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A Lenin non piaceva Frank Zappa

Domenica 06 Aprile 2008 00:00 - Ultimo aggiornamento Marted 08 Dicembre 2009 21:04

A Lenin non piaceva Frank Zappa


di Girolamo De Michele

Tommaso De Lorenzis, Valerio Guizzardi, Massimiliano Mita: Avete pagato caro non avete pagato tutto. La rivista Rosso (1973-1979), 109 pp.+DVD con la raccolta completa della rivista, DeriveApprodi, Roma, 2008, 18.00. Pat Garret e Billy Kid erano due che facevano una loro battaglia contro i proprietari fondiari. Ma Pat Garret era un legalitario: non gli piaceva che Billy ammazzasse i nemici anche alla festa di nozze quando lui aveva deciso per la tregua con lesercito, la polizia, i proprietari. Pat fa la scelta e diventa sceriffo. A malincuore. Di fatto diventa alleato dei proprietari, non senza cercare, ogni tanto, di lasciare perdere Kid e di mantenere una buona fama tra i suoi vecchi compagni.

Ma, in fin dei conti, Pat spara contro Kid. La storia finisce l. Qualcuno immagina che il Kid sia stato solo ferito e come ogni eroe degli oppressi, rinasca dopo ogni ferita e alla fine trionfi su Garret. Il compromesso storico, la questione sindacale della battaglia delle vertenze, Enrico B. e Luciano L. sono fratelli gemelli di questo vecchio Garret. Era lautunno 1973.

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Cominciava cos larticolo Pat Garret e Billy Kid ovvero i consigli del sindacato e lautonomia operaia sul numero 10, maggio 1974, di Rosso, allindomani della chiusura della vertenza dellAlfa Romeo. Un numero che, non per caso, ammoniva in prima pagina: Una crisi vera crisi se crisi del padrone. Si noti: padrone, non lavoratore che intraprende. Non un mero slittamento semantico: nomina sunt consequentia rerum. Bastano questi pochi elementi a dare lidea di cos stata la rivista Rosso: non, come ultimamente capitato di nuovo di dover sentire (in spregio persino alle verit giudiziarie) la struttura illegale di Autonomia Operaia, ma un potente laboratorio dellantagonismo sociale degli anni Settanta. Di questa rivista leditore DeriveApprodi ci restituisce oggi tutta la forza, e tutte le contraddizioni, in un DVD che ne riproduce lintera vita, dal marzo 1973 al maggio 1979, un mese dopo quel 7 aprile che inaugur con un colpo di mano giudiziario unepoca in cui, come ricordano Chicco Funaro e Paolo Pozzi, leresia devessere eliminata e nessun compagno avr pi tempo o modo di occuparsi di una rivista. Accanto al DVD, un densissimo saggio di Tommaso De Lorenzis, Valerio Guizzardi, Massimiliano Mita: Avete pagato caro non avete pagato tutto. La rivista Rosso, arricchito dai contributi di Funaro e Pozzi e da uno stralcio dellintervista sulloperaismo di Toni Negri del 1979. Unoperazione editoriale importante per almeno tre ragioni: innanzitutto, per la riproduzione di materiale storico altrimenti destinato alloblio e alla mistificazione, e che invece ridiventa disponibile e fruibile, quantomeno in termini documentari, in un periodo caratterizzato da rievocazioni (non sempre ma) spesso sterili e ipocrite: si pensi ai democristiani che ieri si adoperavano attivamente per ottenere la morte di Aldo Moro, ed oggi tuonano contro la presenza, peraltro inesistente, degli assassini di Moro sui media.

In secondo luogo, per la seriet della curatela dei tre autori del saggio, provenienti dallesperienza di Banlieues e Frame, due tra le pi interessanti riviste di movimento degli ultimi anni, che hanno saputo coniugare il puntiglio storiografico con una forma espressiva accattivante, improntata a un taglio narrativo che mescola parafrasi politica e citazioni letterarie colte e raffinate, ottenendo talvolta lo spiazzante effetto di passare la prosa negriana al filtro dellediting di un Ellroy o un Izzo. Una precisa scelta stilistica: lestetica una forma delletica, non il riposo del guerriero.

Infine ed laspetto di maggior rilievo per il taglio ermeneutico dei tre curatori. Che non si nascondono dietro lacribia ricostruttiva che espone senza interpretare (la sostituzione dellesposizione allinterpretazione unoperazione ermeneutica eminentemente politica, come sa chi ha frequentato lincompiuto libro di Benjamin su Parigi), n cede allennesima riedizione dello stucchevole derby Roma-Milano (o Roma-Padova) sulle responsabilit della sconfitta dei movimenti degli anni Settanta. Le questioni poste, attraversate, non risolte dallesperienza di Rosso la questione della violenza, il maledetto problema del politico, il rapporto tra il multiforme proliferare delle pratiche e la riduzione ad unit del comando capitalistico (e della direzione politica leninista?) sono ancora qui, sul terreno dellesistente. Si parla dei ruggenti Settanta per parlare del terzo millennio: bene rimarcare come proprio lannosa questione

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del potere e delle forme politiche sia tornata dattualit nel momento in cui la Storia ha ripreso la sua irrefrenabile corsa verso la barbarie, la guerra ha saturato la profondit dellorizzonte [...]. cominciato il tempo della catastrofe planetaria, quotidiana, generalizzata. Ed persino possibile che, in questepoca, non basti neppure una nuova, creativa manifestazione della potenza moltitudinaria. Di sicuro, inutile eludere il problema. Farlo non servito. Il Novecento tornato, una volta di troppo, a bussare a tutte le porte. E non ne ha risparmiata nessuna (pp. 37-38). La storia racconta di Rosso come di una rivista nata dallincontro tra il Gruppo Gramsci, un polo attrattivo lombardo capace di tenere insieme militanti operai e intellettuali di spessore come Romano Madera e Giovanni Arrighi, e il versante milanese di quella parte di Potere Operaio che si riconosceva nelle teorizzazioni di Negri. Una rivista che prende ben presto il sottotitolo di Giornale dentro il movimento, e che dentro il movimento, nel suo periodo pi alto (dal 73 al 76) sa confrontarsi con quella componente underground del movimento che ha come riferimento lesperienza di Re Nudo. Se torniamo a quel pezzo del 74 su Berlinguer e Pat Garret, vi troviamo le due simultanee pinze dellastice sovversivo che attanaglia il reale: il soggetto dellantagonismo, e il linguaggio espressivo che lo nomina. Non pi la tradizionale declinazione dellinchiesta operaia e della conricerca, bens una narrazione frattale, sincopata, sporca, dei nuovi metodi di vivere e di confliggere. Negri parla duna documentazione pratica, in cui la registrazione fenomenologica del fatto si traduce immediatamente in potenzialit di linea politica, in tendenza, in identificazione di soggetto.gasparazzo multitude.jpg Lo sforzo quello di misurarsi col declino delloperaio-massa e con il nuovo soggetto che va delineandosi nelle lotte: oltre la catena, al di l dei muri della fabbrica, lungo le dorsali duna produzione che sinnerva sul territorio, sguscia nel terziario e sussume la societ (pp. 17-18). Loperaio di cui parlano le pagine di Rossonon discende dallalto della tradizione teorica tardo-ottocentesca che vuole il lavoro essere il luogo delleticit dispiegata, dal cui fango si raccattane le bandiere dei Valori e del Progresso che la borghesia ha lasciato cadere: loperaio di cui qui si narra carne e sangue, meno rude ma pi irriverentemente pagano (p. 15). Con i suoi comportamenti: rifiuto del lavoro, sabotaggio, boicottaggio della catena e del ciclo produttivo. Un operaio che non ama, ma odia il proprio luogo di lavoro; che odia il sistema che lo ridefinisce in quanto produttore di merce e valore di scambio; che odia la propria stessa condizione. La violenza dei comportamenti antagonisti, al di l della dialettica repressione-reazione nelle strade e nelle piazze, esprimeva questo irriducibile dato, che solo delle menti povere di comprensione potevano ricondurre alle devianti pedagogie di cattivi maestri. DuckYouSucker.jpgLa rimozione di questo dato, congiunta alla cattiva infinit di una nostalgica e mitologica rievocazione dellet delloro della classe operaia, ha reso quantomeno ambiguo il dibattito che sulluso della violenza, contribuendo a perpetuare quellequivoco che vuole, nella comune opinione, equiparati lo sciopero selvaggio e la banda armata, lillegalit di massa e la pratica terroristica. Unambiguit che si fa costitutiva dellincapacit di leggere e contrastare laltra forma di violenza: quella dei cicli produttivi, delle nuove servit, della precarizzazione dellesistenza esperita nella dissoluzione di ogni pratica (prima ancora che cultura) della sicurezza sui luoghi di lavoro. Una Thyssenkruppizzazione diffusa che nasce a cavallo degli anni 70-80: prosciugato o esaurito il mare dellantagonismo sociale, lostilit anti-istituzionale e anti-burocratica si riconvertita nellindividualismo proprietario dellex operaio del nord-est che

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si fa padroncino investendo la liquidazione nel capannone industriale, mettendo il sapere operaio al servizio del capitale globale, diventando leghista o berlusconiano. qui che la sinistra riformista perde, senza pi saperla recuperare, la capacit non di interpretare ed esprimere, ma persino di leggere la societ. Si badi: non la classe operaia, ma la societ tutta. Perch loperaio di cui parla Rossonon solo quello di Mirafiori: nella fabbrica diffusa che la societ tardo-capitalistica, Mirafiori ovunque. Accanto agli operai delle grandi e piccole fabbriche, la vera novit sta nellapparire di aggregati sociali caratterizzati da rivendicazioni del tutto originali. Il movimento femminista e quello del proletariato giovanile costituiscono specificit dindubbia rilevanza. Le lotte si diffondono sul terreno della produzione culturale, dei bisogni diffusi: alla centralit della fabbrica si sostituisce la metropoli. Ora pi di prima, la scelta delle parole, linvenzione lessicale, la definizione daltre grammatiche diventano strumenti specificamente politici (p. 35). Non , di nuovo, un orpello estetico: non a caso dopo il 76, con la frantumazione del movimento in mille rivoli che, ognuno perso per i fatti suoi, se non si disseccano a Poona piuttosto che al Macondo o in qualche cupa sede clandestina, non riescono pi, se non eccezionalmente, a mordere il reale e a cogliere lestraneit delloperaio sociale al militarismo, fa riscontro un gap linguistico, una lignificazione dei linguaggi: sembra che lintero piano delle metafore, delle ridefinizioni semantiche, dei richiami retorici, degli slittamenti di senso, delleccedente nonsense, pieghi a un certo punto verso lallegoria bellicista e la ciclicit della Storia (p. 65). E invece nel 1975, in uno dei migliori (anche metodologicamente) articoli di Rosso A Lenin non piaceva Frank Zappa viene fotografata la tristezza del militante perfetto [che] vive dei cascami della cultura riformista e pratica la dimensione culturale solo allinterno degli schemi della Terza Internazionale:Frank-Zappa-Posters.jpg evitare e il dubbio, scansare la crisi, parlare poco di s non approvare comportamenti violenti e spontanei che non rientrano nelle tradizioni pure. E infine: occhio alla decadenza e al pessimismo. Invece, con un crescendo che sar mirabilmente sintetizzato da Gianfranco Manfredi nella sua Quarto Oggiaro Story): a noi piacciono i film western, quelli della crisi, il teatro-provocazione, il rock, i fumetti pi illogici possibili, i libri senza martiri ed eroi, la riscoperta del proprio corpo [...] e il comunismo lo pensiamo come una cosa molto lussuosa, dove nessuno star in piedi su una zolla di terra a sudare piscia e sangue. Perch non si pu essere autonomi in fabbrica e sul territorio, e riformisti o neo-riformisti su tutto il resto. Con le parole dun vecchio saggio: Duck, You Sucker! Qui, di nuovo, il metodo dellanalisi (che i curatori del volume fanno proprio) a segnare la differenza tra Rossoe quella sinistra moderata che, cedendo ai melanconici toni dun pessimismo crepuscolare (p. 30) e alle sirene dellautonomia del politico, relega la ricchezza del processo di produzione sociale nei sordidi quartieri duna seconda societ, versione imbellettata del Lumpen (p. 21). Come loperaio sociale si coglie solo a partire dalle lotte che ne marcano la genesi, e non dai banchi scolastici delle Frattocchie o dai libri dei Padri Fondatori loperaio, diceva il filosofo Roberto Dionigi, non si sfoglia; cos i bisogni del proletariato metropolitano si colgono solo allinterno della multiforme creazione di nuovo essere sociale. qui che cominciano a trovare cogenza gli strumenti interpretativi elaborati in Francia da Deleuze, Guattari, Foucault; ed qui che balenano le prime scintille di una soggettivit moltitudinaria irriducibile al concetto di popolo e nemica del potere costituito (p. 33). Una

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soggettivit il dubbio che ci rimane e che rilanciamo, in costruttiva polemica, non solo ai curatori, ma a chiunque vorr fare un uso critico e non museale di queste pagine che non poteva ieri, e non pu oggi, vedere ridotta senza nocumento la propria complessit dalla categorizzazione leninista espansivit-centralizzazione; che deve sapersi liberare, nei linguaggi e nelle pratiche, dalla necessit del leninismo per costruire forme fluide di proliferazione orizzontale: se Lenin non amava Frank Zappa, ancor meno potevano piacergli Sam Peckinpah e Sergio Leone. Di nuovo: Duck, You, Sucker!

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