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DISEG 1

Barriere di sicurezza stradali

1. Introduzione
Le barriere di sicurezza sono dei dispositivi aventi lo scopo di realizzare il contenimento
dei veicoli nella sede stradale contenendo al minimo i danni per gli occupanti del veicolo. Per
ottenere queste finalità, è necessario che l’urto con la barriera non provochi il rovesciamento
del veicolo e che non gli imprima una decelerazione tale da provocare danni agli occupanti. Il
cervello umano, infatti, rimane lesionato permanentemente se si superano valori di
decelerazione di 80 g (g = 9.81 m/sec2) per una durata maggiore di 3 millisecondi, così come
cuore e polmoni non possono sopportare valori superiori ai 60 g per più di 3 millisecondi. Il
veicolo, inoltre, dovrà essere riportato su una traiettoria tale da non diventare esso stesso un
pericolo per gli altri veicoli sopraggiungenti sulla stessa carreggiata. Ciò significa che il
veicolo, quando si allontana dalla barriera dopo l’urto dovrà farlo rimanendo in prossimità
della barriera di protezione.
In linea generale l’urto autoveicolo-barriera può essere distinto in due fasi:

I fase: l’autoveicolo entra in contatto con la barriera urtandola con un angolo θ, detto angolo
d’impatto, e con una velocità v detta velocità d’impatto. La barriera si deforma (sia
localmente che nella zona di contatto per effetto degli spostamenti rigidi che
interessano anche più elementi di barriera) contemporaneamente alla carrozzeria del
veicolo. Il moto rettilineo si trasforma in modo rotatorio intorno al punto d’impatto,che
diventa centro di istantanea rotazione, con moto vario. Alla fine del movimento di
rotazione il veicolo si dispone parallelo alla barriera. A questo punto la componente
della velocità, normale all’asse della barriera, diminuisce fino ad annullarsi. Mentre la
deformazione dell’autoveicolo e della barriera aumentano fino ai valori massimi.

II fase: la barriera deformata restituisce parte dell’energia immagazzinata, imprimendo


all’autoveicolo tutta una seria di reazioni che possono ricondurlo verso l’interno della
carreggiata, con angoli di rinvio variabili in un campo molto esteso. Il veicolo quindi si
allontana dalla barriera con una componente di velocità trasversale di verso opposto
rispetto alla prima fase che dipende dall’eventuale restituzione di deformazione da
parte della barriera. Questa schematizzazione riduce al minimo i parametri da
analizzare, ma risulta efficace per determinare la resistenza della barriera alle azioni
più critiche di esercizio (velocità elevata e grandi angoli d’impatto).

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DISEG 2

Figura 1. Fasi dell’urto (da SÈTRA)

2. Decelerazione laterale
Consideriamo la Figura 2. Durante la prima fase dell’urto il veicolo ruota intorno al punto
A, in cui si ha la deformazione del veicolo e della barriera.

Figura 2. Schema d’urto veicolo-barriera


(v=velocità d’impatto;θ=angolo d’impatto;b=semilarghezza veicolo;c=distanza baricentro –lato anteriore veicolo)

Si consideri un veicolo di massa m e peso P che si muove con velocità v; esso possiede
un’energia cinetica, detta energia d’urto, pari a :

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DISEG 3

E= ½ m v² [2.1]

Se a seguito dell’urto nel punto A, l’asse longitudinale dell’autoveicolo forma con la


barriera un angolo d’impatto θ , l’energia cinetica associata alla componente trasversale
della velocità è:

E = ½ m (vsenθ) ² [2.2]

Tale energia è quella che deve essere dissipata durante l’urto contro la barriera per
l’attrito dei pneumatici sulla strada nella rotazione del veicolo e per il lavoro compiuto dalla
forza trasversale che la barriera esercita sul veicolo. Per il principio delle forze vive si ha che:

∫os Fds = E [2.3]

dove: F è lo sforzo di decelerazione nel percorso s.


Quando F si può ritenere costante si ha semplicemente

F*s = P/g dv/dt *s = E = ½ m (vsenθ) ² [2.4]

Se con S intendiamo la distanza laterale percorsa dal baricentro del veicolo, il quale
ruota in modo da disporsi parallelo alla barriera si ha:

S= b cosθ + c senθ – b + dt [2.5]

Essendo dt la deformazione del complesso veicolo-barriera considerate secondo una


direzione ortogonale all’asse longitudinale della barriera; b la semilarghezza del veicolo e c
la distanza del baricentro dal lato anteriore del veicolo. Dalla (2.4) si ricava il valore della
decelerazione laterale media:
a= dv/dt / E* g/(P*S) = ½ m *(Vsenθ)² * g/(P*S) [2.6]

e semplificando e sostituendo il valore di S si ottiene:

a = (Vosenθ)² / (2[csenθ+b(cosθ-1)] +dt) [2.7]

Questo valore della decelerazione media del veicolo è stato calcolato nell’ipotesi più
probabile di rilascio dell’acceleratore, cioè di energia cinetica non alimentata dalla sforzo di
trazione sulle ruote motrici. Trascurando il contributo delle reazioni d’attrito, a causa della
variabilità del coefficiente d’attrito, e quello relativo alla deformazione del veicolo, la
decelerazione sarà funzione della sola deformazione della barriera.

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3. Ribaltamento del veicolo

Figura 3. Condizioni di equilibrio


(R=reazione barriera;P=peso veicolo,hcg=altezza baricentro;hb=altezza barriera;b=distanza trasversale
baricentro-esterno pneumatico)

Considerando il veicolo, figura 3, come un corpo rigido ed assumendo la condizione


limite di ribaltamento nella quale le ruote iniziano a staccarsi dal suolo, per l’equilibrio intorno
al punto più esterno del pneumatico si ha:

R.(hcg-hb) = P. b [3.1]
dove
P è il peso del veicolo (applicato nel baricentro)
m è la massa
hcg è l’altezza del baricentro del veicolo
hb è l’altezza della barriera
b è la semicarreggiata del veicolo
Ovvero:

m*a*(hcg-hb)= m*g*b [3.2]

da cui si ricava la condizione limite di ribaltamento


a ≥ g.b / (hcg-hb). [3.3]

L’espressione illustra efficacemente l’importanza della differenza in altezza tra il


baricentro del veicolo e il colmo della barriera , indipendentemente dal peso del veicolo (si
pensi ad esempio ai veicoli con forti carichi sul portabagagli superiore).Inoltre si rivela
importante il valore assoluto della forza trasversale nell’attitudine al ribaltamento.

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Figura 4. Evoluzione della deformata della barriera durante urto (SETRA)

4. Reindirizzamento in careggiata del veicolo


Nel piano orizzontale le due forze principali sono le componenti della reazione della
barriera:
R= componente normale alla direzione dell’asse della barriera;
Re=componente parallela alla direzione dell’asse della barriera (dovuta all’attrito).

Per reindirizzare in careggiata il veicolo, la barriera deve offrire una reazione globale, la
cui direzione sia tale da impedire che il veicolo ruoti attorno al punto d’impatto A in senso
antiorario, che porterebbe il veicolo in testa-coda.
La forza R (Fig 2.7) produce una coppia M1=R.GB che tende a far ruotare il veicolo in
senso orario mentre Re produce una coppia M2+Re.AB che tende a far ruotare il veicolo in
senso antiorario. Affinché il veicolo non ruoti in senso antiorario è necessario che :

Re*AB < R*GB [4.1]

Poiché Re=f*R, dove f è il coefficiente d’attrito fra veicolo e barriera,si ha:


Re/R = f < GB/AB [4.2]

Ed esprimendo GB e AB in funzione degli elementi b, c e θ:

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GB = GD-BD = c cosθ-bsenθ [4.3]


AB = DN+AK = csenθ +bcosθ [4.4]
si ottiene
Re/R=f < (c cosθ – b senθ) / (c sen θ +b cosθ) [4.5]

Si nota dunque come esista una relazione tra la capacità di reindirizzamento della
barriera ed angolo d’impatto, la quale verrà rispettata soltanto fino ad un certo valore
d’angolo d’impatto (avendo definito il valore del coefficiente d’attrito).

Figura 5. Forze orizzontali agenti durante l’urto

L’energia viene dissipata attraverso le deformazioni plastiche permanenti nel veicolo Pv


nella barriera Pb. L’energia elastica assorbita da veicolo e barriera Ev+Eb è proporzionale
all’energia cinetica residua risultante dopo l’urto, mentre l’energia Pv+Pb risulta proporzionale
alla differenza tra l’energia iniziale e finale riferita alla componente trasversale della velocità.
Se infatti Vr e θr sono le velocità e l’angolo di riflessione ,allora l’espressione:

1/2 P/g [Vr²(senθ)²-Vr²(senθ)²]=Pv+Pb [4.6]


esprime il fatto che i danni sul veicolo possono ridursi nella misura in cui crescono le
deformazioni plastiche nella barriera ,mentre l’energia cinetica residua vale:

1/2 P/g [Vr²(senθr)²]=Ev+Eb [4.7]

che si può esprimere anche con la relazione

θ = arcsen {[2g (Ev+Eb)] / PVr²} ½ [4.8]

Si osserva che l’angolo di riflessione (dopo l’urto) si riduce nella misura in cui vengono a
mancare le proprietà elastiche della barriera, mentre il peso e la velocità del veicolo
contrastano l’aumento di questo angolo.

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5 Indici caratteristici dei dispositivi di ritenuta


Quanto detto si riferisce comunque alla rigidezza reale esplicata dalla barriera in fase di
urto, che deve tener conto anche del comportamento strutturale del veicolo, della sua
massa, velocità e traiettoria. La rigidezza serve alla barriera per resistere gradualmente
all’urto, essendo stata progettata per deformarsi e rompersi, ma sempre in maniera tale che
la rottura avvenga in modo controllato: il fine è dunque quello di trattenere il veicolo in strada,
limitare le azioni dell’urto sulle persone, reindirizzare il veicolo in careggiata mantenendolo
vicino alla barriera (piccoli angoli di riflessione). Questo viene ottenuto mediante una forte
dissipazione dell’energia, ovvero con forti danneggiamenti permanenti della barriera e del
veicolo.
Il problema è ora quello di determinare indici numerici che siano in grado di definire
quantitativamente il concetto di cedevolezza o plasticità della barriere con un criterio unico e
sicuro. Questi indici sono stati individuati nella valutazione delle sollecitazioni a cui sono
sottoposti i passeggeri durante l’urto, che sono valutabili attraverso le accelerazioni e le
velocità che essi subiscono, e del comportamento strutturale del veicolo. La sicurezza dei
passeggeri è assicurata da:

1) decelerazione del veicolo (misurata in vari punti dell’abitacolo) mantenuta entro valori
accettabili;
2) deformazioni dell’abitacolo inferiori ai limiti prefissati;

3) nessuna penetrazione di elementi di barriera nell’abitacolo;

4) traiettoria successiva all’urto senza capottamento ed il più possibile vicina alla barriera.

I primi due punti riguardano in maniera diretta la barriera, che presuppone la definizione
preliminare delle grandezze da misurare durante e/o dopo l’impatto e gli strumenti con cui
farlo. Per gli ultimi due punti solo un’analisi visiva successiva ai test può mettere in luce la
risposta della barriera a quanto richiesto.
Quattro indici che sono stati definiti per valutare le prestazioni di una barriera nei
confronti della sicurezza degli occupanti sono:
¾ ASI (Acceleration Severity Index), Indice di severità dell’accelerazione;
¾ THIV (Theoretical Head Impact Velocity), Velocità teorica d’urto della testa;
¾ PHD (Post-impact Head Deceleration), Decelerazione post-urto della testa;
¾ VCDI (Vehicle Cockpit Deformation Index), Indice di deformazione dell’abitacolo del
veicolo.

I primi tre indici servono a valutare i rischi che gli occupanti del veicolo possano subire
gravi danni, dato che il corpo umano ha resistenza limitata a tempi molto brevi nei confronti
delle violente accelerazioni.
La sola misura dell’accelerazione impressa al veicolo è però insufficiente, perché non
tiene conto del tipo di veicolo, per cui si potrebbe, ad esempio, ipotizzare un veicolo molto
deformabile per ottenere bassi valori di accelerazione, con la conseguenza però di avere

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grandi deformazioni dell’abitacolo con la seguente riduzione dello spazio vitale necessario
agli occupanti. Per questo motivo il quarto indice misura le principali deformazioni
dell’abitacolo per fissare valori limite.
Per il calcolo degli indici si ipotizza che, durante l’impatto, il veicolo si muova solo sul
piano orizzontale, per cui è possibile scegliere due sistemi di riferimento: il primo (x, y)
solidale con il veicolo, con origine nel baricentro di questo, o in un punto ad esso vicino, dove
vengono installati gli accelerometri (indicato con C), e con l’asse X coincidente con l’asse
del veicolo; il secondo sistema (X, Y) solidale con il terreno, con origine nel punto C nella sua
posizione iniziale Co e con l’asse della X coincidente con la direzione del vettore velocità
prima dell’impatto.
Nel seguito si discute il più importante di tali indici, l’ASI.

Figura 6. Sistemi di riferimento per il calcolo degli indici

ASI: Indice di severità dell’accelerazione

L'indice di severità dell'accelerazione ASI è una funzione del tempo, calcolata come
media quadratica delle componenti di accelerazione:

ASI(t) = [(āx/àx)2+ (āy/ày)2+ (āz/àz)2]½ [5.1]

dove:
àx, ày e àz sono valori limite per le componenti dell'accelerazione lungo gli assi del veicolo x,
y e z;
āx, āy e āz sono le componenti dell'accelerazione di un punto P definito del veicolo, mediate
su un intervallo di tempo in movimento δ= 50 ms, cosicché:

L'indice ASI consente di fornire una misura della severità del moto del veicolo per una
persona seduta in prossimità del punto P durante un urto, figura 6.
I valori nell'equazione [3.1] devono essere intesi come valori medi filtrati che prendono in
considerazione il fatto che le accelerazioni del veicolo possono essere trasmesse al corpo

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dell'occupante tramite contatti relativamente morbidi che non fanno passare le frequenze più
alte.

Figura 7. Componenti ax, ay, az

La [5.1] è l’equazione più semplice possibile che lega tre variabili x, y e z: nel caso in
cui due delle componenti dell'accelerazione del veicolo siano nulle, l'ASI raggiunge il suo
valore limite di 1 quando la terza componente raggiunge la sua accelerazione limite; ma
quando due o tre componenti non sono nulle, l'ASI può essere 1 anche se le singole
componenti sono ben al disotto dei limiti corrispondenti.

Le accelerazioni limite sono interpretate come i valori al disotto dei quali il rischio per i
passeggeri è molto basso (al massimo lesioni lievi). Per i passeggeri che indossano le
cinture di sicurezza, le accelerazioni limite generalmente adottate sono:

àx= 12 g, ày= 9 g, àz= 10g [5.2]

dove l’accelerazione di gravità g = 9,81 ms-2 è il riferimento per l'accelerazione.


Con l'equazione [5.1], l'ASI è definito come una quantità adimensionale funzione scalare
del tempo e, in generale, del punto del veicolo selezionato, che ha solo valori positivi.
Quanto più l'ASI supera l'unità, tanto più il rischio per l'occupante in quel punto supera i valori
di sicurezza; pertanto il valore massimo raggiunto dall'ASI in una collisione viene assunto
come singola misura della severità, oppure:

ASI = max. [ASI(t)] [5.3]


I limiti richiesti dalle norme ai fini di sicurezza sono :

ASI max ≤ 1,00 per le barriere di bordo laterale


ASI max ≤ 1,40 per le barriere da spartitraffico e da ponte

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Figura 8. A confronto le tre componenti ax, ay ,az, dall’alto verso il basso (gli ASI, di valori simili, sono i due
diagrammi più in basso) delle decelerazioni di un urto su barriera a muretto N.J. (a sinistra) ed a lame e paletti (a
destra). Le ax sono molto simili; le ay sono diverse nella distribuzione temporale, ma simili per l’energia dissipata;
le az sono molto diverse: quasi inesistente quella delle lame, importante quella del muretto.

6. Livelli di prestazione
Si definiscono diversi livelli di prestazione contraddistinti attraverso i tre criteri principali
relativi al contenimento di un veicolo stradale:
• il livello di contenimento:T1, T2, T3, N1, N2, H1, H2, H3, H4a, H4b;
• i livelli di severità dell'urto: A e B;
• la deformazione espressa dalla larghezza operativa: W1, W2, etc.

I diversi livelli di prestazione delle barriere di sicurezza permetteranno alle autorità


nazionali e locali di specificare la classe di prestazione di una barriera di sicurezza da
installare. I fattori da tenere in considerazione comprendono la classe o tipo di strada, la sua
posizione, la geometria, l'esistenza vicino alla strada di una struttura vulnerabile, o di una
zona o di un oggetto potenzialmente pericolosi.

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Indice di severità
È importante sottolineare che le attuali norme classificano le barriere mediante
l’indice di severità Is inteso come l’energia cinetica posseduta dal mezzo all’atto dell’impatto,
calcolato con riferimento alla componente della velocità ortogonale alle barriere, espresso
dall’equazione:
Is=½ P/g (V senφ )2 [6.1]

misurato in kilojoule(KJ)o in kilonewton per metro (KN/m).


Le barriere e gli attenuatori d’urto nelle seguenti classi di resistenza:

ƒ N1 con indice di severità maggiore di 44 Kj


ƒ N2 con indice di severità maggiore di 82 Kj
ƒ H1 con indice di severità maggiore di 127 Kj
ƒ H2 con indice di severità maggiore di 288 Kj
ƒ H3 con indice di severità maggiore di 463 Kj
ƒ H4a con indice di severità maggiore di 572 Kj
ƒ H4b con indice di severità maggiore di 724 Kj
ƒ TC1 con indice di severità maggiore di 320 Kj
ƒ TC2 con indice di severità maggiore di 500 Kj
Tabella 6.1

Classi di livelli di larghezza operativa Livelli di larghezza operativa (m)

W1 W≤ 0,6
W2 W≤0,8
W3 W≤1,0
W4 W≤1,3
W5 W≤1,7
W6 W≤2,1
W7 W≤2,5
W≤3,5
W8

Nota 1.È di prova possibile specificare una classe di livello di larghezza operativa minore di W1
Nota 2.La deflessione dinamica e la larghezza operativa permettono di determinare le condizioni
per l’installazione di ogni barriera di sicurezza,nonché di definire le distanze da creare davanti agli
ostacoli per permettere alla barriera di fornire prestazioni soddisfacenti.
Nota 3.la deformazione dipenderà sia dal tipo di barriera che dalle caratteristiche d’urto

Deformazione delle barriere di sicurezza


La deformazione delle barriere di sicurezza durante le prove d'urto è caratterizzata dalla
deflessione dinamica e dalla larghezza operativa (figura 9). È importante che la
deformazione sia compatibile con lo spazio o la distanza disponibile dietro il sistema.

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La larghezza operativa (W) è la distanza fra il lato rivolto verso il traffico prima dell'urto
della barriera di sicurezza e la massima posizione laterale dinamica di una qualunque parte
principale della barriera.
La deflessione dinamica (D) è lo spostamento dinamico laterale massimo del lato della
barriera rivolto verso il traffico. Per le barriere strette, la deflessione dinamica può essere
difficile da misurare e, in tal caso, è possibile prendere come deflessione dinamica la
larghezza operativa.
La deformazione del sistema di ritenuta deve essere conforme ai requisiti del prospetto
6.1.

Figura 9. Deflessione dinamica(D) e larghezza operativa (W).(UNI EN 1317-2 2000)

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