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Link Campus University – Prof. Avv.

Marco Scialdone 2011

DIGITAL COPYRIGHT
(Il Diritto d'Autore nel Web 2.0)
docente: Marco Scialdone

LINK CAMPUS UNIVERSITY


BA Communications Management
Dispensa n. 1 - 2011
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EVOLUZIONE STORICA DEL DIRITTO D'AUTORE

Nel corso degli ultimi anni l'opera di studiosi come Lawrence Lessig 1 ha
portato all'attenzione di un pubblico più ampio rispetto a quello tradizionale degli
“addetti ai lavori” quale intrinseco legame sussista tra la regolamentazione
giuridica della creatività e il grado di libertà culturale di un popolo.
Una simile relazione potrebbe apparire a prima vista forzata, finanche
eccessiva. Nel prosieguo della trattazione si cercherà di dimostrare che essa esiste
e non è affatto aleatoria.
Nella prefazione del volume “Cultural Environmentalism @ 10”2 Lessig
prende le mosse dal film/documentario di Al Gore 3, “Una Scomoda Verità
(Unconvinienth Truth)” nel cui incipit viene svolta un'argomentazione che se
riconosciuta come vera conduce la maggior parte di noi a ritenere che il
riscaldamento globale non possa essere un problema che origina da responsabilità
umane.
L’affermazione è che siamo troppo piccoli rispetto all’intero globo
terrestre perché gli uomini possano davvero avere a che fare con il cambiamento
climatico. Sicuramente Los Angeles potrà soffrire per lo smog delle sue troppe
automobili, ma siamo seri, guardiamo una qualsiasi cartina geografica… Los
Angeles è soltanto un punto infinitesimale in uno spazio enorme!
Nel corso del film fatti, dati, ricerche dimostrano che questa affermazione
è erronea. Una volta che ci si sia resi conto di ciò non è possibile non pensare di
dover cambiare il proprio comportamento.
Lessig ricorda come dieci anni fa un gruppo di studiosi, tra cui James
Boyle, concentrò la propria attenzione su un concetto parallelo a quello enunciato
da Gore. Il loro punto di attenzione non era rappresentato però dall’ambiente
fisico ma da quello culturale. Molti non riuscivano allora a vedere come un angolo
tradizionalmente angusto del diritto chiamato “intellectual property” potesse
influenzare in maniera significativa la cultura e la diffusione della conoscenza.
Esattamente come è accaduto per l’inquinamento ambientale, un numero
sempre crescente di individui si rende conto del fatto che le modalità con cui la
circolazione delle informazioni è regolata influisce sul grado di libertà culturale di
una nazione e sulla sua libertà di espressione.
Naturalmente, dice Lessig, non si vuole sostenere che la regolamentazione
giuridica della creatività sia sbagliata. Non si tratta di incitare
all’anarchia/pirateria. Non c’è nessun dubbio che una certa regolamentazione
imposta dal diritto d’autore sia una cosa buona. Ma il fatto che la presenza di
1 Lawrence Lessig (South Dakota, 3 giugno 1961) è un giurista statunitense. È professore di legge alla Stanford Law
School e fondatore dello Stanford Center for Internet and Society (Centro per Internet e la società). È fondatore e
amministratore delegato di Creative Commons, nonché membro del consiglio direttivo della Electronic Frontier
Foundation e di quello del Software Freedom Law Center, costituito nel Febbraio 2005. È noto soprattutto come
sostenitore della riduzione delle restrizioni legali sul diritto d'autore, sui marchi commerciali (trademark) e sullo
spettro delle frequenze radio, in particolare nelle applicazioni tecnologiche. (fonte WIKIPEDIA)
2 AA.VV., Cultural Environmentalism @ 10, disponibile al seguente indirizzo
http://www.law.duke.edu/journals/lcp/lcptoc70spring2007
3 Al Gore - all'anagrafe Albert Arnold Gore, Jr. - (Washington, 31 marzo 1948) è un politico statunitense. È stato il
45° Vicepresidente degli Stati Uniti d'America (1993-2001) durante la presidenza di Bill Clinton. Gore ha ottenuto il
Premio Nobel per la pace 2007 (assegnatogli il 12 ottobre), per il suo impegno in difesa dell'ambiente. (fonte
WIKIPEDIA)
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alcune regole sia una cosa buona non significa che più regole migliorino la
situazione.
Torniamo indietro nel tempo. Guardiamo alla storia del diritto d’autore. Se
quest'ultima fosse una canzone il suo refrain sarebbe sicuramente “ricreare la
scarsità”.
A fronte di una “nuova tecnologia” in grado di rendere agevole la
produzione di copie a partire dall'originale, si è chiesto al legislatore di ricreare
quella scarsità della risorsa che, altrimenti, sarebbe andata irrimediabilmente
persa, con conseguente decremento del suo valore di mercato.
Rispetto, infatti, alla normale evoluzione del diritto, che comincia a
formarsi più di duemila anni fa, il diritto d'autore affonda le sue radici nell'età
moderna, allorquando con l’invenzione della stampa e con la conseguente crescita
dell’attività editoriale si determina il prodursi di forti interessi economici legati
alla circolazione di un elevato numero di esemplari stampati. Può ben dirsi, a tal
proposito, che la regolamentazione della riproduzione e della circolazione delle
opere ha preceduto il formarsi di un complesso normativo organico preposto alla
tutela delle opere dell'ingegno. L'importanza della stampa fu tale che per lungo
tempo l'evoluzione del diritto d'autore coincise con quella dei cosiddetti “privilegi
librari” predecessori dell'attuale diritto di riproduzione4.
Non mancano, ad onor del vero, esempi di proprietà letteraria presso
popoli primitivi: tra i Boscimani è possibile rinvenire delle iscrizioni rupestri che
sanciscono la regola per la quale “nessuno può toccare una pittura rupestre sin
quando l'autore o la sua famiglia siano ancora in vita”5.
Nell'Antica Grecia non erano previste forme di tutela nei confronti della
proprietà intellettuale. Mancava, in verità, finanche una nozione specifica di
proprietà tout court, che è conquista della giurisprudenza romana: la proprietà era
concepita come un possesso momentaneamente libero da pretese altrui6.
Le opere erano così trascritte, manipolate, adattate, in un processo di
continua evoluzione che, tuttavia, non era considerato illecito giacché consentiva
di conservare il ricordo delle gesta ivi narrate. Per gli antichi Greci l'immortalità
era correlata al ricordo, ossia al fatto che le future generazioni potessero
continuare a conoscere ed emozionarsi nell'ascolto dell'opera, a prescindere dal
fatto che la stessa fosse stata alterata rispetto alla sua originaria formulazione.
Tuttavia il plagio, la copia pedissequa, l'appropriarsi dell'opera altrui
spacciandola per propria non era tollerato: emblematico è il caso del concorso
letterario tenutosi al tempo dei Tolomei in onore di Apollo e le Muse7.
Sette letterati, tra cui Aristofane il grammatico, erano stati chiamati a far
parte della giuria. Nel valutare le poesie ascoltate, sei dei letterati avevano deciso
di premiare i poeti che avessero riscosso i più lunghi applausi da parte del
pubblico intervenuto. Solo Aristofane si discostò da quel giudizio, sostenendo che
le poesie recitate appartenevano ad altri autori.
Dal raffronto con le opere contenute in alcuni volumi delle celebre
biblioteca di Alessandria risultò evidente il plagio e i poeti incriminati furono
obbligati ad abbandonare la città.
Nell'antica Roma agli autori non erano riconosciuti necessariamente i

4 Carretta P., Di Cicco V., Succi T., Il diritto d'autore: tutela penale e amministrativa, Experta Edizioni 2006, p. 53
5 Mancini L., Alle origini del diritto d'autore, in Il Diritto D'Autore, n. 3/2008, pag. 426
6 Paoli, La difesa del possesso in diritto attico, Studi Albertoni, Padova 1937, pag 311
7 L'episodio è riportato da Mancini L., in op. cit. pag 427
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diritti patrimoniali dell'opera, dato che, una volta pubblicata, l'opera si identificava
con il suo supporto materiale, cosicché i diritti patrimoniali venivano riconosciuti
a chi avesse acquistato quest'ultimo. Già Seneca, ad esempio, notava come il
libraio Doro parlasse dei libri di Cicerone come se fossero suoi, e sottolineava
come fosse nel vero sia il libraio sia coloro che attribuivano i libri all’autore.
Nonostante la mancanza di specifici precetti legislativi, numerosi sono i
casi che dimostrano come l’opera dell’ingegno fosse in grado di recare un
beneficio pecuniario al suo autore. Svetonio ricavò seicento sesterzi della vendita
della sua opera principale, “Analisi critica degli annali di Ennio”; Maziale
racconta di come il suo primo libro di Epigrammi fosse in vendita per sei sesterzi,
sia pur lamentandosi che l’editore trattenesse per sé buona parte del guadagno8.
Nel medioevo la cultura abita nei chiostri dei monasteri. La riproduzione
delle opere è arte laboriosa e costosa. Ogni manoscritto ha colori, ghirigori, e tutta
una particolare creatività artistica. Grazie all’estro e alla fantasia del monaco ogni
libro diventa un’opera unica. Il mercato poi, è molto limitato. Per queste ragioni le
questioni relative ad eventuali copie abusive non si pongono. Pirati sono
considerati solo quelli che solcano i mari, e non, per esempio, quelli che ricopiano
le opere del Filosofo Aristotele. Con la nascita delle università e la diffusione
della cultura laica, aumenta la richiesta di amanuensi e spuntano vere e proprie
officine scrittorie.
Un barlume di tutela viene quindi a svilupparsi solo nella tarda metà del
quindicesimo secolo a Venezia con i primi privilegi concessi dal governo
repubblicano ad autori e librai.
D’altro canto nella prima metà del 1400 l’invenzione della stampa a
caratteri mobili ha consentito l’avvio dell’industria libraria: le dimensioni
dell’èlite alfabetizzata dell’occidente ed il suo benessere economico e livello
culturale sono ormai cresciuti al punto da garantire ad autori e librai un sufficiente
mercato di sbocco, assai più ampio di quello precedentemente affidato
all’economia curtense e al mecenatismo.
Il privilegium impressionis operum concede la libertà di stampare un'opera
in esclusiva per un periodo di tempo limitato, dunque esonerando
temporaneamente il singolo stampatore dalla concorrenza cui sarebbe stato
naturalmente esposto in assenza di coperture legislative9.
Il privilegio è, dunque, vincolato alla pubblicazione dell'opera e la
protegge solo nella misura in cui essa è resa disponibile per il pubblico: il diritto
non sussiste sull'opera in quanto tale, ma in quanto pubblicata. E' questa la ragione
per cui, in molti casi, il privilegio decadeva laddove la pubblicazione tardasse a
venire oppure allorquando l'opera fosse, in un secondo momento, ritirata dal
commercio10.

8 L'episodio è riportato da Mancini L., in op. cit. pag 429


9 M. Borghi, Il diritto d'autore tra regime proprietario e “interesse pubblico, in AA.VV., Proprietà Digitale, a cura di
L. Montagnani e M. Borghi, Egea 2006, pag. 5, Lo stesso autore riporta un brano di un dizionario francese settecentesco
del commercio secondo il quale il privilegio si concede “solo alle industrie che richiedono un investimento così
elevato, e dall'esito così incerto, e dai ricavi sostanzialmente così esigui, da rendere improbabile l'eventualità che un
singolo individuo se ne voglia incaricare; ma industrie la cui introduzione è così utile da giustificare una misura che,
al fine di non vanificarne fin da subito il commercio, la sottrae temporaneamente alla concorrenza” (H. Lacombe De
Prezel, Dictionnaire du citoyen, ou abrege historique, theorique et pratique du commerce, Paris, 1756, voce privilege).
10 Cfr. M. Borghi, op. cit., “troviamo, ad esempio, norme che obbligano lo stampatore a pubblicare il libro
privilegiato entro un certo tempo, pena la perdita del privilegio stesso, o che dichiarano scaduto prima dei termini il
privilegio sui libri che non vengano più ristampati”
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A partire dal Settecento, il sistema dei privilegi cede il passo al diritto


d’autore moderno, che riconosce agli autori ampi poteri esclusivi di
riproduzione/sfruttamento delle proprie opere. Si assiste via via all’adozione di
alcune prime normative nazionali in materia di diritto d’autore: tra queste si
possono citare l’Atto 8 emanato nel 1710 dalla regina Anna d’Inghilterra “for the
encouraging of learning, by vesting the copies of printed books in the authors or
purchasers of such copies during the thimes therein mentioned” e la legge
federale statunitense del 1790.
L'Europa continentale dovette attendere fino alla fine del XVIII secolo
perchè testi normativi di ampio respiro disciplinassero l'istituto in questione.
L'inizio si ebbe con le leggi francesi rivoluzionarie del 1791 e 1793 sulla proprietà
letteraria ed artistica.
L’atto inglese e le leggi francesi sono stati, in seguito, adottati come
matrici di una serie di normative nazionali rispettivamente dei paesi anglosassoni
e dell’Europa continentale. In tal modo si sono formati due diversi sistemi
(anglosassone e franco-germanico11) di diritto d’autore ai quali, dopo la
rivoluzione del 1917 si affiancheranno i sistemi sovietico e dei paesi in via di
sviluppo.
Il sistema anglosassone è fondato sull'idea che il diritto d'autore scaturisca
da un contratto tra l'autore e la società nella sua interezza: lo si attribuisce in
quanto si vede in esso lo strumento idoneo “for the encouragement of learning”12,
“to promote the progress of science and usefull arts”13.
Il sistema franco-germanico invece ruota tutto intorno al rapporto tra
l’autore e la sua opera, in base al quale il diritto d'autore è uno ius personale,
essendo l'opera una manifestazione della personalitas dell'autore.
C'è però un tratto comune ai due sistemi sopra citati: con essi la tutela
autorale si trasforma “da semplice atto amministrativo di regolazione di un
mercato a strumento di intervento politico e sociale. Il diritto d'autore moderno –
sia esso copyright anglosassone o diritto d'autore europeo-continentale – perde
del tutto i connotati di un istituto giuridico amministrativo, come era il privilegio
di stampa, e diventa quasi un concetto politico e ideologico”14.

Spostando l'attenzione sull'evoluzione della normativa italiana in materia


di diritto d'autore, la prima legislazione relativa al periodo pre-unitario vede la
luce nel 1801, nella Repubblica Cisalpina.
La legge si componeva di otto articoli e fondava la sua ragion d'essere
sulla considerazione che “le produzioni dell'ingegno sono la più preziosa e la più
sacra delle proprietà”15
Gli scrittori, i compositori di musica, i pittori e i disegnatori si vedevano
così riconosciuto il diritto esclusivo di vendere, far vendere, distribuire le opere
loro nel Territorio Cisalpino e di cederne la proprietà in tutto, o in parte.Unico
onere imposto, al fine di far valere in giudizio i diritti loro riconosciuti dalla legge,
era quello di depositare due esemplari dell'opera nella Biblioteca Nazionale,
11 Le principali differenze e analogie sono riassunte da U. Loewenheim, Copyright in Civil Law and Common Law
Countries: a Narrowing Gap, in AIDA, 1994, p. 161
12 Così lo statuto inglese del 1709
13 Così l’art. 1§1 cl.8 della costituzione federale statunitense.
14 M. Borghi, op. cit., p. 9
15 Legge 19 fiorile anno IX repubblicano, che determina il diritto esclusivo di vendere le loro opere agli Autori,
Compositori, Pittori e Disegnatori nella Repubblica Cisalpina.
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ritirandone ricevuta sottoscritta dal Bibliotecario: in assenza, l'autore non poteva


“essere ammesso in giustizia contro i contraffattori”16.
La durata della tutela accordata era pari alla vita dell'autore più un ulteriore
periodo di 10 anni dopo la sua morte.
Il predetto termine risulta già esteso nella normativa dello Stato Pontificio
(Editto 28 settembre 1826) allorquando gli anni di tutela successivi al decesso
diventano dodici.
L'editto, emanato sotto il pontificato di Leone XIII, nasceva dalla espressa
volontà del Papa di “di proteggere e animare con saggi e sempre più efficaci
provvedimenti la coltura delle scienze, delle lettere e delle arti”, rammaricandosi
quest'ultimo “che al loro maggiore incremento e tutela si opponga la riprovevole
avidità di coloro che si fanno lecito d’appropriare a sé il frutto degli altrui studi o
fatiche”17
Il testo di legge, sedici articoli in tutto, riservava protezione
esclusivamente alle opere pubblicate per stampa o incisione nel territorio dello
Stato.
La pubblicazione rappresentava, dunque, il momento costitutivo del
diritto, che tuttavia, non poteva essere fatto valere in giudizio se non si fosse
ottenuta prima un'apposita licenza da parte delle autorità ecclesiastiche, corredata
da una dichiarazione da loro sottoscritta.
Ottenuto ciò, l'opera poteva essere annunciata ufficialmente nel diario di
Roma affinché i soggetti preposti vigilassero sull'eventuale introduzione nel
territorio pontificio di copie contraffatte.
L'autore diveniva così titolare di un “diritto di assoluta proprietà
sull'opera”18 di cui non era consentito di turbare il pacifico godimento
“stampando o incidendo o facendo stampare o incidere, o commerciando o
vendendo o introducendo in qualsivoglia modo nello Stato qualunque opera
d’autore, che v’abbia diritto d’assoluta proprietà, senz’avere in iscritto il
permesso da lui medesimo”19.
Due anni dopo, nel 1828, fu la volta del Regno delle Due Sicilie, con il
Decreto 5 febbraio 1828 n. 1904, “portante delle disposizioni onde assicurare la
proprietà delle opere dell’ingegno agli autori di esse”.
Invero, già nel 1811 un regio decreto20 era intervenuto per normare le
16 L'articolo 8 della legge così recitava: “8. Ogni Cittadino, il quale darà alla luce un’opera o di letteratura, o di
incisione, o di qualunque maniera, sarà tenuto di deporre due esemplari nella Biblioteca Nazionale, ritirandone
ricevuta sottoscritta dal Bibliotecario, senza la quale non potrà essere ammesso in giustizia contro i contraffattori”.
17 Le parti in corsivo sono tratte dal Preambolo dell'Editto pontificio 28 settembre 1826, col quale sono dichiarate
d’assoluta proprietà le nuove opere scientifiche e letterarie, che si pubblicano dai rispettivi autori, o quelle non mai
pubblicate d’autori estinti.
18 Editto Stato Pontificio, 28 settembre 1826, articolo 1.
19 Editto Stato Pontificio, 28 settembre 1826, articolo 6.
20 Decreto 7 novembre 1811 n. 1134 contenente un sistema pei teatri e spettacoli. Questo decreto è stato pubblicato in
Collezione delle leggi e dei decreti reali del Regno delle Due Sicilie, Stamperia Reale, Napoli, 1811, II semestre,
122 ss..
Gioacchino Napoleone Re delle Due Sicilie
Visti i decreti de’ 29 agosto 1807 e dei 19 e 22 ottobre 1808;
Visto il rapporto de’ Nostri Ministri dell’interno e della polizia generale;
Udito il parere del Consiglio del Nostro Stato;
Abbiamo decretato e decretiamo quanto segue:
7. Le rappresentazioni teatrali sono proprietà dei loro autori. La musica sopra di esse composta è anche di
proprietà de’ maestri di cappella. I primi sono obbligati di darne una copia netta all’archivio del Ministero
dell’interno, i secondi debbono dare una copia dello spartito al real conservatorio di musica. Né l’archivio, né il
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rappresentazioni teatrali, riconoscendone ai rispettivi autori il diritto di proprietà.


Una compagnia o un impresario che avessero voluto mettere in scena
un’opera avrebbero, pertanto, dovuto dimostrare di avere ottenuto l’esplicito
consenso dell’autore dell’opera.
Interessante notare che nel caso in cui quest’ultimo avesse preteso un
compenso esorbitante, il Ministro dell’Interno, sentita la commissione degli
spettacoli, avrebbe potuto ridurlo a quanto reputato giusto.
Il Decreto del 1828 aveva un ambito soggettivo più ampio: in virtù delle
sue disposizioni risultavano protetti gli scrittori in ogni materia, i compositori di
musica, i pittori, gli scultori, gli architetti e i disegnatori., ai quali era riconosciuto
il diritto esclusivo di pubblicare e diffondere le proprie opere nel territorio del
Regno.
La durata della tutela accordata si estendeva per l’intera vita dell’autore
più un ulteriore periodo di trent’anni di cui avrebbero beneficiato gli eredi.
Tuttavia le mogli degli autori, se vissute in comunione di beni, continuavano a
godere dei medesimo diritto per tutta la loro vita dopo la morte di questi.
L’estensione della tutela a trent’anni dopo la morte dell’autore sarà un
tratto caratterizzante anche delle restanti normative preunitarie (Convenzione
Austro-Sarda del 1940, Ducato di Pavia 1840, Regno Lombardo-Veneto 1847).
Quello che in questa sede appare interessante constatare è che in alcune di
esse si rinvegono elementi di straordinaria modernità, al punto che parte delle
richieste oggi avanzate da parte delle dottrina nordamericana in materia di
“freedom to remix” trovavano già in esse compiuta realizzazione.
Si pensi alla legislazione del Regno Lombardo-Veneto che, rispetto alle
composizioni musicali, considerava come lecite, anche in assenza di una specifica
autorizzazione dell'autore, attività quali l'inserire singoli motivi di componimenti
musicali in opere da pubblicarsi periodicamente, oppure l'adottare un concetto
musicale d'altro autore per comporre variazioni, fantasie, studi, pot-pourris,
ecc.21
Nel periodo post-unitario la prima legislazione in materia di diritto d'autore
è datata 1867: si tratta della legge 25 giugno 1867, n. 2337 con cui la durata dei
relativi diritti viene ulteriormente estesa di un decennio, attestandosi a 40 anni
dopo la morte dell'autore.
Con la legislazione fascista del 1925 (R.D. 7 novembre 1925, n. 1950) si
assiste ad una nuova estensione, sempre di dieci anni. La tutela passa così a 50
anni dopo la morte dell'autore.
Nel 1941, dopo un iter durato cinque anni, venne emanata la legge n. 633
che, è tuttora la base della normativa nazionale in materia di diritto d'autore, pur

conservatorio potrai rilasciare copia a chichessia senza il consenso scritto degli autori, in seguito del quale il
Ministro ne abbia rilasciato le licenze.
8. Una compagnia o un impresario che voglia rappresentare o far rappresentare la prosa o la musica, dee
giustificare presso il soprintendente de’ teatri, o presso l’intendente della provincia ove la rappresentazione vuol
farsi, che ne abbia ottenuto il consenso dagli autori suddetti. Nel caso che costoro pretendano per tale consenso un
premio esorbitante, il Ministro dell’interno, udita la commissione degli spettacoli, potrà ridurlo al giusto.
L’inosservanza di questo articolo dà diritto agli autori di domandare in giudizio le indennizzazioni per abuso della
proprietà altrui.
21 Una disposizione simile si rinviene anche nel Decreto sovrano 22 dicembre 1840 n. 240 del Ducato di Parma, Pia-
cenza e Guastalla, riguardante la proprietà delle opere scientifiche, letterarie ed artistiche, il cui articolo 21 così recita -
va: “Quando le riduzioni per diversi stromenti, gli estratti od altri adattamenti di composizioni musicali potranno ri-
guardarsi come produzioni dell’ingegno, non verranno considerate come contraffazione”.
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nei numerosi aggiustamenti subiti nel corso degli ultimi 20 anni.


Si segnala in particolare l'intervento operato dalla legge 6 febbraio 1996, n.
52, con cui si è nuovamente esteso il termine di durata della tutela autorale che
attualmente va fino a 70 anni dopo la morte dell'autore.

La storia moderna del diritto d’autore è quella che si sviluppa a partire


dalla diffusione di Internet: in questa fase il diritto d’autore tradizionale si trova di
fronte alle nuove sfide poste dallo sviluppo tecnologico imponente e
progressivamente accelerato che ha caratterizzato l’ultima parte del secolo scorso
e che rappresenta il connotato distintivo del secolo attuale.
Ancora una volta è l'avvento di una “nuova tecnologia” (come fu la stampa
a caratteri mobili nel 1450) a scuotere dalle fondamenta l'assetto normativo, a
metterlo in dubbio e, dunque, ad originare la richiesta di nuove regole che siano in
grado di “ricreare la scarsità”.
Come la stampa consentì, per la prima volta nella storia dell'umanità, una
facile riproduzione dei contenuti, la digitalizzazione delle opere dell'ingegno e la
loro diffusione tramite Internet hanno reso possibile una interazione con il
prodotto culturale fino a quel momento completamente sconosciuta.
Si assiste al passaggio da quella che il Prof. Lawrence Lessig ha definito
Read Only Culture, ovverosia una cultura di sola fruizione dei contenuti, ad una
Read-Write Culture, in cui gli stessi contenuti fruiti diventano la base per nuove
creazioni.
Vi è di più: la facilità con cui le tecnologie consentono una simile
manipolazione (tant'è che si può parlare di una Remix Culture, una cultura del
remix22) trasforma queste “variazioni sul tema” in una vera e propria forma di
linguaggio, nell'espressività delle nuove generazioni.
Pur essendo tecnicamente all'interno di quelle che la normativa individua
come opere derivate (e che, dunque, subordina al preventivo consenso dell'autore)
appare di tutta evidenza quanto riduttivo sia limitarsi ad inquadrare come tali i
fenomeni sopra descritti e, conseguentemente, condannarli come “atti di
pirateria”23.
Si tratta, al contrario, di nuovi linguaggi, che non aggrediscono i diritti
dell'autore, ma parlano attraverso di essi. Sono le citazioni dell'era digitale.
Di fronte al mutato scenario, allora, occorre offrire una risposta articolata,
ora modellando e adattando principi tradizionali, ora avendo il coraggio
dell’innovazione affinché le potenzialità dei nuovi strumenti di comunicazione e
informazione non siano imbrigliate da legislazioni proibizioniste e oscurantiste
22 Cfr. L. Lessig, Remix: Making Art and Commerce Thrive in the Hybrid Economy, Penguin Press, 2009; M. Mason,
Punk Capitalismo, come la pirateria crea innovazione, Feltrinelli 2009.
23 Sul punto interessanti le osservazioni contenute nel “Libro verde sul Copyright nella economia della conoscenza”,
adottato dalla Commissione Europea nel 2008 (disponibile per la consultazione a questo indirizzo http://eur-
lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2008:0466:FIN:IT:HTML ) , nel quale un intero paragrafo è
dedicato ai contenuti creati dagli utenti e sulle problematiche giuridiche inerenti (“I consumatori non sono soltanto
utenti ma sempre più anche creatori di contenuti. La convergenza sta portando allo sviluppo di nuove applicazioni
che si basano sulla capacità delle TIC di coinvolgere gli utenti nella creazione e distribuzione dei contenuti. Le
applicazioni web 2.0 quali blog , podcast, wiki, o video sharing , consentono agli utenti di creare e condividere
facilmente testi, video o immagini, e di svolgere un ruolo più attivo e collaborativo nella creazione dei contenuti e
nella diffusione delle conoscenze… L'attuale direttiva non prevede un'eccezione che consenta l'uso di contenuti
esistenti protetti dal diritto d'autore per creare opere nuove o derivate. L'obbligo di liberatoria dei diritti prima
della messa a disposizione di qualsiasi contenuto "trasformativo" può essere percepito come un ostacolo
all'innovazione in quanto blocca la diffusione di opere nuove, potenzialmente di valore”).
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che altro scopo non abbiano se non quello di conservare il presente senza porsi il
problema di pensare e progettare il futuro.
Se innegabile è un’esigenza di tutela dell’opera, al fine di promuovere
l’attività creativa in tutte le sue forme, e quindi la necessità di un’attività
repressiva del mercato della contraffazione, altrettanto innegabile è che tale tutela
non può tramutarsi in una difesa ad oltranza e dissennata dei diritti economici a
scapito di una fruizione il più possibile diffusa dell’opera.
Le nuove tecnologie hanno abilitato nuove concezioni del diritto d’autore:
non prenderne atto sarebbe come ostinarsi a far indossare un vestito, sia pur di
pregevole fattura, cucito per una persona di modesta altezza ad una di altezza
elevata. Quest’ultima risulterebbe inevitabilmente goffa. Ed è così che il diritto
d’autore appare in questa fase storica: goffo, giacché lontano dalle tecnologie che
su quella normativa vanno ad inferire.
I file musicali mp3, i file video DivX, le reti P2P, il mondo del codice
aperto, di GNU/LINUX e dell’open source, il mondo delle licenze Creative
Commons e dell’open access stanno contribuendo a delineare un nuovo diritto
d’autore, basato sulle idee di condivisione e di collaborazione di massa.
Si può, in conclusione, notare come la battaglia che in questi anni si sta
giocando sul terreno del diritto d’autore, per renderlo compatibile con la natura
geneticamente anarchica di internet, non riguarda solo le prerogative degli autori o
dei titolari dei diritti, né riguarda soltanto l’individuazione delle regole giuridiche
migliori per incoraggiare la creatività. Si tratta anche e soprattutto di una battaglia
per la salvaguardia di nuovi linguaggi abilitati dalle tecnologie informatiche e,
dunque, in ultima istanza si tratta del rapporto tra diritto d’autore e libertà di
manifestazione del pensiero.

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