo svolto in (2.7) è del tutto generale. Unitamente all’osservazione già
fatta che una funzione dispari si annulla in zero , abbiamo le formule
fp (0) = f (0), fd (0) = 0.
Le funzioni pari e dispari si comportano rispettivamente come il segno più e il segno
meno rispetto al prodotto e alla somma: il prodotto (oppure la somma) di due funzioni
pari è sempre pari; il prodotto di due funzioni dispari è sempre pari mentre la loro
somma è dispari; il prodotto di una funzione pari per una dispari è sempre dispari;
la somma di una funzione pari e di una dispari è... qualunque cosa, come abbiamo
appena imparato.
52 Analisi Matematica 1
f
A ✲ im (A)
f
A ✲ f (A) = B
Funzioni 53
a1 � ✲ � f (a1 )
a2 � ✲ � f (a2 )
a1 �
✿ �
f (a1 ) = f (a2 )✘③
✘✘
✘ ✘✘✘
✘✘✘✘
� ✘✘✘
✘ ✘
a2
f −1 (J) = {a ∈ A : f (a) ∈ J} ⊆ A.
In altre parole, per determinare f −1 ({y0 }) basta tracciare la retta parallela all’asse x
di ordinata y0 e considerare tutti i punti in cui tale retta intercetta il grafico di f . La
controimmagine di y0 non sarà altro che l’insieme delle ascisse dei punti trovati.
Funzioni 55
✻
y1
y0 � �
.. ..
�
.. ..
.. ..
�
.. ..
.. ..
.. ..
.� .�
.. ..
✲
a x1 x2 b
f −1 ({y0 }) = {x1 , x2 }, f −1 ({y1 }) = ∅
Essa non è certamente l’unica bigezione possibile. Il lettore può facilmente verificare
che ve ne sono esattamente 6. Naturalmente, è lecito pensare che vi sia una formula
generale che esprima il numero di bigezioni tra insiemi che hanno lo stesso numero di
elementi, ed è anche ovvio che da questo punto di vista non c’è ragione per suppore
che i due insiemi siano diversi: la formula cercata, se c’è, dipenderà solo dal numero n
di elementi e si potrà quindi supporre A = B = {1, 2, . . . , n}.
Il computo del numero di bigezioni di un insieme di n elementi in sè è il prototipo
di problema del Calcolo Combinatorio, quella branca della Matematica che si occupa
in generale di problemi di conteggio. Di molti insiemi si sa infatti a priori che sono
costituiti da un numero finito di elementi, ma la determinazione del numero esatto
di essi può presentare delle difficoltà: è sorprendente la varietà e vastità dei problemi
di conteggio che sorgono nelle discipline tecnico-scientifiche. Per ragioni che hanno
in parte a che vedere con lo sviluppo dell’informatica, il Calcolo Combinatorio è un
settore di ricerca estremamente attivo. Ci limiteremo qui a presentare alcune formule
elementari di frequente utilizzo.
n\k 0 1 2 3 4 5
1 1 1
2 1 2 1
3 1 3 3 1
4 1 4 6 4 1
5 1 5 10 10 5 1
5. Funzioni monotone.
Che cosa hanno in comune i seguenti grafici?
Una risposta ragionevole è: ciascuno di essi o scende oppure sale, oppure non sale,
oppure non scende. Essi hanno un “solo tipo di comportamento”. La nozione che
andiamo ora a definire esprime in modo preciso questa unicità di andamento: è la
nozione di funzione monotona2.
Definizione 5.1. Siano f : I ⊆ R → R una funzione e J ⊆ I . Diremo che f è:
(i) crescente su J se per ogni x, y ∈ J tali che x < y si ha f (x) < f (y);
(ii) decrescente su J se per ogni x, y ∈ J tali che x < y si ha f (x) > f (y);
(iii) non decrescente su J se per ogni x, y ∈ J tali che x < y si ha f (x) ≤ f (y);
(iv) non crescente su J se per ogni x, y ∈ J tali che x < y si ha f (x) ≥ f (y).
Una funzione che soddisfi una qualunque delle precedenti proprietà di sice monotona su
J . Se J = I , essa si dirà monotona. Una funzione che soddisfi la proprietà (i) oppure
la (ii) si dice strettamente monotona su J , e strettamente monotona se J = I .
Purtroppo non vi è consenso generale sulla terminologia introdotta nella definizione
precedente. Alcuni autori utilizzano piuttosto le parole strettamente crescente per indi-
care l’implicazione x < y ⇒ f (x) < f (y) e strettamente decrescente per l’implicazione
x < y ⇒ f (x) > f (y), mentre chiamano rispettivamente crescenti oppure decrescenti
le funzioni che soddisfano le diseguaglianze deboli, come in (iii) e (iv).
2La pronuncia della parola è monotòna, ma l’accento solitamente non si scrive.
62 Analisi Matematica 1
In sintesi, la proprietà rilevante della classe delle funzioni monotone è il loro com-
portamentto rispetto alla relazione d’ordine di R: una funzione monotona trasforma
sempre coppie di punti per le quali vale “<” in coppie di punti per cui vale una tra le
relazioni “<”, “≤”, “>” oppure “≥”. Quindi preserva oppure inverte l’ordine.
Esempi.
(24) Le radici r(x) = x1/n con n intero positivo sono tutte crescenti sul loro dominio
[0, +∞). A ben vedere, questo fatto è conseguenza del fatto che tutte le potenze sono
crescenti sulla semiretta positiva, e verrà discusso nei dettagli nella Sezione 7.
(25) Si osservi che la somma di funzioni monotone con lo stesso tipo di monotonia,
ad esempio la somma di funzioni crescenti, è ancora monotona dello stesso tipo, in
quanto se f1 (x) < f1 (y) e f2 (x) < f2 (y) allora anche f1 (x) + f2 (x) < f1 (y) + f2 (y).
Quest’ultima diseguaglianza vale ancora se f1 (x) ≤ f1 (y) oppure se f2 (x) ≤ f2 (y).
Lasciamo al lettore la disamina di tutti i vari possibili casi.
Funzioni 63
(26) La funzione
0 se x < 0
f (x) = x se 0 ≤ x < 1
1 se 1 ≤ x
mette bene in evidenza il fatto che al crescere di x l’ordinata f (x) non scende mai.
Questa f non è però crescente in quanto ad esempio 3 < 4 ma f (3) = f (4) = 1.
(27) La funzione mantissa introdotta nella Sezione (1.1) è crescente su ogni intervallo
[n, n + 1) con n ∈ Z ma non è monotona. Infatti m(3/4) > m(3/2). La funzione parte
intera è invece non decrescente, anche se costante su ogni intervallo del tipo [n, n + 1)
con n ∈ Z.
(28) Si consideri ora la funzione f (x) = 1/x. Naturalmente, in obbedienza alle nostre
consuete convenzioni, intendiamo f : I → R dove I = (−∞, 0) ∪ (0, +∞). Il grafico
di questa funzione ha il seguente aspetto
64 Analisi Matematica 1
Guardando il grafico, si vedono due rami (di iperbole), ciascuno dei quali ha andamento
decrescente. Ci chiediamo quindi se f è monotona. La risposta è no. Infatti, nonos-
tante la funzione sia decrescente nell’intervallo J = (−∞, 0) e anche nell’intervallo
K = (0, +∞) – come il lettore è invitato a verificare per esercizio – essa non è affatto
decrescente, ossia decrescente su tutto I . Infatti, tutte le ordinate f (x) corrispondenti
a x < 0 sono negative e quindi minori di tutte le ordinate f (y) corrispondenti a y > 0.
In altre parole, per tutte le coppie x, y con x < 0 < y si ha f (x) < f (y) e quindi f
non è decrescente né non crescente.
Come appena illustrato, una funzione può benissimo essere crescente su ciascuno
di due insiemi disgiunti J e K senza essere crescente su J ∪ K . È quindi necessario
specificare con chiarezza l’insieme su cui si indaga la monotonia di una funzione.
Proposizione 5.2. Se f : I ⊆ R → R è strettamente monotona, essa è iniettiva.
Dimostrazione. Supponiamo che f sia crescente. Siano x, y ∈ I con x �= y . Allora
necessariamente x < y oppure x > y . Poiché f è crescente, avremo f (x) < f (y)
nel primo caso e f (x) > f (y) nel secondo. In ogni evenienza, f (x) �= f (y) e f è
iniettiva. Il caso in cui f sia decrescente è trattato in modo analogo e viene lasciato
per esercizio. �
La proposizione precedente si sintetizza nell’implicazione: “f strettamente mono-
tona ⇒ f iniettiva”. L’implicazione opposta è invece falsa, come mostra l’Esempio (28)
discusso sopra. Infatti, la funzione f (x) = 1/x è iniettiva, ma non è monotona.
6. Composizione di funzioni.
Abbiamo spesso disegnato schematicamente le applicazioni come diagrammi. Con-
sideriamo ora un diagramma del tipo:
f g
A ✲ C ✲ D
Funzioni 65
f ✲
A f (A) g
C ✲ D
Esempi.
(29) Siano f (x) = (1/x) + 2 e g(y) = (y 2 + 1)/|y − 2|. Coerentemente con la Conven-
zione (0.5), la funzione f è definita su A = R \ {0} e la sua immagine è il sottoinsieme
R \ {2} di B = R. Poiché la funzione g è a sua volta definita su C = R \ {2} = f (A),
la funzione �1 �2 � �
x
+2 +1 1 2
g ◦ f (x) = ��� 1 � � = |x| + +5
x
+ 2 − 2� x2 x
è ben definita su A = R \ {0}.
66 Analisi Matematica 1
g
C ✲ D
f ✲
A f (A)
Funzioni 67
In questo caso esiste certamente qualche a ∈ A, anche se magari non tutti, per il
quale è possibile fare la composizione a �→ f (a) �→ g(f (a)). In effetti, se a ∈ A
è tale che f (a) ∈ C , cioè se a ∈ f −1 (f (A) ∩ C), allora ha senso scrivere g(f (a)).
Come nell’esempio (31), potremo definire una nuova funzione f˜ che coinciderà con f
nell’insieme f −1 (f (A) ∩ C) e per la quale avrà senso la composizione g ◦ f˜.
Per sintetizzare efficacemente quanto appena discusso è utile introdurre una nozione
generale. Se f : A → B è una applicazione e se E ⊂ A è un sottoinsieme di A, la
funzione definita solo su E che associa ad e ∈ E l’elemento f (e) ∈ B si chiama la
restrizione di f a E e si denota f |E . In breve:
f |E : E −→ B, e �→ f (e).
Riprendiamo il discorso precedente, che riassumiamo nella seguente:
Convenzione 6.2. Siano f : A → B e g : C → D due applicazioni e supponiamo
che f (A)∩C �= ∅. Posto E = f −1 (f (A)∩C) scriveremo per semplicità (con lieve abuso
di notazione) g ◦ f in luogo di g ◦ (f |E ) per denotare la funzione composta x �→ g(f (x))
che è definita su E .
La precedente convenzione è coerente con la Convenzione (0.5) in quanto si stipula
che g ◦ f sia definita sul più grande insieme possibile.
Esempio.
�
(32) Si consideri la funzione ϕ(x) = sin(x2 ). Analizziamo f coerententemente con
le Convenzioni
� (0.5) e (6.2). Possiamo pensare, in modo inizialmente un po’ impreciso,
che ϕ = (·) ◦ sin ◦(·)2 := g ◦ f ◦ e, nel senso che la composizione sarà
�
x �→ x2 �→ sin(x2 ) �→ sin(x2 )
ma dobbiamo ancora determinare gli insiemi su cui sono definite e, f , g . Analizziamo
ϕ dall’esterno all’interno,√scrivendo cioè ϕ(x) = g (f (e(x))) e guardando dapprima la
composizione g ◦ f (y) = sin y . Coerententemente con le nostre convenzioni, questa
sarà definita per quelle y per le quali sin y ≥ 0. Naturalmente, sin y ≥ 0 se e solo se
�
y∈ [2kπ, π + 2kπ] = B.
k∈Z
Graficamente, risulta:
f ◦ e(x) = sin(x2 )
�
g ◦ f ◦ e(x) = sin(x2 )
√ √ √ √ √ √
[− 3π, − 2π] [− π, π] [ 2π, 3π]
7. Funzioni invertibili.
Sia Q il sottoinsieme di N costituito dai quadrati perfetti:
Q = {m2 : m ∈ N}.
Consideriamo la mappa S : N → Q che ad ogni intero non negativo associa il suo
quadrato: S(n) = n2 . Ci chiediamo se sia possibile definire una mappa che “torni
indietro”, ossia, nel nostro esempio, una mappa R : Q → N che applicata ad un
intero del tipo n2 restitusce n. Vogliamo cioè che la composizione R ◦ Q soddisfi
n �→ n2 �→ n. È ovvio che, se esiste, la mappa R non può essere altro che la radice
√
quadrata. D’altra parte, se q ∈ Q, il numero q è un numero naturale e naturalmente
√
succede ciò che volevamo, cioè R ◦ S(n) = n2 = n. Se avessimo considerato invece
di S l’applicazione S̃ definita mediante la stessa legge, cioè S̃(x) = x2 ma vista
come mappa S̃ : R → R, allora una R̃ : R → R che torna indietro, cioè tale che
per ogni x ∈ R si abbia R̃(S̃(x)) = x, non sarebbe esistita! Infatti, sicuramente
saremmo forzati a definire R̃(4) = 2 in quanto R̃(4) = R(22 ) = R̃(S̃(2)) = 2, ma
allora R̃(S̃(−2)) = R̃((−2)2 ) = R̃(4) = 2 �= −2.
Funzioni 69
f
✲
A g B
✛
... e dall’esempio trattato sappiamo che data f : A → B non sempre esiste una mappa
g : B → A che torna indietro al punto di partenza. Per rendere precisa l’espressione
“tornare al punto di partenza”, introduciamo la seguente notazione: se A è un insieme
qualunque, si chiama identità su A la mappa idA : A → A definita da idA (a) = a per
ogni a ∈ A.
Definizione 7.1. Sia f : A → B una applicazione. Diremo che f è invertibile se
esiste una applicazione g : B → A tale che
(i) g ◦ f = idA
(ii) f ◦ g = idB .
In tal caso g si chiama l’inversa di f e si scrive g = f −1 .
Nella definizione precedente compare implicitamente una affermazione che non è
stata di fatto provata: nel dire “g si chiama l’inversa di f ” anziché “g si chiama
una inversa di f ” stiamo dicendo che g è unica. Questo fatto è un corollario della
proposizione che segue.
Proposizione 7.2. Siano f : A → B e g : B → A tali che g ◦ f = idA . Allora
f è iniettiva e g è surgettiva.
Dimostrazione. Siano a1 , a2 ∈ A tali che f (a1 ) = f (a2 ). Allora
a1 = idA (a1 ) = g ◦ f (a1 ) = g(f (a1 )) = g(f (a2 )) = g ◦ f (a2 ) = idA (a2 ) = a2 .
Quindi f è iniettiva. Sia ora a ∈ A. Siccome,
a = idA (a) = g(f (a)),
l’elemento b = f (a) soddisfa g(b) = a e quindi g è surgettiva. �
Corollario 7.3. Sia f : A → B invertibile. Allora l’inversa di f è unica.
70 Analisi Matematica 1
L’insieme di partenza e la legge sono però le medesime e quindi si può convenire che
l’informazione contenuta in f˜ è la stessa di quella contenuta in f .
Convenzione 7.5. Data una applicazione f : A → B chiameremo applicazione
surgettiva naturale associata a f l’applicazione definita in (7.16), spesso denotata an-
cora f invece di f˜. Diremo anche che una applicazione è pensata come surgettiva per
intendere l’applicazione surgettiva naturale ad essa associata.
8. Esponenziali e logaritmi.
Le funzioni esponenziali che introduciamo in questa sezione costituiscono una classe
di fondamentale importanza in matematica. In sintesi, esse sono le funzioni x �→ ax ,
dove a è un numero positivo fissato e x ∈ R. La ragione del termine esponenziale
risiede evidentemente nel fatto che la variabile gioca il ruolo di esponente, mentre la
base è fissata. La definizione di ax è piuttosto delicata, ed avviene per passi.
Esponente intero positivo, base qualunque. Abbiamo visto nella Sezione 7 il
significato dell’espressione an per a ∈ R e n ∈ N∗ intero positivo. Ricordiamo che
an = a
� · a��· · · a� .
n volte
n n
e che a > 0 se a > 0, mentre 0 = 0 per ogni intero positivo. Valgono evidentemente
le proprietà
(8.17) an+m = an am ,
(8.18) (an )m = anm
per ogni a ∈ R e per ogni coppia di interi positivi n, m.
Esponente intero, base non nulla. Sia ora a �= 0 e sia n ∈ Z. Vogliamo
estendere la definizione di an al caso in cui sia n ≤ 0. Poniamo allora:
�
n 1 se n = 0
a = 1
a−n
se n < 0.
La definizione funziona, in quanto se n < 0 allora −n è un intero positivo e quindi
a−n definisce un numero reale non nullo se la base a è a sua volta non nulla. Quindi
1/a−n ha senso. Non avrebbe invece senso se a = 0, in quanto in tal caso a−n = 0. Si
osservi che per ogni n ∈ Z si ha nuovamente an > 0 se a > 0 e che le proprietà (8.17)
e (8.18) valgono per ogni a �= 0 e per coppia di interi n, m.
74 Analisi Matematica 1
Base nulla, esponente positivo. Abbiamo visto che anche rimanendo nell’ambito
di esponenti interi se a = 0 si può solamente definire an per n > 0, e naturalmente
0n = 0. Estendiamo quindi la definizione a tutti gli esponenti reali positivi:
0x = 0 per ogni x ∈ (0, +∞).
Abbiamo pertanto definito ax per ogni esponente x ∈ R e per ogni base positiva a.
Esso è sempre un numero positivo. Per ogni a > 0 si ha a0 = 1 e le proprietà (8.17)
e (8.18) valgono per ogni n, m ∈ R. La dimostrazione di quest’ultimo asserto viene
omessa. Il lettore curioso può trovarla a pag.79 di [DM], oppure provare a dimostrarla.
Nel libro citato si dimostra anche che per ogni a > 0 si ha
(8.20) {ax : x ∈ R} = (0, +∞).
La (8.20) può essere vista come una conseguenza del fattto che F = {ax : x ∈ R} è un
gruppo moltiplicativo (ossia soddisfa gli assiomi (M) visti nella Definizione 1.2 del primo
capitolo) per il quale F ∩ (1, +∞) non ha minimo. Queste due proprietà consentono
di concludere che F ricopre tutta la semiretta (0, +∞).
Dal Lemma 8.1 segue facilmente che se a > 1, allora x < y implica ax < ay ;
viceversa, dalla definizione (8.19), se a < 1, allora x < y implica ax > ay .
Definiamo per ogni a > 0 la funzione
(8.21) expa : R → (0, +∞), expa (x) = ax ,
detta funzione esponenziale di base a. Riassumiamo le principali proprietà delle fun-
zioni esponenziali in una lista:
(E0) expa (1) = a;
(E1) expa (x + y) = expa (x) expa (y) per ogni x, y ∈ R;
(E2) expa (0) = 1;
(E3) expa (R) = (0, +∞) se a �= 1;
(E4) expa è crescente se a > 1 e decrescente se a < 1;
(E5) expexpa (x) (y) = expa (xy) per ogni x, y ∈ R;
(E6) exp1 (x) = 1 per ogni x ∈ R.
Il grafico di una funzione esponenziale con base a > 1 ha il seguente aspetto:
Funzioni 77
Nella figura che segue sono disegnati i grafici di expa con a = 1/2, 1/4, 1, 4 e 2.
� 1 �x
4
4x
� 1 �x
2
2x
1x = 1
Per basi maggiori di 1 le funzioni esponenziali divengono via via più ripide al
crescere della base. Vale la pena di osservare esplicitamente che come conseguenza di
(E1) ed (E2) si ha 1 = a0 = ax−x = ax a−x per ogni x ∈ R, e quindi per ogni base
a > 0 risulta
1
(8.22) a−x = , per ogni x ∈ R.
ax
Fissiamo ora una base a > 0 e consideriamo la corrispondente funzione esponenziale
expa . La proprietà (E3) dice che essa è surgettiva, mentre la (E4) implica che essa è
iniettiva se a �= 1. Dunque, se a �= 1, expa è invertibile e la sua funzione inversa
si chiama il logaritmo in base a. Per simmetria rispetto alla bisettrice, possiamo subito
dire che il grafico della funzione logaritmo con base a > 1 sarà del tipo
78 Analisi Matematica 1
La definizione di loga che abbiamo dato, ossia come funzione inversa della funzione
esponenziale, è equivalente alle due seguenti fondamenteali identità:
(8.23) loga (ax ) = x per ogni x ∈ R;
(8.24) aloga x = x per ogni x ∈ (0, +∞).
Le proprietà del logaritmo sono presto dedotte dalle proprietà dell’esponenziale:
(L0) loga (a) = 1
(L1) loga (xy) = loga (x) + loga (y) per ogni x, y ∈ (0, +∞);
(L2) loga (1) = 0;
(L3) loga ((0, +∞)) = R se a �= 1;
(L4) loga è crescente se a > 1 e decrescente se a < 1;
(L5) loga (xy ) = y loga (x) per ogni x ∈ (0, +∞) e ogni y ∈ R;
(L6) logb (x) = (logb a)(loga x) per ogni x ∈ (0, +∞) e ogni b > 0.
Infatti (L1), (L2) e (L3) sono immediate conseguenze delle proprietà (E1), (E2) e (E3).
La (L4) è conseguenza di (E4) e della Proposizione 7.6. Per la (L5), osserviamo che,
in virtù di (E5) e dell’identità fondamentale (8.24), si ha
� �y y
ay loga (x) = aloga (x) = xy = aloga (x ) .
Dall’iniettività dell’esponenziale segue y loga (x) = loga (xy ). Infine la (L6) viene detta
la formula di cambiamento di base dei logaritmi, ed è conseguenza di (L5) e di (8.24):
� �
(loga x)(logb a) = logb aloga x = logb x.
Funzioni 79
Esercizi
1
f7 (x) = 1 − |(x − 2)2 − 1|; f8 (x) = ; f9 (x) = |x + 1| − |2(x + 1)|;
|x|
|x| � � � � ���
�
f10 (x) = + 2|x| − �1 − |x|�; f11 (x) = �1 − �1 − |x|��; f12 (x) = |x + 2| − (x + 2);
x
−3 −1 2 4 6
(iv) 251 , 334 (v) 477 , 751 (vi) log6 108, log5 125.
CAPITOLO 4
Limiti e continuità
83
84 Analisi Matematica 1
sin x
2Da questo punto di vista, valgono tutte le convenzioni stabilite finora per le funzioni del tipo
f : I ⊂ R → R , perché N è a tutti gli effetti un particolare sottoinsieme di R .
86 Analisi Matematica 1
Esempi.
(1) Sia L un numero reale positivo. La formula an = L/2n , con n ≥ 0, definisce la suc-
cessione (L, L/2, L/4, L/8, . . . ). Essa è la successione che funge da modello matematico
per il processo di bisezione iterata di un segmento – o di qualunque altra grandezza L.
(2) La formula an = (−1)n , con n ≥ 0, definisce la successione (1, −1, 1, −1, . . . ).
Infatti per n ∈ N si ha evidentemente
�
1 se n è pari
(−1)n =
−1 se n è dispari.
(3) Studieremo nei dettagli l’importante successione definita per n ≥ 1 dalla formula
� �n
1
an = 1 + .
n
✉
✉
✉ ✉ ✉
✉ ✉
✉ ✉
✉ ✉
✲
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
3Leonardo Fibonacci, matematico pisano del secolo XII, fu il primo ad introdurre in Italia e in
Europa la numerazione araba.
88 Analisi Matematica 1
✉ ✉
.........................................................
✉ ✉
1
✉ ✉
✉
✉
2/3 ✉
1/2 ✉
✉ ✲
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
se per ogni ε > 0 esiste un intero positivo Nε tale che se n ≥ Nε , allora |an − �| < ε.
Il senso della definizione è questo: fissato un qualunque margine di errore4, ossia
un qualunque numero reale positivo ε, la differenza tra il valore limite e il valore di an
è più piccola di ε per tutti gli n da un certo Nε in poi. Ancora una interpretazione, di
4La lettera greca ε che si legge epsilon è una e, indica proprio il termine errore.
90 Analisi Matematica 1
natura più grafica: fissato � ∈ R, i punti (x, y) del piano per i quali |y − �| < ε sono
quelli contenuti nella striscia di semiampiezza ε centrata attorno all’ordinata �:
�+ε
✉ (x, y)
� .........................................................
�−ε
La richiesta |an − �| < ε per n > Nε equivale perciò alla richiesta che il punto
(n, an ) sia interno alla striscia. Ricapitolando: per ogni ε > 0 deve esistere un intero
Nε tale che tutti i punti del grafico della successione che sono a destra della retta
verticale di ascissa Nε risultano interni alla striscia di semiampiezza ε centrata in �.
� �
.........................................................
� �
�=1
� �
�
�
�
�
� ✲
Nε
Nella definizione di limite appare la frase: “esiste un intero positivo N tale che se
n ≥ N , allora...” Essa può essere parafrasata mediante la frase italiana “da un certo
punto in poi”, oppure “tranne al più per un numero finito di termini”. Questo concetto
verrà richiamato in molte circostanze e merita senz’altro una definizione.
che vengono lette, rispettivamente, “il limite di an per n che tende all’infinito è uguale
a �” e “il limite di an per n che tende a più infinito è uguale a �”. Esse non sono molto
economiche. In effetti, come sarà più chiaro quando tratteremo limiti di funzioni, la
variabile intera e positiva n, se tende da qualche parte, non può che tendere all’infinito
(anzi, a +∞) ed è dunque pleonastico specificarlo nella notazione.
Esempi.
(8) Consideriamo la successione (2−n )n≥0 da cui siamo partiti. Vogliamo mostrare
che essa tende a zero. Fissiamo ε > 0. Dobbiamo provare che esiste Nε tale che la
diseguaglianza 2−n < ε vale per ogni n ≥ Nε . Passando al logaritmo in base 2, che
come sappiamo è crescente, la diseguaglianza per Nε è equivalente a Nε > (− log2 ε).
L’esistenza di un intero Nε che la soddisfi è garantita dalla proprietà archimedea (si
osservi che per ε < 1 si ha − log2 ε > 0). Tale diseguaglianza vale a maggior ragione
se n ≥ Nε . In conclusione: fissato ε > 0 sia Nε tale che Nε > (− log2 ε). Se n ≥ Nε ,
allora 2−n < ε. Questo dimostra che 2−n → 0.
(9) Anche la successione an = 1/n, con n ≥ 1 tende evidentemente a zero. Fissato
ε > 0 sia Nε un intero tale che Nε ε > 1. Per ogni n ≥ Nε si ha nε > 1 e quindi
(1/n) < ε, come volevasi.
(10) Una successione costante converge evidentemente a quel valore costante.
(11) Che cosa significa dire che una successione non converge? Significa che nessun
� ∈ R ne è un valore limite, ossia, che per ogni � ∈ R si ha:
(1.25) ∃ ε > 0 tale che ∀ N ∈ N : ∃ n ≥ N tale che |an − �| ≥ ε.
Teorema 1.6 (Confronto I). Siano (an )n≥0 e (bn )n≥0 due successioni e suppo-
niamo an → a e bn → b.
(i) Se definitivamente an < bn oppure an ≤ bn , allora a ≤ b;
(ii) se a < b, allora definitivamente an < bn ;
(iii) se a < λ ∈ R, allora definitivamente an < λ; se a > µ ∈ R, allora definitiva-
mente an > µ.
Dimostrazione. Proviamo dapprima (ii). Fissiamo ε > 0 e supponiamo inoltre che
ε < (b − a)/2. Applicando il Lemma 1.5, le disuguaglianze
an < a + ε, bn > b − ε,
sono entrambe definitivamente vere. Ne segue che definitivamente si ha
bn − an > b − a − 2ε > 0,
come volevasi. Questo implica subito (i), in quanto se viceversa si avesse a > b, allora
si avrebbe definitivamente an > bn .
Infine, per quanto riguarda (iii), basta applicare (ii) al caso particolare di una
successione costante λn = λ, oppure µn = µ. �
Il punto (i) del teorema precedente non è migliorabile, nel senso che in effetti anche
se vale la disuguaglianza stretta an < bn definitivamente, non si può concludere che la
disuguaglianza stretta valga anche tra i limiti. Basta considerare ad esempio an = 1/n
e bn = 2/n. Anche se an è la metà di bn , entrambe le successioni convergono a zero.
Limiti e continuità 93
Teorema 1.8 (Confronto II, o “Teorema dei carabinieri”). Siano (an )n≥0 ,
(bn )n≥0 e (cn )n≥0 tre successioni e supponiamo che
(A) an → � e cn → �;
(B) definitivamente an ≤ bn ≤ cn .
Allora esiste anche lim bn e lim bn = �.
n n
Dimostrazione. Sia ε > 0 fissato. Dall’ipotesi (A) e per via del Lemma1.5, risultano
congiuntamente verificate definitivamente le seguenti disuguaglianze:
� − ε < an , cn < � + ε.
Applicando perciò l’ipotesi (B) si ha definitivamente
� − ε < an ≤ bn ≤ cn < � + ε,
cosicché |bn − �| < ε definitivamente. Quindi bn → �. �
Il significato del curioso titolo “Teorema dei carabinieri” è dovuto all’idea seguente:
se due carabinieri accompagnano un mariuolo, l’uno a destra e l’altro a sinistra, e se
entrambi i carabinieri vanno in guardina, ci va anche il mariuolo.
Esempi.
(13) Consideriamo la successione definita per n ≥ 1 dalla formula bn = sin(1/n).
Come abbiamo già osservato all’inizio del capitolo, vale per archi x che siano “piccoli
e positivi” la diseguaglianza 0 < sin(x) < x. In particolare, essa si applica a x = 1/n
per ogni n intero positivo. Quindi, avremo
� �
1 1
0 < sin < .
n n
94 Analisi Matematica 1
Definizione 1.9. Diremo che la successione (an )n≥0 è limitata se l’insieme dei
suoi valori A = {an : n ≥ 0} è limitato. In particolare, (an )n≥0 è limitata se e solo se
esiste M ≥ 0 tale che |an | ≤ M per ogni n ∈ N.
Dimostrazione. Sia � = limn an e sia ε > 0 fissato. Esisterà allora Nε tale che
||an |−|�|| ≤ |an −�| < ε per ogni n ≥ Nε . In particolare, per tali n risulta |an | ≤ |�|+ε.
Posto allora
� �
M = max |a0 |, |a1 |, . . . , |aNε −1 |, |�| + ε ,
Teorema 1.11 (Algebra dei limiti). Siano (an )n≥0 e (bn )n≥0 due successioni, e
supponiamo an → a e bn → b. Allora:
(i) |an | → |a|;
(ii) an + bn → a + b;
(iii) an bn → ab;
(iv) per ogni λ ∈ R, λan → λa;
(v) se b �= 0, allora5 an /bn → a/b.
come volevasi.
(iii) Sia ε > 0. Siccome (an )n≥0 è convergente, essa è limitata per via della Propo-
sizione 1.10. Quindi |an | ≤ M0 per un qualche M0 > 0. Poniamo M = max{M0 , |b|}
ed osserviamo che M > 0 anche se fosse b = 0. Dal fatto che entrambe le successioni
convergono, definitivamente risulta |an − a| < ε/(2M ) e |bn − b| < ε/(2M ), sempre
Esempi.
(14) Proveremo che cos(1/n) → 1. In effetti, dalla formula di bisezione
� x �2
cos x = 1 − 2 sin
2
abbiamo in particolare per ogni intero positivo n
� �2
1
cos(1/n) = 1 − 2 sin .
2n
Applicando il Teorema dei carabinieri come fatto nell’Esempio 13, otteniamo facilmente
che sin(1/2n) → 0. Poi, applicando in sequenza (come indicato) i vari punti del
Teorema 1.11, otteniamo:
� �2
1
(iii) ⇒ sin →0
2n
� �2
1
(iv) ⇒ 2 sin →0
2n
� �2
1
(ii) ⇒ cos(1/n) = 1 − 2 sin → 1,
2n
come desiderato.
(15) Consideriamo la circonferenza trigonometrica e archi piccoli e positivi x, ossia
0 < x < π/2. Riprendiamo, affinandole, le considerazioni svolte all’inizio del capitolo.
tan x
sin x
Sia α > 0 e fissiamo ε > 0. Il numero reale ε1/α è ben definito e certamente posi-
tivo. Per la proprietà archimedea di R, possiamo allora trovare un intero Nε tale che
Nε ε1/α > 1. A maggior ragione, se n > Nε si ha nε1/α > 1 e quindi
1 1
< ε1/α =⇒ < ε.
n nα
Perciò fissato ε > 0 si ha 1/nα < ε definitivamente e (1.27) è provata.
(19) Illustriamo ora una tecnica standard, basata banalmente sul prodotto notevole
(a − b)(a + b) = a2 − b2 . Ad esempio, sia
√ √
an = n + 1 − n.
Siccome
�√ √ � �√ √ �
√ √ n+1− n n+1+ n
0< n+1− n= �√ √ �
n+1+ n
1 1
= �√ √ �<√ ,
n+1+ n n
il limite notevole (1.27) (con α = 1/2) ed il Teorema dei carabinieri permettono di
concludere che an → 0.
(20) Applichiamo la tecnica precedente per derivare di un altro limite notevole. Per
ogni x ∈ R valgono le identità
1 − cos x (1 − cos x) (1 + cos x)
2
=
x x2 (1 + cos x)
1 − (cos x)2
= 2
x (1 + cos x)
� �2
sin x 1
= .
x 1 + cos x
In particolare, per ogni intero positivo n si avrà
� �2
1 − cos(1/n) sin(1/n) 1
= .
1/n2 (1/n) 1 + cos(1/n)
Usando l’algebra dei limiti e i limiti cos(1/n) → 0 e (1.26) otteniamo il limite notevole
1 − cos(1/n) 1
(1.28) lim 2
= .
n 1/n 2
radice n-esima di uno è uno) e possiamo pertanto definire il numero reale positivo
hn = p1/n − 1. Dalla definizione di hn e dalla disuguaglianza di Bernoulli si ha
p−1
p = (1 + hn )n ≥ 1 + nhn =⇒ 0 < hn ≤ .
n
Per il Teorema dei carabinieri si ha quindi hn → 0 e conseguentemente, ossia dalla
uguaglianza hn + 1 = p1/n , si conclude p1/n → 1.
Consideriamo ora il caso in cui p < 1. Anche la sua radice n-esima sarà minore di
uno e dunque per ogni intero positivo n esisterà un numero reale positivo kn tale che
1
p1/n = .
1 + kn
Sempre in virtù di (1.29) risulterà
1 1
p= ≤ ,
(1 + kn )n 1 + nkn
da cui
1/p − 1
0 < kn ≤ .
n
Un’ulteriore applicazione del Teorema dei carabinieri implica kn → 0 e quindi ancora
p1/n → 1. Abbiamo provato il limite notevole
√
(1.30) lim p1/n = lim n p = 1 per ogni p > 0.
n n
Diamo un’interpretazione grafica delle definizioni appena viste. I punti (x, y) del
piano per i quali y > K sono quelli contenuti nel semipiano limitato inferiormente
dall’ordinata K . Se K marca l’orizzonte, essi stanno “sopra l’orizzonte”.
✉ (x, y)
K
.....................................................................
La richiesta an > K per n > NK equivale perciò alla richiesta che (n, an ) sia interno
al semipiano. Per ogni K > 0 deve esistere NK tale che tutti i punti del grafico della
successione che sono a destra della retta x = NK risultano interni al semipiano limitato
inferiormente da K : essi stanno sopra ogni orizzonte e quindi “tendono all’infinito”.
�
✻
�
�
�
K ......................................................
�
�
�
� �
✲
NK
Esempi.
(23) Un esempio ovvio di successione che diverge a +∞ è an = n: fissato K > 0 sia
N > K ; se n ≥ N allora an = n > K . Di altrettanto facile dimostrazione è il fatto
che per ogni numero reale positivo α si ha nα → +∞, che completa (1.27).
(24) Dimostriamo il limite notevole
(1.32) lim An = +∞ per ogni A > 1
n
Fissato K > 0, sia N > logA K . Per ogni n ≥ N risulta a maggior ragione n ≥ logA K
e quindi, applicando la mappa esponenziale expA che è crescente in quanto A > 1,
abbiamo expA n ≥ expA (logA K) = K , come desiderato.
(25) La successione an = (−1)n non ha limite. Sappiamo già che essa non converge.
Per provare che essa neppure diverge, basta osservare che essa non è mai maggiore di
1 né mai minore di −1, quindi non diverge né a +∞, né a −∞.
Ci chiediamo se sia possibile estendere in qualche senso il Teorema 1.11 al caso in
cui almeno una delle successioni coinvolte sia divergente, oppure se sia possibile una
qualche versione di un teorema di confronto. Iniziamo da quest’ultimo tipo di risultato.
Teorema 1.14 (Confronto III). Siano (an )n≥0 e (bn )n≥0 due successioni, e sup-
poniamo che definitivamente risulti an ≤ bn . Allora:
(i) se an → +∞, allora bn → +∞;
(ii) se bn → −∞, allora an → −∞.
Dimostrazione. (i) Fissiamo K > 0. Sono allora definitivamente verificate entrambe
le disuguaglianze bn ≥ an > K . Quindi per ogni K > 0 si ha bn > K definitivamente.
Ciò prova (i). La dimostrazione di (ii) è analoga. �
Per quanto riguarda l’algebra (estesa) dei limiti, anziché formulare un teorema, ci
limitiamo ad una tabella riassuntiva.
La tabella va interpretata nel modo pressoché ovvio: ad esempio, la terza riga dice
che se an → a < 0 e bn → +∞ allora an + bn → +∞ mentre an bn → −∞. L’unico
commento aggiuntivo è relativo all’acronimo “F.I.” che sta per forma indeterminata.
Esso si riferisce al fatto che l’informazione a disposizione non è suficiente per concludere
102 Analisi Matematica 1
1 + ∞ = +∞, π(−∞) = −∞
Esempi.
√
(26) Consideramo esempi di forme indeterminate
√ del tipo “0 · ∞”. Se an = 1/ n e
bn = n, allora an → 0, bn → +∞ e an bn = n → +∞.
Se an = 1/2n e bn = n, allora an → 0, bn → +∞ e an bn = n/2n → 0 per via del
limite notevole (1.31).
Se an = (−1)n /n e bn = n, allora |an | ≤ 1/n mostra che an → 0. Inoltre
bn → +∞, mentre an bn = (−1)n non ha limite.
√
(27) Consideramo
√ la forma√indeterminata
√ del tipo “∞ − ∞”. Se a n = n + 1,
bn = − n allora an + √ bn = n + 1 − n → 0, come √ visto
√ √ nell’Esempio 19.
√ Se an = n,√bn = − n allora an + bn = n − n = n( n − 1) → +∞ in quanto
n → +∞ e n − 1 → +∞: il risultato segue dalla terza riga della tabella.
Se an = n2 + (−1)n , bn = −n2 allora n2 + (−1)n ≥ n2 − 1 → +∞, e an → +∞ in
virtù del Teorema 1.14. Chiaramente an + bn = (−1)n che non ha limite.
Dimostrazione. (i) Supponiamo che (an )n≥0 diverga a +∞ e sia ε > 0. Esiste
allora Nε tale che se n ≥ Nε , allora an > ε−1 , ossia a−1
n < ε. Dimostrazione analoga
vale nel caso in cui (an )n≥0 diverga a −∞.
(ii) Fissiamo K > 0. Siccome an → 0, e (an )n≥0 è definitivamente positiva,
risulterà definitivamente 0 < an < K −1 , ossia an > K . La dimostrazione di (iii) è
simile e viene lasciata per esercizio. �
Limiti e continuità 103
n Frequenza Cn , I = 5% Cn , I = 20%
1 anno 1.050, 00 1.200, 00
12 mese 1.051, 16 1.219, 39
365 giorno 1.051, 27 1.221, 34
8.760 ora 1.051, 27 1.221, 40
525.600 minuto 1.051, 27 1.221, 40
31.436.000 secondo 1.051, 27 1.221, 40
Vogliamo utilizzare questa espressione per mostrare che la successione è crescente, ossia
che an < an+1 per ogni n. Innanzitutto
�n� �n − 1� �
n−k+1
� �
1
� �
k−1
�
(1.37) ··· = 1− ··· 1 −
n n n n n
� � � �
1 k−1
< 1− ··· 1 −
n+1 n+1
Quindi ogni addendo in (1.36) diviene più grande se sostituiamo n + 1 ad n. Inoltre,
la sommatoria corrispondente a an+1 contiene un addendo in più di quella per an . È
quindi chiaro che an < an+1 .
Ripartiamo da (1.36) per provare che la successione è limitata. Utilizzando la prima
uguaglianza in (1.37), si vede subito che il prodotto di tutti i termini entro parentesi è
un numero strettamente positivo e minore di uno. Vale perciò la stima
� �n � n
1 1
1+ ≤
n k=0
k!
1 1 1 1 1 1
= + + + + + ··· +
0! 1! 2! 3! 4! n!
1 1 1 1
=1+1+ + + + ··· +
2 3·2 4·3·2 n · (n − 1) · · · · · 3 · 2
1 1 1 1
<1+1+ + + + ··· +
2 2·2 2·2·2 �2 · ·��
· · · 2�
(n−1) fattori
� �
1 1 1 1
=1+ 1+ + 2 + 3 + · · · + n−1 .
2 2 2 2
Limiti e continuità 107
N
�
7
Sfruttando ora la formula xk = (1 − xN +1 )/(1 − x) valida per ogni x �= 1, si ha
k=0
� �n n−1 � �k
�
1 1 1 − (1/2)n 1
1+ ≤1+ =1+ <1+ = 3.
n k=0
2 1 − 1/2 1 − 1/2
È evidente che E(1) = e. Si può dimostrare che la funzione x �→ E(x), che è definita
per ogni x ∈ R, soddisfa E(x + y) = E(x)E(y) per ogni x, y ∈ R. Il lettore curioso
trova questa dimostrazione in [DM]. Osserviamo che E(x) è monotona non decres-
cente. Se infatti x < y ed n0 è un intero positivo con n0 > −x > −y , allora per ogni
n > n0 tale diseguaglianza è verificata a fortiori e quindi 0 < 1 + x/n < 1 + y/n.
Prendendo le potenze n-esime, 0 < en (x) < en (y) definitivamente. Dal Teorema 1.6
segue che
E(x) = lim en (x) ≤ lim en (y) = E(y),
n n
come affermato. Le osservazioni appena fatte assumono una particolare rilevanza alla
luce del risultato che segue, la cui dimostrazione può essere trovata in [DM].
Teorema 1.23. Per ogni numero reale positivo a esiste una ed una sola funzione
monotona Ea : R → R che soddisfa le due seguenti condizioni:
(E0) Ea (1) = a;
(E1) Ea (x + y) = Ea (x)Ea (y).
Essa inoltre gode delle seguenti proprietà:
(E2) Ea (0) = 1;
(E3) Ea (R) = (0, +∞) se a �= 1;
(E4) Ea è crescente se a > 1 e decrescente se a < 1;
Poiché le funzioni esponenziali introdotte nella Sezione 8 del Capitolo 3 sono monotone,
e soddisfano (E0) ed (E1), si ha Ea = expa per ogni a > 0.
Il lettore è naturalmente invitato a confrontare le precedenti con le (E0)-(E4) della
Sezione 8 del Capitolo 3. Dal teorema precedente si evince che la funzione E(x)
introdotta in 1.43 è una funzione esponenziale, e poiché E(1) = e ci riferiamo alla
funzione esponenziale di base e. In altre parole
� x �n
(1.44) lim 1 + = ex . per ogni x ∈ R.
n n
y = ex
e4 (x) e2 (x)
y = ex
1
ramo di y = 1−x
1
ramo di y = 1−x
y =x+1
Limiti e continuità 111
y=x
y = log(1 + x)
x
ramo di y = x+1
x
ramo di y = x+1
Vale la pena osservare che il disegno precedente è ottenuto mediante una opportuna
simmetria dal corrispettivo disegno per l’esponenziale. Quale?
112 Analisi Matematica 1
Esercizi
2. Limiti di funzioni.
Siamo ora interessati a studiare il comportamento dei valori che una funzione as-
sume quando la variabile si avvicina indefinitamente ad un certo punto. Ciò si esprimerà
mediante la locuzione “il limite di f (x) per x che tende a x0 ”. Bisogna innanzitutto
chiarire quali siano i punti in cui abbia senso calcolare un limite. Essi sono quelli “at-
taccati” al dominio I di f : per calcolare f (x) dobbiamo restare in I . Il significato
di “attaccato” è l’oggetto della definizione che segue, per formulare la quale in modo
semplice è opportuno utilizzare la nozione di intervallo bucato centrato in un punto.
Dato x0 ∈ R, l’intervallo aperto centrato in x0 di semiampiezza δ > 0 è naturalmente
l’intervallo B(x0 , δ) = (x0 − δ, x0 + δ), come abbiamo visto nella Sezione 3 del Capi-
tolo 2. L’intervallo bucato centrato in x0 e di semiampiezza δ > 0 è semplicemente
B(x0 , δ) \ {x0 } = {x ∈ R : 0 < |x − x0 | < δ},
cioè l’intervallo stesso privato del suo centro, cioè di x0 .
Definizione 2.1. Siano I un sottoinsieme non vuoto di R e sia x0 ∈ R. Diremo
che x0 è un punto di accumulazione per I se ogni intervallo bucato centrato in x0
interseca I in almeno un punto, ossia se
per ogni δ > 0 : {x ∈ R : 0 < |x − x0 | < δ} ∩ I �= ∅.
Il significato della definizione precedente è il seguente: se x0 è di accumulazione
per I , è impossibile separarlo da I mediante un intervallo che non contenga altri punti
di I . Il fatto che x0 appartenga o meno ad I è in ogni caso inessenziale.
Esempi.
(28) Sia I = (0, 1). Innanzitutto, mostriamo che i punti di I sono tutti punti di
accumulazione per I . Infatti, se x0 ∈ I , allora se δ è sufficientemente piccolo (cioè
minore della distanza di x0 dal bordo di I , cioè minore di min{x0 , 1 − x0 }) allora tutto
l’intervallo B(x0 , δ) sarà contenuto in I : (B(x0 , δ) \ {x0 }) ∩ I = B(x0 , δ) \ {x0 } �= ∅.
Graficamente:
0 1
❡ � � �
� x0 − δ x0 x0 + δ �
( )
Anche in questo caso l’intersezione sarà a maggior ragione non vuota se si sceglie δ
più grande. Simili considerazioni valgono per il punto x0 = 1, che è anch’esso di
accumulazione per I .
114 Analisi Matematica 1
se per ogni ε > 0 esiste δε > 0 tale che se x ∈ I soddisfa 0 < |x − x0 | < δε , allora
|f (x) − �| < ε.
Il senso della definizione è questo: se fissiamo un margine di errore ε > 0, esisterà
una distanza δ (che dipende da ε) per la quale in tutti i punti x ∈ I che distino da
x0 per meno di δ (certo ve ne sono perché x0 è di accumulazione per I ) la funzione
assume un valore f (x) che differisce da � per meno di ε. In altri termini, fissata una
striscia di semiampiezza ε attorno al valore limite �, tutti i punti (x, f (x)) del grafico
di f saranno contenuti nella striscia purché x sia sufficientemente vicino a x0 .
�+ε
�−ε
f (x0 )
x0 − δ x0 + δ
Mettiamo ancora una volta in evidenza che il valore di f in x0 è del tutto irrilevante
ai fini del calcolo del limite per x che tende a x0 ; di fatto, non è neppure necessario
che esso sia definito, in quanto può benissimo aversi x0 �∈ I . Nella figura, f (x0 ) è più
piccolo del limite.
116 Analisi Matematica 1
Esempi.
(32) Vogliamo ora provare il fatto intuitivamente piuttosto ovvio che sin x → 0 per
x → 0. Abbiamo già detto diverse volte che per x piccolo e positivo si ha 0 < sin x < x.
Semplicissime considerazioni geometriche mostrano che la diseguaglianza precedente
può essere estesa alla disuguaglianza:
(2.49) | sin x| ≤ |x| per ogni x ∈ R.
Il segno di uguaglianza vale se e solo se x = 0. Va precisato che la (2.49) è tanto migliore
quanto minore è |x|. Più avanti impareremo a quantificare questa affermazione9. Fis-
siamo ε > 0. Se poniamo δ = ε, allora per 0 < |x| < δ risulta:
| sin x − 0| = | sin x| ≤ |x| < δ = ε.
Perciò per ogni ε > 0 esiste δ tale che se 0 < |x − 0| < δ allora | sin x − 0| < ε. Dalla
definizione di limite segue pertanto che
lim sin x = 0,
x→0
come desiderato.
(33) Consideriamo ora la semplicissima funzione lineare f (x) = ax + b, con a, b ∈ R.
Fissiamo x0 ∈ R e proviamo che
lim (ax + b) = ax0 + b.
x→x0
− 12
1
2
−1
Ora, se x ∈ (0, 1/2), allora 0 < x + 1/2 < 1 e quindi f (x) = 1/(x + 1/2) > 1. Se
invece x ∈ (−1/2, 0), allora −1 < x − 1/2 < 0 e quindi f (x) = 1/(x − 1/2) < −1.
Abbiamo provato il fatto ben evidenziato dal grafico che se x è positiva e vicina a 0
allora f (x) > 1, mentre se x è negativa e vicina a 0 allora f (x) < −1. Il lettore è
invitato a dedurre da queste osservazioni che non esiste alcun � ∈ R per il quale si
abbia f (x) → � per x → 0 (si fissi ε < 2).
otteniamo
� � � � ��
� x − x0 x + x0 ��
�
| cos x − cos x0 | = 2 �sin sin
2 2 �
� � ��
� x − x0 ��
≤ 2 ��sin �
2
� �
� x − x0 �
≤ 2 �� � = |x − x0 |.
2 �
Fissiamo ε > 0; basterà scegliere δ = ε per far si che se 0 < |x − x0 | < δ , allora
| cos x − cos x0 | < |x − x0 | < δ = ε. Il limite (2.51) si dimostra in modo analogo.
La maggior parte dei risultati riguardanti i limiti delle successioni possono essere
dimostrati mutatis mutandis per i limiti delle funzioni. Esiste tuttavia un risultato, di
interesse indipendente, che consente di trasferire i risultati già noti per le successioni
nell’ambito delle funzioni. Tale risultato, che andiamo adesso a dimostrare, consen-
tirebbe allo stesso modo di percorrere il cammino inverso: svolgere dapprima la teoria
per i limiti delle funzioni ed adattarla poi alle successioni11.
Teorema 2.3 (Limite fatto per successioni, I). Siano x0 un punto di accumu-
lazione per I ⊆ R, f : I → R e � ∈ R. Sono fatti equivalenti:
(i) lim f (x) = �;
x→x0
(ii) per ogni successione (xn )n≥0 di elementi di I \ {x0 } tale che xn → x0 si ha
lim f (xn ) = �.
n
Dimostrazione. “(i) ⇒ (ii).” Supponiamo che f (x) → � per x → x0 e sia (xn )n≥0
una successione di elementi di I \ {x0 } tale che xn → x0 . Fissato ε > 0 esiste δε > 0
tale che se x ∈ I e 0 < |x−x0 | < δε , allora |f (x)−�| < ε. Inoltre, in corrispondenza di
δε esisterà Nε = Nδε 12 tale che se n > Nε allora |xn − x0 | < δε . Siccome xn ∈ I \ {x0 },
si avrà anche 0 < |xn − x0 |, cosicché, per ipotesi, |f (xn ) − �| < ε. In altre parole,
fissato ε > 0 esiste Nε tale che se n > Nε allora |f (xn ) − �| < ε, cioè f (xn ) → �.
“(ii) ⇒ (i).” Viceversa, assumiamo che per ogni successione (xn )n≥0 di elementi
di I \ {x0 } tale che xn → x0 si abbia f (xn ) → �. Supponiamo per assurdo che (i)
sia falsa. Quindi esisterà ε > 0 tale che per ogni δ > 0 possiamo trovare xδ ∈ I
con 0 < |xδ − x0 | < δ per il quale risulta |f (xδ ) − �| ≥ ε. In paticolare, scelto un
intero positivo qualsiasi n e posto δ = 1/n, esisterà xn ∈ I con 0 < |xn − x0 | < 1/n
per il quale risulta |f (xn ) − �| ≥ ε. Gli elementi della successione (xn )n≥0 sono tutti
in I \ {x0 } per costruzione. Se proviamo che essa converge a x0 avremo trovato
una contraddizione, in quanto la disuguaglianza |f (xn ) − �| ≥ ε, vera per ogni n, ci
assicura che (f (xn ))n≥0 non converge a �, contro l’ipotesi. D’altra parte, per ogni
η > 0 possiamo trovare un Nη tale che se n > Nη allora 1/n < η ; quindi per ogni
n > Nη avremo che |xn − x0 | < 1/n < η , ossia xn → x0 , come desiderato. �
11Si veda anche la verione più completa nella Sezione 2.3, ossia il Teorema 2.18
12Osserviamo che δε dipende da ε e che Nδε dipende da δε , quindi da ε . Perciò scriviamo Nε
Limiti e continuità 119
Oltre all’interesse di natura teorica, che tra poco sfrutteremo, il Teorema 2.3 è
anche, per cosı̀ dire, di utilità pratica. Esso è infatti uno strumento molto efficace per
dimostrare che una funzione non ha limite.
Esempi.
(36) Consideriamo la funzione a gradino definita da
1 se x > 0
(2.52) f (x) = 0 se x = 0
−1 se x < 0,
−1
Utilizziamo il Teorema 2.3 per provare il fatto (del tutto ovvio) che il limite di f
per x → 0 non esiste. Si considerino le succesioni di termine generale xn = 1/n
e yn = −1/n, entrambe convergenti a x0 = 0. Siccome f (xn ) = 1 per ogni n e
f (yn ) = −1 per ogni n, ovviamente f (xn ) → 1 e f (yn ) → −1. Abbiamo trovato
due successioni (xn )x≥1 e (yn )x≥1 di elementi non nulli (cioè diversi da x0 = 0) che
convergono a x → 0 e per le quali risulta limx→x0 f (xn ) �= limx→x0 f (yn ). In virtù
del Teorema 2.3 il limite di f per x → 0 non esiste. Infatti, se esso esistesse allora i
due limiti limx→x0 f (xn ) e limx→x0 f (yn ) non solo dovrebbero esistere, ma dovrebbero
soprattutto essere uguali.
(37) Illustriamo un altro esempio nello stesso spirito del precedente. Introduciamo la
funzione � �
1
f (x) = sin .
x
Il
Il grafico
bizzarroqualitativo
aspetto didiquesto
f è: grafico merita senz’altro più di un commento. Innanzi-
tutto, f è definita solo per x �= 0. In secondo luogo, sicuramente si avrà −1 ≤ f (x) ≤ 1
in quanto tali diseguaglianze valgono per il seno di un qualunque numero reale.
Cerchiamo infine di capire la ragione dell’infittirsi delle oscillazioni vicino all’origine.
In effetti, se x varia in un piccolo intervallo vicino all’origine, ad esempio nell’intervallo
[(2000 π)−1 , (1000 π)−1 ], che è di ampiezza minore di 1/3000 e dista meno di 1/6000
dall’origine, allora il reciproco 1/x di x varia in un grande intervallo lontano dall’origine:
120 Analisi Matematica 1
esso infatti varia in [1000 π, 2000 π] che è di ampiezza maggiore di 3000 e dista dall’origi-
ne più di 3000. Quindi, come x percorre una brevissima distanza, 1/x ne percorre una
enorme, nella quale il seno oscilla moltissime volte. Nel nostro esempio, nell’intervallo
[1000 π, 2000 π], che misura 1000 π , il seno compie 500 oscillazioni complete. In ultima
analisi, nell’intervallo [(2000 π)−1 , (1000 π)−1 ] la funzione f oscilla 500 volte!
Naturalmente, ci aspettiamo che una funzione dal comportamento cosı̀ repentina-
mente oscillante non abbia limite, e cosı̀ è. Consideriamo infatti le succesioni di termine
generale
1 1
xn = π , yn = 3π .
2
+ 2nπ 2
+ 2nπ
Evidentemente, xn → 0 e yn → 0. Inoltre,
�π �
f (xn ) = sin + 2nπ = 1
�2 �
3π
f (yn ) = sin + 2nπ = −1
2
per ogni n. Ne segue che f (xn ) → 1 mentre f (yn ) → −1, il che prova che il limite
non esiste. Si osservi che la scelta di xn e di yn è stata fatta in modo da selezionare i
“picchi” e le “valli” che si susseguono sempre più frequentemente all’avvicinarsi di x a
x0 = 0 da destra.
Passiamo ora ad utilizzare il Teorema 2.3 da un punto di vista più teorico. Lo
schema concettuale che abbiamo in mente può riassumersi come segue: se conosciamo
un risultato vero per le successioni, possiamo tradurlo per le funzioni alla luce del
Teorema 2.3. Infatti tutti i principali risultati di convergenza che abbiamo dimostrato
per le successioni nella sezione precedente ammettono una opportuna riformulazione
per le funzioni. Naturalmente, è anche possibile dimostrarli in modo diretto, cioè senza
far ricorso al Teorema 2.3. Le dimostrazioni13 sono lasciate per esercizio al lettore, che
può opinare per una dimostrazione diretta o mediante il Teorema 2.3.
Teorema 2.4 (Confronto I). Siano f, g : I → R due funzioni, x0 un punto di
accumulazione per I e supponiamo f (x) → � e g(x) → m per x → x0 .
(i) Se esiste un intorno bucato di x0 nei punti del quale si ha f (x) < g(x) oppure
f (x) ≤ g(x), allora � ≤ m;
13I quattro risultati che seguono valgono anche se x → +∞ oppure x → −∞; si veda la Sezione 2.3
per il significato da attribuire a queste locuzioni, e come vada intesa in tal caso l’espressione “intorno”.
Limiti e continuità 121
(ii) se � < m, allora esiste un intorno bucato di x0 nei punti del quale f (x) <
g(x);
(iii) se � < λ ∈ R (rispettivamente � > µ ∈ R), allora allora esiste un intorno
bucato di x0 nei punti del quale risulta f (x) < λ (rispettivamente f (x) > µ).
Corollario 2.5 (Permanenza del segno). Se lim f (x) = � �= 0, allora esiste
x→x0
un intorno bucato di x0 nei punti del quale f ha il segno di �.
Teorema 2.6 (Confronto II, o “Teorema dei carabinieri”). Siano f, g e h
tre funzioni definite su I ⊆ R, sia x0 di accumulazione per I e supponiamo che
(A) f (x) → � e h(x) → � per x → x0 ;
(B) esiste un intorno bucato di x0 nei punti del quale risulta f (x) ≤ g(x) ≤ h(x).
Allora esiste anche lim g(x) e lim g(x) = �.
x→x0 x→x0
Esempi.
(38) Nell’Esempio (15) è stata vista l’importante stima elementare
sin x
0 < cos x < < 1,
x
vera per valori “piccoli e positivi” di x, ad esempio per x ∈ (0, π/2). Poiché le funzioni
cos x, sin x/x e 1 sono pari, la stessa stima varrà per valori “piccoli e negativi” di x,
ad esempio per x ∈ (−π/2, 0).
14Al solito, si deve applicare il teorema di permanenza del segno per dare senso al quoziente.
122 Analisi Matematica 1
Quindi nell’intorno bucato (−π/2, π/2) \ {0} si presenta una situazione nella quale è
possibile applicare il Teorema dei carabinieri. Se ne conclude il limite fondamentale
sin x
(2.53) lim =1
x→0 x
Nel processo di estensione dei risultati dalle successioni alle funzioni è naturale
chiedersi se valga l’analogo della Proposizione 1.9. A tal fine premettiamo la seguente
importante definizione
Definizione 2.8. Una funzione f : I → R si dice limitata se l’insieme dei suoi
valori è un sottoinsieme limitato di R. Equivalentemente,15 essa è limitata se esiste
M ≥ 0 tale che |f (x)| ≤ M per ogni x ∈ I .
Proposizione 2.9. Se f converge a � ∈ R per x → x0 , esiste un intervallo bucato
centrato in x0 su cui f è limitata16.
Dimostrazione. Sia ε > 0. Siccome f (x) → � per x → x0 , esisterà δ > 0 tale che
se x ∈ B(x0 , δ) \ {x0 }, allora |f (x) − �| < ε. Quindi in tale intervallo bucato si ha
� − ε < f (x) < � + ε, come volevasi. �
Si potrebbe riassumere il risultato precedente nell’affermazione: se f è convergente
in x0 , allora essa è localmente limitata in x0 . Il significato della parola “localmente”
è evidentemente riferito all’esistenza di un intervallo bucato, magari piccolo, nei punti
del quale l’asserto è vero. L’implicazione opposta è falsa: la funzione a gradino definita
in (2.52) è limitata e quindi lo è in ogni intervallo bucato centrato nell’origine; d’altra
parte essa non converge per x → 0.
se per ogni ε > 0 esiste δε > 0 tale che se x ∈ I soddisfa 0 < x − x0 < δε ,
allora |f (x) − �| < ε. Chiameremo � il limite destro di f in x0 .
(ii) Sia x0 di accumulazione per I da sinistra. Diremo che il limite per x che
tende a x0 da sinistra di f è � ∈ R, ed in tal caso scriveremo
lim f (x) = �, oppure f (x) −−−→ �,
x→x−
0 x→x0−
se per ogni ε > 0 esiste δε > 0 tale che se x ∈ I soddisfa 0 < x0 − x < δε ,
allora |f (x) − �| < ε. Chiameremo � il limite sinistro di f in x0 .
Esempi.
(42) Sia f (x) = x/|x|. Essa è definita in R \ {0} e vale 1 sulla semiretta positiva e
−1 sulla semiretta negativa. È pertanto del tutto evidente che
x x
lim+ = 1, lim− = −1.
x→x0 |x| x→x0 |x|
17In
questo caso la parola “oppure” va inteso nel senso non disgiuntivo, ossia che almeno una delle
due affermazioni è vera.
Limiti e continuità 125
2.3. Funzioni divergenti e limiti a più e meno infinito. Cosı̀ come per le
successioni, si formalizza il concetto di funzione che diviene arbitrariamente grande (o
grandemente negativa) all’avvicinarsi della variabile ad un punto mediante i simbili
matematici “+∞” e “−∞”.
Definizione 2.14. Siano I ⊂ R non vuoto, x0 un punto di accumulazione per I
e f : I → R una funzione.
(i) Diremo che f diverge a +∞ per x che tende a x0 , oppure che il limite di f
per x che tende a x0 è +∞, e in tal caso scriveremo
lim f (x) = +∞, oppure f (x) −−−→ +∞
x→x0 x→x0
se per ogni K > 0 esiste δK > 0 tale che se x ∈ I soddisfa 0 < |x − x0 | < δK ,
allora f (x) > K .
(ii) Diremo che f diverge a −∞ per x che tende a x0 , oppure che il limite di f
per x che tende a x0 è −∞, e in tal caso scriveremo
lim f (x) = −∞, oppure f (x) −−−→ −∞
x→x0 x→x0
se per ogni K > 0 esiste δK > 0 tale che se x ∈ I soddisfa 0 < |x − x0 | < δK ,
allora f (x) < −K .
I concetti espressi nella definizione precedente sono illustrati qui sotto.
x0 − δ x0 + δ
f (U \ {x0 })
Esempi.
(43) Esempi naturali di funzioni divergenti in un punto sono costruiti mediante potenze
negative. Ad esempio f (x) = |x − x0 |−1 , ma anche f (x) = |x − x0 |−n con n intero
positivo. Infatti, fissato K > 0 e scelto δ = K −1/n , se 0 < |x − x0 | < δ = K −1/n ,
allora |x − 1|−n > δ −n = K .
(44) Sia f (x) = | tan x| e sia x0 = π/2. Sappiamo già che per x → π/2 il coseno
tende a zero. Fissato perciò K > 0 e posto ε = 1/(2K) esisterà δK tale che se
0 < |x − π/2| < δK allora | cos x| < ε = 1/(2K). Poiché inoltre il seno tende a uno
per x → π/2, possiamo certamente fare in modo che per 0 < |x − π/2| < δK si abbia
| sin x| > 1/2. Ma allora per le stesse x si ha
� �
� sin x � 1 1
| tan x| = �� �> > K,
cos x � 2 |cos x|
(45) Il lettore non avrà difficoltà ad estendere quanto visto nella Sezione 2.2 al caso
di funzioni divergenti: la definizione di funzione divergente (a +∞ oppure a −∞) per
−
x → x+0 oppure per x → x0 è lasciata per esercizio. Sarà poi facile provare che
intuitiva che le semirette U = (a, +∞) oppure U = (−∞, a) possano riguardarsi come
intorni, rispettivamente, di +∞ e di −∞. Chiariamo una volta ancora che né +∞,
né −∞ sono numeri reali e che quindi le espressioni appena usate vanno prese con
beneficio di inventario. Il loro scopo è semplicemente quello di guidare il lettore verso
un processo di sintesi che permetta di intravvedere come di fatto la nozione di limite sia
una ed una sola, e che essa viene di volta in volta adattata alla circostanza particolare
in cui si deve operare.
Definizione 2.15. Siano I ⊆ R, f : I → R una funzione e � ∈ R. Supponiamo
che per qualche a ∈ R sia (a, +∞) ⊆ I . Diremo che f converge ad � per x che tende
a +∞, oppure che il limite di f per x che tende a +∞ è �, e in tal caso scriveremo
lim f (x) = �, oppure f (x) −−−−→ �
x→+∞ x→+∞
se per ogni ε > 0 esiste K > a tale che se x > K , allora |f (x) − �| < ε.
La definizione precedente dovrebbe richiamare immediatamente la definizione rela-
tiva alle successioni. In effetti, il disegno che la illustra è del tutto analogo.
a
K
Facciamo osservare che anche questa definizione può essere riformulata mediante
il linguaggio degli intorni: dato un intorno V di � (ossia un intervallo centrato in �)
deve esistere un intorno U di +∞ (ossia una semiretta del tipo (K, +∞)) tale che
f (U ) ⊂ V . In questo caso c’è una ulteriore sottigliezza di cui tener conto: non è
necessario “bucare” l’intorno U di +∞ in quanto esso non contiene ciò che sarebbe
necessario togliere, ossia “+∞”, che non è un numero reale.
Le definizioni esplicite di
lim f (x) = +∞, lim f (x) = −∞,
x→+∞ x→+∞
finito quanto all’infinito, e sarebbe assai pedante formulare tutti i possibili enunciati.
Vorremo invece poter scrivere
e coprire tutti i casi simultaneamente. Inoltre, vi sono enunciati che valgono sia nel
caso in cui il limite sia un numero reale � ∈ R, sia nel caso in cui la funzione in
esame diverga a +∞ oppure a −∞. Queste considerazioni giustificano l’introduzione
di definizioni generali, che procediamo a dare sulla scorta delle discussioni svolte in
precedenza. Stipuliamo innanzitutto una convenzione.
Possiamo finalmente procedere alla definizione generale di limite cui abbiamo alluso
già diverse volte.
Molti dei risultati già visti si estendono al caso p ∈ R ∪ {±∞}. Per semplicità
tuttavia, non procediamo ad una riformulazione esplicita nel caso x → +∞ oppure
x → −∞. Il lettore è invitato a verificare che il Teorema 2.4 e il suo Corollario 2.5,
nonché il Teorema 2.6, il Teorema 2.7 e la Proposizione 2.9, possono essere enunciati
tenendo conto della Convenzione 2.16, ovvero della Definizione 2.17.
La definizione generale di limite è inoltre molto utile per descrivere l’algebra (este-
sa) dei limiti delle funzioni. Come per le successioni, ci limitiamo ad uno schema
riassuntivo. Nella tabella che segue p ∈ R ∪ {±∞}, mentre f e g sono due funzioni
definite su uno stesso insieme, che ha p come punto di accumulazione. Al solito,
l’acronimo “F.I.” sta per “forma indeterminata”, e si riferisce a situazioni nelle quali
non si hanno a disposizione informazioni sufficienti per poter concludere. Per ciascuna
forma indeterminata presente nella tabella, il lettore è invitato a produrre esempi nei
quali la somma (o il prodotto) tende a zero, oppure converge a � ∈ R \ {0}, o diverge
a +∞ o diverge a −∞.
130 Analisi Matematica 1
Un altro risultato che può essere esteso al caso p = ±∞ è l’importante Teorema 2.3.
In effetti, adattando la dimostrazione già vista, non è difficile dimostrare la seguente
versione completa del teorema.
Teorema 2.18 (Limite fatto per successioni, II). Siano p ∈ R ∪ {±∞} di
accumulazione per I , f : I → R e q ∈ R ∪ {±∞}. Sono fatti equivalenti:
(i) lim f (x) = q ;
x→p
(ii) per ogni successione (xn )n≥0 di elementi di I \ {p} tale che xn → p, si ha
lim f (xn ) = q .
n
Il quadro dei risultati generali sui limiti si va via via completando. Passiamo ora
a considerare funzioni infinitesime e funzioni monotone. A tale scopo ribadiamo la
Definizione 1.16 nel caso delle funzioni.
Definizione 2.19. Siano p ∈ R ∪ {±∞} di accumulazione per I e f : I → R.
Diremo che f è infinitesima per x → p se lim f (x) = 0.
x→p
Esempi.
e similmente che
π π
(2.59) lim arctan x = − , lim arctan x = .
x→−∞ 2 x→+∞ 2
18I risultati che seguono sono ancora veri se si prende una qualunque base a > 1 . Che cosa
succede invece se a < 1 ?
132 Analisi Matematica 1
Esempi.
(48) Vediamo il caso di una sostituzione tipica. Si voglia calcolare il limite
1
lim x sin .
x→+∞ x
Guardando la tabella (2.57), il limite precedente si presenta nella forma “∞ · 0”, che
è indeterminata. Possiamo però notare che
1 sin(1/x)
x sin = .
x 1/x
Poniamo dunque �
sin y
y
se y �= 0
g(y) =
1 se y = 0.
Evidentemente, g converge a 1 = g(0) per y → 0 ed inoltre y = 1/x → 0 per
x → +∞. La sostituzione y = 1/x è pertanto lecita ed il limite cercato vale 1.
(49) Utilizziamo il Teorema 2.23 per discutere un certo tipo di forma apparentemente
indeterminata. Supponiamo cioè di voler calcolare un limite della forma
� �
(2.60) lim f (x)g(x) ,
x→p
Le corrette implicazioni precedenti sono alle volte sintetizzate nelle scorrette scritture
informali:
(0+ )+∞ = 0, (0+ )−∞ = +∞.
(50) Utilizziamo ora il Teorema 2.23 per estendere il limite notevole (1.38), ossia per
provare che
� �x � �x
1 1
(2.61) lim 1 + = e, lim 1 + = e.
x→+∞ x x→−∞ x
In effetti, usando al solito le proprietà di esponenziale e logaritmo
� �x
1 −1
1+ = ex log(1+x ) ,
x
cosicché (2.61) sarà dimostrata se proviamo che x log(1 + x−1 ) → 1 per x → ±∞.
D’altra parte
log(1 + x−1 )
x log(1 + x−1 ) =
x−1
e posto y = x−1 possiamo concludere utilizzando il limite notevole log(1 + y)/y → 1
per y → 0, visto che y = x−1 → 0 per x → ±∞.
(51) Alla luce dell’esempio precedente, si potrebbe essere tentati di arguire che le forme
del tipo “1+∞ ” non siano indeterminate. Mostriamo subito che ciò è falso, considerando
una variante del caso precedente. Infatti,
� �x2
1
1+
x
si presenta ancora nella forma “1+∞ ”. Passaggi analoghi a quelli svolti in precedenza
portano a esaminare l’esponente
log(1 + x−1 )
x2 log(1 + x−1 ) = x · ,
x−1
che diverge a +∞ per x → +∞. Dunque
� �x2
1
lim 1 + = +∞.
x→+∞ x
(52) Ancora qualche limite notevole. Supponiamo di sapere che per ogni a > 0,
Entrambe le affermazioni precedenti sono vere e verranno provate nella Sezione ??.
Vogliamo provare che
log (1 + x) 1
(2.64) lim a = , a > 0, a �= 1;
x→0 x log a
ax − 1
(2.65) lim = log a, a > 0;
x→0 x
(1 + x)α − 1
(2.66) lim = α, α ∈ R.
x→0 x
Consideriamo il primo limite. Ovviamente, si deve richiedere a > 0 e a �= 1. Siccome
� �1/x
loga (1 + x) 1/x 1
= loga (1 + x) = loga 1 + ,
x 1/x
possiamo sfruttare il fatto che 1/x → ±∞ per x → 0± , poi i limiti notevoli (2.61) ed
infine l’ipotesi (2.63) per dedurre che il limite cercato vale loga e, ossia 1/ log a.
Passiamo a (2.65). Se a = 1 il risultato è banale. Per x → 0, abbiamo ax − 1 → 0.
Posto perciò y = ax − 1 e osservato che in tal caso x = loga (y + 1), si ha
ax − 1 y
= → log a,
x loga (y + 1)
in virtù di (2.64)
Per (2.66), siccome x → 0, certamente in un intorno bucato di 0 avremo 1 + x > 0
cosicché la potenza (1 + x)α è ben definita ed avrà anche senso porre 1 + x = ey .
Quindi
(1 + x)α − 1 eαy − 1 eαy − 1 y (eα )y − 1 y
= y = = .
x e −1 y ey − 1 y ey − 1
Il secondo fattore converge a 1, mentre il primo, converge a log(eα ) = α per via
di (2.65).
136 Analisi Matematica 1
Esercizi
10. Formulare il Teorema 2.4 e il suo Corollario 2.5, nonché il Teorema 2.6, il Teo-
rema 2.7 e la Proposizione 2.9 con p = ±∞ in luogo di x0 ∈ R.
11. Formulare un analogo del Teorema 2.22 per le funzioni non crescenti o decrescenti.
12. Per ciascuno dei seguenti limiti stabilire se essi hanno senso o meno; in caso affer-
mativo stabilire se essi esistono o no e, se si, calcolarli. Quando compare il parametro
α, si intende α ∈ R e si richiede la discussione del limite al variare di α. Similmente,
k denota un parametro intero ed il limite va discusso al variare di k ∈ Z.
sin 5x sin 3x sin(x3 )
(i) lim ; (ii) lim ; (iii) lim ;
x→0 sin 3x x→+∞ x x→0 x
1 − cos x
(iv) lim x sin x; (v) lim x sin x; (vi) lim+ ;
x→0 x→+∞ x→0 xα sin x
x2 − sin2 x xα tan 2x
(vii) lim+ 2 2 ; (viii) lim+ ; (ix) lim ;
x→0 x + sin x x→0 sin x x→+∞ sin 3x
√
1 x−1 x2 + sin2 x
(x) lim (x − 2) sin ; (xi) lim ; (xii) lim+ ;
x→2 x−2 x→1 x − 1 x→0 x2 + sin(x2 )
Limiti e continuità 137
√ √
1 + cos x − 2 x2 − 3x + 2
(xiii) lim ; (xiv) lim ; (xv) lim [sin x];
x→0 sin(x2 ) x→2 x−2 x→kπ
�
esin x − 1 2x + 1
(xxii) lim+ √ √ ; (xxiii) lim ; (xxiv) lim (1 + x)1/5x
x→0 x arctan 2 x x→+∞ x+1 x→0
� �
1 sin(x − 1)
(xxv) lim (x − 1) sin 2
; (xxvi) lim e−1/x ; (xxvii) lim ;
x→1 x−1 x→0 x→1 x−1
√
x (1 + tan x)x − 1 e x
(xxxiv) lim sin x; (xxxv) lim ; (xxxvi) lim ;
x→+∞ x + 1 x→0 x2 x→+∞ x4 + 1
x4 sin2 x √ 1
(xxxvii) lim sin x; (xxxviii) lim cos(nπ) n n; (xxxix) lim 2n sin ;
x→+∞ x2 + 1 n→+∞ n→+∞ 2n
138 Analisi Matematica 1
3. Funzioni continue.
Siamo ora in grado di formulare la nozione di continuità.
Definizione 3.1. Siano I ⊂ R, f : I → R e x0 ∈ I un punto di accumulazione
per I . Diremo che f è continua in x0 se
lim f (x) = f (x0 ).
x→x0
Esempi.
(53) Dall’esempio (33) segue che le funzioni lineari x �→ ax + b sono continue. In
particolare, le funzioni costanti sono continue. Le relazioni (2.50) e (2.51) dicono che
le funzioni seno e coseno sono continue. Le relazioni (2.62) e (2.63), che non sono
state ancora dimostrate, implicano invece la continuità delle funzioni esponenziali e
logaritmiche. La (2.62) è dimostrata in questa sezione, nella Proposizione 3.7.
(54) La funzione a gradino definita in (2.52) evidentemente non è continua nell’origine
in quanto il limite per x → 0 non esiste, e quindi non può essere uguale a f (0) = 0.
La dimostrazione del risultato che segue è basata sul Teorema 2.3, di cui è una lieve
variante.
Proposizione 3.2 (Continuità per successioni). Siano x0 ∈ I un punto di
accumulazione per I ⊆ R e f : I → R. Sono fatti equivalenti:
(i) f è continua in x0 ;
(ii) per ogni successione (xn )n≥0 di elementi di I tale che xn → x0 si ha che
lim f (xn ) = f (x0 ).
n
Esempi.
(55) Tutti i polinomi sono funzioni continue su R. In effetti, si può ragionare in-
duttivamente su n e provare dapprima che tutte le potenze x �→ xn sono continue.
Un nuovo ragionamento induttivo permette poi di concludere, osservando che ogni
polinomio Pn (x) di grado n si può scrivere nella forma Pn (x) = Pn−1 (x) + λxn . La
continuità segue evidentemente da quelle di Pn−1 (x) e di xn . Nella Proposizione 3.6
r
√ delle potenze reali x �→ x (x > 0
che segue poco sotto, viene dimostrata la continuità
e r ∈ R). Ne discenderà, ad esempio, che x �→ x è continua.
(56) Ogni funzione razionale del tipo f (x) = P (x)/Q(x), con P e Q polinomi, è
continua nell’insieme complementare di ZQ = {x ∈ R : Q(x) = 0}.
(57) Nonostante questo possa sembrare strano, la funzione f (x) = 1/x è continua. In
effetti, essa è definita in I = R \ {0}, ed in ciascun punto x0 ∈ I risulta 1/x → 1/x0 ,
come segue facilmente dall’algebra dei limiti.
Un’altra fondamentale proprietà delle funzioni continue è il fatto che esse possono
essere composte, nel senso descritto dal risultato seguente. Esso è una conseguenza
immediata del Teorema 2.23, la cui ipotesi (i) è precisamente la continuità di g .
Proposizione 3.5 (Continuità della composta). Se f è continua in x0 e g è
continua in f (x0 ), allora g ◦ f è continua in x0 .
A partire dalle funzioni elementari si possono quindi generare grandi famiglie di fun-
zioni continue, mediante operazioni algebriche (combinazioni lineari prodotti e quozien-
ti) e composizioni. Proviamo ora la continuità delle potenze reali e delle funzioni espo-
nenziali. Quella delle funzioni logaritmo seguirà dal Teorema??.
20In realtà, C(I) è anche un’algebra rispetto alla moltiplicazione puntuale.
140 Analisi Matematica 1
Esempi.
(58) Sono funzioni continue le funzioni iperboliche:
ex + e−x
cosh x =
2
e − e−x
x
sinh x = ,
2
dette rispettivamente il coseno iperbolico ed il seno iperbolico di x. Si osservi che esse
non sono altro che la parte pari e la parte dispari di x �→ ex . E’ anche continua su
tutto R la tangente iperbolica
sinh x ex − e−x
tanh x = = x .
cosh x e + e−x
Concludiamo questa sezione con una breve discussione sui vari tipi di discontinuità.
Definizione 3.8. Una funzione f : I → R si dice avere una discontinuità elimi-
nabile in x0 ∈ I , se x0 è di accumulazione per I e se esiste finito il lim f (x) = � ∈ R
x→x0
ma � �= f (x0 ). Nel caso in cui x0 �∈ I ma pur sempre esista il lim f (x) = � ∈ R, la
x→x0
funzione f si dirà prolungabile per continuità in x0 . In entrambi i casi, la funzione
�
f (x) se x ∈ I
f˜(x) =
� se x = x0
è continua in x0 .
Evidentemente, una discontinuità eliminabile è una sorta di “falsa” discontinuità:
basta modificare il valore di f nel solo punto x0 per avere una funzione continua. Un
esempio di funzione prolungabile per continuità nell’origine è la funzione f (x) = sin x/x
che non è definita in x = 0. Siccome però f (x) → 1 per x → 0, possiamo a tutti gli
effetti considerare f come una funzione continua ponendo per definizione f (0) = 1.
Definizione 3.9. Una funzione f : I → R si dice avere una discontinuità a salto
o di prima specie in x0 ∈ I se x0 è di accumulazione per I , se esistono finiti i limiti
−
di f per x → x+0 e per x → x0 ma
La quantità [f ]x0 si chiama il salto di f in x0 . Una discontinuità che non sia né
eliminabile né di prima specie si dice di seconda specie.
Esempi.
(59) La funzione �
x/|x| se x �= 0
f (x) =
0 se x = 0
142 Analisi Matematica 1
Esercizi
1. Si consideri la funzione:
log(1 − 2x)
se x < 0;
x
f (x) = a se x = 0;
2
x + b cos x se x > 0.
Si determini per quali valori di a e b, se ne esistono, la funzione f risulta continua
nell’origine.
2. Siano α ∈ R e β ∈ R due parametri, e sia
�
xαx se x > 1
ϕ(x) =
βx + 1 − β se x ≤ 1.
Si discuta per quali valori di α e β , se ve ne sono, ϕ risulta continua nel punto x0 = 1.
3. Sia a ∈ R e si consideri la funzione
eax − 1 se x > 0
g(x) = 0 se x = 0
1 − cos x
se x < 0.
2 arctan x
Si determini per quali valori di a ∈ R, se ve ne sono, g è continua nell’origine.
4. Siano α e β parametri reali e sia
α log(1 + x) se x ≥ 0
ψ(x) =
β x2 sin � 1 � se x < 0
x
Stabilire per quali valori di α e β , se ve ne sono, ψ risulta continua nell’origine.
5. Si provi che una funzione f : R → R è continua se e solo se per ogni insieme aperto
U si ha che anche f −1 (U ) è un insieme aperto.
144 Analisi Matematica 1
Passiamo ora alla moderna definizione di insieme compatto, che richiede la nozione
di ricoprimento.
Definizione 4.4. Sia X ⊆ R un insieme non vuoto e sia I un insieme qualunque.
Una famiglia {Xi : i ∈ I} di sottoinsiemi di R si chiama ricoprimento di X se
�
Xi ⊆ X.
i∈I
Esempi.
(60) La famiglia {[n, n + 1) : n ∈ Z} è un ricoprimento di R. La famiglia {(0, 1/n) :
n = 1, 2, 3, . . . } è un ricoprimento aperto di (0, 1) ed in particolare
� 1
(0, ) = (0, 1).
n∈N∗
n
Sia ε > 0; la famiglia {(t, 1 + t) : t ∈ [−ε, ε]} è un ricoprimento aperto di [0, 1] in
quanto
�
(t, 1 + t) = (−ε, 1 + ε) ⊃ [0, 1].
t∈[−ε,ε]
4.2. Esistenza di massimi e minimi. Come vedremo nel prossimo capitolo, tra i
successi dell’Analisi vi sono i metodi di ricerca dei massimi e dei minimi di una funzione
f : I → R, qualora essa goda di qualche proprietà di regolarità. Assai meno pratico
dal punto di vista operativo, ma di fondamentale importanza teorica, è il teorema che
andiamo a dimostrare circa l’esisitenza di estremi. Abbiamo già introdotto la nozione
di massimo e di minimo di un sottoinsieme di R. Riferiti ad una funzione, questi
concetti devono essere interpretati come segue:
Definizione 4.7. Sia f : I → R. Un punto ξ ∈ I è detto punto di massimo per f
(o semplicemente un massimo di f ) se f (ξ) = max f (I), cioè se f (ξ) ≥ f (x) per ogni
x ∈ I . Similmente, un punto η ∈ I è detto punto di minimo per f (o semplicemente
un minimo di f ) se f (η) = min f (I), cioè se f (η) ≤ f (x) per ogni x ∈ I . Si dice
estremo di f un punto che sia un massimo oppure un minimo.
Alcuni autori riservano il termine massimo assoluto a ciò che qui abbiamo chiamato
massimo e minimo assoluto a ciò che noi abbiamo chiamato minimo. Questa differenza
è da imputarsi alla necessità di distinguere tra le nozioni globali che abbiamo appena
introdotto e quelle locali che vedremo più avanti.
Proposizione 4.8. Sia f : [a, b] → R continua. Allora f è limitata.
Dimostrazione. Si supponga per assurdo che f non sia limitata. Allora per ogni
intero positivo n possiamo trovare un xn ∈ [a, b] tale che |f (xn )| ≥ n. La successione
(xn )n≥1 è costituita da elementi di [a, b] e quindi, per il teorema di Bolzano-Weierstrass,
ammette un’estratta (xnj )j≥1 convergente ad un elemento x0 ∈ [a, b]. Siccome f è
continua, e siccome x0 ∈ [a, b], la Proposizione 3.2 implica
lim f (xnj ) = f (x0 ).
j
Esempi.
(61) Il lettore avrà osservato che il punto chiave nella dimostrazione sia della Propo-
sizione 4.8 sia del Teorema 4.9 è l’utilizzo del teorema di Bolzano-Weierstrass. Non è
difficile convincersi del fatto che gli stessi argomenti possano essere utilizzati per di-
mostrare entrambi i risultati nelle ipotesi più generali in cui f : K → R con K ⊆ R
compatto. Basta infatti applicare il Teorema di Heine-Borel per ottenere le necessarie
informazioni sulle successioni estratte.
(62) Se l’intervallo su cui è definita f non è chiuso o non è limitato, il teorema è
chiaramente falso. Si prenda ad esempio la funzione f : (−π/2, π/2) → R definita da
f (x) = tan x. Essa è continua sull’intervallo limitato ma non chiuso (−π/2, π/2) ed
evidentemente non ha né massimi né minimi. La funzione g : [0, +∞) → R definita
da g(x) = x sin x è continua sull’intervallo chiuso ma non limitato [0, +∞) e non ha
né massimi né minimi.
(63) Il Teorema 4.9 asserisce l’esistenza di almeno un massimo e di almeno un minimo,
ma non ne asserisce affatto l’unicità, che può naturalmente non esservi: la funzione
f : [−2π, 2π] → R definita da f (x) = sin x ha due massimi (in −3π/4 e in π/2) e due
minimi (in −π/2 e in 3π/2).
Teorema 4.10 (Zeri). Sia f : [a, b] → R continua. Se f (a) e f (b) hanno segno
opposto, allora f ha almeno uno zero, cioè esiste ξ ∈ [a, b] tale che f (ξ) = 0.
Dimostrazione. Possiamo supporre che f (a) < 0 < f (b) (altrimenti si prende −f ).
Poniamo a0 = a, b0 = b e c0 = (a0 + b0 )/2, il punto medio. Se f (c0 ) = 0, allora
la dimostrazione è terminata. Atrimenti, f (c0 ) �= 0 e in almeno uno dei due inter-
valli [a0 , c0 ] oppure [c0 , b0 ] la funzione soddisfa ipotesi analoghe a quelle soddisfatte
nell’intervallo di partenza: essa assume valori opposti agli estremi. Ribattezziamo un
tale intervallo [a1 , b1 ]. Quindi [a1 , b1 ] ⊂ [a0 , b0 ] ed inoltre
b 0 − a0
f (a1 ) < 0 < f (b1 ), b 1 − a1 = .
2
Iterando il ragionamento, o si perviene dopo un numero finito di suddivisioni ad uno
zero di f , nel qual caso la dimostrazione termina, oppure il procedimento non ha
termine e si ottiene in tal modo una successione di intervalli [a1 , b1 ] che soddisfa
[a0 , b0 ] ⊃ [a1 , b1 ] · · · ⊃ [a1 , b1 ] ⊃ . . .
b 0 − a0
f (an ) < 0 < f (bn ), b n − an = .
2n
Proviamo ora che esiste uno ed un solo punto ξ che è contenuto in tutti gli intervalli ed
in cui f si annulla. Per costruzione, la successione (an )n≥0 è monotona non decrescente
ed è limitata superiormente da b0 , mentre (bn )n≥0 è monotona non crescente ed è
limitata inferiormente da a0 . Pertanto entrambe le successioni convergono. Detti
ā, b̄ ∈ [a, b], rispetivamente, i limiti, si ha
b0 − a0
b̄ − ā = lim(bn − an ) = lim =0
n n 2n
e dunque ā = b̄. Indichiamo con ξ tale punto di [a, b]. Siccome f è continua si avrà
lim f (an ) = lim f (bn ) = f (ξ).
n n
Per costruzione, f (an ) < 0 < f (bn ) e quindi, passando al limite per n → ∞ ed
applicando il teorema del confronto si ha
f (ξ) = lim f (an ) ≤ 0 ≤ lim f (bn ) = f (ξ),
n n
Convenzione 4.11. Diremo che due elementi non nulli s1 e s2 di R∪{±∞} hanno
segno opposto se si verifica una di queste situazioni:
(i) s1 < 0 < s2 ;
(ii) s1 = −∞ e s2 > 0;
(iii) s1 < 0 e s2 = +∞;
(iv) s1 = −∞ e s2 = +∞;
Corollario 4.12. Sia f continua su un intervallo I . Supponamo che f ammetta
limiti (finiti o infiniti) agli estremi di I , che essi siano diversi da zero e abbiano segno
opposto. Allora f ha uno zero in I .
Dimostrazione. Siano p1 e p2 gli estremi di I , quindi p1 ∈ R ∪ {−∞} e p2 ∈
R ∪ {+∞} e siano
q1 = lim f (x), q2 = lim f (x).
x→p1 x→p2
Evidentemente si assume qj �= 0 per j = 1, 2 e che essi abbiano segni opposti. Quindi,
per permanenza del segno, esisono due intorni, U1 di p1 e U2 di p2 , sui quali la funzione
assume il segno rispettivamente di q1 e di q2 , escludendo naturalmente p1 e p2 stessi.
Ad esempio cioè f (U1 \ {p1 }) ⊂ (−∞, 0) mentre f (U2 \ {p2 }) ⊂ (0, +∞). Scelti allora
a ∈ U1 \ {p1 } e b ∈ U2 \ {p2 } si ha f (a) < 0 < f (b). Poiché f è certamente continua
su [a, b] ⊂ I esisterà ξ ∈ (a, b) tale che f (ξ) = 0, come desiderato. �
Il corollario che segue è invece molto utile per risolvere, almeno in linea di principio,
equazioni del tipo f (x) = g(x) quando f e g sono funzioni continue.
Corollario 4.13. Siano f, g : [a, b] → R due funzioni continue e supponiamo che
f (a) < g(a) mentre f (b) > g(b). Allora esiste un punto ξ ∈ (a, b) tale che f (ξ) = g(ξ).
Dimostrazione. Sia h(x) = g(x) − f (x). Evidentemente h è continua su [a, b] e
soddisfa h(a) < 0 < h(b). Quindi ha uno zero ξ . �
Teorema 4.14 (Valori intermedi, I). Sia f : [a, b] → R continua. Allora f
assume tutti i valori compresi tra f (a) e f (b).
Dimostrazione. Se f (a) = f (b) il risultato è banale. Supponiamo allora f (a) <
f (b). Sia y un valore intermedio, ossia f (a) < y < f (b). La funzione g(x) = f (x) − y
è continua su [a, b] e soddisfa g(a) < 0 < g(b). Esiste dunque ξ tale che h(ξ) = 0
ossia f (ξ) = y , come volevasi. �
Esempi.
(64) Supponiamo di voler risolvere l’equazione log(2 + x) = x. Evidentemente, si
tratta di utilizzare il Corollario 4.13, ovvero di trovare gli zeri di x − log(2 + x) in
I = (−2, +∞).
e quindi, per permanenza del segno, esiste un punto x0 < 0 sufficientemente vicino a
−2 (e a destra di esso) in cui f (x0 ) < g(x0 ). Inoltre
f (0) = log 2 g(0) = 0,
e quindi per x1 = 0 si ha f (x1 ) > g(x1 ). Poiché f e g sono continue in [x0 , x1 ],
possiamo concludere che esiste almeno una soluzione dell’equazione log(2 + x) = x
nell’intervallo (−2, 0). Similmente, siccome ad esempio f (e2 − 2) = 2 < e2 − 2 =
g(e2 − 2), si può inferire l’esistenza di un’altra soluzione nell’intervallo (x1 , x2 ) dove
x2 = e2 − 2. Al momento non abbiamo gli strumenti necessari per poter dire che di
fatto queste sono le uniche soluzioni. Si osservi che a tal fine sarebbe sufficiente provare
che la funzione f − g è monotona crescente in (−2, −1] e decrescente in [−1, +∞).
Limiti e continuità 151
Esempio.
(65) In generale, la continuità di f −1 non è affatto garantita dalla continuità di f . Si
consideri la funzione definita in I = (−∞, −1) ∪ [1, +∞) da
�
x + 1 se x < −1
f (x) =
x − 1 se x ≥ 1
Essa è chiaramente continua (si noti che tutti i punti di I sono di accumulazione per
I ), è invertibile ed ha come inversa f −1 : R → I la funzione
�
x − 1 se x < 0
f −1 (x) =
x + 1 se x ≥ 0.
I grafici di f e f −1 sono:
Esempio.
(66) Se l’insieme I non è un intervallo, una funzione f : I → J può benissimo essere
una bigezione continua con inversa continua senza che nessuna delle due sia monotona.
Si consideri per esempio I = J = (−2, −1) ∪ (−1, 1) ∪ (1, 2) e sia
−x − 3 se x ∈ (−2, −1)
f (x) = x se x ∈ (−1, 1)
−x + 3 se x ∈ (1, 2).
Esercizi
Calcolo differenziale
1. Linearizzazione e derivabilità
La nozione di derivata, di capitale importanza in matematica e nelle sue appli-
cazioni, è legata all’idea geometrica di retta tangente e all’idea fisica di velocità. Essa
fu introdotta nel XVII secolo da Leibnitz e da Newton a fondamento del calcolo in-
finitesimale, come allora fu battezzato quel corpus di idee e tecniche che diede luogo
alla disciplina che oggi si chiama Analisi Matematica.
Ma che cosa significa retta tangente ad una curva? Qual’è la retta che meglio
approssima una curva in un punto? Immaginiamo di essere a bordo di un aeroplano
in fase di atterraggio e assumiamo per il momento come accettabile la seguente idea,
ancorché imprecisa: il pilota realizzerà un atterraggio perfetto ogniqualvolta la trai-
ettoria descritta dal carrello sia tangente alla pista, che per semplicità supponiamo
orizzontale (l’asse x). In questo caso, che cosa vediamo dal finestrino nei momenti
immediatamente precedenti il momento di contatto? Sperabilmente, vediamo la pista
scorrerci sotto quasi parallela all’aereo, mentre esso si abbassa molto dolcemente: la
distanza orizzontale che percorre in quei secondi è, per unità di tempo, molto maggiore
della quota che perde. Se x0 è il punto della pista dove avverrà l’atterraggio, se x è la
proiezione a terra del carrello e se f (x) è la sua altezza dal suolo (cosicché f (x0 ) = 0),
allora il rapporto f (x)/(x − x0 ) diviene sempre più piccolo a mano a mano che ci
avviciniamo al momento di contatto, cioè f (x)/(x − x0 ) → 0 per x → x0 .
155
156 Analisi Matematica 1
Se anziché atterrare su una pista orizzontale atterrassimo su una pista inclinata, che
nel nostro schema bidimensionale pensiamo rappresentata dal grafico di una funzione
lineare p(x), allora l’abilità del pilota starà nel far si che (f (x) − p(x))/(x − x0 ) → 0
per x → x0 . Ribaltando il punto di vista, la retta p(x) è la migliore approssimazione
rettilinea della traiettoria f (x) nel punto x0 . Il processo di astrazione matematica
conduce, da questo o da altri simili esempi, alle nozioni di linearizzazione e di derivata ,
per mezzo delle quali potremo dare un significato rigoroso al concetto di retta tangente.
Definizione 1.1 (Linearizzabilità). Sia f : (a, b) → R e sia x0 ∈ (a, b). Diremo
che f è linearizzabile in x0 se esiste un polinomio di primo grado p1 (x) tale che
p1 (x0 ) = f (x0 ) e per il quale risulti
f (x) − p1 (x)
(1.68) lim = 0.
x→x0 x − x0
In tal caso, p1 si chiama la linearizzazione di f in x0 .
Esempi.
(1) Si osservi che la linearizazione in un punto, se c’è, è unica. Infatti, osserviamo
innanzitutto che ogni polinomio di primo grado p tale che p(x0 ) = f (x0 ) è della forma
p(x) = f (x0 ) + d(x − x0 )
per qualche d ∈ R. Perciò, se q è un’altra linearizzazione di f in x0 , si ha q(x) =
f (x0 ) + e(x − x0 ) per qualche e ∈ R, e quindi
p(x) − q(x) p(x) − f (x) + f (x) − q(x) p(x) − f (x) q(x) − f (x)
d−e= = = − .
x − x0 x − x0 x − x0 x − x0
Siccome d − e è costante, se ne deduce
� �
p(x) − f (x) q(x) − f (x)
d − e = lim − = 0 − 0 = 0,
x→x0 x − x0 x − x0
il che implica p = q .
(2) Come ci dobbiamo aspettare, se f è essa stessa un polinomio di primo grado,
coincide con la propria linearizzazione in ogni punto. Se f (x) = ax2 + bx + c, la
linearizzazione in x0 = 0 è p(x) = bx + c. Infatti
(ax2 + bx + c) − (bx + c)
= ax → 0
x
per x�→ 0. Similmente, la linearizzazione in x0 = 0 di un polinomio di grado n del
tipo nj=0 aj xj è p(x) = a0 + a1 x in quanto
�
( nj=0 aj xj ) − (a0 + a1 x) a2 x2 + · · · + an−1 xn−1 + an xn
=
x x
= a2 x + · · · + an−1 xn−2 + an xn−1 → 0
�
per x → 0. In generale, la linearizzazione di nj=0 aj (x − x0 )j è a0 + a1 (x − x0 ), come
il lettore è invitato a verificare.
Calcolo differenziale 157
(3) La nostra intuizione geometrica ci suggerisce che una curva che presenti uno spigolo
non sia linearizzabile in tal punto. Il prototipo di una siffatta curva è il grafico della
funzione x �→ |x|. Proviamo che in effetti f (x) = |x| non è linearizzabile nell’origine. Se
lo fosse, la sua linearizzazione dovrebbe essere del tipo p(x) = ax, in quanto p(0) = 0.
Ma allora
�
f (x) − p(x) |x| − ax |x| 1−a se x > 0
= = −a=
x x x −1 − a se x < 0,
ed evidentemente il limite per x → 0 non esiste.
(4) La linearizzazione di f (x) = sin x nell’origine è x. Infatti
sin x − x sin x
= −1→0
x x
per x → 0. Similmente, la linearizzazione di f (x) = ex − 1 nell’origine è x, come
quella di f (x) = log(1 + x). Quella di f (x) = cos x è invece p(x) = 1, in quanto:
cos x − 1
→ 0.
x
per x → 0. Ecco i grafici delle funzioni discusse e le relative linearizzazioni nell’origine.
158 Analisi Matematica 1
Introduciamo ora una delle più importanti nozioni dell’Analisi. Come vedremo nel
Teorema 1.3, essa esprime una proprietà equivalente alla linearizzabilità.
Definizione 1.2 (Derivata). Siano f : (a, b) → R e x0 ∈ (a, b). Il rapporto
f (x) − f (x0 )
(1.69) ,
x − x0
definito per ogni x ∈ (a, b) \ {x0 }, si dice rapporto incrementale di f in x0 . Diremo
che f è derivabile in x0 se esso converge per x → x0 , ossia se esiste finito il limite
f (x) − f (x0 )
(1.70) lim = f � (x0 ),
x→x0 x − x0
df
che si denota anche (x0 ) oppure Df (x0 ) e si chiama la derivata di f in x0 .
dx
(x, f (x))
∆f
(x0 , f (x0 ))
∆x
deve essere intesa come un vero rapporto tra le quantità df e dx (nessuna delle quali
rappresenta un numero reale!) bensı̀ come un semplice simbolo.
Il rapporto incrementale si può scrivere anche in un modo diverso, naturalmente
equivalente a (1.69), utilizzando in modo ancora più esplicito l’idea di incremento. Per
h sufficientemente piccolo (ossia |h| < b − a) esso può scriversi
f (x0 + h) − f (x0 )
.
h
Per passare dall’una all’altra espressione basterà porre h = x − x0 , e la definizione di
derivata diventerà
f (x0 + h) − f (x0 )
(1.71) f � (x0 ) = lim .
h→0 h
Le considerazioni geometriche che abbiamo svolto suggeriscono fortemente che, se f
è derivabile in x0 , la retta di coefficiente angolare f � (x0 ) dovrebbe essere esattamente
la linearizzazione di f in tal punto e, viceversa, se f è linearizzabile in x0 allora la sua
linearizzazione dovrebbe avere come coefficiente angolare la derivata di f in x0 . Ciò è
esattamente ciò che avviene, come provato nel risultato che segue.
cosicché f è linearizzabile in x0 . �
Qualche commento sul punto (iii) del teorema precedente è d’obbligo. La deri-
vabilità e la linearizzabilità di f risultano dunque equivalenti alla scrittura
(1.74) f (x) = p1 (x) + R1 (x) = f (x0 ) + f � (x0 )(x − x0 ) + R1 (x),
che chiameremo sviluppo di Taylor al prim’ordine1, dove evidentemente
p1 (x) = f (x0 ) + f � (x0 )(x − x0 )
non è altro che la linearizzazione di f , mentre R1 è un resto di cui si conosce il
comportamento per x → x0 . In effetti, alla luce del Teorema 1.3, il coefficiente angolare
di p1 è la derivata di f in x0 e il resto, ossia l’errore che si commette approssimando
f mediante p1 , è tanto migliore quanto più x è vicino ad x0 : esso tende a zero per
x → x0 e vi tende più rapidamente di quanto x tende ad x0 , come quantificato dalla
formula (1.73). Questa osservazione è resa ancora più precisa dal Teorema 1.5 che
segue, e in particolare dalla sua dimostrazione.
Possiamo finalmente formalizzare la nozione di retta tangente cui abbiamo già di-
verse volte alluso facendo affidamento alla nostra intuizione geometrica.
Definizione 1.4. Sia f : (a, b) → R e sia x0 ∈ (a, b). Se f è derivabile in x0 , la
retta tangente al grafico di f nel punto (x0 , f (x0 )) è la retta di equazione
(1.75) y = f (x0 ) + f � (x0 )(x − x0 ).
Se f non è derivabile in x0 , diremo che la retta tangente al grafico di f nel punto
(x0 , f (x0 )) non esiste.
Esempi.
(5) Le funzioni costanti hanno derivata nulla in ogni punto in quanto il rapporto
incrementale è costantemente uguale a zero.
(6) Abbiamo visto nell’Esempio�n2 che la linearizzazione nell’origine di un polinomio
j
di grado n, diciamo Q(x) = a
j=0 j x , è semplicemente il termine lineare p(x) =
�
a0 + a1 x. Quindi Q (0) = a1 . Ciò naturalmente segue anche dalla definizione di
derivata. Infatti
�n n
Q(x) − Q(0) Q(x) − a0 j=1 aj x
j �
= = = aj xj−1 = a1 + a2 x + · · · + an xn−1
x x x j=1
da cui la continuità in x0 . �
Passiamo ora allo studio delle cosiddette regole di derivazione, ossia al vero e proprio
calcolo delle derivate.
Proposizione 1.6 (Derivata di somme e prodotti). Siano f, g : (a, b) → R
derivabili in x0 ∈ (a, b). Allora sono derivabili in x0 anche le funzioni f + g , f g e αf
per ogni α ∈ R e si ha:
(i) (f + g)� (x0 ) = f � (x0 ) + g � (x0 );
(ii) (f g)� (x0 ) = f � (x0 )g(x0 ) + f (x0 )g � (x0 );
(iii) (αf )� (x0 ) = αf � (x0 ).
Dimostrazione. Per la somma si ha
(f + g)(x) − (f + g)(x0 ) f (x) − f (x0 ) g(x) − g(x0 )
= + → f � (x0 ) + g � (x0 )
x − x0 x − x0 x − x0
per x → x0 . Per il prodotto invece
(f g)(x) − (f g)(x0 ) f (x)g(x) − f (x)g(x0 ) + f (x)g(x0 ) − f (x0 )g(x0 )
=
x − x0 x − x0
� � � �
g(x) − g(x0 ) f (x) − f (x0 )
= f (x) + g(x0 ) .
x − x0 x − x0
Ora, poiché f e g sono derivabili in x0 , esse sono continue in x0 . Quindi il rapporto
incrementale tende a f (x0 )g � (x0 )+g(x0 )f � (x0 ) per x → x0 . La (iii) segue da (ii) perché
le costanti hanno derivata nulla: basta prendere g(x) = α per ogni x ∈ (a, b). �
La formula in (ii) è nota come regola di Leibnitz. Dai punti (i) e (iii) segue la
linearità della derivazione, nel senso che per ogni α, β ∈ R si ha
(αf + βg)� (x0 ) = αf � (x0 ) + βg � (x0 ).
Proposizione 1.7 (Derivata della funzione composta). Siano f : (a, b) → R
e g : (c, d) → R derivabili rispettivamente in x0 ∈ (a, b) e in f (x0 ) ∈ (c, d) e si
supponga che f ((a, b)) ⊆ (c, d). Allora la funzione g ◦ f è derivabile in x0 e si ha:
(g ◦ f )� (x0 ) = g � (f (x0 ))f � (x0 ).
Dimostrazione. Poniamo per semplicità y0 = f (x0 ) e consideriamo gli sviluppi di
Taylor al prim’ordine
f (x) = f (x0 ) + f � (x0 )(x − x0 ) + Rf (x)
g(y) = g(y0 ) + g � (y0 )(y − y0 ) + Rg (x),
ove si sono denotati con Rf e Rg i resti. Quindi, per ipotesi Rf (x)/(x − x0 ) → 0 per
x → x0 mentre Rg (y)/(y − y0 ) → 0 per y → y0 . Pertanto, in y = f (x) si ha
g(f (x)) = g(y0 ) + g � (y0 )(f (x) − y0 ) + Rg (f (x))
� �
= g(y0 ) + g � (y0 ) f (x0 ) + f � (x0 )(x − x0 ) + Rf (x) − g � (y0 )f (x0 ) + Rg (f (x))
� � � �
= g(f (x0 )) + g � (f (x0 ))f � (x0 )(x − x0 ) + g � (f (x0 ))Rf (x) + Rg (f (x)) .
Calcolo differenziale 163
La regola di derivazione della funzione composta viene detta anche regola della
catena, traduzione dell’inglese chain rule.
Completiamo il quadro relativo alle regole di derivazione con i tre risultati che
seguono. Procederemo poi a ottenere le derivate delle funzioni elementari e a disporre
perciò degli strumenti adeguati per il calcolo della maggior parte delle derivate che
ragionevomente capita di dover calcolare. Omettiamo la non difficile dimostrazione
della proposizione che segue. Il lettore curioso la potrà ricavare da solo per esercizio
oppure leggerla ad esempio in [DM].
Proposizione 1.8 (Derivata dell’inversa). Sia f : (a, b) → R continua e inver-
tibile in (a, b) e derivabile in x0 ∈ (a, b) e si supponga f � (x0 ) �= 0. Allora la funzione
inversa f −1 è derivabile in y0 = f (x0 ) e si ha
1 1
(f −1 )� (y0 ) = = .
f � (x 0) f � (f −1 (y 0 ))
164 Analisi Matematica 1
Modificando le notazioni della Proposizione 1.8, abbiamo perciò che nel punto
(x0 , f −1 (x0 )) = (f (t0 ), t0 ), la retta tangente al grafico della funzione inversa ha equazione:
x − x0
(1.76) y = f −1 (x0 ) + (f −1 )� (x0 )(x − x0 ) = t0 + � .
f (t0 )
Proposizione 1.9 (Derivata del reciproco). Sia f : (a, b) → R derivabile in
x0 ∈ (a, b) e si supponga f (x0 ) �= 0. Allora la funzione reciproca 1/f è definita in un
intorno di x0 , è derivabile in x0 e si ha
� ��
1 f � (x0 )
(x0 ) = − .
f (f (x0 ))2
Dimostrazione. Il rapporto incrementale di 1/f (x) in x0 è
� � � �
1 1 1 1 f (x0 ) − f (x) 1 f (x) − f (x0 )
− = =− .
x − x0 f (x) f (x0 ) x − x0 f (x)f (x0 ) f (x)f (x0 ) x − x0
Siccome f è continua, esso converge a −f � (x0 )/(f (x0 ))2 per x → x0 . �
un intorno di x0 , è derivabile in x0 e si ha
� ��
f f � (x0 )g(x0 ) − f (x0 )g � (x0 )
(x0 ) = .
g (g(x0 ))2
Dimostrazione. Applichiamo la regola di Leibnitz al prodotto f (1/g) e la Propo-
sizione 1.9, ottenendo
� �� � ��
1 � 1 1
f (x0 ) = f (x0 ) + f (x0 ) (x0 )
g g(x0 ) g
f � (x0 ) g � (x0 )
= − f (x0 )
g(x0 ) (g(x0 ))2
f � (x0 )g(x0 ) − f (x0 )g � (x0 )
= .
(g(x0 ))2
�
Concludiamo questo paragrafo con qualche osservazione sui limiti destri e sinistri.
Definizione 1.11. Sia f : [a, b] → R.
(i) se x0 ∈ [a, b) e se esiste finito il limite
f (x) − f (x0 )
lim+
x→x0 x − x0
Esempi.
(9) Come visto nell’Esempio 3, la funzione |x| non è derivabile nell’origine. Però
f (x) − f (0) |x| − 0 x
lim+ = lim+ = lim+ = 1
x→0 x x→0 x x→0 x
f (x) − f (0) |x| − 0 −x
lim− = lim− = lim− = −1
x→0 x x→0 x x→0 x
cosicché f+� (0) = 1 e f−� (0) = −1.
166 Analisi Matematica 1
2.1. Potenze con esponente intero, polinomi. Abbiamo già visto negli esempi
2 e 6 che la derivata di x �→ x è 1, come peraltro risulta chiaro dal fatto che il rapporto
incrementale in ognoi punto vale esattamente 1. Proviamo ora per induzione su n che
d n
(2.78) x = nxn−1 .
dx
Supponendo (2.78) vera fino al grado n, si ha poi, per ipotesi induttiva e per la regola
di Leibnitz
� � � �
d n+1 d� n � d n n d
x = x x = x x+x x = nxn−1 · x + xn · 1 = (n + 1)xn ,
dx dx dx dx
che è esattamente (2.78) per n + 1. Dalla linearità della derivata, si ottiene subito che
n n n−1
d � � �
(2.79) ak x k = kak xk−1 = (k + 1)ak xk .
dx k=0 k=1 k=0
da cui
d
(2.91) cos x = − sin x.
dx
Applicando la formula di derivazione del quoziente si ha pertanto
� � �d � �d �
d d sin x dx
sin x cos x − sin x dx cos x (cos x)2 + (sin x)2
tan x = = = ,
dx dx cos x (cos x)2 (cos x)2
da cui le due formule
d 1
(2.92) tan x = 1 + (tan x)2 = .
dx (cos x)2
Applichiamo ora le regole di derivazione della funzione inversa e calcoliamo la derivata
di arcsin x, arccos x e arctan x. Innanzitutto,
d 1
arcsin x = .
dx cos (arcsin x)
�
Per x ∈ [−π/2, π/2] il coseno è non negativo, perciò cos x = 1 − sin2 x. Ne segue
d 1
arcsin x = �
dx 2
1 − sin (arcsin x)
ossia
d 1
(2.93) arcsin x = √
dx 1 − x2
e similmente
d 1
(2.94) arccos x = − √ .
dx 1 − x2
Infine
d 1
arctan x = 2
dx 1 + tan (arctan x)
e quindi
d 1
(2.95) arctan x = .
dx 1 + x2
Esempi.
(10) Riprendiamo 2.77 ed effettuiamo il calcolo. Siccome
d� 1 1
log(1 + x) = � ,
dx 2 log(1 + x) 1 + x
si avrà
d � � � 1 1
x �→ log(1 + x) (ex ) = � .
dx 2 log(1 + ex ) 1 + ex
si avrà � �
d x x log x 1
x =e 1 · log x + x · = xx (1 + log x).
dx x
Calcolo differenziale 171
Se x0 soddisfa (i) o (ii) esso si dice un estremo globale (o assoluto) per f ; se esso
soddisfa (iii) o (iv) esso si dice un estremo locale (o relativo) per f . Se inoltre le
diseguaglianze valgono in senso stretto per x �= x0 , si parla di massimi o minimi (locali
o globali) forti.
Si osservi che se x0 è un estremo assoluto allora è anche un estremo relativo, mentre
il viceversa è falso. Si consideri ad esempio la seguente funzione
Evidentemente, essa ha cinque massimi relativi di cui uno assoluto e due agli es-
tremi, e quattro minimi relativi, di cui due assoluti.
Teorema 3.2 (di Fermat). Sia f : (a, b) → R e sia x0 ∈ (a, b). Se x0 è un
estremo relativo e se f è derivabile in x0 , allora f � (x0 ) = 0.
Dimostrazione. Supponiamo che x0 sia di minimo relativo; il caso in cui esso è di
massimo relativo è analogo, e la dimostrazione viene lasciata per esercizio. Allora esiste
δ > 0 tale che
f (x0 + h) − f (x0 )
≥0 per ogni h ∈ (0, δ),
h
f (x0 + h) − f (x0 )
≤0 per ogni h ∈ (−δ, 0).
h
Passando al limite per h → 0, si ottiene f+� (x0 ) ≥ 0 e f−� (x0 ) ≤ 0. Poiché per ipotesi f
è derivabile in x0 si ha necessariamente f+� (x0 ) = f−� (x0 ) = f � (x0 ), cosicché f � (x0 ) = 0.
�
Definizione 3.3. Sia f : (a, b) → R. Se x0 ∈ (a, b) è un punto in cui f è
derivabile e f � (x0 ) = 0, allora esso si dice un punto critico (o stazionario) di f .
Calcolo differenziale 173
Esempi.
(12) Il teorema di Fermat può essere formulato dicendo che se x0 è un punto di estremo
relativo per f ed esiste f � (x0 ), allora esso è un punto critico per f . Il viceversa è falso:
la funzione f (x) = x3 ha nell’origine un punto critico (in quanto f � (x) = 3x2 che
evidentemente si annulla nell’origine) ma esso non è un estremo relativo. Infati, se
x > 0 (quindi a destra e arbitrariamente vicino all’origine) allora f (x) > 0, mentre se
x < 0 (quindi a sinistra e arbitrariamente vicino all’origine) allora f (x) < 0.
(13) Sia f : [a, b] → R e supponiamo che f sia derivabile in tutto l’intervallo aperto
(a, b) e che inoltre esistano f+� (a) e f−� (b). Se a oppure b sono estremi (anche assoluti)
non è affatto detto che f+� (a) = 0 oppure f−� (b) = 0. Si consideri infatti la funzione
f (x) = x in [0, 1]. Essa è derivabile in (0, 1) con derivata f � (x) = 1. Evidentemente
f+� (0) = f−� (1) = 1 anche se 0 è il massimo assoluto e 1 è il minimo assoluto di f .
Presentiamo ora il classico “trittico” del calcolo differenziale: i teoremi di Rolle, La-
grange e Cauchy. Essi sono tra essi equivalenti, ovvero, supponendo che uno qualunque
sia vero, si possono dimostrare gli altri due. Nonostante l’equivalenza, il teorema più
(direttamente) utile è quello di Lagrange, noto anche come teorema dei valori intermedi,
e, più ancora, sono di grande utilità i suoi corollari.
Teorema 3.4 (Rolle). Sia f : [a, b] → R continua in [a, b] e derivabile in (a, b).
Se f (a) = f (b), allora esiste ξ ∈ (a, b) tale che f � (ξ) = 0.
Dimostrazione. Se f è costante, allora f � (x) = 0 per ogni x e il risultato è ovvio.
Supponiamo allora che f non sia costante. Siano xM , xm ∈ [a, b], rispettivamente, il
massimo e il minimo (assoluti) di f , certo esistenti per il teorema di Weierstrass. Uno
tra xM e xm non è un estremo dell’intervallo [a, b], perché altrimenti il valore massimo
e il valore minimo di f coinciderebbero, ed f sarebbe costante. Sia ξ l’estremo di f
che sta in (a, b). Poiché in ξ la funzione è certamente derivabile, per il teorema di
Fermat si conclude che f � (ξ) = 0. �
174 Analisi Matematica 1
L’interpretazione geometrica del teorema di Lagrange è del tutto simile a quella del
teorema di Rolle, anzi, si può ben affermare che quest’ultima ne sia un caso particolare.
Infatti, riscrivendo la tesi del teorema di Lagrange nella forma
f (b) − f (a)
= f � (ξ)
b−a
si deduce l’esistenza di una retta tangente al grafico (quella nel punto (ξ, f (ξ))) paral-
lela alla retta che congiunge i punti (a, f (a)) e (b, f (b)). Quindi, l’asserzione geometrica
è analoga a quella del teorema di Rolle, ma “inclinata”.
Corollario 3.7. Sia f : [a, b] → R continua in [a, b] e derivabile in (a, b). Allora
f è costante in [a, b] se e solo se f � (x) = 0 per ogni x ∈ (a, b).
Dimostrazione. Sapiamo già che se f è costante in [a, b], allora f � (x) = 0 per ogni
x ∈ (a, b) in quanto i rapporti incrementali sono tutti nulli. Per provare il viceversa,
assumiamo f � (x) = 0 per ogni x ∈ (a, b) e prendiamo x �= a, cioè x ∈ (a, b]. Poiché f
è continua in [a, x] e derivabile in (a, x), per il teorema di Lagrange esisterà ξ ∈ (a, x)
tale che
f (x) − f (a) = f � (ξ)(x − a) = 0
e dunque f (x) = f (a). Perciò in tutti i punti di [a, b] f assume lo stesso valore. �
176 Analisi Matematica 1
Esempi.
(14) Si noti bene che nel precedente corollario è essenziale che la funzione sia definita
su un intervallo. Ad esempio, la funzione
�
1 se x ∈ [0, 1]
f (x) =
2 se x ∈ [2, 3]
è continua in I = [0, 1] ∪ [2, 3] e derivabile all’interno di I , ossia in J = (1, 2) ∪ (2, 3),
ha derivata nulla in J ma non è affatto costante.
(15) Il Corollario 3.7 può essere esteso da intervalli limitati a intervalli illimitati, os-
servando che se ad esempio una funzione f : (c, +∞) → R ha derivata identicamente
nulla, allora essa è in particolare nulla su ogni sottointervallo del tipo (a, b) con a > c
e quindi è costante in ogni sottointervallo del tipo [a, b]. Essa è dunque costante in
(a, +∞). Per un esempio interessante, si consideri la funzione
1
f (x) = arctan x + arctan
x
defnita su R\{0}, ove è certamente derivabile in quanto somma di composte di funzioni
derivabili. Calcolando la derivata si ha
� �
� 1 1 1
f (x) = + · − 2 = 0.
1 + x2 1 + (1/x)2 x
Allora f è costante in (0, +∞) e tale costante è il valore di f in qualsiasi punto x > 0,
ad esempio f (1) = arctan 1 + arctan 1 = π/2. Se ne deduce l’interessante formula
π 1
(3.96) − arctan x = arctan
2 x
vera per x ∈ (0, +∞). Che formula si ottiene in (−∞, 0)?
Corollario 3.8. Sia f : [a, b] → R continua in [a, b] e derivabile in (a, b).
(i) Se f � (x) > 0 per ogni x ∈ (a, b), allora f è strettamente crescente in [a, b];
(ii) se f � (x) < 0 per ogni x ∈ (a, b), allora f è strettamente decrescente in [a, b].
Calcolo differenziale 177
Esempi.
(16) Le implicazioni del precedente corollario non possono essere invertite, ossia non
si può dire che se f , supposta continua in [a, b] e derivabile in (a, b), è strettamente
crescente, allora f � (x) > 0 in (a, b). Si consideri f : [−1, 1] → R definita da f (x) = x3 .
Esssa è strettamente crescente in [−1, 1] ma f � (0) = 0. È invece vero che le “versioni
deboli” di monotonia e positività sono equivalenti, nel senso del corollario che segue.
Passiamo ora ad un corollario del teorema di Rolle e del Corollario 3.9, noto come
teorema di Darboux. Esso si enuncia alle volte dicendo che l’immagine di un intervallo
mediante una derivata è un intervallo. La versione che interessa a noi è la seguente:
Corollario 3.10 (Darboux). Sia f : (a, b) → R derivabile in (a, b). Se ξ ed η
sono due punti di (a, b), allora f � assume tutti i valori compresi tra f � (ξ) ed f � (η).
178 Analisi Matematica 1
Dal risultato precedente si deduce che una derivata non può avere discontinuità di
prima specie, cioè a salto.
Sotto opportune ipotesi, l’esistenza del secondo limite ci permette di dedurre che anche
il primo esiste e che essi sono uguali. La natura del punto p e del processo di limite
non è importante, ossia se p ∈ R oppure p = ±∞ oppure ancora se p ∈ R ma x → p+
ovvero x → p− , nel senso che enunciati analoghi valgono in tutte le situazioni possibili.
Per semplicità, daremo l’enunciato in un solo caso, invitando il lettore a produrre gli
enunciati nei casi rimanenti.
Teorema 3.11 (de l’Hôpital). Siano f, g : (a, b) → R derivabili in (a, b), sia
�
g (x) �= 0 per ogni x ∈ (a, b) e supponiamo che esista
f � (x)
lim+ = �,
x→a g � (x)
finito o infinito3. Se
(i) entrambe f e g sono infinitesime per x → a+ , oppure
(ii) g diverge per x → a+ ,
allora esiste anche il limite lim (f (x)/g(x)) e si ha
x→p
f (x)
lim = �.
x→p g(x)
3Ossia � ∈ R ∪ {±∞} .
Calcolo differenziale 179
Esempi.
In effetti,
d
dx
log x 1/x 1
d α
= α−1
= →0
dx
x αx αxα
e per il teorema di de l’Hôpital si conclude. Quindi, per x → +∞, il logaritmo diverge
più lentamente di qualunque potenza del suo argomento.
(19) Viceversa, per x → +∞, l’esponenziale diverge più rapidmente di qualunque
potenza del suo argomento:
ex
(3.99) lim = +∞, α > 0.
x→+∞ xα
Calcolo differenziale 181
In effetti, abbiamo a che fare con una forma indeterminata del tipo “infinito su infinito”
e calcolando il rapporto delle derivate una prima volta si ha:
d x
dx
e ex
d α
= .
dx
x αxα−1
Se α − 1 ≤ 0, tale rapporto diverge a +∞, altrimenti si ha ancora una forma indeter-
minata del tipo “infinito su infinito” e calcolando nuovamente il rapporto delle derivate
si ottiene
ex
.
α(α − 1)xα−2
Se α − 2 ≤ 0, esso diverge a +∞, altrimenti si itera il procedimento. Siccome esisterà
un intero non negativo n per il quale α ∈ (n, n + 1], calcolando il rapporto delle
derivate n + 1 volte si perviene a
ex
→ +∞
α(α − 1)(α − 1) . . . (α − n)xα−(n+1)
in quanto α − (n + 1) ≤ 0. La tesi segue evidentemente dal teorema di de l’Hôpital.
(20) Un altro limite notevole interessante riguarda il comportamento del logaritmo per
x → 0+ , cioè
(3.100) lim xε log x = 0. ε > 0.
x→0+
In questo caso, dobbiamo prima osservare che
log x
xε log x = −ε ,
x
che è una forma indeterminata del tipo “infinito su infinito”. Questa osservazione ci
mostra peraltro che il limite (3.100) dice in realtà che il logaritmo diverge (negativa-
mente) più lentamente di ogni potenza negativa di x. L’aspetto interessante è che si
può prendere ε arbitrariamente piccolo, e non nel considerare valori grandi (ad esempio
maggiori di 1) di ε. Se infatti (3.100) è vera per ε = 1, lo è a maggior ragione per
ogni esponente maggiore di 1. Venendo alla dimostrazione,
d
log x 1/x 1
dx
d −ε
= −ε−1
= − xε → 0,
dx
x −εx ε
da cui segue (3.100) per il teorema di de l’Hôpital.
(21) Infine, un esempio nel quale il teorema non si può applicare. Si consideri il limite
x − sin x
lim .
x→+∞ x + sin x
4. Sviluppi di Taylor
In questa sezione ci addentriamo in uno dei temi centrali dell’analisi, ossia la tecnica
di approssimazione locale di una funzione (sufficientemente regolare) mediante poli-
nomi. Il più semplice esempio che illustra l’idea generale è fornito dalla formula (1.74).
La funzione f è espressa, vicino al punto x0 , come la somma di una parte lineare,
ossia x �→ f (x0 ) + d(x − x0 ), e di un resto R1 (x). Di R1 (x) sappiamo che esso è tanto
più piccolo quanto più x è vicino ad x0 ; esso tende a zero per x → x0 e vi tende più
velocemente di quanto x tenda ad x0 , come chiarito dalla formula (1.73). La formu-
lazione geometrica delle affermazioni precedenti consiste nel dire che la retta tangente
al grafico di f approssima molto bene il grafico stesso nelle vicinanze del punto di con-
tatto (x0 , f (x0 )) tra la retta stessa ed il grafico: essa è anzi la migliore approssimazione
lineare possibile. Quest’ultimo fatto è contenuto nel Teorema 1.3, secondo il quale la
linearizzazione di f in x0 , cioè la migliore approssimazione lineare possibile in quel
punto, è la retta il cui coefficiente angolare d è la derivata f � (x0 ).
È del tutto naturale chiedersi se si possa fare di meglio mediante curve, ossia se esista
ad esempio una parabola che passa per (x0 , f (x0 )) ed il cui grafico si adatti a quello
di f in modo da approssimarlo in modo ancora migliore di quanto non lo approssimi
la retta tangente, o magari una cubica, o un polinomio di grado ancora superiore.
Un esempio molto semplice si ottiene guardando la sovrapposizione dei grafici delle
funzioni f (x) = cos x, la funzione costante uguale ad uno, che ne è la linearizzazione
nel punto (0, 1), ed infine il polinomio di secondo grado p2 (x) = 1 − 21 x2 . È del tutto
evidente che quest’ultimo rappresenta un’approssimazione molto migliore di f nelle
vicinanze di (0, 1).
Come vedremo, esso è la migliore approssimazione del secondo ordine di f in (0, 1),
ossia mediante polinomi di secondo grado. Il senso da attribuire a questa affermazione
sarà chiarito in tutti i dettagli; anticipiamo che la differenza tra f e p2 sarà un resto
R2 che andrà a zero di ordine superiore al secondo.
L’idea di sviluppare una funzione localmente intorno ad un punto con polinomi di
grado via via più alto conduce infine al concetto di serie di potenze, mediante il quale
Calcolo differenziale 183
Esempi.
(22) Esistono funzioni che sono derivabili in un intervallo ma che in esso non sono di
classe C 1 . Ciò significa che la derivata esiste ma non è continua. L’esempio standard
è il seguente:
� � �
x2 sin x1 se x ∈ (0, 1]
f (x) =
0 se (−1, 0].
Ovviamente f è derivabile in (−1, 0) ∪ (0, 1). Inoltre,
� � � �
f (x) − f (0) x2 sin x1 1
= = x sin →0
x x x
per x → 0, in quanto x �→ x è infinitesima e x �→ sin(1/x) è limitata. Quindi f � (0)
esiste ed è uguale a zero e banalmente f � (x) = 0 per x ∈ (−1, 0). D’altra parte, per
x ∈ (0, 1) si ha
� � � �� � � � � �
� 1 1 1 1 1
f (x) = 2x sin + x cos − 2 = 2x sin − cos
x x x x x
Calcolo differenziale 185
e questa non ha limite per x → 0 (il primo addendo è infinitesimo e il secondo non
ammette limite). Quindi f è derivabile in (−1, 1) ma la sua derivata non è continua
nell’origine.
Esempi.
Calcolo differenziale 187
Le sue derivate in x0 sono tutte nulle, tranne la k -esima che vale ak . In formule:
�
(j) 0 se j �= k
mk (x0 ) =
ak se j = k,
come si può dimostrare per induzione sull’intero k . Se ne deduce quindi che sommando
un certo numero di monomi di tal sorta (di gradi diversi), si può ottenere un polinomio
le cui derivate in x0 abbiano tutte valori preassegnati.
Proposizione 4.3. Il polinomio
n
� ak
(4.106) pn (x) = (x − x0 )k
k=0
k!
ha in x0 derivate a0 , a1 , . . . , an , ossia
�
0 se k > n
(4.107) p(k)
n (x0 ) =
ak se k ≤ n.
Esso è inoltre l’unico polinomio di grado n con tale proprietà.
Dimostrazione. La verifica che il polinomio (4.106) soddisfa (4.107) è lasciata al
lettore, ed è una conseguenza della discussione appena svolta. Quanto all’unicità, sia
Qn un polinomio di grado n. Scegliendo opportunamente le costanti b0 , b1 , . . . , bn , esso
può essere scritto nella forma
n
� bk
qn (x) = (x − x0 )k .
k=0
k!
La Proposizione 4.3 dice in realtà che è facile costruire un polinomio che abbia
l’ordine di contatto che desideriamo con un’assegnata funzione in un dato punto.
Teorema 4.4 (Polinomio di Taylor). Siano f (a, b) → R ed x0 ∈ (a, b). Sup-
poniamo che f ammetta (almeno) n derivate in x0 . Esiste allora uno ed un solo
polinomio di grado n che ha ordine di contatto n con f in x0 . Esso si chiama il
polinomio di Taylor di f di grado n in x0 , ed è definito dalla formula
n
� f (k) (x0 )
(4.108) pn (x) = (x − x0 )k .
k=0
k!
Deve essere chiaro che un polinomio di Taylor dipende dalla funzione f , dal grado
n e dal punto x0 . Per essere precisi bisognerebbe quindi usare una notazione del
tipo pn,x0 [f ](x), che è eccessivamente pesante. Se sarà necessario mettere in evidenza
il grado, mentre la funzione ed il punto sono chiari dal contesto, scriveremo pn (x);
similmente potremo scrivere p[f ] oppure pn [f ] qualora qualche parametro debba essere
evidenziato e gli altri siano chiari.
Esempi.
Si guardi con attenzione l’ultimo termine: esso indica il segno giusto. Il segno posi-
tivo compare infatti per le potenze 1, 5, 9 . . . , ossia per i dispari 2n + 1 con n pari.
Un’ultima osservazione: il polinomio di McLaurin di grado pari di sin x è un polinomio
di grado dispari! Infatti, per definizione, l’ultimo termine che compare nel polinomio di
McLaurin di grado ad esempio 4, ha come coefficiente di x4 il numero reale f (4) (0)/4!,
che è zero. Quindi tale polinomio è in effetti p4 (x) = x − 3!1 x3 . Più in generale, si può
dire che
p2n+1 [sin x] = p2n+2 [sin x]
ed entrambi sono polinomi di grado 2n + 1 nel senso usuale del termine.
(32) Utilizzando il metodo precedente per la funzione f (x) = cos x, abbiamo
Questa volta tutte le derivate di ordine dispari sono zero mentre le derivate di ordine
pari sono alternativamente 1 e −1. Quindi, il polinomio di McLaurin di cos x di un
grado qualsiasi conterrà solo potenze pari a segni alternati, ossia sarà del tipo
1 2 1 4 1 1 1 2n
(4.110) p2n [cos x] = 1 − x + x − x6 + x8 + · · · + (−1)n x .
2! 4! 6! 8! (2n)!
Considerzioni analoghe a quelle svolte per il polinomio di McLaurin della funzione seno
mostrano che
p2n [cos x] = p2n+1 [cos x]
ed entrambi sono polinomi di grado 2n nel senso usuale del termine.
(33) Prendiamo ora f (x) = log(1 + x). La tabellina è questa volta
d’interpretazione non più difficile. A partire dalla derivata prima in poi, i segni di
alternano e vale la formula f (k) (0) = ±(k − 1)! con il segno opposto alla parità. Si
Calcolo differenziale 191
avrà dunque
1 1 1 1 1
(4.111) pn [log(1 + x)] = x − x2 + x3 − x4 + x5 + · · · + (−1)n+1 xn .
2 3 4 5 n
(34) La formula (4.105) mostra che il polinomio di McLaurin (del prolungamento per
2
continuità) della funzione e−1/x di qualunque grado è la funzione identicamente nulla.
Concludiamo questa sezione con una osservazione, che formalizziamo nella propo-
sizione che segue; la dimostrazione è lasciata per esercizio al lettore
Proposizione 4.5. Siano f, g : (a, b) → R derivabili n volte in x0 ∈ (a, b) e siano
α, β ∈ R. Si ha allora:
(i) pn [αf + βg] = αpn [f ] + βpn [g];
(ii) p�n [f ] = pn−1 [f � ].
4.3. Sviluppi di Taylor. Il teorema che segue generalizza il Teorema 1.3 ed anche
Teorema 3.6 a gradi più alti.
Teorema 4.6 (Sviluppo di Taylor). Sia f : (a, b) → R derivabile n volte in
x0 ∈ (a, b) e sia pn il suo polinomio di Taylor di grado n in x0 . Posto
(4.112) Rn (x) = f (x) − pn (x),
si ha
Rn (x)
(4.113) lim =0 (formula di Peano).
x→x0 (x − x0 )n
Se inoltre f è derivabile (n + 1) volte in (a, b) \ {x0 }, per ogni x ∈ (a, b) esiste ξ
compreso tra x0 ed x tale che
f (n+1) (ξ)
(4.114) Rn (x) = (x − x0 )n+1 (formula di Lagrange).
(n + 1)!
Dimostrazione. Dimostriamo (4.113) per induzione su n. Per n = 1 essa è esatta-
mente (1.72). Supponiamo ora che la formula (4.113) sia vera per ogni funzione con n
derivate in x0 . Se supponiamo che f ne abbia (n + 1), allora f � ne ha n e possiamo
scrivere la formula (4.113) per f � , cioè
f � (x) − pn [f � ](x)
lim = 0.
x→x0 (x − x0 )n
Si osservi che, riscrivendo il numeratore tenendo conto della Proposizione 4.5, l’uguaglianza
precedente diviene
d
dx
(f (x) − pn+1 [f ]) (x)
lim = 0.
x→x0 (x − x0 )n
192 Analisi Matematica 1
L’espressione o (xn ) − o (xn ) va infatti interpretata come la differenza tra due funzioni,
a priori diverse, ciascuna delle quali tende a zero più rapidamente di xn . Ad esempio,
� � � �
x3 = o x2 , 2x3 = o x2 per x → 0,
ma certamente x3 − 2x3 = −x3 �= 0. Il significato di (iii) è che il comportamento di
una somma (o differenza che sia) è quello del “peggiore” degli addendi. Per esempio,
per x → 0 abbiamo � � � �
x3 = o x2 , x4 = o x3
e della differenza x3 − x4 possiamo dire che essa è un o (x2 ), come garantito da (iii).
(37) Per provare
(ex − 1)2 = o (x) per x → 0,
si può osservare che
� x �2
(ex − 1)2 e −1
=x →0·1=0
x x
oppure, sapendo che ex = 1 + x + o (x), si calcola:
� �
(ex − 1)2 = [x + o (x)]2 = x2 + 2xo (x) + o (x)2 = x2 + o x2 .
Infatti, usando (vi) si ha xo (x) = o (x2 ), mentre (v) implica o (x)2 = o (x2 ). La
conclusione si trae applicando (iii) ancora una volta: o (x2 ) + o (x2 ) = o (x2 ).
(38) La (v) è una conseguenza immediata di (iv). La (vii) può essere parafrasata
dicendo: qualcosa che per x → x0 tende a zero più velocemente di qualcos’altro che vi
tende più velocemente di (x − x0 )n , tende a zero più velocemente di (x − x0 )n .
(39) Infine, la (viii) è una conseguenza della (vii) perché se m < n, allora per x → x0
si ha (x − x0 )n = o ((x − x0 )m ), visto che
(x − x0 )n
m
= (x − x0 )n−m → 0.
(x − x0 )
Quindi se ad esempio f = o (x2 ) allora f = o (x), mentre il viceversa è palesemente
falso: come abbiamo già visto, 1−cos x = o (x), mentre l’affermazione 1−cos x = o (x2 )
è falsa perché (1 − cos x)/x2 → 1/2 per x → 0.
(40) Vale la pena di osservare che l’affermazione “f è infinitesima per x → x0 ” è
semplicemente f = o (1) per x → x0 .
(41) Gli sviluppi di Taylor consentono di ottenere informazioni molto più sofisticate
di quelle che discendono dalle semplici regole algebriche della Proposizione 4.9. Ad
esempio, sappiamo che per x → 0 si ha x = o(1) e anche sin x = o(1), e nessuna delle
due è migliorabile, nel senso che nessuna delle due è un o-piccolo di xn per qualche
intero positivo n. Quindi, dalla (iii) si deduce che sicuramente sin x − x = o(1). Alla
luce della formula (4.109), si può però dimostrare molto di più, ossia sin x − x = o (x2 ).
Più precisamente ancora:
sin x − x 1
(4.117) lim 3
=−
x→0 x 6
Calcolo differenziale 197
Infatti:
� �
sin x − x x − 3!1 x3 + o (x3 ) − x − 3!1 x3 + o (x3 ) 1 o (x3 ) 1
3
= 3
= 3
= − + 3
→− .
x x x 6 x 6
Se quindi le regole algebriche sono di grande utilità nelle manipolazioni, lo strumento
analitico, ossia lo sviluppo di Taylor, fornisce informazioni molto più precise.
(42) Riprendiamo l’Esempio 17 della Sezione 3, ossia
ex − 1 + log(1 − x)
lim .
x→0 tan x − x
Dagli sviluppi notevoli sappiamo che
1 1 � �
e x − 1 = x + x2 + x3 + o x3
2 6
1 2 1 3 � �
log(1 − x) = −x − x − x + o x3
2 3
1 3 � 3�
tan x − x = x + o x .
3
Se ne deduce che
o ( x3 )
ex − 1 + log(1 − x) − 16 x3 + o (x3 ) − 16 + x3 1
lim = lim 1 3 = lim 1 o(x3 ) = − .
x→0 tan x − x x→0
3
x + o (x )3 x→0 + 3 2
3 x
(43) Il lettore attento avrà notato dall’esempio (42) che una volta espressa una forma
indeterminata del tipo “0/0” mediante gli sviluppi di McLaurin fino ad arrivare a
axn + o (xn )
bxm + o (xm )
il limite per x → 0 è presto calcolato:
a/b se n = m
axn + o (xn )
(4.118) lim = 0 se n > m
x→0 bxm + o (xm )
non esiste se n < m.
La non esistenza del limite se n < m dipende dal fatto che la funzione in esame
si comporta come (a/b)xn−m , ossia come una potenza negativa di x: essa divergerà
positivamente per x → 0+ e negativamente per x → 0− o viceversa, a seconda del
segno di a/b.
Esempi.
(44) Concludiamo con un esempio. Supponiamo di voler calcolare il limite
�
eλx − 1 + log(1 + x)
lim
x→0+ 1 − cos(λx)
al variare di λ ∈ R. Innanzitutto, per λ = 0 il denominatore è identicamente nullo
e quindi per tale valore il lilmite cercato non ha senso. Per ogni altro valore di λ, la
200 Analisi Matematica 1
Esercizi
(5.120) f �g per x → x0 .
La scrittura (5.120) significa per definizione che il limite del rapporto f /g esiste ed è un
numero reale diverso da zero ed è, dal punto di vista grafico, e non a caso, simmetrica.
In effetti, per permanenza del segno, sappiamo che f /g non è nulla in un intorno
bucato di x0 , e quindi lo stesso vale per f . Ma allora si può considerare il rapporto
g/f , che tende evidentemente a 1/� �= 0. In altri termini, se f � g allora g � f .
Definizione 5.1. Siano f, g : (a, b) → R entrambe infinitesime per x che tende a
x0 ∈ (a, b), e supponiamo g(x) �= 0 per ogni x ∈ (a, b). Diremo che f è infinitesima
(i) di ordine superiore a g se f = o (g) per x → x0 ;
(ii) dello stesso ordine di g se f � g per x → x0 ;
(iii) di ordine inferiore a g se g = o (f ) per x → x0 ;
(iv) di un ordine non confrontabile con g se lim f (x)/g(x) non esiste.
x→x0
Abbiamo espresso il concetto di confronto locale tra f e g “al finito”, ossia quando
f e g sono infinitesime per x → x0 ∈ R. Non vi è alcuna difficoltà ad estendere le
nozioni precedenti nel caso in cui il punto limite sia +∞ oppure −∞. Se f e g sono
entrambe infinitesime per x → +∞, per esempio, si supporrà g(x) �= 0 su una qualche
semiretta (a, +∞) e si considererà il limite per x → +∞ del rapporto f (x)/g(x).
Lasciamo questo facile esercizio al lettore. Similmente, ci si può limitare a considerare
−
x → x+ 0 oppure x → x0 .
Come vedremo, anche se la definizione precedente non richiede alcun tipo di deri-
vabilità delle funzioni f e g , il suo ambito più tipico di applicazione sarà quando g è
per esempio una potenza intera e positiva di (x − x0 ), mentre f è una funzione che si
vuole analizzare e possiede un certo numero di derivate in x0 .
Esempi.
D’ora in avanti, i campioni appena definiti verranno dati per scontati e quindi par-
leremo tranquillamente di ordine di infinitesimo o di infinito di una funzione, omettendo
di specificare rispetto a quale scelta di infinitesimo o infinito campione.
Esempi.
Il risultato seguente illustra uno dei principali metodi di calcolo degli ordini di
infinitesimo.
Proposizione 5.4. Se f : (a, b) → R è derivabile n volte in x0 ed inoltre
f (x0 ) = f � (x0 ) = · · · = f (n−1) (x0 ) = 0, f (n) (x0 ) �= 0,
allora f è infinitesima di ordine n in x0 .
Dimostrazione. La formula di Peano in questo caso si scrive
f (n) (x0 )
f (x) = (x − x0 )n + o ((x − x0 )n ) ,
n!
206 Analisi Matematica 1
cosicché
f (x) f (n) (x0 ) o ((x − x0 )n ) f (n) (x0 )
= + → �= 0.
(x − x0 )n n! (x − x0 )n n!
Pertanto f � (x − x0 )n , come volevasi. �
Esempi.
(52) Vogliamo determinare, al variare del parametro λ in R \ {0}, l’ordine di infinites-
imo per x → 0 della funzione f (x) = (1 + x)λ − cos(λx) − λx. Scriviamo innanzitutto
(1 + x)λ = eλ log(1+x) e utilizziamo gli sviluppi di McLaurin di cos x, ex e log(1 + x),
ottenendo:
1 1
f (x) = 1 + [λ log(1 + x)] + [λ log(1 + x)]2 + [λ log(1 + x)]3 + o(x3 )
� 2 � 6
1
− 1 − (λx)2 + o(x3 ) − λx
2
� � � �2
1 2 1 3 3 λ2 1 2 1 3 3
= 1 + λ x − x + x + o(x ) + x − x + x + o(x )
2 3 2 2 3
� � 3 � �
λ3 1 2 1 3 3 1 2 3
+ x − x + x + o(x ) − 1 − (λx) + o(x ) − λx
6 2 3 2
� � 2
� �
1 2 1 3 3 λ 2 1 2 3
= 1 + λ x − x + x + o(x ) + x − 2 x · x + o(x )
2 3 2 2
3 �
� �
λ � 1
+ x3 + o(x3 ) − 1 − (λx)2 + o(x3 ) − λx
6 2
1 λ
= λ(λ − )x2 + (λ2 − 3λ + 2)x3 + o(x3 ).
2 6
Se λ �= 1/2, f è infinitesima di ordine 2; se λ = 1/2, f è infinitesima di ordine 3.
207
FORMULE DI TRIGONOMETRIA
(tan x)2 1
(sin x)2 = (cos x)2 =
1 + (tan x)2 1 + (tan x)2
cos(α + β) = cos α cos β − sin α sin β cos(α − β) = cos α cos β + sin α sin β
�x� � � x � � 1 + cos x
1 − cos x
sin = , x ∈ (0, 2π) cos = , x ∈ (−π, π)
2 2 2 2
� x � � 1 − cos x 1 − cos x sin x
tan = = = , x ∈ (0, π)
2 1 + cos x sin x 1 + cos x
x
Formule parametriche (t = tan( ))
2
2t 1 − t2 2t
sin x = cos x = tan x =
1 + t2 1 + t2 1 − t2
Formule di prostaferesi
α+β α−β α+β α−β
sin α + sin β = 2 sin( ) cos( ) sin α − sin β = 2 cos( ) sin( )
2 2 2 2
α+β α−β α+β α−β
cos α + cos β = 2 cos( ) cos( ) cos α − cos β = −2 sin( ) sin( )
2 2 2 2
sin(α ± β)
tan α ± tan β =
cos α cos β
208
LIMITI NOTEVOLI
sin x 1 − cos x 1
lim =1 lim 2
=
x→0 x x→0 x 2
ex − 1 log(1 + x)
lim =1 lim =1
x→0 x x→0 x
� �x
1 loga (1 + x) 1
lim 1 + =e lim = , a > 0, a �= 1
x→±∞ x x→0 x log a
ax − 1 (1 + x)α − 1
lim = log a, a>0 lim = α, α ∈ R.
x→0 x x→0 x
DERIVATE
d d 1
sin x = cos x arcsin x = √
dx dx 1 − x2
d d 1
cos x = − sin x arccos x = − √
dx dx 1 − x2
d 1 d 1
tan x = 1 + (tan x)2 = arctan x =
dx (cos x)2 dx 1 + x2
d α d � g(x) � �
x = αxα−1 f (x)g(x) = f (x)g(x) g � (x) log f (x) + f (x)
dx dx f (x)
d x d x
e = ex a = ax log a
dx dx
d 1 d 1
log x = loga x =
dx x dx x log a
d d
sinh x = cosh x cosh x = sinh x
dx dx
209
SVILUPPI DI TAYLOR
1 2 1 3 1 4 1
ex = 1 + x + x + x + x + · · · + xn + o (xn )
2! 3! 4! n!
1 2 1 3 1 4 1 n
log (1 + x) = x − x + x − x + · · · ± x + o (xn )
2 3 4 n
1 3 1 5 1 7 1 � �
sin x = x − x + x − x + · · · ± x2n−1 + o x2n
3! 5! 7! (2n − 1)!
1 1 1 1 2n � �
cos x = 1 − x2 + x4 − x6 + · · · ± x + o x2n+1
2! 4! 6! (2n)!
1 � �
tan x = x + x3 + o x4
3
1 � �
arctan x = x − x3 + o x4
3
√ 1 1 1 � �
1 + x = 1 + x − x2 + x3 + o x3
2 8 16
Bibliografia
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