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numero 42 anno III - 30 novembre 2011

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L.B.G. PISAPIA E BOERI: NON SIAMO FIGLI DI UN DIO MINORE Walter Marossi PISAPIA E IL PRESIDENZIALISMO ALLA MILANESE Raffaello Morelli A PROPOSITO DELLA BORGHESIA DI MARTINOTTI Giulio Ernesti ABITARE A MILANO. DEMOCRAZIA E GOVERNO DELLA CITT Gregorio Praderio URBANISTICA A MILANO. INDICE UNICO: PERCH? Giuseppe Ucciero LA RIVOLUZIONE LIBERALE DI MARIO MONTI Marco Romano PER UNA BREVE STORIA DEL VERDE CIVICO Giovanni Sala ESISTE UN FUTURO PER GLI ALBERI IN CITT? Giuseppe Merlo LESPRIT DE VIVRE DI MILANO E IL PGT? Rita Bramante LA PACE E IL NOSTRO STILE DI VITA VIDEO ANDREAS KIPAR: 21 ALBERI IN PIAZZA DEL DUOMO ABITARE MILANO COLONNA SONORA COME ERANO (1941) Charles Trenet-canta QUE RESTE-T- IL DE NOS AMOURS? Il magazine offre come sempre le sue rubriche di attualit MUSICA a cura di Paolo Viola ARTE a cura di Virginia Colombo LIBRI a cura di Marilena Poletti Pasero TEATRO a cura di Emanuele Aldrovandi CINEMA a cura di Paolo Schipani e Marco Santarpia www.arcipelagomilano.org

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PISAPIA E BOERI: NON SIAMO FIGLI DI UN DIO MINORE Luca Beltrami Gadola
Non siamo e non vogliamo essere figli di un dio minore. Ci siamo impegnati e il vento cambiato: felici noi! Adesso devono anche cambiare i costumi della politica e di rapporti tra forze politiche, il nuovo non deve avere confini. Come sempre anche in questa vicen-da tra il sindaco Pisapia e il suo assessore Boeri, le ragioni non stanno da una parte so-la: ha ragione Pisapia quando lamenta la scarsa collegialit delle scelte di Boeri e nel far capire di non gradire sorprese ma non ha torto Boeri quando lamenta una la debolezza del sindaco nei confronti di Formigoni sulla vicenda Expo. Perch negarla? A fare la politica in citt non ci sono solo sindaco e Giunta ma anche i cittadini, soprattutto quelli che con i loro voti li hanno portati al governo della citt. I microfoni aperti, Facebook e Twitter hanno fatto capire con certezza una cosa: la gente, il popolo arancione in particolare, pur rispettando i ruoli e la fatica della democrazia all'interno delle istituzioni, non ama il litigio e ritengono, giustamente, di essere stati non solo gli elettori ma anche il collante di questa Giunta e di questo va tenuto conto se si vuole che duri e non solo per una luna di miele. Con questo non si vuole riscoprire il centralismo democratico dei tempi del PCI, tutt'altro, si vuole soltanto che il dibattito sulle idee sia pi pacato, pi argomentato e pi trasparente e non intendo per trasparenza n le indiscrezioni dei media n le anticipazioni fuori luogo. difficile che la gente possa capire perch ci sia ancora e sempre un capovolgimento dei tempi, perch i vizi della sinistra siano cos lunghi a morire persino in una Giunta con tante facce nuove dalla politica. La logica vorrebbe che ogni assessore avanzasse in Giunta le sue proposte, ne discutesse e solo nel momento in cui da un lato ritenesse le sue idee indissociabili dal suo ruolo e dalla sua immagine pubblica e le proposte in gioco fossero respinte senza appello, solo allora dichiarasse un'impossibilit politica a collaborare con sindaco e Giunta. In quest'occasione, ma con minor effetto anche in altre occasioni e pure a livello di consiglio comunale, si fatto il contrario. Si dichiarano idee e progetti e poi si va in Giunta o in Consiglio comunale a discuterne e cos facendo il rischio, realistico, della lite altissimo e si visto. Si prenda atto fin in fondo del cambiamento avvenuto, della volont dei cittadini di partecipare, di questa Milano tornata a essere una citt effervescente e piena di iniziative politiche, culturali e sociali; prendiamo atto che questa nuovo dinamismo civico, che sar la fortuna della citt e la base per una ripresa anche economica, non costa nulla perch volontario e perch coerente con l'invito di J. F. Kennedy: "Non chiederti cosa il tuo Paese pu fare per te, chiediti cosa tu puoi fare per il tuo Paese". Un nuovo modo nei rapporti politici all'interno della maggioranza anche un efficace strumento per vanificare l'azione dell'opposizione e della stampa a lei organica, interessata solo al gossip, prigioniera di vecchi schemi, incapace di nascondere il vuoto delle sue idee ma pronta a cogliere le possibili contraddizioni all'interno della maggioranza. Questo, io credo, voglia il Popolo arancione. Ma non bisogna aspettare troppo.

PISAPIA E IL PRESIDENZIALISMO ALLA MILANESE Walter Marossi


Il governo Monti, ma soprattutto la Lassessore alla cultura con uno stringato comunicato aziendalista in cui ci informa che il momento delicato, d le dimissioni; il sindaco aveva fatto sapere che viceversa avrebbe usato i poteri di revoca attribuitigli dallo statuto. Con perfidia dantan, il suo collega dAlfonso dice che non c nessun problema politico (e nemmeno personale ma di capacit di lavoro); come sostiene anche il vicesindaco: c un dispiacere umano, come sostiene anche il capogruppo del suo partito Rozza, il segretario Cornelli (che Boeri voleva rottamare), il segretario cittadino che con fiero cipiglio afferma Noi stiamo con Pisapia senza se e senza ma, il Corriere della Sera che presenta la vicenda come scazzi di una borghesia annoiata tra Buddenbrook e Celentano, la Repubblica, etc. A dare ragione allarchistar solo Marina Terragni in rappresentanza degli amici stretti (scemati di numero in giornata). Solidali Penati e Salvini, come a dire non c limite alla jella. Gli unici che parlano di problema politico sono le opposizioni, a va sans dire. In pratica si accredita lidea che Boeri sia un narcisista rompicoglioni, un po fanigottoso, esperto in autogol che non ha seguito. Se non lo cacciano dalla giunta solo per magnanimit, deve stare zitto confermare che mai ci fu ne mai ci sar un problema politico e ha un po il ruolo di Vercingetorige (tenuto prigioniero per essere trascinato dietro il carro del vincitore e pi tardi giustiziato). Difficile convenire. Se il capodelegazione del partito pi votato a Milano; recordman di preferenze (ma ahilui dimissionario dal consiglio comunale); aspirante sindaco accolto come salvatore del Pd; sconfitto con onore da un avversario con maggioranza relativa; aspirante rottamatore della nomenclatura Pd milanese; aspirante parlamentare; aspirante demiurgo dellExpo, viene messo alla porta come un petulante pierino, in meno di 24 ore, un significato politico forte c. Ed questo: 1) I partiti cittadini che sostengono la maggioranza sono politicamente irrilevanti. Possono correggere o sottolineare qualche aspetto minore del programma ma le ragioni del sostegno alla giunta fanno premio su tutto. Del resto il sindaco un partito manco ce lha. Oggi tocca al Pd, ieri era toccato allIdv domani. Quindi si dedichino alla ginnastica congressuale interna. 2) Gli assessori sono esecutori di parti del programma. Hanno una forte visibilit personale foriera (forse) di futuri successi ma politicamente sono come i partiti: irrilevanti; al massimo devono mantenere in efficienza la macchina del consenso. I consiglieri comunali semplicemente non esistono.

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www.arcipelagomilano.org siderati sabotatori delle magnifiche sorti e progressive, molto pi semplice criticare Roma che Palazzo Marino. 6) Le primarie lasciano ferite difficili da guarire. Chi le perde pu solo fare il portatore dacqua o loppositore, nessun comprimariato possibile, come del resto succede in tutto il mondo. Le preferenze non sono pi un metro per misurare limportanza politica. 7) Pisapia, Renzi e de Magistris, mentre al governo ci sono i tecnici, rivelano impietosamente il declino

3) I leader nazionali, memori della grezza di Vendola il giorno della vittoria, si guardano bene dal mettere voce nelle vicende locali, timorosi di non essere ascoltati, anchessi quindi irrilevanti. 4) Il programma secondario, le priorit ormai benaltre, quindi anchesso abbastanza irrilevante. La soddisfazione di aver incrinato il sistema berlusconiano, la crisi economica fanno premio su qualsiasi dimenticanza o ritardo della giunta 5) I rottamatori e/o rifondatori dei partiti devono stare ben lontani dalla politica cittadina, pena lessere con-

del Pd e pi in generale dei partiti e ne assumono le competenze. 8) Il sindaco riassume in s leadership elettorale, politica e personale. Se non commette errori clamorosi padrone assoluto della politica cittadina di maggioranza, almeno fino allavvicinarsi della presentazione delle liste. Lui si non irrilevante, se poi saggiamente non si occupa di vicende nazionali, giganteggia. Insomma il centro sinistra non solo ha scoperto ma entrato appieno nel presidenzialismo. Anche volendo sar difficile uscirne.

A PROPOSITO DELLA BORGHESIA DI MARTINOTTI Raffaello Morelli


La tesi della inesistenza della borghesia richiamata dal professor Martinotti per criticarla, credo meriti una riflessione attenta. Non per approfondirne gli aspetti sociologici gi delineati dallautore, nel numero scorso di ArcipelagoMilano, quanto per svilupparne aspetti legati ai rapporti politici di convivenza. Concordo con lautore che sia un giochetto infondato sostenere che in Italia non vi sia una borghesia. Concordo anche che la presunta mancanza piace molto ai mass media che della borghesia celebrano il funerale anzitempo. Per trovo infondata la conclusione dellautore che vede confermati i suoi due assunti dal fatto che la borghesia in massa si ripresentata a occupare tutti gli scranni ministeriali disponibili. Non perch il governo Monti sia composto da cassa integrati di Termini Imerese, ma perch solo una visone di classe pu trarre connotati politico sociali generali equiparando il collocarsi sociale di alcune persone a un episodio rilevante in tuttaltro senso. Lautore dipinge la borghesia moderna, come un corpo unificato dalla caratteristica unica di essere la classe dominante tipica di sistemi capitalistici, inclusi i sistemi capitalisti di stato. Affermare concetti del genere pu autoconsolare le elites intellettuali borghesi oggi perdenti ma non rappresenta realisticamente la convivenza. Il governo Monti non frutto di una accorta manovra di potere borghese. E il risultato di una catena di comportamenti dissennati ai limiti dellincredibile da parte dei partiti attuali. La completa incapacit dellex ministro fiscalista, ossessionato dal pericolo giallo, di avvertire la crisi finanziario economica nata in un altro continente e di predisporre un piano di sviluppo qualsivoglia. La completa incapacit politica di Berlusconi di imbrigliare il proprio ministro e di dare ai mercati risposte operative concrete (a lui ben note come imprenditore delle cose sue) persistendo, a ogni livello, in atteggiamenti da imbonitore festaiolo. La completa incapacit politica dellopposizione di pensare a preparare un progetto alternativo per il dopo berlusconismo che sarebbe venuto, preferendo invece baloccarsi con il gossip tipico del moralismo borghese. E di fatti, quando la crisi internazionale, neppure allimprovviso ma progressivamente, ha stretto la sua morsa sullItalia e Berlusconi, mai sfiduciato in Parlamento, ha deciso di dimettersi, al Presidente Napolitano che per fortuna continua a ragionare sui problemi non restato altro che inventarsi un governo dei tecnici ancorandolo strettamente (di nuovo per fortuna) alla forma e alla sostanza delle procedure parlamentari. In tutto ci, cosa centrano i disegni della classe dominante borghese? Nulla, con buona pace della stampa conservatrice lombarda e dei nostalgici di un classismo oggi improponibile. Anzi, quanto avvenuto fornisce un indizio sulla carenza vera della borghesia. Lindizio che la borghesia, mentre nata contro le rendite di una societ in mano ai privilegi nobiliari ed ecclesiastici e per rendere possibile lintraprendere e lo scambiare, ora ha rinunciato a questo suo ruolo, dedicandosi alla difesa corporativa pi o meno intelligente delle rendite di posizione raggiunte. Dunque, la borghesia esiste ancora, ma si del tutto snaturata e non svolge pi il suo ruolo fisiologico. Oggi, la maggior parte dei commentatori scrive, seppur tardivamente, che in Italia non si discute pi di politica. Una notevole responsabilit spetta agli ambienti borghesi, proprio perch per formazione, cultura, reddito, stato sociale, consistenza numerica, dovrebbero essere i pi sensibili alle problematiche politiche della convivenza. E invece non avviene. Il venditore per antonomasia e i migliori per destino che hanno voluto scimmiottarlo, hanno presto intuito questo vuoto e giulivi hanno governato sciorinando la loro mercanzia di promesse senza progetti. In questo tripudio della cartapesta, alla sopravvenuta crisi finanziaria internazionale, si andata sommando la crisi strutturale di unItalia incapace di pensare allo sviluppo nel mondo globalizzato e quindi debole nella comparazione dei mercati. Proprio nellassenza di discussione politica sta lo snaturamento della borghesia. Che ha accettato una posizione politicamente parassitaria e non ha contrastato il dilagare, soprattutto negli ambiti delle burocrazie e della gestione pubblica, di pratiche familistiche sempre contrarie ai cambiamenti necessari per lo sviluppo: in nome dei propri privilegi e allinsegna del meglio le entrature giuste sotto casa, che regole funzionanti a livello non localistico per dare spazio a merito e competenze. Le personalit tecniche che compongono il governo sono individualmente borghesi, ma non rappresentano affatto un progetto politico. N borghese n daltro genere. Rappresentano la preoccupazione di consulenti che si trovano a svolgere un compito prestigioso ma assai complesso, del cui risultato non hanno la piena padronanza profes-

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sionale: perch esula dalle loro esperienze tecniche in quanto politico nel profondo. Come cittadini hanno titolo per cimentarsi in tale dimensione, ma il vincolo parlamentare, che vale anche per loro, li rende solo meno attrezzati in molti sensi. Bene che il clima sia pi ragionevole. Tuttavia la politica non si improvvisa e cos i loro primi vagiti (le sole cose che traspaiono, anche se na-

scondere le cure al malato non paia una virt) sembrano seguire la solita propensione a tassare i redditi, a non tagliare il debito e al riservare le parole allo sviluppo. N aiuta nascondersi dietro le colpe (che pure ci sono) del burocratico egoismo degli stati nazionali europei. La questione reale non che ritorna la borghesia vera ma che ritorna quella snaturata. Cio mancano la

politica e il conflitto secondo le regole di libert che si continuano irresponsabilmente a evitare spargendo utopie e non dicendo mai quali cose concrete si intende fare ora e subito per lo sviluppo. E chi dovrebbe supplire se non i cittadini che convivono e si raggruppano liberamente? La politica sono loro.

ABITARE A MILANO. DEMOCRAZIA E GOVERNO DELLA CITT Giulio Ernesti


Data la posta in gioco, ovvero la potenziale esemplarit dellesperienza che si sta avviando, e viste le modalit attivate per la costruzione del consenso, nonch delle promesse coerentemente fatte di coinvolgimento dei cittadini nellazione amministrativa, lOsservatorio Urbanistica e Ambiente del Circolo di Milano di Libert e Giustizia ha ritenuto di dover mettere al centro dellattenzione il tema principe del momento politico, non solo milanese: quello del rapporto fra democrazia e governo della citt; o, per meglio dire, delle forme di democrazia pi appropriate per restituire rappresentativit al governo della cosa pubblica. Mettendo con ci in discussione non tanto le istituzioni in s del governo e dunque della politica locale, quanto la vistosa insufficienza delle modalit praticate dellinterazione fra istituzioni e societ o, pi seccamente, fra governanti e governati. Modalit inappropriate ormai perch non sembrano sapersi far carico della problematizzazione del rapporto istituzioni-societ, vale a dire dellinsofferenza crescente della societ, nelle sue plurali e multiformi articolazioni, per un trattamento topdow di temi e questioni che investono, come minimo la qualit della vita quotidiana dei luoghi, ma che sembrano anche riguardare, come Revelli evidenzia nella sua relazione, un possibile alternativo modello di vita e societario. In altri termini, bisogni, desideri e interessi di soggetti e attori che, pur diversamente consapevoli e apprezzati, tendono a coltivare una ormai insopprimibile e quasi naturale predisposizione a una presenza attiva e dialogante sulla scena pubblica. Una presenza ribadirei, attivata proprio da quella dimensione del quotidiano che ha saputo farsi largo coi suoi minuti racconti di vita nei vasti spazi liberati dalla inattendibilit delle grandi narrazioni; che ha saputo altres, rivendicando lattenzione delle istituzioni alle specificit dei contesti, acquisire, per la sua capacit di mobilitazione, di organizzazione, di interlocuzione, una valenza politica centrale nello scenario urbano contemporaneo. Scenario connotato dagli inequivocabili segni di una decostruzione della sua condizione di bene pubblico per eccellenza. Dunque, la vita quotidiana come mezzo di conoscenza dei processi di complessificazione dellattuale societ urbana, quale ingrediente fondamentale per la modellazione di una nuova dimensione sociale e politica; la vita quotidiana in altri termini, quale cardine di un nuovo, praticabile nesso conoscenza-azione. In tali vesti peraltro, la riflessione sul quotidiano avvicina a quella voce abitare che abbiamo assunto come denominatore comune dellintero ciclo. Abitare come realt, come configurazione del portato di materiali, segni, forme, immaginari della vita quotidiana; come dimensione delladdomesticamento del reale, dellidentificazione dellappartenenza. Labitare, ancora, come nucleo ispiratore del progetto di possibili nuove forme di vita e di relazione nel contesto cangiante dellurbanit contemporanea e, specificamente, milanese. In estrema sintesi, come misura, cos pare al curatore di questi incontri ed estensore di queste note, delle possibilit della costruzione di un nuovovivere insieme, inteso come quella coesione sociale che linsorgere acuto di una nuova questione urbana incrina, mettendo in discussione lavoro, welfare, casa e, pi in generale, il faticoso e contraddittorio percorso della democrazia: vale a dire, conquista ed estensione dei diritti di cittadinanza, convivenza su fondamenti di equit. Labitare suggerirei, come una sorta di metro di orientamento e allo stesso tempo, meta di programmi e azioni di governo. Se il quadro della condizione contemporanea, appena abbozzato, tiene, allora pare dobbligo prendersi cura delle sorti incerte della democrazie, cercare di rivitalizzarla riattivando la sua storica funzione e capacit di alimentare, con continuit, processi di democratizzazione. In altri termini riattivare la sua funzione di costruzione e alimentazione della cittadinanza; questa, a sua volta, per la sua intrinseca qualit di garante di sovranit, sostegno naturale della democrazia, forma politica dalla quale, non a caso, i meccanismi sovraordinati della tecnica, della scienza e della finanziarizzazione tendono a prescindere. Ma allora democrazia, cittadinanza e citt devono tornare a integrarsi strettamente secondo una circolarit virtuosa e di contrasto. Virtuosit che impone per di assumere, da un lato la citt come possibile luogo di sperimentazione, dallaltro, laspirazione di cittadinanza attiva, a Milano emersa con prepotenza, come leva del cambiamento. Che poi aspirazione a modificare la relazione politica-societ, governanti - governati. Queste le questioni sollevate dai relatori e sulle quali hanno in particolare insistito Ernesti e Revelli, sottolineando il deficit attuale di rappresentanza della politica, delle sue istituzioni e ovviamente, delle forme della democrazia rappresentativa, per le quali passa, insistentemente, la relazione governanti-governati. Evidenziando, altres, la necessit di attivare forme nuove di connessione fondate sullascolto, il coinvolgimento, in modo continuativo, dei cittadini, su questioni che, sempre pi, li interessano direttamente. E ci per costruire e sedimentare reciprocit e fiducia, fra istituzioni e societ nel suo complesso; affrontando, nel contempo, la delicata questione della responsabilizzazio-

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ne delle scelte da parte degli attori, istituzionali e non. Attori ormai frequentemente presenti sulla scena urbana; una scena segnata e caratterizzata da schegge sempre pi diffuse di conflittualit. Forse il contesto con cui dovr misurarsi lintelligenza della politica dei prossimi anni, inclusa quella del nuovo corso milanese, la cui cultura istituzionale e politica verr certamente messa alla prova in termini di capacit di apprendimento. Vale la pena di evidenziare, ancora, lapertura di un orizzonte che valica i confini della societ locale fatta dal richiamo di Revelli allo strepitoso successo dei referendum. Una esplicita rottura del senso comune dominante, una svolta antropologica e culturale, fondate sulla rivendicazione del carattere pubblicistico di

beni essenziali; ma, soprattutto, sulla non identificazione della sfera pubblica con la sfera della politica e delle sue istituzioni. Un bisogno in definitiva, di riappropriazione da parte dei governati anche contro la volont dei rappresentanti. Rispetto ai contenuti delle prime due relazioni, Massimo Bricocoli ha sviluppato uninteressante riflessione a partire da alcuni casi concreti di trasformazioni di parti di citt in Italia e in Europa. Da queste esperienze ha sollevato consistenti dubbi sulladesione incondizionata alle pratiche della democrazia partecipativa e/o deliberativa, evidenziando le delicate questioni delle risorse, dei tempi, e quella cruciale, della distanza che spesso separa politica e burocrazia.

Tema, quella della necessit per il governo della citt di una sostanziale solidariet fra politica e burocrazia, su cui ha utilmente costruito il proprio contributo lassessore Lucia Castellano; sottolineando con forza lesigenza di uno sguardo realistico e paziente sulle difficolt che linnovazione partecipativa tentata dalla nuova amministrazione incontra. Il testo che precede riguarda lincontro-seminario tenutosi l11 novembre 2011 nella sala Alessi di Palazzo Marino pensato nellambito delle iniziative che lOsservatorio Urbanistica e Ambiente del Circolo di Milano di Libert e Giustizia va programmando per accompagnare il lavoro della nuova amministrazione.

URBANISTICA A MILANO. INDICE UNICO: PERCH? Gregorio Praderio


Molti dei maggiori problemi ereditati dalla nuova amministrazione nel PGT adottato risalgono a una scelta originaria, a un peccato di fondo nellimpostazione del piano che se non sar risolto continuer a creare pasticci. Questo errore di fondo si pu individuare nellattribuzione di un indice unico alle aree libere e a quelle gi edificate da trasformare. Si tratta infatti di fattispecie diverse, come minimo negli aspetti economici: le aree gi edificate sono normalmente urbanizzate e hanno valori e costi di trasformazione intrinseci anche a prescindere dalle scelte urbanistiche; le aree libere invece comportano spesso costi aggiuntivi a carico della collettivit in termini di nuove urbanizzazioni e il loro valore di trasformazione appare sostanzialmente determinato dalle scelte di piano. Da qui la radicata tradizione disciplinare di distinguere i casi: volendo recuperare unarea dismessa, per rendere le previsioni fattibili le potenzialit edificatorie dovranno superare i valori attuali e i costi di trasformazione; per unarea inedificata invece la fattibilit pu essere raggiunta con carichi insediativi molto minori (nel caso di realt urbane gi molto dense come la nostra) e richiedendo contributi urbanizzativi (in termini di opere pubbliche o aree per servizi) se nel caso molto maggiori. Prevedere invece una medesima disciplina per entrambi i tipi di area finirebbe quasi inevitabilmente per rendere pi remunerativo e quindi favorire lintervento su aree libere, anzich dismesse da recuperare (e non basterebbe la possibilit di recupero della slp esistente a equiparare i casi, perch ci sono impianti fortemente insediati come fonderie o raffinerie che valgono poco in termini di slp). Purtroppo quello che fa il PGT adottato di Milano e viene da chiedersi: perch? Da un punto di vista culturale, una possibile origine nel documento di obiettivi per le politiche urbanistiche approvato dalla Giunta milanese nel 2003, dove appunto si d una grande enfasi al concetto dellindice unico, ma in una diversa e pi nobile accezione, quella cio di assegnare il medesimo indice a parit di condizioni territoriali, non creando cos ingiustizie e disparit nellazione di piano; ma pur sempre distinguendo fra aree gi edificate e non. Vero che in quel documento erano presenti alcune affermazioni abbastanza sorprendenti sul ruolo di alcune leggi e sul PRG vigente. In particolare, del DM 1444/68 si diceva addirittura che, come noto gli standard urbanistici sono privi di diritto di edificazione, mentre questo notoriamente un portato della cultura disciplinare, nulla prevedendo il DM in proposito: tanto vero che gi nel 1974 alcuni PRG come ad esempio quello di Bresso prevedevano diritti edificatori perequati sulle aree a standard, il tutto in piena conformit al DM ci sono stati anche ricorsi a dimostrarlo -; ma anche senza andare a questi casi poco noti, i PRG degli anni 80 di Gregotti e Cagnardi (e di altri) prevedono quasi sempre forme di perequazione e compensazione sulle aree a standard, perfetta-mente compatibili con il DM. Non neanche vero che il DM imponga indici differenziati o la discrimi-nazione o ingiustizie fra le proprie-t, e neanche che il PRG vigente preveda un evidente sovradimensionamento dei nuovi carichi insediativi ( vero il contrario, si tratta di diverse modalit di calcolo dei carichi insediativi esistenti, dove tra laltro le funzioni residenziali non erano rappresentate, pur la giurisprudenza prevedendo diversamente). Ma tant: da premesse sbagliate non possono che conseguire conclusioni sbagliate. Poi ovviamente c anche un motivo pratico: avviandosi alla conclusione il recupero di molte aree dismesse milanesi (ne mancano per ancora tante), si ricomincia a guardare alle aree libere. Ma, qualunque ne sia stata lorigine culturale o ideologica, il problema che ci troviamo adesso con il PGT di Milano che avendo scelto un indice unico su aree dismesse e su aree libere o agricole (Parco Sud escluso beninteso) e dovendo garantire la fattibilit degli interventi sulle prime, con indici quindi non bassi, a indici edificatori di base molto elevati ed estesi sul territorio corrispondono inevitabilmente previsioni edificatorie complessive queste s elevatis-

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sime, senza possibilit di sostenerle in termini di capitale sociale urbano (come si diceva una volta: infrastrutture, servizi, spazi collettivi, ecc.) e con possibilit di trasferimento molto ridotte (essendo gli indici di base essendo molto prossimi a quelli finali). E sufficiente ridurre in modo indifferenziato tali indici? Certo questo pu servire a ridurre il nuovo carico insediativo complessivo, ma rischia

di buttare fuori mercato il recupero delle restanti aree dismesse e incentivare lintervento su aree libere (soprattutto se non si prevedono indici di densificazione minimi). E ancora tecnicamente fattibile la distinzione fra aree libere ed edificate? Certo che s, basterebbe accogliere le osservazioni presentate in tale senso, e se la loro individuazione grafica dovesse richiedere troppo tempo, lo si potrebbe fare in

un primo momento in via normativa (facendo riferimento ad esempio allo stato di fatto su base catastale) e avviando contestualmente lindividuazione cartografica (che comunque non dovrebbe essere gravosa, corrispondendo in larga misura le aree inedificate allo standard non attuato nel PRG vigente). Insomma forse ce la si pu ancora fare.

LA RIVOLUZIONE LIBERALE DI MARIO MONTI Giuseppe Ucciero


Non so quanti abbiano davvero letto il discorso di Mario Monti al Senato. Personalmente lo consiglio a tutti, specie a sinistra. Ben lontano dal limitare i propri compiti al tempo emergenziale di alcuni mesi, il neo Presidente traccia a grandi linee una visione complessiva della Riforma della Repubblica, fondandola su principi liberali ben fermi, sia pur temperati da contrappesi solidali. Quando dice Ci che si prefiggiamo di fare impostare il lavoro, mettere a punto gli strumenti che permettano ai Governi che ci succederanno di proseguire un processo di cambiamento duraturo non delinea il profilo di un governo a tempo, ma le coordinate di unarchitettura talmente solida da potersi reggere anche dopo di lui e quasi perfino contro la volont di chi gli succeder. Altro che governo tecnocratico ed emergenziale, qui c la pretesa di una riforma del paese che simpone nella sua oggettiva necessit: aldil delle convulsioni della politica partitica, c lo scenario di una vera e propria Rivoluzione Liberale, quella che in Italia non c mai stata. Al centro della visione di Monti sta il mercato, come migliore ambiente relazionale in cui garantire, attraverso la competizione onesta, sia la pi efficace allocazione delle risorse che il riconoscimento dei meriti e del contributo che ciascuno apporta alla societ. Un ambiente che per funzionare va sgombrato dalla rete vischiosa e multiforme degli interessi organizzati, ma che ben lontano dalla prateria deregolata in cui gli animal spirits possono galoppare sfrenati, travolgendo tutto e tutti. Sembra chiaro a Mario Monti il carattere sociale del mercato, il suo essere frutto di un processo storico culturale che afferma il principio dello scambio eguale contro quello della rapina e della sopraffazione. Lontano dalla concezione filosofica di matrice anglosassone che vede il mercato quale contesto naturale della condizione umana, Monti sembra intenderlo come costrutto storico-culturale di regole, esito di una elaborazione evolutiva di principi, criteri e soprattutto interessi. Quando rivendica polemicamente la sua battaglia contro Microsoft, Monti afferma, con il suo profilo di sacerdote delle regole, anche la loro stretta necessit perch si possa parlar di Mercato. ben chiaro cos che la rivoluzione liberale di Monti dista le mille miglia dallindividualismo proprietario di Silvio Berlusconi, per il quale semplicemente la regola un ostacolo e la tassa un balzello. Ma mille miglia lontana anche dalla visione per cui il progresso sociale si fonda sullequivalenza tra bene comune e propriet collettiva, sullespansione dei compiti dello Stato e sul ruolo essenziale delle rappresentanze collettive nella gestione degli interessi sociali. Per Mario Monti, lItalia storicamente vittima della incompiutezza della sua rivoluzione liberale, cos come riconoscibile anche nel grande compromesso sociale del dopoguerra: bassa tassazione e libert devasione per il lavoro autonomo, bassa produttivit e inamovibilit del pubblico impiego, robuste tutele al lavoro e rigidit del suo mercato. Presupposto essenziale ed esito di questo compromesso erano la spesa pubblica come prestatrice politica di ultima istanza e uneconomia nazionale protetta. La deregulation mondiale ne ha via via scardinato progressivamente la sostenibilit fino ai drammi odierni. Monti ci dice con chiarezza nel contesto globale che non possiamo pi permetterci una societ in cui il flusso dei processi economici e linterazione dei suoi fattori (capitali e persone) sia cos fortemente ostacolato dai corporativismi e da una Politica che, invece che fissarne le regole, opera in prima persona, distorcendone il funzionamento. Via allora i privilegi della Casta, che usa la cosa pubblica, massimizzando con gli sprechi il suo potere. Via la propriet pubblica di Beni che per la loro natura, o per luso sconsiderato che ne viene fatto, possono e debbono essere dismessi. Via gli pseudo mercati dei servizi professionali e le relative caste (riordino della disciplina delle professioni regolamentate). Via la pretesa delle organizzazioni sindacali di contrattare la mobilit dei lavoratori dipendenti sul mercato del lavoro (modello della flexsicurity). E cos via Ma se il mercato va da un lato sgombrato da residui ideologici e prassi neocorporative, dallaltro lato Monti riconosce che lillegalit ne limita o addirittura annulla lefficacia: la libert accordata agli operatori trova nella sua visione un forte contrappeso nel riconoscimento che la produzione della ricchezza non mai solo lesito di uno sforzo individuale ma, anche, del contesto sociale che lo rende possibile, lo premia e lo obbliga. Se per lindividualismo volgare degli ultimi due decenni, le tasse sono semplicemente la mano del diavolo, per Monti sono la certificazione di un chiaro debito sociale e di un imprescindibile obbligo etico. S allora allimposta sulla casa: Lesenzione dall'ICI delle abitazioni principali costituisce, sempre nel confronto internazionale, una peculiarit - se non vogliamo chiamarla anomalia - del nostro ordinamento tributario. S, plus ultra di Vincenzo Visco, a (...) abbassare la soglia per l'uso del contante, favorire un maggior uso della moneta elettronica (). S, al passaggio della tassazione dei redditi verso la tassazione dei patrimoni grazie (...) al monitoraggio della ricchezza accumulata (...). E cos via

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Non siamo di fronte a misure emergenziali, ma al manifesto liberale del nuovo patto sociale, presentato da Monti a nome dei soggetti che, delusi dal ventennio berlusconiano, cercano le ragioni di una nuova stagione e di una nuova egemonia. Sono i poteri forti? Se per questi intendiamo le grandi tecnocrazie finanziarie, lalta burocrazia romana (almeno una parte), e lo stesso Vaticano, s, certamente, ma non solo. Sotto la sua bandiera, cercano riconoscimenti molteplici soggetti, o parti di essi. Tra questi in primis, anche quella stessa borghesia che ha gi cambiato la guida di Milano e ora sposta il suo baricentro dazione sul governo della Nazione. Sta bene tutto questo alla Sinistra? Condivide la visione? Ne ha una alternativa? La sinistra, come tutto

lo schieramento partitico, ma anche le articolazioni degli interessi, chiamata da Mario Monti e dai suoi sponsor a scelte strategiche, che ne potranno ridefinire anima e posizionamento. Nel PDL come nello stesso PD, il manifesto montiano taglia verticalmente culture e insediamenti sociali, fino a prefigurare esiti e rimescolamenti al momento inaspettati: una nuova agenda della sinistra ormai pi che unopzione uno stato di necessit I richiami alle regole e alleticit della tassazione suonano dolci alle orecchie della sinistra, ma a ben veder sono accordi di uno spartito discordante con le antiche armonie che ne hanno accompagnato la storia: nodi secolari attendono di essere sciolti, per non venire tagliati. Nella memoria profonda dei lavora-

tori sta racchiuso un istinto che lega strettamente la sopravvivenza individuale allunit organizzata degli interessi collettivi e non appare per nulla agevole pensare che questo schema, elementare ma potentissimo, possa disciogliersi nel quadro di un mercato dove il lavoratore, pur garantito da nuove regole, pi solo di fronte al padrone. E il movimento mondiale degli Indignados ci dice che il mercato non solo il luogo in cui prevale la razionalit dello scambio eguale, ma anche il terreno privilegiato della criminale azione di molta parte del capitale finanziario. Chi potr fissare le regole e tutelare il diritto al benessere e alla felicit se non i soggetti collettivi, vecchi e nuovi?

PER UNA BREVE STORIA DEL VERDE CIVICO Marco Romano


Mille anni fa le citt europee erano un agglomerato di case affacciate su stradine strette strette ai cui margini erano addossati il recinto della chiesa e quello del mercato con le loro specifiche giurisdizioni. I mille anni successivi sono stati dominati dalla volont di renderle pi belle sia allargando le vie per apprezzare meglio le facciate delle case, sulla cui bellezza i cittadini mostrano il proprio status sia aprendo strade e piazze tematizzate, strade e piazze cio con un loro specifico carattere e con una loro riconoscibilit che le ha rese significative nella nostra sfera simbolica, al cui stock tutte le citt, dal villaggio alla capitale, da Trapani a Edimburgo e da Siviglia a Danzica, hanno fatto ricorso per esprimere la propria volont di bellezza. Tutti erano infatti in grado di riconoscerle e di apprezzarle fino a mezzo secolo fa, tutti sapevano in cosa consistesse la bellezza della loro citt: forse sarebbe il caso di reimpadronirci del loro elementare lessico, se volessimo un giorno progettare una Milano pi bella. Per prima cosa i mercanti hanno aperto la strada principale con le loro botteghe corso Vittorio Emanuele cui, nellingrandirsi di Milano, sono seguite altre strade principali minori, di settori cittadini, come corso Vercelli o corso Buenos Aires o di singoli quartieri. Poi, a met del Duecento, sono emerse le strade trionfali, quelle dritte verso un fondale in qualche misura tematizzato, a quei tempi le porte nelle mura ma in seguito la torre ricostruita del castello sforzesco e persino la stazione centrale o il grattacielo di piazza Diaz visto dalla galleria. Nel tardo Trecento compaiono le strade dove i maggiorenti concentrano le loro case, vere strade monumentali come corso Venezia o comunque con la migliore architettura dei tempi, come alla fine dellOttocento via Dante: a nessuno sarebbe mai venuto in mente fino a ieri - di piantumarvi un albero, a rischio di intralciarne la visibilit e la natura. Nella seconda met del Cinquecento compare a Siviglia, per la prima volta, una larga passeggiata alberata, aperta e chiusa da cancellate, dove chi poteva permetterselo andava la sera a mostrarsi in carrozza, una passeggiata trasmigrata presto a Valencia e dalla locale colonia catalana promossa a Firenze, dove il granduca andava la sera in carrozza con la figliola Maria, che sposa al re di Francia ne vorr una anche a Parigi, il cours de la Reine sul bordo della Senna, davanti alle Tuileriers, larga ottanta metri e lunga ottocento: da allora, prima o dopo, tutte le citt vorranno una passeggiata alberata, a Milano lormai irriconoscibile, ridotta a un parcheggio e deturpata da un distributore, via Marina. Ma, attenzione, una volta riconosciuta come un tema che rende la citt pi bella verr ripresa anche quando la moda del passeggio serale sar declinata. Ne riconosciamo lintenzione estetica per la cospicua ampiezza e per il fatto di venire suggerite in qualche misura, come nel modello originale, aperte e chiuse da entrambi i capi: il primo e lultimo tratto di corso Sempione, dal lato dellArco della Pace e dal lato di piazza Firenze, sono larghi trenta metri, mentre il corpo centrale allargato a novanta metri, cos da rendere riconoscibile il suo voler essere una passeggiata, come via Morgagni o via Marcello e beninteso la croce di piazza Libia. Alla fine del Seicento compaiono a Parigi, sul sedime delle mura demolite, i boulevard, ampi viali anchessi alberati ma molto meno ampi delle passeggiate e soprattutto non idealmente chiusi ma disposti uno di seguito allaltro, spesso con una piazza a fare da cerniera: a Milano la cerchia dei bastioni spagnoli, larga trenta metri, e in seguito le due cerchie successive, larghe quaranta e cinquanta metri. Ma intanto lidea che anche le vie residenziali sarebbero state pi belle se alberate prendeva piede, purch larghe abbastanza e purch i frontisti non reclamassero per la perdita della vista. E poi le piazze. Federico I Barbarossa a rivendicare, nella dieta di Roncaglia, il suo diritto di erigere per il proprio rappresentante un palazzo in effetti i pavesi lo avevano assaltato e demolito qualche anno prima suggerendo cos che anche i Comuni dovessero avere un proprio palazzo municipale, con una piazza accanto dove riunire quellassemblea popolare che legittimava ed eleggeva il consiglio civi-

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co convocato nel grande salone al primo piano del broletto, a Milano al centro dellattuale piazza dei mercanti: qui gli europei letteralmente hanno inventato la piazza, e Alberto Magno, nelle sue prediche contemporanee, ne sar cos consapevole da paragonarla al Paradiso, contrapposto al dedalo delle viuzze cittadine, quasi un Inferno. Questa lorigine della piazza principale, dove i cittadini spontaneamente concorrono quando in gioco la sfera della propria identit di cittadini, il cui ruolo simbolico pu poi nel tempo trasferirsi in unaltra piazza sempre nel centro della citt: oggi piazza del Duomo per i comizi di un tempo, per i funerali di Emilio Alessandrini, per la vittoria della Nazionale di calcio. Linvenzione della piazza suggerir di promuovere a piazza anche il recinto del mercato e in seguito quella davanti ai conventi dei frati mendicanti francescani, domenicani, agostiniani perch possano predicare ai passanti catturando forse con le proprie vigorose parole un eretico di passaggio; pi tardi, nei primi decenni del Quattrocento, anche una piazza davanti alle chiese maggiori aperta soprattutto per le processioni della via crucis. A partire dal secolo successivo verranno di moda le piazze monumentali, circondate da edifici di cospicua qualit architettonica come piazza della Scala o addirittura della medesima architettura come le plaza ma-

yor spagnole, le place royale francesi, Piccadilly Circus a Londra e moltissime altre in quasi ogni grande citt europea - a Milano piazza del Duomo - spesso dedicate allo Stato e alla Nazione erigendo al loro centro la statua del sovrano. Eccoci ora al punto centrale, alloccasione di questo articolo: a causa del loro stesso ruolo simbolico - sito dellassemblea civica, delle prediche, della via crucis, della coerenza architettonica, delle statue dei sovrani - a nessuno sarebbe mai venuto in mente di piantarvi qualche albero o di seminarvi un prato, come ogni tanto qualcuno vorrebbe in piazza del Duomo, mentre sono da sempre ammesse qualche bancarella e persino teatrini purch smontabili e a termine. Ma, mentre in Italia ancora nella ricostruzione delle citt in Calabria alla fine del Settecento era possibile presidiare le nuove piazze con chiese o con conventi, in Inghilterra con la soppressione dei conventi le nuove piazze verranno fin dal Seicento tematizzate semplicemente da un giardino, quei famosi square che nellOttocento diventeranno il modello delle nuove piazze tracciate nei piani regolatori con un giardino pubblico al centro piazza Piola, piazzale Susa, piazza Insubria, piazza Libia, piazza Martini, piazza Napoli, piazza Siracusa e quante altre: queste per la loro stessa natura sono invece ricche di alberi e di prati.

La volont estetica delle citt sempre stata consapevolmente espressa nel disporre strade e piazze tematizzate in sequenze, le une di seguito alle altre, e nel disporre su queste sequenze i temi collettivi man mano maturati allorizzonte delle citt europee. Il concetto generico di verde, oggi cos abusato, rischia di compromettere le caratteristiche specifiche di ogni piazza, della quale occorre invece mantenere quella conformazione visibile che le rende riconoscibili, a dispetto della diffusa insipienza della sfera simbolica sulla quale fondata la riconoscibilit della citt e il riconoscimento della dignit dei cittadini. E se poi qualcuno volesse assumere come obiettivo di un nuovo piano regolatore un PGT? di fare della futura Milano una citt davvero pi bella, non avrebbe da fare altro che progettarla disegnando nuove sequenze di strade e di piazze tematizzate proprio come hanno fatto per mille anni i nostri predecessori costruendo quella citt della quale ancora ammiriamo la bellezza e la volont di eguaglianza, ch se i pi abbienti abitano accanto a piazza del Duomo e a piazza della Scala, nel cuore simbolico dellurbs, i meno doviziosi abitano in una periferia arricchita di grandiosi boulevard e di ampi square a giardino che i primi non hanno. Ma non vedo allorizzonte arancione un motivo per sperarci.

ESISTE UN FUTURO PER GLI ALBERI IN CITT? Giovanni Sala

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Gli esperti della Societ Italiana di Arboricoltura (SIA), Chapter italiano della International Society of Arboriculture (ISA) affermano che la vita media di un albero in citt di 15 anni. Come possiamo garantire ai nuovi impianti vegetali una vita pi longeva affinch possano gradualmente sostituire gli alberi secolari che, con grandi sforzi, siamo riusciti ad allevare nei nostri viali? A questa domanda, ricercatori, arboricoltori e paesaggisti del settore pubblico e privato, raccolti da pi di venticinque anni attorno alla rivista specializzata Acer, cercano di dare delle risposte che possano essere di facile applicazione proprio nel difficile ambiente urbano. Normalmente ci si concentra sulla scelta delle specie arboree da impiantare, considerando i cromatismi di foglie e fiori, il portamento e lo sviluppo presunto della chioma a maturit; difficilmente vengono per valutate le esigenze ecologiche delle piante (luce, temperatura, acqua, suolo) e tanto meno lo spazio necessario a un corretto accrescimento dellapparato radicale. Ma proprio dalla corretta preparazione del sito dimpianto che dipenderanno in gran parte lattecchimento e lo sviluppo di un nuovo albero. Francesco Ferrini, docente di Arboricoltura dellUniversit degli Studi di Firenze ci ricorda che sono necessari da 28 a 48 mc di substrato esplorabile dalle radici perch la chioma raggiunga le dimensioni naturali fornendo tutti i benefici estetici e ambientali attesi, quali il miglioramento del microclima, lassorbimento di CO2 e inquinanti vari, comprese le polveri sottili, fornendo inoltre ospitalit alla fauna urbana e in generale benessere ai cittadini. La buca di impianto dovrebbe avere almeno un metro di profondit e una superficie minima di 2,5 mq per garantire un volume di suolo adeguato per il primo periodo di crescita postimpianto e le relative necessit idriche e nutritive, nonch consentire un idoneo ancoraggio. Ovviamente questi parametri sono difficili da garantire in ambienti antropizzati come la citt di Milano, dove non solo il suolo esplorabile molto limitato, ma il sottosuolo particolarmente ricco di sottoservizi posizionati in modo non sempre coordinato tra i diversi enti gestori. Basti pensare che per piantare un albero nel centro della nostra citt necessario che lUfficio Coordinamento del Comune di Milano raccolga trentadue diversi pareri. La presenza dunque di sottoservizi

un forte fattore limitante allimpianto di nuovi alberi che dovrebbe essere affrontato con le seguenti modalit: rispettare una distanza minima di 2,5 metri tra il nuovo albero e i sottoservizi esistenti o previsti e qualora, non si riesca a rispettare tale distanza, si possono adottare soluzioni tecnologiche che garantiscano unadeguata protezione delle tubazioni interrate; tra queste figurano i cunicoli multi-servizi, le tubazioni rinforzate, la realizzazione di sistemi protettivi consistenti in manufatti di calcestruzzo o posa di teli antiradice. Un altro accorgimento per garantire lo sviluppo dellapparato radicale, creando un ambiente sufficientemente areato e drenato, luso di suoli cosiddetti strutturali o ingegnerizzati. Laura Gatti, docente presso lUniversit degli Studi di Milano, ha avviato uno specifico progetto di ricerca proprio per definire il mix di componenti (sabbia, ghiaia, lapillo) e sostanza organica che conferiscano ai siti di impianto caratteristiche tali da accogliere i nuovi alberi garantendo altres una adeguata portanza per il traffico veicolare. Troppe volte infatti i nostri viali alberati sono utilizzati come parcheggi, pi o meno abusivi, senza aver creato le condizioni per una pacifica convivenza tra lalbero e altre funzioni dello spazio urbanizzato. Situazione diversa quella delle aree industriali dismesse dove ampie superfici di territorio sono state trasformate in parchi pubblici; come immaginabile, anche per questioni di sostenibilit economica e ambientale, le macerie di demolizione e i materiali di scavo, dopo le opportune bonifiche vengono mantenuti in loco consentendo la realizzazione di nuovi fantastici paesaggi. Ne sono un esempio i programmi di riqualificazione urbana realizzati nella exOM di via Bazzi, nella ex Maserati di via Rubattino e nella ex-Alfa Romeo al Portello. In questo caso il problema stato di garantire una adeguata fertilit a suoli per lo pi inerti e compattati, arricchendoli con adeguata quantit di sostanza organica. Grazie allo sviluppo della raccolta differenziata e allimpegno di storiche realt come la Scuola Agraria del Parco di Monza e il Consorzio Italiano Compostatori, disponiamo oggi di ingenti quantit di compost di qualit, realizzato con gli scarti delle cucine e delle attivit di giardinaggio, come si sempre usato fare nelle nostre campagne. Lapporto di compost anche in elevate quantit ha consentito di realizzare sub-

strato fertile per migliaia di alberi che hanno raggiunto dimensioni ragguardevoli in molti nuovi parchi cittadini. Per rispondere alla sempre maggiore richiesta di alberi, emersa con forza anche nellultimo referendum popolare, gli spazi disponibili nel nostro piccolo territorio comunale (187 kmq) sembrano essere insufficienti. Un possibile e significativo contributo deriva dai giardini pensili, ossia giardini realizzati sopra alle coperture piane che possono accogliere sistemazioni a verde dotate anche di alberi e arbusti. A tal proposito importante ricordare che lItalia, prima in Europa, ha pubblicato una specifica norma UNI, n.11235 del maggio 2007, che fornisce tutti gli elementi tecnici indispensabili per garantire il successo dei giardini sospesi. La norma dettaglia i requisiti del pacchetto di copertura e affronta, con grande semplicit, un tema molto delicato che quello degli spessori del substrato di radicazione, consigliato per ogni tipologia di albero, da quelli pi piccoli come gli alberi da frutto a quelli in grado di raggiungere grandi dimensioni. Questo aspetto risulta particolarmente rilevante quando si vuol realizzare un giardino pensile alberato in aree vincolate, ad esempio sopra i parcheggi. In tale situazioni, gli organi preposti spesso impongono spessori di substrato di 2-3 metri che non tengono conto n delle indicazioni della Norma n delle esigenze reali degli apparati radicali con conseguente aggravio dei costi di realizzazione delle solette portanti. Per creare un pi facile e diretto collegamento tra il mondo tecnicoscientifico e la sensibilit dei cittadini, aiutandoli a comprendere meglio limportanza della Natura in citt, attiva in Europa da quasi dieci anni la rete delle Green City alla quale si aggiunta due anni fa Green City Italia. Questultima, proprio in questi giorni, in collaborazione con il Ministero dellAmbiente e lAssociazione Italiana Direttori e Tecnici Pubblici Giardini, ha portato in piazza Duomo gli alberi tanto desiderati dal Maestro Abbado che, con laiuto dellArchitetto Piano, aveva immaginato un boschetto proprio nellarea soprastante il mezzanino della Metropolitana dov sorto il Bosco del Respiro. Sono convinto che, alla luce del successo di questa piccola ma significativa installazione, realizzata in occasione della Giornata dellAlbero, anche questo grande

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sogno potr realizzarsi con la buona

volont di tutti, tecnici e non.

LESPRIT DE VIVRE DI MILANO E IL PGT Giuseppe Merlo


Il PGT affrontato volutamente da diverse prospettive stato al centro del confronto promosso da Porto Franco club il 17 novembre scorso. A discuterne un panel inconsueto, pi donne che uomini: Lucia De Cesaris, il primo assessore di genere allurbanistica a Milano, Francesca Zajczyk, docente di sociologia urbana e Silvia Sacchi giornalista economica, con loro Marco Vitale, economista attento analizzatore della vita amministrativa e sociale di Milano e Arturo Artom, a rappresentare Assolombarda. Lassessore De Cesaris ha preferito inquadrare la complessit della materia ereditata con i tempi entro cui devono essere prese le decisioni: uno scenario che non induce n a suggestioni, n a illusioni rivoluzionarie, bens impone un approccio di concretezza e di pragmatico riformismo. Innanzitutto bisogna dare risposta a oltre 5.000 osservazioni, bisogna apportare le variazioni possibili a quelle soluzioni proposte che siano in contrasto con la visione del bene comune, che rappresenta lorizzonte della Giunta Pisapia. Le Linee Guida del PGT, approvate dalla Giunta, sono orientate al rafforzamento della citt pubblica, con in evidenza la centralit dellabitare da declinarsi in un contesto di compatibilit economica dei suoi abitanti attuali e futuri e della qualit urbana da perseguire nel segno della discontinuit dal passato. La qualit urbana con proiezione sullarea metropolitana una delle correzioni da apportare al PGT ereditato dalla Giunta Moratti & Masseroli, e sospeso nella sua pubblicazione. La qualit urbana da perseguirsi in modo coordinato con la promozione di una diversa qualit energetica e soprattutto con un nuovo piano integrato della mobilit urbana proiettato in una visione metropolitana. Condividendo le line guida illustrate dallassessore, Marco Vitale, ha voluto sottolineare che il piano generale di sviluppo di una citt non pu che fare riferimento alla visione della citt stessa espressa dai cittadini che vi ci vivono. Per queste ragioni il confronto sul PGT non deve avvenire su aspetti tecnici, trascurando lesprit de vivre di Milano, e quindi porsi come orizzonte la risposta affermativa alla domanda: siete contenti o scontenti di vivere a Milano. Vivere e lavorare a Milano, e quindi pensare allo sviluppo della citt in funzione dei suoi drivers reali, che sono un nugolo di piccole attivit imprenditoriali che ricercano risposte adeguate e accessibili. Francesca Zajczyk ha voluto sottolineare come le radici forti di Milano, che vengono da lontano, hanno tenuto facendo da freno al rischio di banlieu, ghetti e separatezze, come avvenuto a Parigi e Londra, e partendo da questo dato positivo per il suo sviluppo la citt deve puntare ad aumentare i punti di forza e a ridimensionare quelli di debolezza per rafforzare le potenzialit di radicamento al fine di ripopolare la citt, e per questo deve puntare su infrastrutture, servizi, formazione e diffusione della conoscenza per favorire inclusione e lintegrazione. Pertanto per sviluppare Milano non occorrono tanti mega involucri ma pi politiche di accompagnamento allinsediamento dei potenziali imprenditoriali provenienti da ogni parte del mondo. Arturo Artom ha messo in guardia sulla perdurante crisi del real estate, non ancora esplosa in Italia, e sul rischio di assecondarne politiche espansive, ma di puntare soprattutto su investimenti in infrastrutture e favorire le ristrutturazioni per riuso in un contesto di trasparente fiscalit ma anche di forte deregulation: e a tal proposito ha ricordato la centralit per EXPO diffuso, della proposta del fuori salone. Per Silvia Sacchi la qualit della vita la questione centrale, rafforzando la sua opinione col ricorso a Vaciago non farei mai il sindaco di una citt che sparisce nei week-end. Infine ha ricordato che in una citt dove il 58% delle donne lavora non pu che essere prioritaria la qualit dei servizi e la flessibilit degli orari, che sono componenti essenziali di una buona ricetta per la qualit della vita. A conclusione di un confronto ricco di contributi, lAssessore ha confermato che il dialogo avviato con i Consigli di Zona, con gli Stakeholder e con la citt sar improntato a favorire laccessibilit e linclusione e che comunque la priorit rappresentata perequazione, ovvero nella realizzazione di una qualit omogenea degli accessi ai servizi per tutti i quartieri della citt.

LA PACE E IL NOSTRO STILE DI VITA Rita Bramante


Science for Peace giunge quest'anno alla terza edizione presso la sede prestigiosa dell'Universit Bocconi e si conferma un appuntamento di straordinaria coscienza civile sulle questioni di maggiore attualit per la comunit internazionale e i grandi temi dell'agenda politica globale: rapporto economia e pace, sviluppo scientifico e diritti umani, democrazia partecipativa. La Pace un progetto di tutti e tutti abbiamo il diritto e il dovere di credere in un futuro di Pace, coniugando visione strategica e senso pratico, pensiero e azioni per la Pace. Grazie allo slancio del prof. Umberto Veronesi, alla sua Fondazione per il progresso delle Scienze e al Movimento Science for Peace, Milano si propone come crocevia internazionale di progettualit per la Pace e il sindaco Pisapia nella cerimonia di apertura plaude all'iniziativa della Carta di Milano, lanciata da Veronesi come lascito di EXPO 2015 per la lotta contro la fame nel mondo. consolante e incoraggiante che ci siano eventi come questo, con una larga partecipazione di pubblico, in gran parte giovani, e non soltanto bocconiani. E incoraggiante anche l'applauso prolungato, caldo e convinto al professor Veronesi, ai relatori, ai testimoni e alla senatrice Emma Bonino, che parla con la consueta chiarezza e lungimiranza del ruolo dell'Europa unita nella mediazione e nella risoluzione pacifica dei conflitti, e non soltanto nella governance dell'euro.

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200 miliardi di euro all'anno (a tanto ammonta la spesa sostenuta dai 27 paesi dell'Unione per i 27 eserciti nazionali) che potrebbero, secondo gli studi pi seri, essere ridotti a 130, se si optasse per una politica estera integrata e per un esercito comune europeo con funzioni di peace keaping. Non ci possiamo pi accontentare dell'Europa della bandiera, dei mercati, del PIL e dello spread, ma urgente avviare il corso di una comunit politica di diritti e di valori, che sappia liberare risorse notevoli per scopi socialmente utili. In occasione della ricorrenza dei 150 anni dell'Unit d'Italia non poteva mancare un tributo a Ernesto Teodoro Moneta, unico italiano premio Nobel per la Pace, animatore delle Cinque Giornate di Milano:

lavorare per un avvenire di pace e di giustizia - disse nel suo discorso a Oslo pi di un secolo fa anche se fosse un'illusione, sarebbe per un'illusione cos divina che darebbe senso alla vita. Il Decalogo di Science for Peace magna charta della Conferenza sintetizza alcuni dei temi approfonditi nel dibattito, in particolare il fatto che la scienza ha provato che l'uomo un animale pacifico e che l'aggressivit non scritta nel nostro DNA. In quanto scientificamente dimostrato che la violenza genera violenza, bisogna delegittimare ogni sua forma, mettere al bando la guerra e i suoi strumenti, risalendo alle cause che seminano il germe di molti conflitti: la povert, l'inaccettabile diseguaglianza delle risorse, la

fame, l'ansia di reperire acqua potabile e la sete. L'acqua risorsa limitata, mal distribuita e mal utilizzata; la siccit da sola la prima causa di mortalit. Non fa nessuna differenza se un essere umano muore in un conflitto o perch non ha acqua pulita da bere - dice Shirin Ebadi, premio Nobel per la Pace nel 2003; cos come non era pensabile per il primo direttore della Fao costruire la pace sugli stomaci vuoti. La Pace sostenibile dipende dalla capacit di utilizzare in modo sostenibile le risorse del pianeta e il progresso della scienza pu oggi, nell'era postgenomica, offrire forse anche qualche soluzione, per esempio aumentando la tolleranza delle piante alla siccit nei paesi del sud del mondo.

Scrive Jacopo Gardella


Il progetto di mio padre Ignazio Gardella delledificio in Piazza Duomo (illustrato nella gallery), destinato ad accogliere la stazione della metropolitana, inizia nellanno 1988. La costruzione doveva sorgere nellestremit ovest della piazza, nel medesimo luogo in cui larchitetto Mengoni, intorno allanno 1870, aveva previsto di erigere un corpo di fabbrica a completamento della nuova piazza da lui disegnata. N ledificio di Mengoni n quello di Gardella hanno mai visto la luce. Durante lelaborazione del progetto larchitetto Gardella propone tre successive soluzioni, via via pi elaborate e imponenti, ma tutte accomunate dallutilizzo di uno stesso elemento naturale: lacqua. Con ci si voleva alludere alla presenza dellacqua allinterno della citt storica; e ricordare linvenzione delle chiuse lungo il corso dei Navigli. La prima soluzione (progetto 1) propone un allineamento di alti pilastri a sezione rombica, isolati e acefali, disposte su tre file contigue, di cui le due laterali pi avanzate verso il Duomo, mentre quella centrale si presenta pi arretrata, quasi in segno di deferenza di fronte al monumento del Re. I pilastri sono collegati tra loro da pi condutture dacqua, sovrapposte luna sullaltra; dalle condutture scende un velo ininterrotto di acqua, simile a una parete semi trasparente, che genera leffetto di una cortina liquida, posta sul fondo della piazza, a fare da fondale e da chiusura dietro alla statua equestre di Vittorio Emanuele II. Lo schermo dacqua che scende a cascata la nota dominante di questo primo progetto. I pilastri hanno la funzione di sostenere delle condutture idriche, ma anche lo scopo di creare una barriera sul fondo della piazza, per mezzo delle quali accorciarne leccessiva lunghezza, da tutti giudicata sproporzionata e dispersiva. La campata formata dai due pilastri centrali viene lasciata priva di acqua per consentire la vista del Duomo nella estremit opposta della piazza. La seconda soluzione (progetto 2) pu considerarsi un proseguimento e uno sviluppo della prima. Lacqua resta lelemento naturale dominante; e la sua caduta a cascata mantiene lapparenza di un velo ininterrotto. Vengono invece radicalmente modificati i supporti delle condutture idriche, che da pilastri isolati si trasformano in robusti sostegni di archi ribassati, allineati in serie luno accanto allaltro. Allinterno degli archi viene fatto scendere un velo dacqua simile a quello gi visto nel progetto1. Tra i due archi centrali rimane una fessura, priva di acqua, che ha lo scopo di inquadrare il portone dingresso principale del Duomo. In questa soluzione lelemento acqua perde dimportanza nel complesso della costruzione; e si riduce a vantaggio delle parti murarie, cio della serie continua di arcate, allineate lungo ununica linea retta, che va da un lato allaltro della piazza. La terza e ultima soluzione (progetto 3) introduce una forte innovazione rispetto alle due soluzioni precedenti. Essa, infatti, non si presenta pi come uno schermo, una barriera, un diaframma; ma come un corpo tridimensionale, un volume stretto e allungato, un vero e proprio edificio posto di traverso sul fondo della piazza, non diversamente dall edificio a suo tempo concepito dallarchitetto Mengoni. La parte centrale del corpo traforata da sei arcate a tutto sesto; anchesse, come gli archi del progetto 2, riempite da un velo dacqua continuo. Nel centro aperta una fessura stretta e alta, priva di acqua, attraverso la quale si ha la vista del Duomo sullaltro lato della piazza. Nelle due opposte estremit il corpo di fabbrica privo di aperture e ospita due ambienti a uso museale, lasciati a disposizione della Veneranda Fabbrica del Duomo. Sempre nelle due opposte estremit del corpo salgono due rampe di scale a cielo aperto, e conducono a una lunga passeggiata panoramica, coperta da una leggera pensilina metallica, e pensata come balcone belvedere da cui guardare dallalto sia la piazza sia il Duomo. In questultima soluzione scomparsa la tipologia dello schermo ed subentrata quella del corpo voluminoso, di aspetto massiccio e di notevole spessore. La presenza dellacqua si ulteriormente ridotta;

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www.arcipelagomilano.org mentre la massa muraria si sensibilmente accresciuta. Da un impianto bidimensionale iniziale si passati a un corpo tridimensionale, a un vero e proprio edificio, di forma stretta e molto allungata, posto, come una barriera, a chiusura della parte occidentale della piazza. Mentre nelle prime due soluzioni ancora presente e percepibile la tipologia della fontana, nella terza e ultima, nonostante il velo di acqua che scende sotto gli archi, ogni idea di fontana si attenua e scompare. Nota conclusiva sulle tre soluzioni di progetto. Si pu dire che, oltre alla presenza dellacqua, vi unaltra costante che apparenta i tre progetti: essa pu essere definita come omaggio sia alla tradizione sia alla classicit. Alla tradizione si riferisce luso del marmo di Candoglia, lo stesso con cui costruito il Duomo, e con il quale sono ricoperte tutte le parti murarie delle tre soluzioni; sempre alla tradizione si riferiscono alcune forme architettoniche riprese dal passato come gli archi e i pilastri isolati, che ricordano le colonne di S. Lorenzo. Alla classicit sispira limpianto dellintera composizione, basato su simmetrie e assialit. Entrambi questi riferimenti, alla tradizione e alla classicit, sono il motivo per cui il monumento di Piazza del Duomo stato censurato da alcuni e apprezzato da altri.

RUBRICHE MUSICA questa rubrica curata da Palo Viola rubriche@arcipelagomilano.org Danish Quartet e Milano Classica
Sembravano quattro studenti di Oxford o di Cambridge, di quelli che passano la domenica ad allenarsi in canoa sul fiume, tutta giovinezza e bon ton, quattro ciuffi biondi legati da una fortissima intesa e complicit ma soprattutto da quel particolare piacere, di cui spesso abbiamo detto, del suonare insieme. Un concerto piacevolissimo, di grande qualit sia per il programma che per lesecuzione, quello del Danish String Quartet di luned scorso al Conservatorio per le Serate Musicali; un quartetto darchi che in meno di dieci anni dal debutto ha gi raggiunto un elevatissimo grado di maturit musicale. Il programma era composto da tre quartetti: di Haydn (n.5 in re maggiore opera 64, detto dellallodola per certe allusioni onomatopeiche), di Mendelssohn (n. 6 in fa minore opera 80) e di hostakovich (n. 2 in la maggiore opera 68), vale a dire 1700, 1800, 1900; ovvero il quartetto classico, il quartetto romantico e quello moderno (forse mancava un quartetto contemporaneo ). Ma soprattutto tre stati danimo e tre atmosfere radicalmente opposte: unopera solare e radiosa la prima, espressione di un felice equilibrio interiore (Haydn era appena tornato a Vienna, nel 1790, si era innamorato quasi sessantenne della bella Maria Anna von Genzinger e gli si era aperta una ricca prospettiva professionale a Londra); la seconda unopera di profonda mestizia, cupa e dolorosa, senza speranza (nel 1847 Mendelssohn aveva appena perso la sua adorata sorella Fanny e forse presagiva la propria morte, che lavrebbe ghermito solo pochi mesi dopo); infine lultima, di intensa drammaticit se si pensa che hostakovi lha scritta nel 1944 e cio nel momento pi tragico della seconda guerra mondiale (nel gennaio era terminato lassedio di Leningrado e nel successivo mese di novembre, proprio in quella citt, il quartetto fu eseguito per la prima volta). Dunque un programma che ha messo a confronto la straordinaria capacit e la ricchezza di espressione del quartetto darchi per raccontarci - senza neppure chiamarne in causa il nume tutelare, quel Beethoven che proprio con i quartetti ha intimorito tutti i compositori venuti dopo di lui - la sua evoluzione nel tempo, da un secolo allatro, ed anche nello spazio (dalla Vienna imperiale alla Lipsia luterana, fino alla Mosca di Stalin!). Dei tre, il quartetto russo il meno noto ma anche il pi complesso e interessante: se il primo tempo (Ouverture, moderato con moto) descrive le atrocit della guerra, il secondo (Recitativo e romanza, adagio) un urlo lacerante, come di paura e di orrore, che poco a poco si spegne in un canto damore, profondamente slavo, dapprima dolce e malinconico poi desolato come di fronte alle rovine della citt, e si conclude inaspettatamente con la pi classica risoluzione della dominante sullaccordo perfetto di tonica quasi a dire basta, si ricomincia da capo ; il Valzer che segue una pensosa danza macabra mentre linusitato adagio dellultimo tempo un Tema con variazioni in cui i quattro strumenti parlano fra loro alternandosi in una serrata conversazione come per commentare i tragici eventi appena vissuti. Unesecuzione limpida, fresca, talvolta un po troppo veloce ma sempre elegante, precisa e chiara, che ha scatenato lentusiasmo del pubblico; il quale era molto scarso, forse a causa della serata fredda ma, temiamo, anche a causa della fama ancora incerta del giovane quartetto poich tutti corrono quando vi sono in cartellone i soliti grandi nomi e pochi si rendono conto che danno di pi e meglio i giovani che il nome se lo debbono ancora fare. Un altro magnifico pezzo di hostakovi stato eseguito domenica mattina alla Palazzina Liberty di Largo Marinai dItalia per iniziativa di Milano Classica, lAssociazione guidata da Maria Candida Morosini. Loccasione era la presentazione della stagione 2011-2012 progettata dal direttore artistico Gianluca Capuano, che prevede ben 16 concerti, tuttaltro che banali e anzi pieni di curiosit e di sorprese, dal 15 gennaio al 10 giugno prossimi, quasi sempre alle 11 del mattino della domenica. Sono concerti di grande godibilit, che si svolgono nella magica atmosfera della palazzina che fu inizialmente il bar ristorante del vecchio Verziere (il mercato ortofrutticolo milanese, fra il 1911 e il 1965, si teneva proprio l intorno), poi per alcuni anni sala di teatro per Dario Fo ed oggi sede dellOrchestra Milano Classica; immersa nel parco e inondata di sole grazie alle grandi vetrate, non sembra di essere a Milano, ci si sente piuttosto a Berlino. Ed anche la musica, ascoltata alla luce del giorno anzich nel semibuio delle sale da concerto, acquista altri significati e un colore diverso.
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www.arcipelagomilano.org Sul palcoscenico si esibiva unorchestra darchi austriaca dal nome altisonante - Arpeggione Kammerorchester - diretta dal bosniaco Robert Bokor, e una bella e giovane violinista uzbeka, Maria Azova; dominava unaura tzigana non proprio confacente alle musiche di Saint-Sans e di Pablo de Sarasate, e neanche alle modeste trascrizioni per orchestra darchi di pagine pianistiche lisztiane. La Sinfonia da camera opera 110 di hostakovi, invece, stata eseguita in modo esemplare, mostrando ancora una volta - se ce ne fosse bisogno lo spessore di questo magnifico musicista di cui in Italia, a 36 anni dalla morte, si danno troppo poche opere e non si ancora scoperta la reale grandezza. Musica per una settimana *gioved 1 e sabato 3 al teatro Dal Verme lOrchestra dei Pomeriggi Musicali diretta da Marcello Panni eseguir un concerto di musiche del 900: il Concerto per violoncello e orchestra di Casella (solista Umberto Clerici), il Ritratto di Don Chisciotte di Petrassi, e due pezzi dello stesso Panni (Short e gli Inni a Diana e a Roma da Giacomo Puccini) *gioved 1, venerd 2 e domenica 4 allAuditorium, lOrchestra Verdi diretta da Zhang Xian prosegue lesecuzione integrale delle Sinfonie di aikowskij con la Sinfonia n. 1 opera 13 in sol minore; sempre di aikowskij eseguir Sogni di inverno opera 33, e concluder con Luccello di fuoco di Strawinskij *gioved 1, al Conservatorio per le Serate Musicali, la violinista Julia Fischer e la pianista Milana Chernyavska hanno in programma tre Sonate: di Beethoven (n. 10 in sol maggiore opera 96), di Ysaye (n. 1 in sol minore opera 27) e di Saint Sans (in re minore opera 75) *Alla Scala, come abbiamo detto la settimana scorsa, tutto ruota ora intorno alla prima del Don Giovanni di Mozart - diretto da Daniel Barenboim con la regia di Robert Carsen e le scene di Michael Levin la cui anteprima di domenica 4 sar riservata ai giovani under 30 mentre la prima che, come di regola, sar data il giorno di SantAmbrogio mercoled 7 alle ore 18 - sar visibile in diretta in molti luoghi pubblici e anche su diversi canali televisivi.

ARTE questa rubrica a cura di Virginia Colombo rubriche@arcipelagomilano.org 25 anni di Pixar a Milano
Dopo il MOMA di New York e un tour internazionale, finalmente arrivata a Milano PIXAR 25 anni di animazione. Un viaggio nel mondo dellimmaginazione che affasciner bambini ma non solo, alla scoperta di come si creano i personaggi animati pi amati del grande schermo. Oltre settecento opere, un viaggio attraverso la creativit e la cultura digitale come linguaggio innovativo applicato allanimazione e al cinema: dal primo lungometraggio dedicato a Luxo Jr. (1986) ai grandi capolavori come Monster & Co (2001), Toy Story (1, 2 e 3), Ratatouille (2007), WALL-E (2008), Up (2009) e Cars 2 (2011). Molti non sanno che la maggior parte degli artisti che lavorano in Pixar utilizzano i mezzi propri dellarte (il disegno, i colori a tempera, i pastelli e le tecniche di scultura), come quelli dei digital media dice John Lasseter, chief creative officer di Walt Disney and Pixar Animation Studio e fondatore di Pixar. Quando si pensa ai film danimazione, difficilmente ci si immagina artisti armati di matita e pennello, intenti a disegnare storie e personaggi. Nel mondo Pixar, invece, proprio cos. Gli artisti utilizzano i mezzi tradizionali: matite, dipinti, pastelli e sculturine, per creare i loro personaggi, cos come altrettanti numerosi sono gli artisti che impiegano esclusivamente i mezzi digitali. Ma in questo caso, lecito parlare di arte? I disegni, le bozze e le maquettes, hanno una tale importanza artistica da essere esposte in sedi ufficiali come i musei, in questo caso il PAC di Milano? Si potrebbe cos cadere in un tranello: tutta arte quella che luccica? Se definiamo larte come processo o prodotto dellorganizzazione e dellassemblaggio di oggetti per creare qualcosa che stimoli unemo-zione o una risposta, allora chiaro che tutti gli oggetti nella mostra Pixar sono proprio questo e, quindi, rispondono alla definizione di arte. I nostri film sono fatti da artisti e i nostri artisti, come qualsiasi altro artista, scelgono strumenti che consentono loro di esprimere le loro idee e le loro emozioni pi efficacemente. Una ampia variet di media e tecniche rappresentata nella mostra: disegni a matita e pennarello, dipinti in acrilico, guazzo e acquarelli; dipinti digitali; calchi; modelli fatti a mano; e pezzi in media digitali. Alcuni dei nostri artisti, di formazione tradizionale, hanno aggiunto dipinti digitali alla loro raccolta per esprimere qualcosa che non avrebbero potuto esprimere con qualsiasi altro mezzo, spiega esaustivamente Elyse Klaidman, direttore della Pixar University e Conservatore degli archivi. Riflessione importante questa, perch molto spesso i film Pixar contengono rimandi stilistici, citazioni e omaggi ai percorsi classici e da sempre riconosciuti della storia dellarte moderna e contemporanea. In tal senso, rappresentano il tentativo di continuare un discorso puramente artistico sulla ricerca della prospettiva, della spazialit e della rappresentazione verosimile che affonda le sue radici nelle esperienze del Rinascimento, Leon Battista Alberti su tutti. E una sorta di bottega rinascimentale, per citare Lasseter (sua madre era insegnante di storia dellarte e da sempre lo ha istruito in questa materia), che unisce artisti diversi e i fondamenti e le radici della storia dellarte a quelle che sono le pi nuove e originali invenzioni tecnologiche, con contaminazioni verso i linguaggi pi contemporanei. Strumenti che rendono i film Pixar, agli occhi dei loro creatori e spettatori, opere darte totali, concetto sostenuto dalle avanguardie del primo Novecento che, con le sperimentazioni su pellicola e nuovi ritrovati, si erano auspicate una svolta nella creazione e nella fruizione di unopera audiovisiva. La Pixar quasi 100 anni dopo, riesce a raggiungerla. Degna di nota, allinterno di questo straordinario laboratorio che spiega passo passo la creazione di un film-

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www.arcipelagomilano.org dalla nascita di un personaggio, alla scelta dei colori, alla creazione 3D dei movimenti, alla colonna sonora sicuramente lo zootropio, disco rotante su cui si muovono i personaggi 3D di Toy Story, ognuno in una diversa posizione, e che fatto girare ad altissima velocit e con laiuto di un flash, permette allo spettatore di cogliere lintera sequenza dei movimenti dei personaggi, impressionando limmagine sulla retina dellocchio, in un fluire di immagine continuo e affascinante. Pixar. 25 anni di animazione PAC Padiglione di Arte Cotemporanea, fino al 14 febbraio 2012 Orari: luned 14.30 19.30. Marteddomenica 9.30 19.30 . Gioved 9.30 22.30 biglietti: 7,00, ridotto 5,50

Brera incontra il Puskin. Capolavori dal museo russo


Sono capolavori di inestimabile valore e importanza le diciassette opere provenienti dal museo Puskin di Mosca ed esposte, fino al 5 febbraio, nelle sale XV e XII della Pinacoteca di Brera. Lesposizione, promossa dal Ministero per i Beni e le Attivit Culturali italiano, dal Ministero della Cultura e dei Media della Federazione Russa e dal Museo Pukin, nata in occasione dellAnno della Cultura Italia-Russia, e ha permesso, oltre allesposizione di Brera, anche lorganizzazione di una mostra sul Caravaggio che lo Stato Italiano presenter al Pukin a partire dal 22 novembre. Mostre da record, per nomi e assicurazioni: il valore assicurativo dei dipinti va ben oltre il miliardo di dollari. Tutte le opere in mostra provengono dalle collezioni di Sergei ukin e Ivan Morozov, i due collezionisti russi che agli albori del Novecento diventarono, con la loro passione per larte, testimoni degli artisti, dei movimenti e dei fermenti artistici che caratterizzarono lEuropa tra Otto e Novecento. Un periodo doro ineguagliabile, che permise ai due colti e brillanti collezionisti di visitare gli atelier dei pittori, di scegliere e commissionare ad hoc dipinti per i loro palazzi. Collezioni di inestimabile valore che furono fatte affluire nel museo Puskin al momento della sua creazione. Grandi mercanti e viaggiatori, ukin e Morozov, in anni diversi, divennero i migliori clienti delle pi importanti gallerie di Parigi, come Druet, Durand-Ruel, Kahnweiler e Vollard, uomini che decretarono la fortuna di artisti come Monet e Cezanne, e che divennero amici e confidenti degli artisti stessi e dei loro collezionisti. Una scelta tutta personale quella dei due gentiluomini russi, che non seguirono le mode ma anzi le anticiparono, comprando e sostenendo artisti al tempo ben poco famosi. Come spesso accade, i collezionisti si legarono in particolar modo ad alcuni artisti, creando un rapporto unico e speciale che permise la nascita di capolavori assoluti, quali i famosissimi Pesci rossi di Matisse, dipinto nel 1911 per ukin, che divent il patron dellartista. Con ben trentasette dipinti acquistati, ukin dedic il salone centrale della propria abitazione alle opere di Matisse, che dispose personalmente i dipinti per lamico mecenate. Ma ukin non si occup solo di Matisse. Un altro dei suoi artisti favoriti fu Picasso, del quale divenne, dopo una prima fase di incertezza, un grande sostenitore, comprando pi di cinquanta tele. Anche Ivan Morozov fu un grande collezionista, ammiratore di Cezanne e cliente affezionato di Ambrosie Vollard, mercante gallerista - soggetto spesso ritratto dallo stesso Cezanne. Di propriet Morozov fu anche lo splendido Boulevard des Capucinnes di Monet, che segn la svolta di Morozov come collezionista, e che da quel momento in poi ag tanto in grande da superare talvolta lo stesso ukin. In quindici anni riusc a raccogliere oltre duecento opere attraverso le quali possibile leggere levoluzione della pittura francese moderna. Tanti gli artisti e le opere presenti in mostra. Pregevole La ronda dei carcerati (1890) di Vincent Van Gogh, come anche Eiaha Ohipa (Tahitiani in una stanza. Non lavorare!), 1896, di Gauguin, dal gusto esotico e misterioso; le sempre grandiose Ninfee bianche di Monet, Le riva della Marna. (Il ponte sulla Marna a Creteil) di Cezanne, e la Radura nel bosco a Fontainebleau di Sisley. Ma il percorso non si esaurisce qui, proseguendo anzi in una panoramica esaustiva dellevoluzione dellarte di inizio Novecento. Oltre ai gi citati Pesci Rossi di Matisse, da segnalare sicuramente sono il Ritratto di Ambroise Vollard (1910) di Picasso; la Veduta del ponte di Svres, 1908, di Henri Rousseau detto il Doganiere e La vecchia citt di Cagnes (Il castello), 1910, di Derain. Unoccasione unica per vedere grandi capolavori da uno dei principali musei russi, nella cornice dei grandiosi capolavori dellarte del passato conservati a Brera.

Brera incontra il Pukin. Collezionismo russo tra Renoir e Matisse - Biglietto solo Pinacoteca: 6,00 Intero, 3,00 Ridotto - Biglietto Pinacoteca + Mostra: 12,00 Intero, 9,00 Ridotto - Orario di apertura: h 8.30-19.15 dal marted alla domenica

Le Gallerie dItalia nel cuore di Milano


Dopo il Museo del Novecento, apre a Milano, in centro che pi centro non si pu, un altro museo destinato a diventare una realt importante del panorama artistico milanese. Hanno infatti debuttato in pompa magna le Gallerie dItalia, museopolo museale in piazza Scala, ospitato negli storici palazzi Anguissola e Brentani, restaurati per loccasione. Un avvenimento cittadino, che ha avuto unintera nottata di eventi e inaugurazioni dedicate. Si iniziato con Risveglio, videoproiezione sui palazzi di piazza Scala, a cura di Studio Azzurro, ispirate allomonimo dipinto Risveglio (190823) di Giulio Aristide Sartorio (di propriet della fondazione Cariplo), artista liberty e simbolista, esposto allinterno del museo. C stato poi un incontro con il filosofo Remo Bodei, con una riflessione sul bello e sul valore dei musei, per poi passare alle visite gratuite per il grande pubblico del Teatro alla Scala. Una serata fitta dimpegni, che si protratta fino alluna di notte, per permettere ai tanti visitatori in fila nonostante la pioggia battente, di visitare gratuitamente il nuovo museo. E in effetti valeva la pena di aspettare per vedere le tredici sezioni di questo museo che comprende, cronologicamente e per temi, tanti capolavori del nostro passato per approdare poi ai Futuristi. Un ideale partenza per visitare poi il vicino Museo del Novecento.

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www.arcipelagomilano.org Un museo voluto e creato, nonostante i tempi poco propizi, da Intesa Sanpaolo e Fondazione Cariplo, da sempre attente allarte e alla cultura, che grazie al progetto architettonico di Michele de Lucchi, ospita 197 opere dellOttocento italiano, in particolare lombardo, delle quali 135 appartenenti alla collezione darte della Fondazione Cariplo e 62 a quella di Intesa Sanpaolo. Il percorso espositivo di 2.900 mq, curato da Fernando Mazzocca, propone un itinerario alla scoperta di una Milano ottocentesca, assoluta protagonista del Romanticismo e dellindustrializzazione, ma anche di altre scuole artistiche e correnti. Aprono il percorso i tredici bassorilievi in gesso di Antonio Canova, che gi di per s varrebbero la visita, ispirati a Omero, Virgilio e Platone; si passa poi ad Hayez e alla pittura romantica, con il suo capolavoro I due Foscari; largo spazio stato dedicato a Giovanni Migliara e Giuseppe Molteni, per passare a Gerolamo Induno; alla sezione dedicata al Duomo di Milano e alle sue vedute prospettiche e quella dedicata ai Navigli. Se a palazzo Anguissola tutto era un trionfo di stucchi, specchi e puttini, lambientazione cambia quando si passa al contiguo palazzo Brentani, con la pittura di genere settecentesca, i macchiaioli, con Segantini e Boldini, i divisionisti, il Simbolismo di Angelo Morbelli e Previati, per arrivare allinizio del 900 con quattro dipinti di Boccioni, ospitati in un ambiente altrettanto caratteristico ma pi neutro e museale. Al centro, nel cortile ottagonale, troneggia un disco scultura di Arnaldo Pomodoro. Ma non finita qui. Al settecentesco Palazzo Anguissola e alladiacente Palazzo Brentani, si affiancher nella primavera del 2012 la storica sede della Banca Commerciale Italiana, che ospiter la nuova sezione delle Gallerie e vedr esposta una selezione di opere del Novecento. Insomma un progetto importante che, in un momento di crisi e preoccupazione globale, vuole investire e rilanciare arte, cultura e il centro citt, facendo di piazza della Scala un irrinunciabile punto di riferimento, un salotto cittadino adatto ai turisti, ma, si spera, non solo. Gallerie dItalia piazza della Scala - entrata libera fino allapertura della sezione novecentesca del Museo, prevista nella primavera 2012 Orari: Da marted a domenica dalle 9.30 alle 19.30. Gioved dalle 9.30 alle 22.30. Luned chiuso

LArte Povera invade lItalia


Sono numeri da capogiro quelli legati alla mostra Arte Povera, esposizione organizzata da Triennale Milano e dal Castello di Rivoli, a cura di Germano Celant, che vuole celebrare coralmente questo movimento italiano con una serie di iniziative sparse per il Bel Paese. Sette le citt coinvolte, otto i musei ospitanti, 250 le opere esposte, 15 mila i metri quadrati, tra architetture museali e contesti urbani, usati per contenere ed esporre le spesso monumentali opere darte. Loperazione ha delleccezionale, mettendo insieme direttori, esperti, studiosi e musei, che si sono trovati daccordo nel creare e ospitare una rassegna che testimoni la storia del movimento nato nel 1967 grazie agli artisti Alighiero Boetti, Mario e Marisa Merz, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Jannis Kounellis, Giulio Paolini e tanti altri. Un movimento che deve la sua definizione proprio al curatore e al creatore di questa impresa, Germano Celant, che us il termine per la prima volta in occasione di una mostra genovese di quel anno, volendo definire una tendenza molto libera, in cui gli artisti lasciavano esprimere i materiali e le materie (acqua, fuoco, tele, pietre ecc.), non controllati esteticamente o plasticamente, ma anzi usati per esprimere energie e mutamenti interni ad essi. Cos ecco lanciata la sfida, raccontare la storia di questo movimento, prontamente raccolta da alcune delle istituzioni museali pi importanti dItalia: Triennale Milano e il Castelli di Rivoli Museo dArte Contemporanea, veri promotori, la Galleria Nazionale dArte Moderna di Roma, la GAMeC di Bergamo, il MADRE di Napoli, il MAMbo di Bologna, il MAXXI di Roma e il Teatro Margherita di Bari. Ogni sede ospita un pezzo di storia del movimento, che in una visione dinsieme, permetteranno al visitatore-pellegrino di ricomporre e afferrare ogni aspetto dellarte dagli anni 60 ad oggi. In particolare presso la Triennale, sede cardine dellevento, si potr avere una bella visione dinsieme grazie ad Arte Povera 2011, rassegna antologica sul movimento, che in uno spazio di circa 3000 metri quadrati, raccoglie oltre 60 opere, per testimoniare levoluzione del percorso artistico fino al 2011, grazie alla collaborazione di musei, artisti, archivi privati e fondazioni. La prima parte si sviluppa al piano terra, ed dedicata alle opere storiche degli artisti, realizzate tra 1967 e 1975, e che ne segnano in qualche modo il loro esordio nel mondo dellarte: i cumuli di pietra e tele di Kounellis; gli intrecci al neon di Mario Mez; gli immancabili specchi di Pistoletto; i fragili fili di nylon e le foglie secche nelle opere di Marisa Merz; le scritte in piombo e ghiaccio di Pier Paolo Calzolari; e tanti altri. Al secondo piano, nei grandi spazi aperti, in un percorso fluido e spazioso, sono documentate le opere realizzate dagli artisti tra 1975 e 2011, in un continuo e contemporaneo dialogo tra loro. Nei 150 anni dellUnit dItalia, una grande operazione museale ed espositiva che riunisce artisti, musei e grandi nomi, in unoperazione nazionale che rende giustizia, e ne tira idealmente le somme, di un movimento, italianissimo, e tuttora vivente.
Mario Merz Le case girano intorno a noi o noi giriamo intorno alle case?, 1994

Arte Povera 1967 2011-fino al 29 gennaio - Triennale di Milano - Ingresso 8,00/6,50/5,50 - Orari:marted-domenica 10.30-20.30, gioved e venerd 10.30-23.00 Le altre sedi: *24 settembre 26 dicembre 2011, MAMbo Museo dArte Moderna di Bologna, Bologna Arte Povera 1968 *7 ottobre 2011 8 gennaio 2012, MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma Omaggio allArte Povera *9 ottobre 2011 19 febbraio 2012 Castello di Rivoli Museo dArte Contemporanea, Rivoli Arte Povera International *25 ottobre 2011 29 gennaio 2012, Triennale di Milano, Milano Arte Povera 1967-2011 *novembre 2011 - aprile 2012, GAMeC Galleria dArte Moderna e Contemporanea di Bergamo Arte Povera in citt *11 novembre 2011 - aprile 2012, MADRE - Museo dArte contemporanea Donnaregina, Napoli Arte Povera pi Azioni Povere 1968 *7 dicembre 2011 4 marzo 2012, Galleria nazionale darte moderna, Roma Arte Povera alla GNAM *15 dicembre 2011 11 marzo 2012, Teatro Margherita, Bari Arte Povera in teatro

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Cezanne e les ateliers du midi


Palazzo Reale presenta, per la prima volta a Milano, un protagonista indiscusso dellarte pittorica, colui che traghetter simbolicamente la pittura dallImpressionismo al Cubismo; colui che fu maestro e ispiratore per generazioni di artisti: va in scena Paul Cezanne. Sono una quarantina i dipinti esposti, con un taglio inedito e particolare, dovuto a vicende alterne che hanno accompagnato fin dallorigine la nascita di questa grande esposizione, intitolata Czanne e les atliers du midi. E appunto da questo titolo che tutto prende forma. Lespressione ateliers du midi fu coniata da Vincent Van Gogh, il cui progetto ero quello di creare una comunit di artisti riuniti in Provenza, una sorta di novella bottega, in cui tutti avrebbero lavorato in armonia. Un progetto che, come noto, non port mai a termine, ma dal quale Rudy Chiappini e Denis Coutagne, curatori della mostra, hanno preso spunto per delineare il percorso artistico di Cezanne. La mostra un omaggio al grande e tenace pittore solitario, nato ad Aixen-Provence, luogo al quale fu sempre attaccato, e che nei suoi continui spostamenti tra il paese natio, Parigi e lEstaque, cre quella che da sempre stata considerata la base dellarte moderna. Il tema portante dellesibizione riguarda lattivit di Cezanne in Provenza, legata indissolubilmente ai suoi ateliers: prima di tutti il Jas de Bouffan, la casa di famiglia in cui Cezanne compie le sue prime opere e prove giovanili; la soffitta dell'appartamento di Rue Boulegon; il capanno vicino alle cave di Bibmus; i locali affittati a Chteau Noir; la piccola casa a l'Estaque, e infine il suo ultimo atelier, il pi perfetto forse, costruito secondo le indicazioni del pittore stesso, latelier delle Lauves. Luoghi carichi di significato e memoria, in cui il maestro si divise, nelle fasi della sua vita, tra attivit en plein air, seguendo i consigli degli amici Impressionisti, e opere sur le motiv, una modalit cara a Cezanne, che della ripetizione ossessiva di certi soggetti ne ha fatto un marchio di fabbrica. Opere realizzate e rielaborate allinterno dello studio, luogo di creazione per ritratti, nature morte, composizioni e paesaggi. Ma latelier anche il luogo della riflessione per Cezanne, artista tormentato e quasi ossessivo nel suo desiderio di dare ordine al caos, cercando equilibrio e rigore, usando soprattutto, secondo una sua celebre frase, il cilindro, la sfera e il cono. In natura tutto modellato secondo tre modalit fondamentali: la sfera, il cono e il cilindro. Bisogna imparare a dipingere queste semplicissime figure, poi si potr fare tutto ci che si vuole. Una mostra che vanta prestiti importanti (quale un dipinto dallHermitage); che coinvolge una istituzione importante come il Museo dOrsay, e che ha nel suo comitato scientifico proprio il direttore del museo e il pronipote dellartista, Philippe Cezanne. Con un allestimento semplice ma accattivante, merito anche dei grandi spazi, il visitatore potr scoprire i primi e poco noti lavori del maestro francese, le opere murali realizzate per la casa paterna e i primi dipinti e disegni ispirati agli artisti amati, come Roubens, Delacroix e Courbet. Dal 1870 Cezanne trascorrer sempre pi tempo tra Parigi, in compagnia dellamico di scuola Emile Zola, e la Provenza. Nascono quindi inediti soggetti narrativi, usando lo stile en plein air suggeritogli da Pissarro. Si schiariscono i colori e le forme sono pi morbide: ecco le Bagnanti, ritratte davanti allamata montagnafeticcio Sainte Victorie. Stabilitosi quasi definitivamente in Provenza, eccolo licenziare alcuni dei suoi paesaggi pi straordinari, con pini, boschi e angoli nascosti, tra cui spiccano quelli riguardanti le cave di marmo di Bibemus, luogo amato e allo stesso tempo temuto da Cezanne, che vedeva nella natura il soggetto supremo, il principio dellordine, ma che al tempo stesso poteva essere anche nemica e minaccia. Capolavori della sua arte sono anche i ritratti, dipinti in maniera particolare e insolita. Sono ritratti di amici e paesani, di gente comune che Cezanne fissa su tela senza giudicare n esprimere pareri, figure immobili ed eterne, come le sue nature morte. E sono proprio queste le composizioni pi mature, tra cui spicca per bellezza Il tavolo di cucina - Natura morta con cesta, (1888-1890), dalle prospettive e dai piani impossibili, con una visione lontanissima dalla realt e dal realismo imitativo, con oggetti ispirati s da oggetti reali, tra cui le famosissime mele, ma reinventati in chiave personale. Una mostra dunque densa di spunti per comprendere lopera del pittore di Aix, complementare alla mostra del Muse du Luxembourg di Parigi, intitolata Cezanne et Paris, che indagher invece gli anni parigini e approfondir il rapporto tra Cezanne, gli Impressionisti e i post Impressionisti.

Czanne e les atliers du midi. Fino al 26 febbraio, Palazzo Reale. Orari: 9.30-19.30; lun. 14.30-19.30; gio. sab. 9.30-22.30. Costi: intero euro 9, ridotto euro 7,50.

I Visconti e gli Sforza raccontati attraverso i loro tesori


In occasione del suo primo decennale, il Museo Diocesano ospita, fino al 29 gennaio, una mostra di capolavori preziosi e di inestimabile valore, intitolata Loro dai visconti agli Sforza. Una mostra creata per esplorare, per la prima volta in Italia, levoluzione dellarte orafa a Milano tra il XIV e il XV secolo, attraverso sessanta preziose opere tra smalti, miniature, arti suntuarie, oggetti di soggetto sacro e profano, provenienti da alcuni tra i musei pi prestigiosi del mondo. I Visconti e gli Sforza sono state due tra le famiglie pi potenti e significative per la storia di Milano. Con la loro committenza hanno reso la citt una tra le pi attive dEuropa artisticamente e culturalmente. Una citt che ha ospitato maestranze e botteghe provenienti da tutta Europa, che qui si sono trasferite per soddisfare le esigenze di una corte sempre pi ricca e lussuosa, che chiedeva costantemente oggetti preziosi e raffinati per auto celebrarsi e rappresentarsi. Oltretutto non va dimenticato che a Milano e dintorni due erano i cantieri principali che attiravano artisti di vario tipo: il Duomo, iniziato nel 1386 su commissione viscontea, e il castello di Pavia, iniziato nel 1360 per volere di Galeazzo Visconti. Due in particolare sono le figure a cui ruotano intorno le vicende milanesi del periodo, uomini forti che costruirono le fortune delle loro famiglie e che furono anche committenti straordinari: Gian Galeazzo Visconti e Ludovico il Moro. Gian Galeazzo fu il primo dei Visconti a

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www.arcipelagomilano.org essere investito del titolo ducale, comprato dallimperatore di Boemia nel 1395, titolo che legittim una signoria di fatto che risaliva al 1200. Laltra figura di rilievo fu Ludovico il Moro, figlio del capitano di ventura Francesco Sforza, che sposa la figlia dellultimo Visconti, dando inizio cos alla dinastia sforzesca. Ludovico il Moro, marito di Beatrice dEste, fu uomo politico intraprendente ma soprattutto committente colto e attivo, che chiam presso la sua corte uomini dingegno come Leonardo Da Vinci, Bramante e molti altri tra gli artisti pi aggiornati del panorama europeo. La mostra prende inizio da due inventari, quello dei gioielli portati in dote da Valentina Visconti, figlia di Gian Galeazzo, andata in sposa a Luigi di Turenna, fratello del re di Francia; e quello dei preziosi di Bianca Maria Sforza, figlia di Ludovico il Moro, andata in sposa allimperatore Massimiliano I. Proprio questi elenchi hanno permesso di ricostruire lentit del tesoro visconteo-sforzesco, e di ricostruire e di riunire insieme i principali oggetti per questa mostra. Il percorso si snoda tra pezzi di pregiata fattura, come gli scudetti di Bernab Visconti, zio di Gian Galeazzo, che ci mostrano una delicata tecnica a smalto traslucido; oppure la preziosa minitura con una dama, opera di Michelino da Besozzo, forse il pi importante miniatore del secolo, che con tratti fini e delicati ci mostra una dama vestita alla moda dellepoca, con maniche lunghe e frappate e il tipico copricapo a balzo, espressione modaiola delle corti lombarde. Lavoro da mettere a confronto con il fermaglio di Essen (opera in dirittura di arrivo), pezzo doreficeria finissima, una micro scultura rappresentante la stessa enigmatica dama. Altro pregevole pezzo sicuramente il medaglione con la Trinit, recante il nuvoloso visconteo, emblema della famiglia, dipinto in smalto ronde bosse, tecnica tra le pi raffinate e costose. Proprio gli smalti sono una delle tecniche pi rappresentative delloreficeria visconteosforzesca, con un ventaglio di tipologie vario e virtuosistico, attraverso cui le botteghe milanesi erano conosciute in tutta Europa. Ma daltra parte Milano aveva una lunga tradizione smaltista alle spalle, basti pensare allaltare di Vuolvino, nella basilica di santAmbrogio. Uno dei passatempi preferiti della corte erano le carte: ecco dunque sei bellissimi esemplari di Tarocchi, provenienti da Brera, interamente coperti di foglia doro, punzonati e dipinti, testimonianza unica e ben conservata della moda, dei costumi e delle tecniche dellepoca. Dalla dinastia viscontea si passa poi a quella sforzesca, con reliquari e tabernacoli che si ispirano al duomo di Milano per struttura e composizione, opere di micro architettura in argento e dipinte in smalto a pittura, come il Tabernacolo di Voghera o quello Pallavicino di Lodi. Ma la miniatura a farla da padrone, con il messale Arcimboldi, che mostra Ludovico il Moro, novello duca di Milano circondato dal suo tesoro; il Libro dOre Borromeo, famiglia legata a doppio filo a quella dei duchi di Milano; e il Canzoniere per Beatrice dEste, opera del poeta Gasparo Visconti, con legatura smaltata che ripropone fiammelle ardenti e un groppo amoroso, il nodo che tiene uniti i due amanti, raffigurazione illustrata di un sonetto del canzoniere. Anche Leonardo gioca la sua parte, indirettamente, in questa mostra. Il maestro si occup infatti anche di smalti, perle, borsette e cinture, che alcuni suoi allievi seguirono nelle indicazioni, come ci mostrano lanconetta con la Vergine delle rocce del museo Correr o la Pace proveniente da Lodi. Insomma un panorama vario e ricco che mostra tutto il lusso e la raffinatezza di una delle corti pi potenti dEuropa. Oro dai Visconti agli Sforza. Fino al 29 gennaio - Museo Diocesano. Corso di Porta Ticinese 95. Orari: tutti i giorni ore 10-18, chiuso luned. Costo: 8 intero, 5 ridotto, marted 4 .

Artemisia Gentileschi. Vita, amori e opere di una primadonna del 600


Artemisia Lomi Gentileschi stata una delle numerose donne pittrici dellarte moderna, ma la sola, forse, ad aver ricevuto successo, notoriet, fama e commissioni importanti in quantit. Ecco perch la mostra Artemisia Gentileschi -Storia di una passione, ospitata a Palazzo Reale e da poco aperta, si propone di ristudiare, approfondire e far conoscere al grande pubblico la pittora e le sue opere, per cercare di slegarla allepisodio celeberrimo di violenza di cui fu vittima. S perch il nome di Artemisia spesso associato a quello stupro da lei subito, appena diciottenne, da parte del collega e amico del padre, Agostino Tassi, che la violent per nove mesi, promettendole in cambio un matrimonio riparatore. Donna coraggiosa, che ebbe il coraggio di ribellarsi e denunciare il Tassi, subendone in cambio un lungo e umiliante processo pubblico, il primo di tal genere di cui ci siano rimasti gli atti scritti. La mostra, quasi una monografica, si propone anche di dare una individualit tutta sua alla giovane pittrice, senza trascurare per gli esordi con il padre, lingombrante e severo Orazio Gentileschi, amico di Caravaggio e iniziatore della figlia verso quel gusto caravaggesco che tanto fu di moda; o senza tralasciare lo zio, fratello di Orazio, Aurelio Lomi, pittore manierista che tanto fece per la nipote. Il percorso si snoda dunque dalla giovanile formazione nella bottega paterna, per una donna pittrice ai tempi non poteva essere altrimenti, per arrivare alle prime opere totalmente autonome e magnifiche, dipinte per il signore di Firenze Cosimo II de Medici. La vita di Artemisia fu rocambolesca e passionale. Dopo il processo a Roma si spost a Firenze con il neo marito Pietro Stiattesi, e fu l che conobbe i primi successi fu la prima donna a essere ammessa allAccademia del Disegno di Firenze- e un grande, vero amore, Francesco Maria Maringhi, nobile fiorentino con cui avr una relazione che durer per tutta la loro vita. Dati, questi, che si sono recuperati solo in tempi recentissimi grazie a uno straordinario carteggio autografo di Artemisia, del marito e dellamante. E proprio le lettere sono state un punto di partenza importante per nuove attribuzioni, scoperte e ipotesi su dipinti prima nel limbo delle incertezze. In mostra ci sono quasi tutte le opere pi famose di Artemisia (peccato per un paio di prestiti importanti che non sono arrivati): le due cruente e violentissime Giuditte che decapitano Oloferne, da Napoli e dagli Uffizi, lette cos spesso in chiave autobiografica (Artemisia-Giuditta che decapita in un tripudio di sangue Oloferne/Agostino Tassi); le sensuali Maddalene penitenti; eroine bibliche come Ester, Giaele, Betsabea e Susanna; miti senza tempo come Cleopatra e Danae, varie Allegorie e Vergini con Bambino. Ma Artemisia fu famosa anche per i suoi ritratti, di cui pochi esempi ci sono rimasti, come il Ritratto di gonfaloniere o il Ritratto di Antoine de Ville, cos

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www.arcipelagomilano.org come per i suoi autoritratti. Le fonti ce la raccontano come donna bellissima e sensuale, pienamente consapevole del suo fascino e del suo ruolo, che amava dipingersi allo specchio e regalare queste opere ai suoi ammiratori. Cos la mostra si snoda tra Firenze, da cui i coniugi Stiattesi scappano coperti dai debiti, per arrivare a Roma, Venezia, Napoli e perfino in Inghilterra, dove la volle il re Carlo I. Una vita ricca di passioni, appunto, come lamore per la figlia Palmira, che diverr anchessa pittrice e valido aiuto nella bottega materna che Artemisia aprir a Napoli fin dagli anni Trenta del Seicento, ricca di giovani promettenti pittori come Bernardo Cavallino. Una vita ricca anche di conoscenze e amicizie importanti: ventennale il rapporto epistolare con Galileo Galilei, conosciuto a Firenze, con Michelangelo il Giovane, pronipote del genio fiorentino, e anche con una serie di nobili e committenti per cui dipinse le sue opere pi celebri: Antonio Ruffo, Cassiano dal Pozzo, i cardinali Barberini e larcivescovo di Pozzuoli, per il quale fece tre enormi tele per adornare la nuova cattedrale nel 1637, la sua prima vera commissione pubblica. Insomma una donna, una madre e unartista straordinaria, finalmente messa in luce in tutta la sua grandezza, inquadrata certo nellalveo del padre Orazio e di quel caravaggismo che la resa tanto famosa, ma vista anche come pittrice camaleontica e dallinventiva straordinaria, capace di riproporre uno stesso soggetto con mille varianti, secondo quella varietas e originalit per cui fu, giustamente, cos ricercata. Artemisia Gentileschi. Storia di una passione - Fino al 29 gennaio Palazzo Reale. Orari: 9.30-19.30; lun. 14.30-19.30; gio. e sab. 9.3022.30. Intero: 9,00. Ridotto: 7,50

Doppio Kapoor a Milano


Sono tre gli appuntamenti che lItalia dedica questanno ad Anish Kapoor, artista concettuale anglo-indiano. Due di questi sono a Milano, e si preannunciano gi essere le mostre pi visitate dellestate. Il primo alla Rotonda della Besana, dove sono esposte sette opere a creare una mini antologica; il secondo "Dirty Corner", installazione site-specific creata apposta per la Fabbrica del Vapore di via Procaccini. Entrambe curate da Demetrio Paparoni e Gianni Mercurio, con la collaborazione di MADEINART, gli stessi nomi che hanno curato anche la retrospettiva di Oursler al Pac. Una mostra di grande impatto visivo, quella della Besana, con opere fatte di metallo e cera, realizzate negli ultimi dieci anni e che sono presentate in Italia per la prima volta. Opere di grande impatto s, ma dal significato non subito comprensibile. Kapoor un artista che si muove attraverso lo spazio e la materia, in una continua sperimentazione e compenetrazione tra i due, interagendo con lambiente circostante per cercare di generare sensazioni, spaesamenti percettivi, che porteranno a ognuno, diversi, magari insospettabili significati, come spiega lartista stesso. Ecco perch non tutto lineare, come si pu capire guardando le sculture in acciaio C-Curve (2007), Non Object (Door) 2008, Non Object (Plane) del 2010, ed altre che provocano nello spettatore una percezione alterata dello spazio. Figure capovolte, deformate, modificate a seconda della prospettiva da cui si guarda, un forte senso di straniamento che porta quasi a perdere l'equilibrio. Queste solo alcune delle sensazioni che lo spettatore, a seconda dellet e della sensibilit, potrebbe provare davanti a questi enormi specchi metallici. Ma non c solo il metallo tra i materiali di Kapoor. Al centro della Rotonda troneggia lenorme My Red Homeland, 2003, monumentale installazione formata da cera rossa (il famoso rosso Kapoor), disposta in un immenso contenitore circolare e composta da un braccio metallico connesso a un motore idraulico che gira sopra un asse centrale, spingendo e schiacciando la cera, in un lentissimo e silenzioso scambio tra creazione e distruzione. Unopera, come spiegano i curatori, che non potrebbe esistere senza la presenza indissolubile della cera e del braccio metallico, in una sorta di positivo e negativo (il braccio che buca la cera), e di cui la mente dello spettatore comunque in grado di ricostruirne la totalit originaria. Il lavoro di Kapoor parte sempre da una spiritualit tutta indiana che si caratterizza per una tensione mistica verso la leggerezza e il vuoto, verso limmaterialit, intesi come luoghi primari della creazione. Ecco perch gli altri due interessanti appuntamenti hanno sempre a che fare con queste tematiche: Dirty Corner, presso la Fabbrica del Vapore, un immenso tunnel in acciaio di 60 metri e alto 8, allinterno dei quali i visitatori potranno entrare, e Ascension, esposta nella Basilica di San Giorgio Maggiore a Venezia, in occasione della 54 Biennale di Venezia. Opera gi proposta in Brasile e a Pechino ma che per loccasione prende nuovo significato. Uninstallazione site-specific che materializza una colonna di fumo da una base circolare posta in corrispondenza dellincrocio fra transetto e navata della maestosa Basilica e che sale fino alla cupola. Anish Kapoor - Fabbrica del Vapore, via Procaccini 4 fino all12 gennaio 2012 Orari: lun 14.30 19.30. Mar-dom 9.30-19.30. Giov e sab 9.30-22.30. Costi: 6 per ciascuna sede, 10 per entrambe le sedi.

LIBRI questa rubrica a cura di Marilena Poletti Pasero rubriche@arcipelagomilano.org Cosa resta da scoprire
di Giovanni Bignami Mondadori, 2011
Tra i pi autorevoli astrofisici italiani, docente alla IUSS di Pavia, accademico dei Lincei, membro dell'Accademia di Francia, Legion d'honneur, primo italiano a presiedere il Cospar, Comitato mondiale per la ricerca spaziale, presidente dell'Istituto nazionale di astrofisica, scopritore di una stella di neutroni fuori dal

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nostro sistema solare dal nome in milanese Gheminga, Giovanni Bignami stato il 22 novembre scorso ospite dell'Unione Lettori Italiani, a Palazzo Sormani, per presentare il suo ultimo saggio, Cosa resta da scoprire. Ottimismo, ironia, chiarezza, sono le cifre del libro, come si conviene a uno scienziato che crede nell'uomo e non si prende mai troppo sul serio, conscio dell'insondabilit del sapere. Perci si chiede Cosa resta da scoprire. 4440 il numero magico che Bignami propone al lettore, per indicargli in un flash il cammino dell'astronomia. Per 4000 anni l'astronomia fu visiva, basata cio sugli occhi. Ancora nel 1609 Keplero scopriva a occhio nudo l'orbita ellittica di Marte, ma in quello stesso anno Galileo puntava per la prima volta il suo cannocchiale in cielo, e inizi l'era dell'astronomia ottica. E continu cos per 400 anni finch solo quaranta anni fa incominci ad affermarsi l'astronomia spaziale: il

primo uomo nello spazio, l'invio di sonde spaziali, sonde robotiche, l'utilizzo di raggi x, raggi infrarossi, raggi laser, e infine raggi gamma. Fu cos che si capt il respiro profondo dell'universo, il Bing Bang, 13,7 miliardi di anni fa. Fu cos che con una sonda spaziale si riusc a prelevare materia dalla coda di una cometa e si scopr la presenza di un mattone della vita, l'aminoacido glicina, uguale a quello dell'uomo! I marziani siamo noi? E ancora grazie a telescopi giganti tra cui l'Hubble e il Sardinia, si sono scoperte centoventi specie molecolari lass. Ma perch l'uomo insiste nell'andare nello spazio? Cosa cerca in realt? La vita. E pensare che non si sa nemmeno bene cosa sia la vita, tante le definizioni, tra le quali quella di trasmissione di informazioni. Qui sulla terra sembra si sia vicini alla sintetizzazione della vita in laboratorio, ma in cielo mai si sono finora trovate tracce di vita, nonostante il programma SETI che mette in col-

legamento milioni di computer per la captazione di segnali di vita intelligente. Fu solo nel 1995 che, con l'ausilio dei raggi gamma, si individu il primo pianeta fuori dal nostro sistema solare: oggi sono pi di seicento. E' tra questi che si spera di trovare il pianeta giusto con una atmosfera simile alla nostra, in grado di ospitare la vita, come ad esempio il pianeta Gliese 581g, che dista per venti anni luce, un'unit di misura fuori ancora dalla nostra portata. Oltre alle conquiste dell'astronomia, Bignami accenna agli ultimi studi sul cervello umano e al sogno di riuscire a costruire un'interfaccia diretta cervello-mondo, riproducendo i circuiti neuronali su un chip. Ed elenca alla fine le dieci scoperte possibili nell'arco di cinquanta anni, per il ritorno della cometa Halley, grazie alle risposte che riusciranno a dare la matematica quantistica, la genetica, le nanotecnologie.

TEATRO questa rubrica a cura di Emanuele Aldrovandi rubriche@arcipelagomilano.org Freddo


di Lars Nren - traduzione di Annuska Palme Sanavio con Angelo Di Genio, Michele Di Giacomo, Alessandro Lussiana, Federico Manfredi regia di Marco Plini - scene e costumi Claudia Calvaresi - luci Robert John Resteghini - suono Franco Visioli
Quattro giovani attori bravissimi, tesi e coesi, diretti con mano sicura da Marco Plini, cos si legge sul sito internet dellElfo e, usciti dalla sala, limpressione che la frase seppur scritta con intenzioni pubblicitarie fosse davvero azzeccata. Uno spettacolo breve, forte e diretto. Tre giovani naziskin svedesi, lultimo giorno di scuola, in un bosco, celebrano il culto della violenza e dellodio razziale, riempiendosi la gola di birra e la bocca di deliri. Keith il capo, quello che sembra aver imparato meglio la retorica dellodio, e anche il pi informato sul nazionalismo e sui nazionalismi (cita anche Berlusconi; il testo del 2002). Anders il suo secondo e Isma lanello debole che fa battute a cui gli altri non ridono e sembra sempre volerli imitare e rincorrere. Larrivo del compagno di classe Kalle, svedese di cittadinanza ma coreano dorigine (adottato quando aveva due anni) fornisce ai tre loccasione per mettere in pratica le loro idee razziste. Una realt inquietante, nella democratica Europa, che culla al suo interno i germi di future violenze su larga scala, e che dovrebbe interrogarsi su come lodio e la xenofobia attecchisca su ragazzi impauriti e abbandonati, trasformandoli in carnefici. Al testo forse manca quel di pi, di inaspettato o originale, magari, che sveli al pubblico qualcosa che il pubblico (purtroppo, visto largomento) gi non sa, o immagina. Il branco che si accanisce sul diverso che risulta diverso non per qualche ragione intrinseca ma per il puro desiderio da parte del branco di un capro espiatorio una dinamica che si reitera dagli albori dellumanit (Ren Girard lo considera addirittura il rito di fondazione di ogni societ). E quella del ragazzo pi debole del gruppo che, per paura di essere emarginato dagli altri componenti, finisce per commettere un omicidio una tematica che, dopo Il signore delle mosche di Golding, stata abbastanza abusata dalla letteratura. Se per una societ preoccupante essersi assuefatta cos tanto alla violenza e il testo ha il merito di evidenziarlo, con luoghi comuni voluti e scambi di battute ben costruiti -, dal punto di vista drammaturgico forse Nren avrebbe potuto avvicinarsi un po meno a certi clich. Clich che invece i quattro attori riescono a superare e a trasformare in punti di forza con uninterpretazione impressionante per bravura, energia e precisione. Quel che rende bello e appassionante lo spettacolo, infatti, la vita che Marco Plini riuscito a dare ai tre adolescenti naziskin, che non sembrano finti neanche quando urlano una parolaccia dopo laltra, che si muovono, reagiscono e si guardano sempre coi tempi giusti, senza esagerare la caratterizzazione e allo stesso tempo senza mai calare denergia; tre ragazzi che fanno tremare le gambe per quanto sembrano spaventosamente veri. Teatro Elfo Puccini, dal 22 novembre al 4 dicembre.

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In scena Dal 29 novembre all11 dicembre al Teatro Grassi Servo di scena di Ronald Harwood, con Franco Branciaroli che cura anche la regia. Al Piccolo Teatro Studio dal 29 novembre al 18 dicembre Toni Servillo legge Napoli. Al Teatro Strehler dal 1 al 4 dicembre Non contate su di noi, di Gaber e Luporini, con Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu. Al CRT Salone fino all11 dicembre Educazione fisica, di Elena Stanca-

nelli, regia di Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco. Al Teatro Carcano fino al 4 dicembre Trappola per topi di Agatha Christie, regia di Stefano Messina. Al Teatro Manzoni dal 29 novembre al 18 dicembre Tante belle cose, di Edoardo Erba, regia di Alessandro DAlatri. AllElfo Puccini fino al 4 dicembre, oltre a Freddo, Elettra di Nicola Russo e Cabaret Yiddish di e con Moni Ovadia. Fino al 4 dicembre al Teatro Litta Fedra di Andrea Cosentino.

Fino al 17 dicembre al Teatro Franco Parenti Evgenij Onegin di Puskin con la regia di Flavio Ambrosini. Al Teatro Sala Fontana fino al 2 dicembre Rosencrantz e Guildenstern sono morti di Tom Stoppard, regia di Letizia Quintavalla e Bruno Stori. Al Teatro I dal 2 al 4 dicembre Francamente me ne infischio, spettacolo ispirato al romanzo Via col vento, con la regia di Antonio Latella.

CINEMA questa rubrica a cura di M. Santarpia e P. Schipani rubriche@arcipelagomilano.org

Miracolo a Le Havre
di Aki Kaurismki [Le Havre, Finlandia, Francia, Germania, 2011, 93'] con: Jean-Pierre Laud, Kati Outinen, Jean-Pierre Darroussin, Andr Wilms
Cosa c' di pi drammatico della povert, della clandestinit, del cancro? La presenza di questi tre elementi in Miracolo a Le Havre, ultima opera di Aki Kaurismaki, pu spingere, inevitabilmente, a temere un eccesso di malinconia da parte del regista finlandese. Questa supposizione dura il tempo di conoscere il nome del protagonista, Marcel Marx (Andr Wilms). Il suo cognome un chiaro omaggio a due personaggi, Groucho e Karl. Due emblemi della comicit e della solidariet di classe, i due ingredienti imprescindibili che formano la ricetta del regista per dimostrarci che pessimismo e rassegnazione non troveranno posto nel porto di Havre. Marcel Marx un anziano lustrascarpe. Questo mestiere, ormai scomparso nella nostra societ, gli permette di portare a casa pochi spicci, solo grazie a una contagiosa gioia di vivere che si garantisce un credito eterno da fruttivendolo e panettiera sotto casa. Le fatiche della quotidianit non scalfiscono l'animo di Marcel, l'uomo non esita un secondo di fronte ai grandi occhi scuri e malinconici di Idrissa, un ragazzo africano arrivato al porto dentro un container pieno di connazionali in fuga. Il ricovero di Arletty, moglie tanto comprensiva da apparire angelica, lascia un vuoto nel piccolo appartamento della coppia che viene riempito da Marcel per la pi nobile delle cause. Il suo aspetto fiero e determinato il simbolo della volont di un uomo che fa di tutto per opporre resistenza alla fatalit. Il suo un incedere sicuro, ogni sua mossa fa parte del piano finalizzato al ricongiungimento del ragazzo con la famiglia a Londra. La seriet del volto di Andr Wilms, la sua imperturbabilit mentre spiega con vigore alla guardia del centro di permanenza per clandestini di essere il fratello albino del nonno di Idrissa un pezzo di rara bravura oltre che di indiscutibile comicit. Kaurismaki riesce cos a dar vita a una favola magica e sorprendente. Miracolo a Le Havre ambientato volutamente in un'epoca senza tempo, in cui la pellicola trova un contatto con la realt solo nel momento in cui vuole mostrarci l'inumanit dei politici e del corpo di polizia ossessionati dallo straniero, l'eterno stereotipo che racchiude e canalizza paure e odio della popolazione. Proprio in questo periodo di ennesima discussione politica sul diritto alla cittadinanza per gli immigrati, si dimostra imperdibile la lezione di umanit e altruismo di Miracolo a Le Havre. Marco Santarpia In sala a Milano: Anteo, Apollo, Eliseo, UCI Cinemas Bicocca

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The tree of life


di Terrence Malick [USA, 2011, 139'] con: Brad Pitt, Sean Penn, Jessica Chastain, Hunter McCracken, Larmie Eppler, Tye Sheridan
Ci sono due modi per affrontare la vita: la Grazia o la Natura, sussurra Mrs. O'Brien (Jessica Chastain); la Grazia la via dell'obbedienza e del sacrificio, la Natura, invece, vuole solo compiacere a se stessa e spinge gli altri a compiacerla. Tra questi opposti germoglia The Tree of Life [USA, 2011, 139'] di Terrence Malick. E sempre tra due opposti cresce la famiglia O'Brien: la severit di un padre (Brad Pitt) e la spensieratezza di una madre impegnati a crescere i figli nel Texas degli anni Cinquanta. Malick mette in scena la quotidianit di una famiglia che, presto (e bruscamente), verr disorientata dall'incertezza della vita o meglio ancora dalla certezza della morte. Crolleranno tutti i pilastri che reggono l'autodeterminazione dell'esistenza, lasciando posto al Fato: improvviso e noncurante. Ma questo solo un pezzetto del film di Malick. soltanto un passo all'interno di quella danza onirica composta dal regista. Il fluire lineare delle parole mai potr descrivere il flusso di immagini che raccolgono l'infinitamente grande e l'infinitamente piccolo. Jack O'Brien (Sean Penn), uno dei figli, nemmeno a distanza di trentanni riuscito a digerire lo smarrimento causato dalla morte di un fratello. Malick ci trasporta in un flusso di coscienza infiammato dal ricordo, logorato dal dolore. C' tanto cinema in The Tree of Life. Un cinema ormai raro, a cui non serve una trama strutturata per dar forma al pensiero. Un cinema che esperienza, visione. Malick non si accontenta di mostrare (che gi sarebbe buon cinema), ma fa vivere. Fa partecipare lo spettatore a quel viaggio nella spiritualit universale, ricco di dubbi e privo di banalit. Criticato da molti, per altri un bel film ma alla portata di pochi eletti che masticano filosofia, forse The Tree of Life potrebbe essere soltanto un'esperienza appunto da godere abbandonandosi alla potenza delle immagini, allo scorrere delle note. Dico forse, perch non ne sono sicuro. La bellezza di molti film grandi sta proprio nella soggettivit che ognuno riesce a esprimere affrontandolo. Allora, come fosse una sinfonia di note, c' un modo per affrontare The Tree of Life: abbandonandoci alla sua esperienza, senza il timore di doverci far imprigionare da una trama. Abbassiamo le armi e proviamo, in maniera naturale, a compiacere a noi stessi. Paolo Schipani In sala: Marted 6 dicembre ore 13.00 15.40 18.20 21.00 Apollo Spazio Cinema, riVediamoli.

GALLERY

VIDEO ANDREAS KIPAR: 21 ALBERI IN PIAZZA DEL DUOMO


http://www.youtube.com/watch?v=1682itOgUd4

ABITARE A MILANO
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