You are on page 1of 5

Ave atque Vale, piccolo Max

Il buio non le aveva mai fatto così paura. Scaraventata da un lato della cucina, la sua
ferita sulla tempia che le pulsava bruciando, Isabelle Lightwood temeva l’oscurità.

Sarebbe rimasta lì per chissà quanto tempo, se quel pensiero non l’avesse raggiunta
con la rapidità di aeroplano che precipita nel mare. Dov’era Max? E perché Sebastian
si era comportato in quel modo?

 Cercò di farsi strada stendendo le mani in avanti per non farsi male. Il pensiero del
suo fratellino, con il manga fra le mani e i grandi occhiali rotondi sui curiosi occhi
azzurri, le diede speranza.  Chi poteva mai fare del male ad un bambino?

Toccò il muro rivestito di carta azzurra della cucina dei Pennhalow e, percorrendo la
mano su di esso, cercò l’interruttore della luce.

Era vicino alla porta, doveva essere lì…

La luce si accese.

Le fece chiudere gli occhi, per la forte differenza fino a qualche secondo prima di
immensa oscurità.

Le urla forarono le finestre, pianti e gemiti di dolore arrivarono alle sue orecchie,
spaventandola sempre di più.

Era sempre stata una ragazza forte e pronta in ogni situazione. Affrontava i demoni
con coraggio, perché lei doveva dimostrare di essere una vera cacciatrice, e che il
fatto di essere una ragazza non implicava nessuna differenza rispetto ai ragazzi.

Era Isabelle Lightwood.

Bella, pronta, coraggiosa, sempre perfetta.

E lei non doveva mai avere paura.

Quando la ragazza si voltò, dimenticò di essere stata tutte quelle cose. Dimenticò il
suo nome. Dimenticò il suo coraggio, la caparbietà, il suo modo di affrontare
qualunque situazione.

Aveva sempre visto il dolore invadere gli altri, e mai divorare se stessa. Aveva visto
persone piangere per esso, mentre lei cercava solo un modo meno banale per dare
loro una consolazione. In quell’attimo, Isabelle Lightwood, non sapeva più chi era.
Aveva perso contro sé stessa.

E tremò in un modo debole e conciso, come se le fosse stato possibile controllare


l’agonia totale di quell’attimo di infinita tortura.

Il suo fratellino, Max, giaceva ai piedi del tavolo della cucina. La testa rivolta verso
di lei. Gli occhialetti spezzati sul volto, la mano chiusa a pugno sul cuoricino e l’altra
riversata sul fianco, la bocca semichiusa, i capelli arruffati e il viso sporco di sangue
secco.

Isabelle corse verso il fratellino, imprecando. Pensò che fosse svenuto, perché Max
era così: Max dormiva dappertutto come se fosse un gatto. Ed era così piccolo…

Nei pomeriggi Max si teneva stretto al petto il manga giapponese come se qualcuno
gliel’avrebbe strappato via all’improvviso.

Max sognava di essere un cacciatore valoroso proprio come i suoi fratelli. Proprio
come Jace.

<<   Max?  Max, piccolo. Non preoccuparti andrà tutto bene. Adesso andremo dalla
mamma. Ma ti devi svegliare altrimenti… altrimenti…  >> Le lacrime le avevano già
rigato il viso, cadendo lentamente  come rune disegnate, per farle sentire il bruciore
sul suo volto pallido come la luna.

<<  Non ti cacceremo più dalla stanza quando dovremo parlare di cose da grandi.

Non diremo più che sei troppo piccolo.

Non farò mai più niente che ti possa mettere in pericolo.

Diventerai grande e bello, papà sarà orgoglioso di te, lo sarò io. Ci sarò sempre per te,
Max.  >>

Isabelle lo teneva fra sue braccia, la testolina castana sul suo grembo.

Continuò a chiamare il suo nome, a toccargli il viso, le mani, ad accarezzarlo


freneticamente.

Era disperata.

La ferita sul capo era molto più grande della sua, ma non avrebbe mai creduto che il
piccolo non ce l’avrebbe fatta.

Smise di respirare affannosamente e rimase immobile. Nessun respiro. Neanche un


sospiro.
Max non respirava più.

Max era freddo.

Max era morto.

L’urlo di Isabelle, in quella casa, fu solo uno dei tanti urli che Alicante fu costretta a
sentire, quella notte.

Il bambino fu solo uno dei tanti ad essere portato via dagli Angeli del cielo.

Ma Isabelle non riusciva a smettere di piangere, di imprecare, di urlare.

“ E’ stata colpa mia. Oh, povero, piccolo Max. Se solo ti avessi ascoltato, se solo ti
avessi prestato un po’ di attenzione. Non avrei mai dovuto lasciarti lì con quel
pazzo…”

Sentì lo spiffero del vento che riempiva la stanza, e le sembrò di sentire la voce
squillante del fratellino, allo stesso tempo seria e pacata.

“Ti voglio tanto bene, Isabelle”

Isabelle strinse forte il suo corpicino, come quando faceva quando era più
piccolo,come quando i suoi genitori e Alec erano fuori e lei lo prendeva in braccio e
lo portava nella sua stanzetta.

<<  Izzy!?  >> Era suo fratello, con la preoccupazione negli occhi per aver sentito le
forti grida della sorella.

Isabelle singhiozzava e piangeva irrefrenabilmente, perché sapeva che la sola vista di


quel che era successo bastava per tutto.

<<  Per l’Angelo…>> disse Alec. Le lacrime invasero anche il suo volto, ancor prima
che la sua mano accarezzasse il volto freddo di Max.

<<  Chi è stato?  >> chiese il ragazzo con voce tremante. Voleva che fosse tutto un
brutto sogno, un incubo. Voleva sentire di nuovo la voce del fratello, voleva giocare
con lui e raccontargli di tutte quelle volte in cui era andato a caccia e il bambino lo
aspettava per sentirsi dire tutto quello che avevano fatto.

<<  Sebastian  >> La voce di Isabelle sibilò come un coltello che si storce.

Alec si abbassò tenendosi in equilibrio sui talloni. La tenuta da cacciatore era


aderente, in pelle, ma permetteva qualunque tipo di movimento, anche se Alec si
sentiva le braccia e le gambe troppo tese.
Quanto avrebbe voluto svegliarsi all’improvviso e constatare che era stato soltanto un
sogno terrificante.

Prese il polso del fratellino e ci indicò il suo pollice. Si aspettò di sentire il suo
battito, docile, leggero, irregolare, spaventato.

Un tonfo forte o un singhiozzo.

Qualunque cosa.

E invece non sentì niente. Solo il respiro ansimante di Izzy che piangeva.

Solo le urla dall’esterno.

Solo il suo cuore battere velocemente, come se in questo modo, avrebbe potuto
donare alcuni dei suoi battiti al suo fratellino.

Max se n’era andato.

Il piccolo, dolce, caro Max.

<<  Riposa in pace, piccolo Max.  >> disse Alec in sussurro. Gli accarezzò il volto e
gli tolse gli occhialetti dal viso.

Gli occhi del bambino erano socchiusi, e si intravedeva l’azzurro intenso dei suoi
occhi, che riusciva sempre a illuminare le giornate di tutti.

<<  Ave atque Vale, Maxwell Lightwood  >> La voce fragile e intrisa di dolore. Poi
fece cadere le mani sugli occhi di Max e lasciò che si chiudessero.Per sempre.

Perché Max sarebbe diventato un bravo cacciatore, se gliel’avessero permesso.

Perché Max sarebbe diventato un ragazzo buono e valoroso, se gliel’avessero


permesso.

Perché Max li avrebbe superati tutti, se solo gli fosse stato permesso.

<<  Addio, fratellino  >>

Isabelle tirò a sé Alec, e lo abbracciò. Da quel momento ci fu un’altra Isabelle. Una


parte di lei era morta insieme a Max, un parte di lei era rimasta uccisa nell’attimo
stesso in cui aveva capito che la linfa della vita aveva lasciato suo fratello. Da quel
momento non sarebbe stata più la stessa.

“Ti voglio tanto bene, Max”. Ebbe il tempo di pensare quelle parole, prima di
rendersene veramente conto.
Mai una ferita le aveva fatto più male, se non quel dolore atroce.

You might also like