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PREFAZIONE

GLI ARTICOLI PRESENTI IN QUESTO VOLUME SONO TRATTI DAGLI INTERVENTI FATTI E SUL QUOTIDIANO LOCALE LA VOCE DI ROMAGNA NELL ANNO 2009. COME NEL PRIMO E SECONDO VOLUME, PRESENTO UNA RACCOLTA DI RIFLESSIONI SU ARTISTI LOCALI E NON E SU TEMI GENERALI CHE HANNO A CHE FARE E CON L ARTE E CON L ARCHITETTURA, SOFFERMANDOMI SULLE ESPERIENZE ARTISTICHE CHE SONO AVVENUTE NELL ANNO CITATO. HO CERCATO DI MANTENERE LA MIA CAPACITA DI OSSERVAZIONE LA PIU OGGETTIVA POSSIBILE E, SOPRATTUTTO, DANDO CORPO ALLE MIE RIFLESSIONI CON ARGOMENTI SOLIDI, EVITANDO QUELLE DESCRIZIONI PROSAICHE E POMPOSE CHE TANTO SANNO DI ARTIFICIOSIT FINE A SE STESSA, IN CUI SEMPRE DIFFICILE RICONOSCERE IL SOGGETTO DELLA SINTESI CRITICA. ANTONIO DAL MUTO
dalmuto_antonio@tin.it

RIFLESSIONI CRITICHE

Artisti e Argomenti

MOSTRA SULLA SHOAH LUCIANO DE LIBERATO UNA RISPOSTA E UNA RIFLESSIONE SUL FUMETTO ILARIO FIORAVANTI DOMENICO GRENCI ARCHITETTURA CESENATE IL SASSOFERRATO E STEFANIA RUSSO ALDO BORGONZONI NIVES GUAZZARINI CONTEMPLAZIONI ESTETICA PREMIO MALATESTA NOVELLO EDIZ.2009 ARTE IRREGOLARE MOSTRA A CASTEL SISMONDO, RIMINI PIAZZA DEL POPOLO, CESENA EMILIO TADINI NUOVO SPAZIO ESPOSITIVO DI ALBERTO COSENTINO

MOSTRA SULLA SHOAH

E stata inaugurata il giorno 17 la mostra di pittura sul dramma dell Olocausto, presso la Sala Rubicone ex magazzini del sale - del Comune di Cervia . L esposizione stata voluta dall amministrazione comunale e dall Associazione Culturale Il Menocchio , per commemorare con il Giorno della Memoria, 27 gennaio, il ricordo di quell immane tragedia che sconvolse l Europa, tragedia nota come l Olocausto. Non mi dilungher sull aspetto storico che lascio a chi ha maggiori e pi toccanti argomenti di me; mi soffermer, invece, sull aspetto tematico dal punto di vista pittorico-compositivo che questa esposizione offre al visitatore. L artista, Antonio Dal Muto, si posto davanti alla tragedia storica con intenzione puramente culturale, sapendo gi prima di iniziare che non avrebbe raggiunto alcun obiettivo egoico, ponendosi davanti alla domanda: Come si pu rendere pittoricamente la morte, il senso di abbandono e di totale scoramento da parte di un umanit che ha intuito come nulla e nessuno potr trarl a fuori dall inferno dei lager? . La risposta scivolata dietro lo scorrere del pennello, ascoltando il grido di disperazione che le immagini fotografiche dell epoca ancora riescono a infondere. Ne uscito un omaggio, un ricordo e una riflessione dedicata a tutta l umanit coinvolta in questo dramma. Ed l umanit che emerge dalle immagini di Dal Muto, immagini spente, grigie, volti senza il bagliore della spe ranza: espressioni di morte tra le pieghe di volti censurati nelle loro dignit perduta e gli sguardi dei protagonisti. Il cammino di lettura inizia con un quadro che mostra individui messi in fila come pecore, spinte dentro il recinto spinato di un lager, per poi proseguire con l opera L ultimo sguardo , lo sguardo di chi, per l ultima volta, vede i suoi cari, la sua casa, la sua citt allontanarsi per sempre dalla sua storia personale. E uno sguardo, sgomento, attonito, perso nel vuoto di chi intuisce un risvolto violento, ma non ne ha ancora la piena consapevolezza. Lo sguardo si posa, poi, e si ferma davanti alle icone del dramma: Io c ero Non dimenticatemi La Madre dei Lager sono il titolo di tre ritratti di un umanit persa per sempre nell anonimato; volti tratti da foto d epoca. Tutta l opera un tributo a chi non ha pi volto, non ha tomba, non ha un passato poich inghiottiti per sempre dalla storia. Come gli incavi dei sepolcri ipogei cristiani che hanno conservato l orma di un defunto di cui si perso il ricordo. Maternit senza

speranza e la Piet , iconograficamente cristiana, sono altre opere dedicate a chi, varcata la soglia del lager, ha sperimentato il totale abbandono e impotenza, esprimendo con intima violenza istintiva il grido del perche? , domanda che ancor oggi risuona, ma che ancora oggi stenta a trovare una risposta condivisa, globale. Il rosso, il grigio, il nero e il bianco vergato da righe nere, sono i colori che avvolgono le composizioni umane dell iconografia del dramma. Immagini di morte. Dal Muto, nella risposta cromatica alla domanda iniziale si chiesto, inoltre, fin dove fosse possibile spingersi, senza scadere nell asprezza delle immagini, mantenendo incolume la dignit della persona, anzi: restituendo alla

persona la dignit persa nel dramma del sacrificio, di un sacrificio ancora sconosciuto nella sua essenza e motivazione spirituale per essere tributato semplicemente e soltanto alla pura violenza. La risposta venuta attraverso la ricerca di uno stile compositivo che nulla compartecipasse alla tentazione espressionista: dignit e ricordo immersi nello sforzo di un ambiente impregnato dal senso della morte, ma anche della vita a cui le opere invitano, si sforzano di invitare l osservatore a riflettere a cosa pu portare la sopraffazione dell individuo sul proprio simile. L Olocausto, un dramma, una lezione e un monito nei confronti di tutti a comprendere come dietro l arroganza ideologica e gli atteggiamenti contemporanei possano sussistere i semi di drammi futuri. La mostra supera la storia denunciando la violenza dell uomo contro l uomo per inseguire un sogno, o un incubo, ideologico. Ma vien da pensare come povera deve essere quella

societ, quel consorzio umano che ancora oggi ha bisogno di tali insegna menti e moniti. Stranamente una iniziativa artistica che ha trovato il totale disinteresse delle comunit italiane di religione ebraica. La mostra rimarr aperta ore 1600/1900 - fino al 1 febbraio. 23 GENNAIO 2009

SU LUCIANO DE LIBERATO

Il giorno 8 febbraio, presso la Galleria L Immagine , gestita dalla sig.ra Maria Grazia Melandri, stato possibile incontrare il Maestro, di fama internazionale, Luciano De Liberato e vedere una piccola antologia delle sue opere. L incontro stato introdotto da una breve lettura - celebrativa dei cento anni della nascita del movimento Futurista di alcuni versi del poeta Palazzeschi, letti dall eclettico Enzo Vanarelli, che hanno messo in evidenza il passaggio di questo ottocentesco poeta dalla lunga fase romantica della sua poesia, fatta del culto delle piccole cose, ad una fase modernista della stessa, contaminata dai concetti futuristi e che ha fatto letteralmente impazzire Palazzeschi il quale abol il romantico incedere della sua dialettica poetica per esprimersi e in stringati e asciutti slogan quanto in suoni onomatopeici, evidenziando quella stessa dinamica espressiva rintracciabile, poi, nella pittura da Boccioni, Balla e Depero. Ma nulla a che vedere con De Liberato a meno di una lettura storico-evolutiva del segno nell arte. E L infinito viaggio del segno il tema conduttore della mostra. Evidenti sono le ricerche che il maestro chietino ha affrontato sin dai suoi esordi. Nonostante la sua preparazione accademica, intesa nel suo pi nobile aspetto, De Liberato rimasto da subito affascinato dal segno e dalle sue potenziali espressivit. Sin dall opera Sudario del 1975, passando per Nero del 1979 si comprende come la tematica affrontata poco aveva a che fare con la pittura cos come la intendiamo, ma piuttosto si rifaceva, e per certi versi persiste su questo concetto, alla scrittura grafica e alla composizione secondo concetti di designer. Licata ne un esempio, come l illustre concittadino Giorgio Villa, che avendo da subito, d alla

fine degli anni 60 del novecento, affrontato l espressione creativa come prodotto di una elaborazione grafica risultante dalla progettazione e dagli equilibri tra vuoti e pieni, secondo i dettami costruttivi del designer, raggiunse risultati sovrapponibili a quelli dell attuale De Liberato. E questo risulta inevitabile. Quando si intraprende la strada della scomposizione spaziale espressa attraverso geometrie, i risultati possono essere raffrontabili e rapportabili tra diversi artisti connotati dagli stessi linguaggi, anche se i contenuti sono e saranno diversi. De Liberato attraversa quindi diversi approcci di ricerca, sviluppando quel segno che diventer il suo linguaggio personale, un marchio di identificazione, sin dagli anni 80: il colore modulato su onde parallele, strisce armoniche che si affiancano o si intrecciano. Saranno gli anni 90 a testimoniare la piena maturit del segno attraverso le matasse, grovigli cromatici che molto ricordano l Action Painting di Pollock. E a proposito occorre sottolineare per onest intellettuale che se Pollock ricava, negli anni 60 del novecento, le sue matasse, distribuite su tutta la superficie, e anche oltre, affidandosi alla casualit e fermandosi nel momento del raggiunto equilibrio tra i vuoti e i pieni, De Liberato fa il percorso inverso: progetta e costruisce l apparente caos. Cosicch, la casualit risultante solo apparente; frutto, in realt, di una rigorosa progettazione. Vedi Calappio o Cio l amore del 1994. Dal 96 in poi emerge cos, in ma niera definitiva e inconfondibile il linguaggio del maestro, enfatizzato dal contrasto cromatico di colori che spesso indugiano sui fondamentali; Teatro del 99, ed esposto in galleria per la prima volta, la pietra miliare del suo linguaggio, della sua scrittura modulare fatta di scomposizioni della gamma visiva in unit fondamentali. In questo vedo, seppure in minima misura, una parentela genetica del linguaggio con lo Schifano della visione o della televisione. Concettualmente, sappiamo come questo ap parato ricevente si esprima per righe oltre che per punti. E questa lontana parentela espressiva porter De Liberato un caso o una inevitabile scelta derivata dall analisi di stessi comparti sociali? all elaborazione delle opere denominate Chips . I chip sono componenti dell elettronica e De Liberato li usa, usa il loro habitat naturale, lo schema elettrico, per ridistribuire il suo spazio mediante un racconto fatto di contrapposte armonie geometriche, vedi Circuito interrotto 3 del 2008. Un discorso a parte meritano le ricerche ultime espresse dalle opere denominate Mappe e presenti nella mostra: a parer mio, rappresentano non una evoluzione del linguaggio dell artista, quanto piuttosto una ricerca parallela che, sinceramente, non so fino a dove arriver, poich il linguaggio ultimo che conosciamo espressamente favorevole agli angoli e alle intersezioni

prevalentemente angolari. Ma un artista ha diritto di sperimentare ed ampliare il proprio linguaggio; vedremo di cosa parler il maestro nel prossimo futuro. La mostra rimarr aperta fino all 8 marzo.

27 febbraio 2009

Una risposta-riflessione dedicata a ci che ha scritto Daniele Mario Marani, Presidente della locale sezione di Italia Nostra, il giorno 3 marzo.

Non posso che condividere l analisi di Marani e per questo intervengo nel merito, anche perch su temi importanti, il pi delle volte, manca il dibattito e il silenzio che ne segue fa cadere il tema nel dimenticatoio. Considero l osservazione introdotta dall amara ironia che, a dirla tutta, contemporaneamente mette in evidenza come i barbari e i Barberini di antica memoria ancora operano allegramente, svolgendo il loro compito istituzionale che si pu solo definire storicoclasta, ossia distruttori della storia o della memoria storica se preferite. L esempio dell edificio che sostituir il vecchio ex essiccatoio in via Canonico Lugaresi mander in frantumi un angolo di grande prestigio storico locale, sottraendolo alla vista e alla memoria dei cittadini, figl i di quella storia. E la domanda che si pone Marani del perch non si debbano concepire installazioni museali mi trova concorde, poich fa emergere quanto sia approssimativo l intervento dell amministrazione in questi casi. Infatti, premettendo lo scrive nte che non fautore della totale paralisi edilizia in citt o a ridosso della stessa, non si comprende perch certi interventi non vengono e non possono essere rimodulati all interno di un progetto in grado di valorizzare il reperto archeologico, inserendolo in un percorso che far senz altro un gran bene al turismo. Invece si preferisce la pesante soluzione che ancora una volta comunica a tutti che la storia passata e i suoi reperti sono un gran fastidio e che vanno tolti di mezzo. Possibilmente di notte o il 15 agosto. Questa non crescita culturale, ma un retrocedere verso metodi distruttivi in tempo di pace; un andare controsenso rispetto agli interventi che si fanno per valorizzare la memoria storica di questa citt. Anche Sarsina, che della sua origine romana ne ha fatto un vanto con Plauto e con la festa in costume romano testimonianza fresca di questa contraddizione: in Via 4 Novembre uno scavo per costruire un edificio riport alla luce ambienti altomedievali e romani, tant che emersero un p aio di ambienti domestici con significative tracce di pavimento a mosaico bianco e nero. Cosa avrebbe potuto sperare di pi Sarsina per enfatizzare le sue origini cos tanto declamate, proprio a ridosso della piazza? La risposta sta nella recente colata di cemento delle fondamenta dell edificio in costruzione! Rimodulare il progetto avrebbe voluto

dire una costruzione sopraelevata di quel tanto da rendere visibile sotto il nuovo l antico, illuminato da faretti e reso disponibile al turista. Ma si scelta l a soluzione pi facile e quella congeniale alla stragrande maggioranza degli italiani; l autolesionismo e la barbarie culturale. Il tutto, per, sempre e immancabilmente sapientemente giustificato da motivazioni bizantinesche di cui, noi, popolo abituato da secoli all individualismo e alla sopravvivenza fatta di escamotage e di furbizie, ne siamo diventati ottimi maestri oratori. A questo punto mi chiedo e chiedo: La Sovrintendenza ai Beni culturali e alla conservazione degli stessi serve solo per fare le foto e fare i rilievi? 4 Marzo 2009

PS Per onest va sottolineato che l amministrazione sarsinate ha poi operato affinch parte dei ritrovamenti rimanessero in bella vista all interno d ell edificio di nuova costruzione, dove ora vengono organizzate mostre d Arte.

SUL FUMETTO

Tutto fa brodo. L importante raccontare, raccontare e raccontare. Poco significativo il fatto che tutto ci che si racconta non altro che frutto di una fantasia che va a braccetto con la degradazione culturale di una societ che non ha pi i mezzi per riconoscere che strada sta facendo; poco importa se i racconti sono frutto di mentalit lontane che hanno gli appigli di una simbologia ancestrale che non ci appartiene, come quella giapponese con tutte le sue anime e manga , capaci di far impazzire adolescenti eSseMmeoSi e chattosi e adulti intellettualoidi che, conoscendo poco o punto de prodotti nostrani, si riempiono la bocca di termini che fanno tendenza. Ma il peggio quando questi racconti sono

accompagnati da immagini stiamo parlando del fumetto che hanno molto di isterico e di tendenzialmente patologico, relativamente alla sfera sessuale, e che poi ritroviamo nei concorsi nazionali sottoforma di tavole ove la fantasia non sa altro che ricamare falli e vagine sgocciolanti e cimiteri talmen te pieni che sfollano dalle tombe strapiene i de quius sotto forma di zombie. Ma questa la fantasia, questa la libert di espressione che totalmente coerente con la libert odierna

di stuprare, applicare ad un barbone un incendio ludico o mettere s otto una giovane creatura perch si bevuto o ci si sballato un po troppo per semplificare il tutto con la formula dell incidente stradale e benedetta dallo Stato come tale. Siamo nella fase delle libert assolute che in una Italietta come la nostra assurgono a valori esistenziali intoccabili, strumenti politici di quella politica che del pelo che ha sullo stomaco ne fa uno scaldino. Cos nell arte, nella letteratura e nel fumetto. Sei in grado di reggere un pennello davanti ad una tela? Allora sei un grande artista e se hai i soldi sei ancora pi grande; sei in grado di scrivere? Allora sei un letterato da Campiello e se hai i soldi per pagare una casa editrice il premio tuo, ma anche se paghi per pubblicare un libello di versi sei un grande poeta; possiedi un po di dialettica fatta di atmosfere vibranti corde dell anima e di seducente sapore avanguardista beh, allora sei un critico d arte. E nel campo del fumetto? La lotta amico si fa dura Non serve essere impegnati, occorre essere provocatori e possibilmente stranieri. E gi, noi italiani avendo smesso, di massima e con qualche eccezione, di esportare cultura sin dagli anni 50 del 900, abbiamo ripreso il vezzo di autodemolirci per osannare lo straniero. Nel campo del fumetto quante sono le storie in mano ad autori italiani e quante in mano ai francesi, americani, argentini e soprattutto giapponesi? Almeno il 70 per cento straniero. Evviva lo straniero e chissenefrega dell italiano. I vari autori nostrani affermati sono per lo pi anziani che hanno avuto modo di crescere farsi rispettare quando il settore era in costruzione, ora, i nuovi, sono fugaci apparizioni e portano la dentiera: non sono in grado di masticare pesante offrendo prodotti dai contenuti solidi e sostanziosi. Sono figli del computer. I vari Tappi sono merce in via di esaurimento e gli osannati Manara sono rimasti impantanati tra eleganti chiappe veneziane. Ha ragione Brullo quando afferma che nel fumetto italiano c poca avventura. Il motivo la mancanza di cultura; in fatti senza cultura storica, senza cultura antropologica e sociale, senza cultura geografica non si pu essere dei novelli Verne, diventa impossibile inventare avventure. Non ci sono evidentemente sceneggiatori che sappiano concretizzare storie verosimili. Ma c un minuscolo settore nell ambito del fumetto che spetta al Fumetto storico, ossia quel fumetto che racconta la storia partendo dalla Storia. Chi scrive autore della Storia a fumetti di Cesena, Rimini, Ravenna e Forl. Dalle Origini all Unit d Italia cinque volumi editi da Ponte Vecchio. Ebbene, questa poderosa opera ( pi di 1500 tavole disegnate) caduta nel dimenticatoio e non ha suscitato alcuna reazione di tipo culturale quando stata pubblicizzata; La Storia

di Sarsina antica. Dalle origini all XI secolo terminata qualche mese fa, non ha trovato sponsor e gli enti della cittadina omonima hanno pianto miseria. Concludo sottolineando come le generazioni della presente e d efficientissima societ amino l effimero e non sanno pi conoscere, o meglio, riconoscere, dove abita la cultura. Sono stato rifiutato dai responsabili dell ultimo concorso per disegnatori di fumetto tenutosi a Ravenna: non hanno nemmeno accettato che potessi esporre, fuori concorso, alcune tavole di queste opere, perch non invitato . E pensare che la proposta la feci un paio di mesi prima che il concorso chiudesse. Allora: prendiamoci per i fondelli; lasciamo che altri prendano per i fondelli il prossimo; decantiamo l effimero ( almeno fosse di qualit grafica) e inebriamoci di stupidaggini ( non forse questa la societ dello sballo?) e lasciamo, in ultimo che i letterati facciano i critici d arte, di quelli che vedono ovunque capolavori. Nel frattempo ho iniziato un altro fumetto storico riguardo un altra cittadina romagnola. Riuscir a trovare sponsor? Chissenefrega! Sono uno sconosciuto ammalato della cultura, , e non posso farci niente; ma il peggio che sono fuori da quegli ambienti che vogliono personuncole ossequiose e referenti,

squallidi personaggi che per raschiare il successo si guardano bene dal dire quello che realmente pensano. 13 marzo 2009

PS La storia a fumetti della citt a cui accennavo ( Castrocaro) non stat pubblicata perch l amministrazione ha pinato miseria (4500 euro per la stampa e nessun compenso chiesto per aver disegnato 6 mesi); l Ente Terme castrocarese non si voluto impegnare e il Presidente degli albergatori mi ha risposto non mi interessa!

SU ILARIO FIORAVANTI

Immergere le mani nell umida pasta terrosa e plasmare l idea, che viene spinta fuori da lontane stanze, celate pieghe dell animo, attorno ad una struttura ferruginosa, rappresenta per il Maestro Fioravanti un momento di intensa preghiera: l esternazione di un sentimento di profonda religiosit che ha altrettante profonde radici nella Madre Terra, in quella Madre raccontata dai riti arcaici di una cultura ingoiata dal raziocinio del tornaconto. Arcaicit e senso cristiano del riscatto; morte e rinascita; materia informe e sublimazione dell idea nell immagine espressa. Questa la scultura di Ilario Fioravanti.

L ottantatreenne artista-architetto appartiene ad una razza di sparuti creativi che fine a se stante; non condivide il globalizzante senso estetico proprio della scultura che si contenta del prodotto finito come il raggiungimento massimo dello sforzo creativo; dell esaltazione della tecnica e dell autoglorificazione del concetto espresso.

Nulla di tutto questo. Ilario Fioravanti vede la sua scultura come un rosario che non finisce mai, una contemplazione del mistero espresso attraverso l umile terra, plasmata con la devozione dell orante: ogni opera una grano di rosario usato per soffermarsi, un solo istante, sul mistero, deux-ex-machina, che sovrasta, culla, nutre la totalit dell universo. E a quell umile terra, la Madre di tutte le creature, utero terragno, il Maestro tributa il massimo rispetto. Per questo, il plasmare la massa informe di creta, cuocerla, dotarla di anima attraverso l uso arcaic o del colore, rappresentano un atto devozionale per Fioravanti, un atto che lascia le sue imperfezioni di creatura umana nelle crepe, nelle asimmetrie compositive, nelle impronte delle dita, i cui spessori digitali testimoniano le emozioni, motore della tensione creativa. Un artista a se stante. Nicchia di un concepire, la terra, la natura, il paesaggio alla stessa maniera delle religioni arcaiche dei padri fondatori della terra italica, dei popoli che osservavano con timore reverenziale la presenza del divino nello stormir delle foglie di boschi antichi, nel fragore delle acque di fiumi che ancora plasmavano le proprie valli: ogni forma naturale era il dono di in dio sconosciuto ma presente nella sua furia elementare. Sono ancora le Esperie, ancelle di Artemide-Diana, a danzar nelle selve? Egeria piange ancora il suo algido dolore per la morte dell amato Anco Marzio? Non lo sappiamo pi, sappiamo solo che il senso della deit o delle deit, con Cristo, ha assunto il suo pi alto e unico valore universale. E Fioravanti ha colto, questo valore, sin dai suoi esordi di artista architetto, esprimendo al massimo il suo profondo rispetto per la natura, per quella terra che sar propria, intrinseca, alla sua devozione: le opere architettoniche di Fioravanti non hanno mai offeso le antiche sedi delle deit arcaiche; non hanno mai stravolto il profilo dei colli, ma silenziosamente si sono poste con profondo rispetto in quella culla uterina che il grembo della Madre Terra e ne hanno goduto dei suoi frutti. Come esempi o vale il Convento delle Cappuccine sulla collina antistante il cimitero cesenate. L inventiva che il Maestro ha, seppur brevemente, fatto, in occasione dell inaugurazione della sua mostra, il 28 marzo, nei confronti di una generazione di architetti imbecilli tali perch straziano la terra con opere che sono fini a se stesse e che autocelebrano il potere economico dei committenti novelle torri altomedievali che con la loro altezza sottolineavano i successi economici dei loro padroni dimostra come il profondo rispetto per la Madre terra sia, in Fioravanti, da sempre presente, innato in un anima devozionalmente attenta ad un mistero a cui si pu solo essere grati; un rispetto continuamente lacerato, straziato, dagli esempi di urbanizzazione selvaggia, perch dei selvaggi. Per questo, opere come il Compianto , seppur

testimonianza del massimo dolore, non manifestano la straziante sofferenza che colse il giovane D Annunzio alla vista del opera di Niccol dell Arca (XV secolo) a Bologna, espressa con queste parole: Intravidi nell ombra non so che agitazione impetuosa di dolore. Piuttosto che intravedere, mi sembr esser percosso da un vento di dolore, da un nembo di sciagura, da uno schianto di passione selvaggia. , ma, invece, esprimono, nonostante tutto, il silenzio di gratitudine contemplativa che nasce dal sacrificio di Dio per ri-donare all uomo il senso delle cose. Il senso della Vita e di se stessi. E di questa gratitudine-testimonianza, non pi ostacolata dalle resistenze giovanili, fatto il flusso creativo del Maestro Fioravanti, il cui incedere non rappresenta altro che quell unicuum che fa della sua opera, del suo porsi, una profonda genialit creativa. Ora c solo da augurarsi che la cittadinanza, attraverso la Municipalit, mostri compiutamente la sua riconoscenza verso il Maestro con il conferimento del premio Malatesta Novello , a cui associo anche la personalit del Prof. Romano Pieri che con i suoi studi ha dato spessore alla cultura cesenate, spesso distratta e assente, a livello internazionale. La mostra, Le stanze dell anima , curata dall associazione Il Vicolo , visitabile presso il Palazzo del Ridotto di Cesena.

30 marzo 2009

SU DOMENICO GRENCI

Recentemente inaugurata presso la Galleria L Immagine di Cesena la mostra del giovane pittore Grenci, calabrese di nascita ma proiettato verso destinazioni che superano i confini nazionali. Le immagini esposte hanno come oggetto la testa femminile, in cui il concetto di ritratto viene superato, ponendo l attenzione alle posture piuttosto che alle somiglianze con eventuali soggetti reali. Volti di profilo, di trequarti, teste che mostrano la nuca, insomma un ribaltamento concettuale all approccio con un soggetto che diventa analisi di studio pi che testimonianza storica dello stesso all interno di un ambiente contestualizzato storicamente. Il ritratto, il volto, da sempre, stata ispirazione di generazioni di artisti che oltre agli sguardi finestre sull anima , come ebbe a dire Leonardo, tramandavano messaggi in chiave di lettura storica: un ritratto era anche una testimonianza storica del costume. Questo concetto morto per sempre, su scala generale, anche se alcuni esempi di minore impatto sulla storia dell arte continuano a produrre esempi degni della tradizione italiana del ritratto. Questa fedelt riproduttiva, che ha iniziato a perdere colpi con il Picasso cubista, con Modigliani fino a Liechtestein, in cui il ritratto fu, in ultima analisi, solo una distribuzione volumetrica su uno spazio in cui si giocavano elementi concettuali collegati a linguaggi dissacratori ma, al contempo, avanguardisti, ha fatto perdere i connotati storici dell ambiente collegato ai soggetti, facendo acquistare alle opere ben altre dimensioni. L introduzione di nuovi linguaggi espressi attraverso un modo nuovo di usare i colori e il pennello ha fatto perdere, nell osservatore, la possibilit di entrare nella psicologia dei soggetti ritratti e carpirne le loro anime. E , in pratica, terminato il tempo in cui il ritratto, nell arte contemporanea, veniva concepito come una carta d identit di un soggetto all interno di un ego : ora, gli stessi sono amorfi e anonimi, sono contenitori vuoti che fanno cornice a volti senz anima o, se l hanno, perduta in luoghi irraggiungibili perch ignoti. E il caso di Grenci, che testimonia con la sua pittura pi che il senso estetico - in quanto la sua figurazione normale da punto di vista rappresentativo - testimonia il vuoto di un umanit che ha perso i suoi punti di riferimento. E il malessere che avvolge la societ che viene metabolizzato dall artista-alchimista e riversato sulla tela, la quale si macchia ma non si colora. Il colore in Grenci l assenza di colore. La sua monocromia, stemperata da scolature sono la parte viva della personalit anonima dei soggetti: modelle attonite e fatte di barbiturici, di quella marijuana

contemporanea che priva lo sguardo della voglia di vivere. Ecco, il ritratto-postura di Grenci non pi la testimonianza del soggetto dentro il suo mondo, ma la testimonianza del mondo-societ in cui l evento artistico avvenuto. Nell arte contemporanea, quindi, non avremo pi il ritratto roma ntico di tenebrosi soggetti alla Delacroix; non potremo pi parlare del ritratto psicologico di un Goya o di un Gericault, ma nemmeno le strazianti figuri di un Bacon che vomitano la loro anima, anche se deformata dalla drammaticit, pur sempre anima riman e. Per non parlare di Antonello da Messina che con i suoi ritratti aveva anticipato di quattrocento anni l introduzione della fotografia, quella del ritratto psicologico, quella fotografia che nei primi anni dell ottocento restitu all utente quella sottigliezza indagatrice della personalit del soggetto che iniziava a mancare in certe esperienze pittoriche. Risulta chiaro, quindi, che dalla pittura contemporanea del ritratto non possibile ritrovare lo spessore della personalit dei soggetti, poich lo stesso non altro che la proiezione trasparente di uno spessore, tragico, drammatico o anche normale se vogliamo, che va ricercato al di fuori della tela. Paradossalmente si ripresenta la lezione di Fontana che taglia la tela, la lacera per cercare l arte al di fuori della stessa: il taglio la porta di ingresso che apre all occhio indagatore il mondo esteriore in cui, poi, si incontrer il Ferrarotti della situazione che spiegher come l anima mundi non pi sulla tela dell artista ma oltre di essa, nei contenuti deleteri o meno dei mass media! La scelta di Grenci e qui ribadisco il concetto che la scelta di un materiale per una artista non mai solo razionale di usare il catrame per rappresentare i suoi soggetti la dice lunga sulla visione del mondo. I ritratti di Grenci sono ritratti del pessimismo che pervade la contemporaneit, in cui l unico ardire la truffa ai

danni della collettivit, ridimensionata poi dai drammi cosmici: una chiave di lettura del mondo. D altronde al catrame, al bitume non associata la strada su cui pisciano i cani? Su cui ci vomitano i frequentatori della notte? Su cui avvengono le stragi del sabato sera? La lista potrebbe essere lunga. Il catrame quindi come simbolo di una umanit che attonita guarda punti persi n el vuoto in cerca di una personalit. I ritratti di Grenci sono associabili ai drammi di Ibsen, di personaggi in cerca di quegli autori che possano riempire i loro sguardi di un anima recitativa ma purch sia anima, ma anche di personaggi pirandelliani che stesi sul loro divano sognano ad occhi chiusi il treno che va. Il problema che la loro anima persa fuori dalla tela, nel mondo che divora. La mostra rimane aperta fino al 10 maggio.

8 Aprile 2009

SU ARCHITETTURA CESENATE

La recente pubblicazione del libro di Davide Fabbri Cesena: il potere del cemento stato l input per una serie di riflessioni, accelerate dai lavori in corso che stanno interessando la citt di Cesena e quelli futuri presentati pi volte all opinione pubblica e, recentemente, ribaditi attraverso il periodico dell Amministrazione di Cesena Cesena Informa . Senza contare che, essendo in clima elettorale, le varie ricette presentate dai candidati sindaci, inducono ulteriormente a chiedersi: Dove andr la Cesena del terzo millennio? , ma soprattutto: Con che faccia? Analizzando gli interventi in corso (Piazza Amendola; Via Cesare Battisti) e quelli per il prossimo futuro, (Quartiere Malatesta Novello) salta agli occhi un dato incontroversibile: Cesena ha rotto con la sua tradizione ma non sa ancora dove andare! Tradizione, cosa la tradizione, in termini architettonici, quindi funzionali e quindi estetici? Una definizione o risposta, mi vien da dire, che la tradizione per una citt come Cesena sta nel volgere lo sguardo alle estetiche del passato, riproponendo, in termini attuali, elementi estetici che prolunghino le funzionalit da sempre presenti, a partire dal centro storico, per adeguarle, senza traumi, alle funzionalit attuali. Senza rotture evidenti con il passato come invece sta avvenendo. La pavimentazione del Centro Storico, motore funzionale, rompe con il passato in maniera bullesca, imponendo alle scenografie antiche soluzioni estetico-funzionali adattabili a centri che di storico hanno ben poco. Come Milano. Non conta pensare tanto ci si abitua , poich, in quest ottica, sarebbe inutile qualsiasi confronto e renderebbe inutile e dispendioso lo sforzo creativo. Il vantaggio di essere filologicamente coerenti con le realt storiche risiede nell identit del luogo che si trasmette inevitabilmente ai residenti. Il rischio di sentirsi milanesi a Cesena sta diventando sempre pi forte: si sta compiendo una operazione culturale di dismissione delle peculiarit storiche locali ( Cesena Citt Malatestiana? Perch?) per sposare espressioni architettoniche estranee alla mentalit di una comunit che ama spesso rispolverare, inorgogliendosi, le proprie tradizioni e sbandierarle, giustamente, come un elemento di vanto. Ma forse qualcuno si accorto che questa epoca sta lentamente sacrificandosi alla

globalizzazione espressiva e all esplosione del cemento che sta distruggendo tra l altro in una maniera da acuire le problematiche di traffico e di inquinamento esistenti senza accennare ad uno sforzo innovativo e concettuale da far supporre una inversione di tendenza alla usuale tendenza all espansionismo urbanistico. Il rapporto tra la Cesena-centro storico e la periferia-campagna perduto per sempre, poich sembra che la campagna sia stata dismessa dalla politica locale, favorendo l introduzione squilibrata tra offerta e domanda reale - di poli industriali nella prima periferia. Ma il vizio di guardare troppo lontano tipico vezzo italico: si sputa sulla minestra che mangiamo o se vogliamo l erba del vicino sempre pi verde . E cos che una citt come Reggio Emilia la conosco dagli anni 50 ha da tempo perso la propria emilianeit oltre che per un senso politico dell ospitalit nei confronti degli extracomunitari assai dubbio, in ag giunta al fatto che un intero paese calabrese (Cutro) ci si trasferito, ormai connotata da una periferia caotica dal punto di vista estetico; poco funzionale per il fatto di essere stata concepita, in gran parte come dormitorio. Il centro ha perso, altrettanto, la

sua funzione di socializzazione perch in mano ad etnie non integrate culturalmente. Ma al peggio non c mai fine: ultimamente, vezzo politico, le piazze reggiane saranno allietate da poltroncine disegnate da un certo Tokujin Yosnova al quale viene permesso di aggiungere ad un emiliano stanco il lessico della globalizzazione: Calatrava il classico esempio di quella smania italiana vogliosa di monumentalit esterofila fine a se stessa. Reggio come esempio, ovviamente, da non imitare. La monumentalit, nella realt italiana cosa del passato; la stessa Roma ha vicoli che sembrano appartenere a paesotti. E poi,

basta con i progetti edulcorati artificialmente dalla computer grafica come quelli sulla rivista dell amministrazione comunale. Nell i mmagine computerizzata del quartiere Malatesta Novello non si vedono le ciminiere in acciaio inox che servono ad aspirare il monossido di carbonio dal tunnel della secante. Hanno un forte impatto ambientale tanto da, secondo il mio inutile parere, svilire il quartiere intero. In sostanza, ancora non sono riuscito a vedere a Cesena quelle sensibilit architettoniche, rispettose del passato e dell ambiente come invece sono presenti, un altro esempio, nelle opere realizzate da Jan Kleihues ( Mostra di architettura nella chiesa sconsacrata dello Spirito Santo a Cesena) che si inserisce all interno di una struttura seicentesca ( il castello sulla piazza di Shlossplatz a Berlino) con una moderna eleganza che non mortifica la priorit l estetica dell antica faccia ta e della corte interna. Ma questa roba dell altro mondo.

24 Aprile 2009

SUL GIOVAN BATTISTA SALVI, IL SASSOFERRATO E STEFANIA RUSSO


Evviva l Arte! Diamo a Cesare quel che di Cesare, anzi: diamo a Dio quel che di Dio, poich l Arte quella con la A maiuscola - non che esternazione di uno stato spirituale, animico e non solo di tecnica mentalizzata, memorizzata, nelle botteghe d arte. Sabato 16 scorso, Cesena stata al centro di inaugurazioni pittoriche di grande rilievo: la mostra in onore di Giovan Battista Salvi, detto il Sassoferrato (1609-1685) pensata dal professor Massimo Pulini con il sostegno dell amministrazione comunale (se ci sono stati sponsor non saprei dirlo perch non c erano cataloghi disponibili per la stampa e critici d arte, ma solo per la vendita) e altre mostre tra le quali intendo soffermarmi, per i risvolti interessati che possono scaturire dal raffronto sul concerto di arte, solo a quella di grande qualit della pittrice bolognese Stefania Russo ( Sala Silvio Severini ENDAS C.so Mazzini). Dicevo evviva l Arte non a caso, poich ancora una volta affidato al passato della storia della Pittura il compito di far conoscere cosa l Arte: le armonie compositive, le capacit esecutive legate alla capacit di disegnare prima che di dipingere, le impostazioni volumetriche e gli equilibri cromatici sono gli ingredienti che nella nostra contemporaneit sono diventati perfetti sconosciuti. Per la stragrande maggioranza degli artisti. Per meglio comprenderci: alzi la mano chi non d accordo con me che se vogliamo ascoltare della buona musica, godibile anche per la sua fresca poesia, dobbiamo tornare agli anni 60 e 70. Burt Bacharach e Dionne Warwick, Paul Mac cartney, Lucio Battisti, De andr, Gaber il passato come custode della qualit. E grazie a queste mostre viene reso possibile, attraverso l osservazione da parte dei frequentatori, affinare ed educare l occhio alla pittura d lite di un opera. Non importa se proviene da ambiti storici e sociali

lontanissimi, poich l Arte ha il suo biglietto da visita per farsi conoscere: l armonia compositiva soprattutto. L opera del Salvi stata paragonata, raffrontata e commisurata sulle lunghezze dei grandi che lo hanno preceduto e dei suoi contemporanei; si parlato, a proposito di influenze, di Raffaello (1483 -1520), del suo contemporaneo Domenichino (1581- 1641), di Annibale Carracci (15601609) dei bolognesi Francesco Albani (1578-1660) e Guido Reni ( 1575 1642) per arrivare addirittura al fiammingo Duerer (1471-1528), ma la lista potrebbe allungarsi per svelare solo una cosa: il Salvi stato il fedele esecutore della tradizione pittorica italiana nella pittura del suo tempo. Di Raffaello ha conservato l eleganza posturale ma con un registro di luci che nulla avevano pi a che fare con il concetto del bello rinascimentale, idealizzato e messo, trionfalmente, al servizio della Chiesa; Il Salvi, cosa che non stata detta: ha incarnato della sua contemporaneit il modo di porsi davanti al divino, aggiungendo al registro raffaellesco parte della pregnanza caravaggiesca sull uso della luce. Siamo d accordo con chi afferma che in Salvi non c dramma, non c il dolore intuito del futuro sacrificio del Cristo, esiste per lo spessore della presenza della divinit, non pi idealizzata e allontanata dalla realt - che in Caravaggio diventa prepotentemente carnosa e umana essa, con Salvi, diventa una compagna di vita o, se vogliamo, del viaggio terreno dell uomo. Forse sta proprio in questo aspetto il fatto che il papa cesenate Chiaramonti volle riprodurre una Madonna con Bambino, per farne un incisione, dando via a quella produzione di santini che ebbero nel Sassoferrato il punto di riferimento iconografico ideale. Arte del passato e Arte contemporanea, un raffronto che non potrebbe reggere se non si abbandona il concetto che diversi e lontani tra loro sono i canoni espressivi e i linguaggi pittorici, ma la qualit se c resta fedele a se stessa, poich si presenta sempre con il solito biglietto da visita: le armonie compositive. Stefania Russo, un passato di grafico pubblicitario e quindi di abile disegnatrice (finalmente!) si fa conoscere a Cesena con una retrospettiva che in grado di mostrare quale cammino ha percorso l artista per arrivare al suo lirismo attuale, fatto di figurazione mista a grafite e velature delicate di colori. Nonostante la sua giovane et ( e qui trovo la conferma che l uso della parola esordie nte , come vo da sempre affermando, sia una grossa imbecillit voluta per salvaguardare le banalit dei presunti artisti affermati) la Russo ha gi raggiunto quel virtuosismo espressivo che raro a vedersi: colori che emergono da anonimi quanto nobili monocromatismi; velature e trasparenze compositive che non stonano se messe accanto ad un Morandi; sperimentazioni poetiche di qualche hanno addietro ma

che hanno lasciato il posto ad una ricerca di linguaggio che sta rendendo interessanti le solite cose . Non un realismo o verismo alla fratelli forlivesi Vaccari che appare stantio e sorpassato, bens il trasportare su un piano parallelo alla realt situazioni normali che vengono raccontate con la delicatezza di chi sente forte il richiamo della ricerca. Giovan Battista Salvi e Stefania Russo, un raffronto da quale emerge chiaramente cosa l Arte. 16 Maggio 2009

SU ALDO BORGONZONI
Percorrendo la strada che costeggia dappresso il mare, in direzione di Riccione, si assaliti dalle immagini dei costrutti del legittimo relax e del divertimentificio che ha caratterizzato da sempre la riviera romagnola, accanto ai quali, pi brucianti, appaiono i segni del decadimento o trasformazione culturale ( in meglio o in peggio?) mediato da antiche strutture balneari, esempi di architettura di altri tempi, come la poderosa quanto elegante Colonia Bologna a Miramare, ancora dignitosamente in piedi nonostante gli insulti della natura, ma, soprattutto, delle amministrazioni comunali che si sono succedute da sessanta anni a questa parte, e che fa il paio con l eleganza stilistica, asciutta e lineare, della Colonia Reggio Emilia a Riccione esempio unico di architettura del ventennio: in malora per i pregiudizi o per ignoranza? Segni del tempo quelli che ci aiutano a riconoscere il cammino percorso e che hanno punti di contatto concettuale con l esposizione dedicata ad Aldo Borgonzoni (1913 2004), presso Villa Franceschi in Viale Gorizia a Riccione. E sono i segni del tempo , addendi di una lunga conta, che scandiscono il susseguirsi delle ere sociali, dei cambiamenti di costume che danno corpo alla concretezza del tempo che scorre, alla nostra storia personale e collettiva: distruggere o lasciar distruggere ( come le suddette colonie marine) significa spezzare l identit, la propria e quella del popolo a cui apparteniamo, per fluttuare in un ambiente reso irriconoscibile dall usa e getta , dalla fragilit dei prodotti di un consumismo che istituzionalmente possono conoscere solo frazioni di storia. E l assassinio della nostra identit! Aldo Borgonzoni - se si possiede la giusta propensione alla cultura, la sensibilit e

l amore per l arte e la storia di questo paese - quel testimone che ha preservato, attraverso la sua opera e creativit, le tracce e le testimonianze dello scorrere del tempo, tracce, sapientemente disposte dal curatore della mostra, prof Aldo Spadoni; dalla sentita e profondamente custodita memoria dell artista, espressa, con precisa quanto eleganza espositiva, dal prof Ezio Orlandi, presidente dei Beni Culturali dell E. Romagna; e dall attenzione messa nella scelta delle opere da parte del suo funzionario, il critico d arte Orlando Piraccini; presente anche la vedova Bergonzoni, sig.ra Alfonsina e il figlio dell artista, Giovanbattista, curatore della omonima fondazione che, con amore filiale, rappresenta il primo custode di una preziosa memoria, quella di un Maestro dell Arte italiana. Ho detto: Borgonzoni Maestro dell Arte italiana, aggiungo, nell Arte italiana, poich Borgonzoni ha pienamente interagito con le sue contemporaneit, operando in un momento storico della Pittura - a parer mio durato fino alla prima met degli anni 70 del novecento contribuendo alla costruzione della Storia della Pittura Italiana, accompagnandola fino alle tappe ultime della sua evoluzione storica. Gli anni 30 del secolo scorso, che hanno visto il suo esordio: le opere, come Ferrovia del 34, Case abbandonate del 36 mostrano i segni di una impostazione iconografica che a fatica cerca la via dell intuizione modernista: l et d oro del paesaggio romantico italiano appare lontana, e l apparente staticit delle campiture sembrano attendere una felice intuizione che arriva in Viale Irnerio del 35: il cielo fosforescente, giallognolo, la chiave di lettura di tutta l opera Borgonzoniana: dietro l apparente zigzagare della sua ricerca espressiva si celano importanti momenti intuitivi che segneranno il passo alle generazioni future. Si ripetuto che l artista appare essere un poliglotta della semantica pittorica con il suo inseguire le lezioni degli antichi maestri quali Guidi, Mafai, Picasso ecc. questo non vero, poich Aldo, da libero ricercatore ha dato alle sue emozioni, farcite di inediti quanto intimi fonemi di un proprio scandagliare, gli strumenti pi adatti al suo sentire; linguaggi presi in prestito solamente; ha inseguito, e molte opere ne sono testimonianza, le sue intuizioni espressive e cromatiche che appartengono solo alla propria sfera interpretativa. Un concreto esempio, a parer mio, nel Autoritratto del 40, dove possibile scorgere, vero, risonanze espressionistiche, ma l aggiunta della materia pittorica ad ispessire certe parti dell immagine cosa se non una intuizione della pittura che verr, l opera di Burri o quella informale? In apparente contraddizione con il proprio linguaggio lo stesso Sughi: nella La stanza di un uomo del 68 appare in total e dissonanza con Il cipresso abbattuto del 70. Il giudizio pu essere dato solo in prospettiva. Ed in

prospettiva possiamo concludere che Borgonzoni stato testimone di tempi e culture diverse: il periodo anteguerra, il dopoguerra, i grigi anni 50 e i favolosi anni 60, dove la sua ricerca sembra chiudersi in se stessa, come interno del 62 per poi esplodere nei rossi di Pazzia del 63 per ritornare negli anni 80 in Bosco virgiliano alla esplosione metafisica e intimistica. Borgonzoni, testimon e quindi dei sui tempi e costruttore della ricerca sull uomo e sui significati esistenziali e sociali che lo hanno avviluppato sotto e davanti il suo scrutare. Un plauso alla neoeletta giunta comunale riccionese che ha voluto accanto all esordio estivo della citt un segno di quella cultura che accomuna, nello scorrere del tempo, nei suoi segni e nelle sue tracce, le architetture delle colonie rinnegate e le opere del Maestro Borgonzoni. 29 Giugno 2009

SU NIVES GUAZZARINI

In quel di Sarsina, Centro Culturale di Via Roma - dove belzeb, cacciato quotidianamente dalla basilica, rientrato dalla finestra con un omaggio artistico dedicato ad uno dei tanti strumenti luciferini molto in voga nella nostra quotidianit per ingannare i sempliciotti, ossia la nota mostra sui Tarocchi in corso una esposizione di lavori scultorei ad opera dell artista cesenate Nives Guazzarini. La Mostra avviene in contemporanea con un altra, a Rimini, in piazza Cavour, Sala degli Archi. L approccio analitico alle opere scultoree in ceramica della mostra di Sarsina, dal tema Terre appese , parte dalla considerazione come questa artista, a cui non manca il completo sostegno tecnico della conoscenza della materia forgiata, avendo studiato ceramica a Faenza, abbia sviluppato concetti espressivi fortemente personali tali da rendere riconoscibili le opere della stessa artista anche in ambienti decontestualizzati. Non un caso che da tempo vado affermando come la scultura ( e la ceramica tale va consi derata ormai ) abbia ancora vaste dimensioni espressive da scoprire e che una ricercatrice come la Guazzarini sembra essersi incamminata lungo uno di questi percorsi non ancora esplorati da altri scultori. Chi segue le mie riflessioni sapr come considero , invece, la pittura contemporanea. Elementi originali e appartenenti alla sfera personale dell artista, vanno inquadrati all interno di una dimensione concettuale, tappa fortemente connotata, quest ultima, frutto di un lungo cammino di ricerca in cui la figurazione non fine a se stessa, plasmata solo per fini estetici come di solito siamo abituati a vedere, tanto per citare un esempio, nello scultore cesenate Leonardo Lucchi, ma funge da supporto a obiettivi concettuali in cui l essere antropomorfo esprime la sua essenza esistenziale. Donna oggetto, da appendere appena usata, ma compiacente di questo uso? Uomini in mostra tanto da finire in una cornice che li isola dal mondo esterno, poich vale la forma e non il contenuto? Lo spirito escluso? Parlando con l artista ribadii il concetto che uno scultore dovrebbe essere a conoscenza della produzione altrui per evitare la sovrapponibilit della propria produzione con quella di altre mano: appare, cos, in questa prospettiva, essenziale la ricerca, il continuo rimettersi in discussione e la Guazzarini, con le sue tematiche ha pienamente compreso, senza l aiuto della mia citata considerazione, da tempo, come l arte, intesa solo dal punto di vista estetico appare tramontata; sono i contenuti fortemente indirizzati che possono rendere interessante una produzione artistica. Ivo Sassi, ceramista del monumentale e che

ha in corso una esposizione a Cesena e a Cesenatico, pur mantenendo una sua connotazione appare in molte opere piccole sfere e totem sovrapponibile alla lezione di Pomodoro in quella espressivit che io identifico come scultura analitica dove il carezzevole liscio di superfici esterne sono messe in forte contraddizioni con le rugosit del loro interno. La sovrapponibilit diventa quindi il metro di misura della ricerca in ogni artista e la Guazzarini, e lo dico con onest intellettuale, sembra non essere sovrapponibile a nessun scultore che conosco per la presenza, appunto, di elementi fortemente personali, presenza costante nelle sue sculture e inequivocabile frutto di una continua e tenace ricerca. La preziosit e la valenza artistica delle sue opere sono proprio in questa personalizzazione delle forme accompagnate da un profondo senso dei significati veicolati dalle opere stesse. Un invito quindi a chi legge di andare a vedere queste mostre, tenendo presente che in quella di Sarsina esistono manufatti che danno all esposizione una traccia di leggibilit legata ad un percorso artistico ben preciso: dalla fase informale all ultima produzione della figurazione concettuale. 27 Luglio 2009

SU CONTEMPLAZIONI

Visitare la mostra Contemplazioni , divisa tra Castel Sismondo e il Palazzo del Podest, a Rimini, significa porsi, ancora una volta e con maggiore convinzione, la domanda. Cosa , allora, l Arte? . E quanto mai urgente, una volta per tutte, stabilire se, per comprendere e giudicare, occorra riappropriarci dei parametri di riferimento storici ( i maestri dell Arte del passato) o stabilire che, non occorrendo percorrere la prima strada, l Arte libera manifestazione creativa a prescindere. Questa ultima supposizione, ma che frequentemente sembra essere diventata l unico riferimento, ha dei vantaggi e anche pericoli di disgregazione culturale. L Arte non forse cultura? Vero che l Arte, volente o nolente, rimane pur sempre testimonianza dei tempi che sono contemporanei all artista, il quale, inevitabilmente, risente delle variazioni umorali del suo tempo. Agazzani, critico d Arte e curatore della mostra, ha fatto un buon lavoro ma ha anche, mi sembrato, dare l impressione, nell assemblare la mostra, di aver seguito la seconda strada suaccennata, vale a dire che arte anche approssimazione artistica. Nel senso che assieme ad opere interessanti e stilisticamente perfette convivono banalit espressive. E questo non va bene se si vuole risollevare le sorti di quella pittura come mi parso intendere fossero le intenzioni del curatore che sta soffrendo i malumori, le ignoranze, gli estremismi e i vuoti esistenziali del tempo che viviamo. Molta enfatizzazione si data alla presenza della pittura iperrealista, corrente nata negli anni sessanta in America e che, come al solito, sbarcata almeno una decina di anni dopo in Italia. Anche se l iperrealismo americano non nasce dal nulla, alla sua base c l esperienza rinascimentale dei

pittori italiani come Antonello da Messina ( ritratto di uomo) e Piero della Francesca ( la riproduzione perfetta dell armatura indossata dal Duca Federico da Urbino nella pala di Brera) tanto per citare due esempi . Le opere di Papetti, Monatanari, e compagni iperrealisti ecc. sono stilisticamente perfette che non ci si pu esimere dal sottolineare la capacit tecnica di riproduzione fotografica de soggetti espressi, ma sono al contempo anonimi, nel senso che la mano di qualsiasi iperrealista potrebbe aver fatto le opere degli autori citati. E questo vero anche a distanza di anni e con condizioni ambientali totalmente differenti. In buona sostanza: l opera iperealista esclude l artista; non rende riconoscibile l artista, perch priva della personale impronta emotiva dell esecutore: quanto ricche, sono le opere, di accorgimenti tecnici tanto prive dell animo dell artista sono. Ma quello dello stupire parte essenziale dell Arte; pensiamo a chi per la prima volta si trovato ad ammirare la Cappella Sistina affrescata da Michelangelo. Ma non basta stupire. Occorre comunicare. E qui sta la chiave di lettura della mostra, dove convivono opere che comunicano emozioni accanto ad opere che non lasciano tracce nella memoria: esistono opere che ad una profonda lettura lasciano vedere svarioni significanti sull esecuzione anatomica dei personaggi: e pi si ha la pretesa di essere perfezionisti e pi questi svarioni denunciano la mancanza di una attenta osservazione e studio dell anatomia umana.

Ma una cosa ancora pi evidente in questa mostra-testimonianza dei tempi che viviamo - tempi di grandi sbandate e di miraggi d arte la sovrapposizione di linguaggi che una volta nulla avevano a che fare con la Pittura intesa nel senso tradizionale. Esistono paesaggi che, qualche anno fa, li potevamo ammirare solo nelle illustrazioni di fiabe; esistono immagini che possono benissimo far parte del fotogramma di un fumetto. Cosa voglio dire? Che allora arte anche l illustrazione di una fiaba di Anderseen; allora arte anche le illustrazioni di Brian K. Vaughan Pia Guerra, Y: l'ultimo uomo. E potrei proseguire. Quindi c qualcosa che non va in fondo alla faccenda: o qualcuno ci vuole prendere in giro facendoci vedere cose che in altri settori sono la norma, spacciandola per arte solo perch l opera non sulla carta ma sulla tela, o ci sono settori (pubblicit, fiabe, fumetto) in cui grandi opere d Arte rimangono sconosciute grazie alla pigrizia intellettuale di certi critici, spesso anche improvvisati Il giudizio lo lascio al lettore. Purch sia un sincero amante dell Arte. I gusti personali sono legittimi, ma non sono sufficienti, anzi ingannevoli, per ponderare attentamente la questione. 22 Agosto 2009

SULL ESTETICA

Nelle mie riflessioni, essenzialmente dedicate alla pittura, talvolta all architettura, soventemente mi soffermo sul concetto estetico dell opera presa in esame e, se generalmente per estetica intendiamo ci che ci piace - concetto fuorviante se si vuole fare della Critica un approccio serio - meno soventemente ci soffermiamo su ci che non piace . Per meglio dire, se una cosa ritenuta brutta non la spieghiamo con lo stesso puntiglio come facciamo per le belle cose, l analisi finisce per diventare poco credibile. Sbagliata. Eppure, se ci si sofferma sulle motivazioni dell analisi del brutto , potremmo scorgere, emergere, le lezioni, per contrapposizione, su come leggere ci che bello , cosa di cui oggi abbiamo un gran bisogno! Si tenga presente, inoltre, che i due concetti bello brutto , sono fortemente condizionati dalle contestualizzazioni storiche: nel seicento era bella una donna pallida, mentre una abbronzata era disdicevole, volgare, contadina e rozza; negli anni 60 del novecento la Giulietta Sprint dell Alfa Romeo era il non plus ultra, mentre ora fa ridere. Se questo vero, come la mettiamo con le influenze soggettive che, inevitabilmente possono ricadere sulla lettura del bello o del brutto ?. Difficile dirlo, onde per cui appare ancor pi indispensabile articolare le riflessioni attraverso termini di paragone, i quali, essendo i riferimenti presi quelli che sono per se stessi, possono divenire il metro di misura , lo strumento per agevolare l analisi in corso. Altres appare evidente che se molte cose sono ormai accettate come esteticamente valide, diventa rischioso, per chi sfida le acquisizioni definite, metterle in discussione. Uno di questi casi potrebbe essere il rivedere il concetto estetico della Chiesa di Santa Maria del Fiore , a Firenze, in rapporto alla sua cupola. Progettata e iniziata nel 1296 da Arnolfo di Cambio (autore del Palazzo Vecchio) in un bellissimo Gotico fiorentino, la costruzione fu continuata da Francesco Talenti, nel 1357, il quale, al progetto originale, apport significative modifiche quali l allargamento dell area della pianta originale nella sua sezione a trifoglio su cui poggia la cupola, quella stessa cupola che, si ipotizza, nell idea di Arnolfo di Cambio fosse quella raffigurata in un affresco presente nel Cappellone degli

spagnoli in Santa Maria Novella; l, possibile constatare come la cupola sia perfettamente equilibrata alle proporzioni del intero corpo. Ma essendo, Santa Maria del Fiore, rimasta incompiuta, senza cupola, per molti decenni, solo ne l 1420 la Signoria decise di terminare l opera mettendo a concorso il progetto di copertura definitiva. Brunelleschi, con il suo genio ingegneristico riusc, laddove i suoi contemporanei non furono capaci; costru una cupola autoportante e a doppia parete, su tamburo ottagonale preesistente, senza bisogno di impalcature. Il risultato finale fu s una

immensa e irripetibile opera di ingegneria, ma anche fu anche enorme la sproporzione volumetrica rispetto alla chiesa stessa. Possiamo pensare che la causa vada ricercata dell ampiezza del tamburo? O nel sistema messo in pratica dal Brunelleschi? Chi lo sa. Fatto che quel concetto di estetica, nell esempio test citato, e richiamato all inizio della nostra riflessione, risulta fortemente messo in discussione a causa di proporzioni non relazionabili perfettamente all architettura stessa, e non solo: non sovrapponibili ai concetti volumetrici che lo stesso Brunelleschi rappresenter nella Cappella Pazzi o nello Spedale degli Innocenti.

In poche parole, una costruzione unica al mondo ( e di cupole al mondo ce ne sono diverse) nata, a mio parere, grazie a presupp osti spaziali concepiti da menti diverse e in tempi diversi. Probabilmente, non poteva essere altrimenti: una cupola pi bassa e semisferica forse non sarebbe stato possibile costruirla per ragioni di statica, vista l ampiezza del tamburo su cui poggia l a ttuale. Ora, il punto : si pu mettere in discussione il concetto estetico della Chiesa di Santa Maria del Fiore, tormento ed estasi di tutti gli studenti della facolt di architettura di Firenze e non solo, dal punto di vista delle proporzioni? Non lo so. Io non ho nulla da perdere e quindi rimango del mio punto di vista. Certo che magari molti lo hanno pensato ma non hanno avuto il coraggio di esprimere il proprio parere. Credo che questo accada un po dappertutto nelle arti in genere: se il celebre critico benedice un opera come Arte Pura nessuno, poi, avr il coraggio di dire il contrario. Chiss se questo qualcuno, leggendo queste righe, possa concordare, aprendo una discussione mai fatta in merito. Estetica, quindi, senso delle proporzioni. 31 Agosto 2009

SUL PREMIO MALATESTA NOVELLO EDIZIONE 2009

La notizia che d per certa la formazione della giuria alla quale deputato il compito di trovare i tre nomi di personaggi della cultura e non , a cui conferire il riconoscimento del Malatesta Novello, recente. Sicuramente i membri della giuria stanno gi al lavoro, anche se mi sovvengono le parole dell ex sindaco Giordano Conti espresse diversi mesi fa, che quest anno ( riferendosi al 2009) uscir una terna di nomi che sar una sorpresa. Dico questo, perch non voglio pensare che la scelta sia stata fatta mesi fa, quindi, molto prima che il senso della formazione della giuria ,annunziata a mezzo stampa, fosse stato, per cos dire di gi esautorato. Comunque sia, senza la pretesa di influenzare o di condizionare la scelta dei nomi - potere del quale sono totalmente sprovvisto - mi permetto di invitare i tre illustri giurati a riflettere sull opportunit di dare, finalmente, il riconoscimento al maestro Ilario Fioravanti. Egli non ha nulla da dimostrare alla cittadinanza riguardo alla sua valenza creativa - credo sia stata esaustiva la mostra dedicatagli nel gennaio del 2008 a Palazzo Romagnoli e al Palazzo del Ridotto - ma certamente ha contribuito a dar lustro alla citt di Cesena, poich egli conosciuto su vasta scala. Antonio Paolucci, responsabile del sistema museale del Vaticano ebbe modo di esprimere, dall alto della sua conoscenza del mondo dell arte antico e contemporaneo parole di grande elogio sull arte di Fioravanti ; basta solo accennare al fatto che il maestro sia il decano degli architetti della provincia di Cesena -Forl; vale forse rammentare, e pochi ne sono a conoscenza, che Fioravanti l unico scultore vivente che non pu disporre liberamente del suo studio, poich vincolato dal ministero dei Beni Culturali! Forse altres utile rammentare che da qualche anno a questa parte il maestro, aiutato dalla gentile moglie, Signora Adele e da altri collaboratori, impegnato nella catalogazione della sua produzione, fatta oltre che di sculture anche di disegni, bozzetti, catalogazione voluta, imposta forse meglio dire, dal sempre competente ministero. Non il caso di dilungarsi, poich come ho detto precedentemente, il maestro Ilario Fioravanti non deve pi dimostrare nulla della sua particolare capacit espressiva. Ora, sta agli uomini della giuria, sicuramente di rispettabile valenza culturale fare la giusta scelta. 4 Settembre 2009

SULL ARTE IRREGOLARE

Fino al 27 settembre, presso la Galleria Ex Pescheria di Cesena possibile visitare la mostra di pittura organizzata dall Associazione Il Disegno . Questa associazione impegnata nel coinvolgere persone, differentemente abili dal punto di vista mentale, in attivit artistiche con scopi soprattutto terapeutici oltre che sociali. E in mostra, in aggiunta, anche lavori dei cosiddetti abili mentali (AM) . La mostra tratta di figurazioni, le pi varie, realizzate secondo il tema Il volto della madre lo sguardo di Maria . Un tema a sfondo religioso quindi. Non mi soffermer, come al solito, riflettendo sulle opere dal punto di vista di una analisi critica, ma, questa volta, desidero sottolineare il tipo di linguaggio che i non abili (NA) o diversamente abili (DA) hanno usato per interpretare il tema. Si tratta sostanzialmente del linguaggio espressionista, molto vicino, per molti aspetti, agli espressionisti tedeschi (Vasily Kandinsky, Oskar Kokoschka, Franz Marc, Edvard Munch, Emil Nolde, Egon Schiele ) e all arte di Basquiet, il graffitaro americano. Questa somiglianza di linguaggio, tra l espressionismo citato e il linguaggio espresso da questi artisti atipici, presenti in mostra, nota come Arte irregolare tra i molti studiosi del settore, presenta spunti di riflessione che non andrebbero tralasciati. Senza voler affrontare una disquisizione inerente la salute mentale e l arte in genere, desta curiosit come l arte degli NA sia prevalentemente basata, appunto, sul linguaggio espressionista, che conosciamo essere il linguaggio della denuncia sociale, del malessere emotivo ( Munch), della fantasia angosciosa e angosciante (Chagal) e dell astrazione-rifugio (Ligabue)ecc. un linguaggio non mediato n dalla razionalit compositiva n dalla pretesa concettuale. Diremmo che l espressionismo il linguaggio dell emozione non mediata dalla ragione: dipingo direttamente quello che mi salt a in mente! Se cos allora, dovremmo dire, con concetti generalizzanti, che l arte nei NA fluisce attraverso canali che al pari degli AM bypassa la razionalit. Se cos fosse, questo porterebbe al concetto che l espressionismo una manifestazione artistica supernaturale: mette in collegamento l IO di chi esegue l opera con il mondo esterno in modo diretto, non mediato e non condizionato da eventi intellettuali. Se avrete modo di visitare la mostra, chiedetevi che differenza pu passare tra Il Grido di Munch e l immagine dal titolo Madonna eseguita da Carlo Mazzotti. I due dipinti sembrano accomunati dallo stesso disagio o angoscia intima. Ma dobbiamo fare queste riflessioni senza tener conto del fatto che sono certificate le

abilit mentali. Altrimenti, dovremmo supporre che Munch fosse non troppo in equilibrio con la propria mente. E anche vero, inoltre, che l arte permette il fruire salutare di pulsioni profonde che nelle persone AM e qui dobbiamo essere sinceri con noi stessi son tenute a freno dal senso estetico che si vuole dare alla produzione artistica. Probabilmente l apparente mancanza di un giudizio estetico, condizionato dagli ambienti artistici, dalle mode, che nel NA o DA lascia fruire nella sua totalit espressiva l io, mentre la sua presenza negli AM ne impedisce la massima libert espressiva. Se cos fosse, ci sarebbe la conferma che l espressionismo sia l unico linguaggio artistico connaturale al linguaggio libero dell io o dell animo. Queste riflessioni inducono alla conferma che il linguaggio artistico, negli AM, prevalentemente non altro che il linguaggio della mente storica dell artista, della mente culturale del mondo sociale che si agita nell artista e quindi non che una sovrastruttura, in cui le abilit tecniche (quando ci sono) e le furbizie concettuali ( ce ne sono molte) vanno per la maggiore. All espressionismo invece affidato il linguaggio dell anima, delle pulsioni, delle emozioni dandoci l impressione di essere il solo veicolo istintivo dell espressione intima dell artista. Dal punto di vista artistico mi sento di dire, in conclusione, che coloro che sono NA o DA sono persone normali, dal punto di vista artistico, perch sanno esprimere naturalmente e direttamente il proprio io. Un plauso agli organizzatori e all associazione Il Disegno per l arricchimento culturale che hanno dato alla citt. 21 SETTEMBRE 2009

Carlo Mazzotti Madonna

SULLA MOSTRA A CASTEL SISMONDO, RIMINI


Da Rembrandt a Gauguin a Picasso La bellezza salver il mondo , un aforisma dostoievskijano ormai divenuto insopportabile a sentirsi, poich sembra aver dato modo a molti di trovare una nuova via per giustificare le proprie opinioni e i propri punti di vista, autorevoli o meno, in rapporto all Arte, alla Pittura. Una frase decontestualizzata, come quella citata, non pu che essere fuorviante, specialmente se parliamo di Arte, dove il gusto personale contraddice, il pi delle volte, il concetto del bello. Certo che se dovessi misurare con questo metro un elemento di salvezza per il mondo, basandomi sull opera di Pieter Saenredam Interno della Chiesa di Saint Odulphus del 1655 ed esposta in Castel Sismondo, verrebbe da dire che la data del 2012, da pi parti evocata ed interpretata come la fine di un sistema o del mondo stesso, sia, purtroppo veritiera: la tal opera, appare evidentissimo, appartiene ad un pittore dilettante quanto scarso a conoscenze prospettiche, per gli errori madornali presenti e per la mancanza di studio sulla luce negli interni. Ma questo testimonia come la passione della pittura non ha et: ieri come oggi, di dilettanti allo sbaraglio ne abbiamo avuto moltissimi e ancora ne abbiamo; chiss, se al pari di Pieter li vedremo fra duecento anni in qualche museo ( la possibilit rimane concreta visto gli andazzi della critica e del mercato. Specialmente in Italia). Quello di Pieter, fortunatamente, l unico caso di approssimazione artistica presente negli spazi espositivi. E il bello di oggi non era certo il bello di ieri se ci riferiamo alle contestazioni fatte nei riguardi degli impressionisti. Venendo al concreto, la mostra ha un suo primo fascino nell occasione di vedere

opere che altrimenti sarebbero state inaccessibili se non pagando un biglietto di aereo per raggiungere Boston, la citt da cui provengono, e poi perch d la possibilit di verificare direttamente ci che l Arte, vale a dire linguaggio . L Arte linguaggio e non contenuto: le sezioni della mostra come il sentimento religioso , l intimit del ritratto , la nobilt del ritratto ecc. restituiscono allo spettatore molti contenuti assimilabili, iconograficamente, tra loro, quello che li rende interessanti il linguaggio che fu usato per esprimerli: dal XVI secolo fino al XX molto stato dipinto, secondo le contestualizzazioni storiche in cui sono stati creati i contenuti, e l accostamento di pezzi di grande prestigio ( non dimentichiamo che l abilit esecutiva anche se appare secondaria all affermazione fatta sull Arte, rimane sempre indispensabile per giungere al sublime senso estetico del manufatto) l accostamento, dicevamo, evidenzia il lento quanto progressivo cambiamento di linguaggio pittorico, dando il senso del tempo che avanza e con esso i cambiamenti culturali collegati. Un esempio clamoroso, a mio avviso, dato da Edgard Degas nei ritratti di Edmondo e Teresa Morbilli del 1865. Conosciamo Degas per impressionista, anche se indipendente, ma la sua formazione neoclassicista, formatasi all ombra di Ingres, in quest opera stent a ancora a lasciar spazio alla libera pennellata del linguaggio impressionista: la mano in primo piano di Edmondo Morbilli eseguita, pittoricamente, con quella ritmica realista del neoclassicismo, mentre il volto appare pi disposto a concedere spazio alla lezione impressionista che sta facendosi lentamente strada. Ed questa contraddizione semantica che fa dell Arte un linguaggio. Il confronto tra i ritratti dei coniugi Elison di Rembrandt (1634) con quello di Emile Bernard La nonna dell Artista (1887) ci d il senso di quello che affermiamo in maniera molto concreta. Molto potremmo dire ma ci dilungheremmo troppo rispetto alla riflessione che non vorrebbe distaccarsi dal concetto e dall invito che facciamo a vedere questi capolavori di linguaggio, di ricerca e di capacit esecutiva dal punto di vista dell Arte come linguaggio. Se visti in questa ottica allora potremmo comprendere meglio lo spessore culturale dell altra mostra, sempre nel medesimo contesto logistico, della Pittura Italia. Paesaggi veri e dell anima . A proposito di questa ultima mostra, ci pare azzardato quanto affermato in un piccolo cataloghino preso nel Museo della Citt di Rimini, secondo cui (questa) seconda mostra che intende riflettere, attraverso le oltre settanta opere esposte, sul senso della pittura di paesaggio oggi in Italia ; evidente la forzatura e l indicazione fuorviante che viene data se consideriamo che tra Cesena, Rimini, Ravenna e Forl , tra professionisti e dilettanti pi o meno bravi, ci saranno almeno 1500 pittori

all opera. La riflessione appare impossibile nella nostra contemporaneit. Soprattutto per la grande eterogeneit di linguaggi, che appaiono pi o meno efficaci se non addirittura, spesso, banali. Questa seconda mostra una forzatura con altri obiettivi, a parer mio. Un ultima curiosit: chiss cosa avr fatto perdere la pazienza a Rembrandt, quando dipingeva il ritratto del reverendo Elison, se per interpretare lo scritto del libro aperto us eseguire segnacci ( di un impressionismo ante-litteram) malfatti e che non possono essere giustificati n dalle dimensioni del quadro n dalla cura del particolare tipica di questo Pittore? 11 Ottobre 2009

SU PIAZZA DEL POPOLO, CESENA


Non ho potuto partecipare al recente incontro pubblico tra l amministrazione e i commercianti cesenati, che ebbe come oggetto le riflessioni e le proposte eventuali per una rinascita della piazza e di Cesena al di fuori degli orari commerciali. Ma a darmi lo spunto, per qualche riflessione in merito, stato il sig Macori (Pdl) che sembrerebbe sia in totale disaccordo con Preger (ex sindaco) il quale non ci sta a riempire gli spazi sotto il portico di palazzo Albornoz con ristorantini, bar qualche vetrina di prodotti tipici locali . Colgo quindi la speranza dello stesso Macori, sul fare riflessioni approfondite su questo tema,,, per dare il mio contributo. Inizio col rammentare che dal 29 settembre al 2 ottobre 2005 si tenne a Cesena una mostra che port alla luce il volume Cesena 2010 , mediante il quale si parlava dei lavori fatti per riqualificare il comprensorio e la citt di Cesena, chiedendosi come sar la Cesena del futuro; per il 50 esimo anno del Rotary club, invece, furono chiamati i cittadini di Cesena ( miracolo) a dare il proprio contributo per rendere questa citt, il centro storico, maggiormente accogliente. Le idee migliori vennero rese pubbliche mediante il volume che il Rotary dette alle stampe. Ebbene, per farla breve, le migliori int enzioni sottolineavano come gli aspetti viari, commerciali e culturali, dovessero amalgamarsi, in misura differente a seconda del luogo, per sfociare in un unico e comune obiettivo: l ospitalit di un centro storico rinnovato. Le idee, ricordo a Macori ci sono, e tante, ma l errore che di solito si compie quello di buttare tutto nel dimenticatoio, rivolgendosi ogni volta che c da rilanciare un pezzo di citt, al solito ritornello che termina con i tarallucci e vino . Ricordate cosa venne proposto per rendere maggiormente visitabile la rocca? Un ristorante al suo interno! Un antico vizio e una facile scorciatoia. No, cos non pu continuare: l uomo non soltanto un sistema digestivo ma anche un sistema emotivo e psichico , un sistema a cui un po di cultura non farebbe male. Ma la cultura a chi giova? Alla Confesercenti che vorrebbe un parcheggio sotto la Piazza della Libert sacrificando la memoria storica di questa citt? Abbiamo gi distrutto la Domus Romana di piazza Fabbri per farne un contenitore di auto. Forse chi ha a cuore il commercio cesenate dovrebbe prendere ad esempio anche Rimini che con la Domus del chirurgo ha catalizzato l attenzione di mezza Europa con grande beneficio dei commercianti del centro storico. Cultura quindi. E l ora di quella cultura che possa riappropriarsi di spazi urbani tali da richiamare turismo, che di pub, ristoranti e taverne ne abbiamo abbastanza. Ma ci vuole coraggio. Parlare di

aggregazione, inoltre, un riempitivo dialettico e ormai anacronistico, poich questo bisogno l uomo lo sente quando giovane non certo quando ha 60 o 70 anni; i giovani, poi, non vanno in piazza per aggregarsi o socializzare succedeva negli anni 60 del 900 - se ne vanno nei pub e nelle discoteche di cui il territorio strapieno. La cultura vuole scelte coraggiose, ma questa amministrazione in grado di farle liberamente, visto che sacrifica la memoria storica? Vedi le fornaci romane su cui sorto il Cubo, vedi il fatto del Canale dei Mulini presso il Lugaresi, vedi la necropoli al Sacro Cuore. Ma facciamo un esempio, la Piazza del Popolo ( quando, mi chiedo, avverr quel momento che venga restituita al suo signore chiamandola Piazza Malatesta Novello? Basta con la prosopopea risorgimentale che ha appiattito l Italia, con i centinaia di Corsi Garibaldi, Mazzini e Piazze del Popolo ecc. ) Piazza del Popolo dicevo, perch non si ha il coraggio di ricostituirne il suo quarto lato per ospitare ambienti per l arte contemporanea, meeting ecc.? L arte uno di quei motori che sposta le masse curiose e amanti della creativit. E un esempio che richiede coraggio. La piazza, antico luogo nato per gli scambi commerciali e per le feste, quando si abbassano le saracinesce dei negozi potrebbe diventare luogo di discussione e di incontro solo se si ha il coraggio di trovare soluzioni all interno della Cultura, nuovi motori della viabilit interna che possano fornire gli strumenti per un nuovo rinascimento della citt di Cesena, citt commerciale, universitaria e di cultura. Il resto viene da se. 24 Ottobre 2009

SU EMILIO TADINI

Una interessante mostra pittorica incentrata sulla produzione di Emilo Tadini in corso a Cesena presso la Galleria L Immagine , uno dei rari motori culturali della citt che, nel deserto domenicale, giustifica lo spostarsi. Come stile espositivo la Galleria, diretta dalla signora Melandri, ama dedicare periodicamente le sue esposizioni ai moderni autori della pittura nazionale e internazionale, come Alinari, come Licata e Tofanelli, riconosciuti protagonisti della costruzione della futura Storia della Pittura italiana. Questa la volta di Emilio Tadini, uomo di cultura prima che pittore, nato nel 27 del 900 e quindi ha potuto godere, per la sua formazione, dei periodi d oro della pittura italiana non ancora contaminati dal pressappochismo e da quel mercato opprimente e fuorviante che contraddistingue i nostri giorni. La sua attivit nasce da un amore per la Pop Arte inglese, quella scaturita dalla mano di Richard Hamilton e Lawrence Halloway. Sono gli anni 50 del secolo scorso che prepararono l inghilterra a uscire dal grigiore vittoriano per esplodere con Mary Quant, la minigonna e i Beatles. Una nazione che in quegli anni ebbe il suo boom moderno tanto da farla diventare meta sospirata degli adolescenti di mezza Europa di allora. Ma la Pop Art, grazie a Halloway sbarc in America, ancora indaffarata con il dadaismo di Jasper John ( The broom and the cup ) e di Roy Liechtestein il quale divenne un assertore della Pop Art americana assieme a Andy Warhol: saranno poi le confezioni delle minestre in scatola di Campbell di Warhol o i fumetti assunti alla dignit della pittura di Liechtestein a tracciare le linee guida per Tadini, il quale, metabolizzando la lezione all interno del crogiuolo della geniale arte italica, si c re un suo percorso personale in cui il minimalismo espressivo ( non a caso una sua opera dedicata a Malevic ) e il design divennero il suo personale linguaggio espressivo.

All inizio abbiamo accennato a Tadini come uomo di cultura prima che pittore non a caso. Occorre infatti tener conto che il bagaglio culturale di questo artista, laureato in lettere, scrittore e critico d arte, non poteva rimanere distante dalla sua attivit pittorica; prepotentemente e inevitabilmente entrato a far parte dei contenuti e che con il tempo e la maturit ha assunto il compito di fornire quella profondit concettuale che fa della pittura di Tadini quasi un messaggo simbolico. Parlando della sua pittura, spesso si fa riferimento alla fiaba, al mito, poich appare evidente come le sue opere, soprattutto quelle dell ultima produzione, non appaiono come un mero esercizio pittorico, ma come elementi di ricerca che hanno superato la grafica espressiva per addentrarsi nella poetica dei contenuti dell anima. I suoi acquerelli, poi, sono leggere velature, delicati assemblaggi di spezzoni cromatici che svelano e appena rivelano concetti che sono dentro l animo dell uomo. L osservatore chiamato all esercizio della interpretazione dei messaggi contenuti. Le opere, potremmo azzardare, potrebbero essere associate alla poesia ungarettiana, secca, sintetica, quella del si sta come le foglie sugli alberi d autunno , pochi accenni che sintetizzano la vastit di un mondo intero. L ultimo Tadini, diremmo, l autore di un lingua ggio che guarda l essenziale, senza perdersi tra le retoriche e i conformismi autocelebranti. La mostra rimarr aperta fino a met novembre. 24 Ottobre 2009

SUL NUOVO SPAZIO ESPOSITIVO DI ALBERTO COSENTINO

La necessit di godere delle iniziative culturali un bisogno connaturato all uomo e soddisfare la propria sete di conoscenza o di semplice immedesimazione nella bellezza di un manufatto artistico rappresenta un traguardo ma anche un nuovo punto di partenza. Cesena, cittadina vivace che bene o male riesce a soddisfare parte del fabbisogno culturale, bench questo non abbia ancora ricevuto forte sostentamento attraverso iniziative di prestigio verificabili, sulla cui strada da tempo si sono messe Forl e Rimini, riesce a tamponare al bisogno di aver a che fare con la cultura e con l arte grazie all impegno di molti artisti, soprattutto pittori locali, che riescono a contribuire al fabbisogno di spazi. E anche vero che gli spazi espositivi sono pochi, per cui, quando si viene a sapere della disponibilit di un nuovo ambiente non pu che far immenso piacere. La domenica dovrebbe vedere il centro storico animato da cittadini che vanno a soddisfare bisogni intellettuali, culturali e dello spirito, non si pu, infatti, pensare di andar sempre pe r negozi e pensare a comprare e a vendere, occorre anche una doverosa pausa per altre esigenze e la cultura e l arte sono l ad attendere che qualcuno attinga a piene mani nei loro serbatoi. E un serbatoio in pi a Cesena nato da qualche giorno, esattamente in Viale Carducci 32 con l esposizione pittorica di Alberto Cosentino, ideatore e gestore, al contempo, della galleria SIPAM Arte Contemporanea . La galleria uno spazio confortevole di tre ambienti ben illuminati da dare soddisfazione sia al visitatore che ha lo spazio ideale per leggere adeguatamente le opere appese sia all artista di turno, che pu esporre sin anche a pi di trenta opere di medie dimensioni. E le opere esposte ora sono di Cosentino, giovane cesenate che dopo aver fatto l accademia di Belle Arti di Ravenna ha avuto modo di continuare gli studi a Marsiglia nella locale Accademia di Belle Arti. Milano il suo luogo di lavoro e l ambito dell illustrazione pubblicitaria la sua vocazione professionale. Della pittura ne ha fatto un angolo di meditazione concettuale: Cosentino non predilige la pittura descrittiva bens quella accennata da coalescenze cromatiche in cui emergono, come da nebbie esistenziali, figure accennate da sicure e veloci pennellate. Lo conoscenza dell anatomia uma na la si intuisce per la sicurezza con cui appronta la figurazione e questo eleva la qualit della sua pittura che a volte mostra segni pi incisivi, quasi a rifarsi ad un espressionismo concettuale in cui la figura sembra disgregarsi, a volte usa creare soffici velature in cui le increspature e le sovrapposizioni di tenue sgocciolature

guidate, finiscono per creare ambienti fuori dal tempo. Sono immagini che nascono da riflessioni interne in cui raramente esprimono disappunto o incertezze esistenziali, per lo pi appartengono ad una umanit parallela alla realt e forse, par di intuire, sembrano intrise della speranza di un mondo meno violento e meno articolato e modulato da forze disgreganti del sentire e del sentimento. La tavolozza dell artista predilige toni morbidi e caldi anche se talvolta il verde si affaccia violentemente quasi a testimoniare la crudezza di una realt animata da tutto fuorch dai verdi invitanti della natura. La Galleria aspetta quindi nuovi artisti pronti ad esibire le loro oper e, contattando l artista di persona o via e-mail albertocosentino@fastwebnet.it

29 Dicembre 2009

FINE

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