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Giuseppe Ungaretti, I fiumi

1 Mi tengo a questalbero mutilato 2 abbandonato in questa dolina1 3 che ha il languore 4 di un circo 5 prima o dopo lo spettacolo 6 e guardo 7 il passaggio quieto 8 delle nuvole sulla luna 9 Stamani mi sono disteso 10 in unurna dacqua 11 e come una reliquia 12 ho riposato 13 LIsonzo scorrendo 14 mi levigava 15 come un suo sasso 16 Ho tirato su 17 le mie quattrossa 18 e me ne sono andato 19 come un acrobata 20 sullacqua 21 Mi sono accoccolato 22 vicino ai miei panni 23 sudici di guerra 24 e come un beduino 25 mi sono chinato a ricevere 26 il sole 27 Questo lIsonzo 28 e qui meglio 29 mi sono riconosciuto 30 una docile fibra 31 delluniverso 32 Il mio supplizio 33 quando 34 non mi credo 35 in armonia 36 Ma quelle occulte 37 mani 38 che mintridono 39 mi regalano 40 la rara 41 felicit 42 Ho ripassato 43 le epoche 44 della mia vita 45 Questi sono 46 i miei fiumi 47 Questo il Serchio2 48 al quale hanno attinto 49 duemilanni forse 50 di gente mia campagnola 51 e mio padre e mia madre 52 Questo il Nilo 53 che mi ha visto 54 nascere e crescere 55 e ardere dinconsapevolezza 56 nelle estese pianure 57 Questa la Senna 58 e in quel suo torbido 59 mi sono rmescolato 60 e mi sono conosciuto 61 Questi sono i miei fiumi 62 contati nellIsonzo 63 Questa la mia nostalgia 64 che in ognuno 65 mi traspare 66 ora ch notte 67 che la mia vita mi pare 68 una corolla 69 di tenebre

Cotici il 16 agosto 1916 Nota 1dolina: concavit del terreno (formata dallazione dellacqua piovana) tipica del Carso. Nota 2 Serchio: fiume della Lucchesia, terra di origine della famiglia di Ungaretti. Giuseppe Ungaretti (1888-1970), di famiglia toscana, nato ad Alessandria dEgitto, visse in giovent a Parigi. Durante la prima Guerra Mondiale combatte sul fronte italiano e proprio mentre era al fronte compose molte poesie della raccolta Lallegria (pubblicata in pi edizioni, a partire dal 1919). Anche questa poesia stata scritta mentre il poeta era al fronte, nella zona del Carso, sulle rive dellIsonzo, il fiume che stato una importante zona di guerra e il cui paesaggio rimasto "mutilato". Il poeta-soldato Ungaretti si immerge in questo fiume, per cercare ristoro e passa in rassegna i fiumi che hanno segnato le tappe della sua vita. 1. Parafrasi e comprensione complessiva. Dopo aver fatto la parafrasi di questa poesia, riassumi brevemente il contenuto dei tre tempi in cui essa si articola (vv. 1-26), (vv. 2741), (vv. 42-69).

2. Analisi e commento del testo. 2.1 Che cosa rappresenta ciascun fiume nella vita del poeta? 2.2 Spiega il significato dei versi 9-12 "Stamani mi sono disteso / in unurna dacqua / e come una reliquia / ho riposato", individuando anche in altre espressioni del testo gli elementi di sacralit presenti nella lirica 2.3 Quale significato simbolico assume lacqua che accompagna il viaggio del poeta alla scoperta di s e al recupero del passato attraverso la memoria? 2.4 Per quali ragioni il poeta definisce questa lirica la propria "carta didentit" contenente i "segni" che gli permettono di riconoscersi? 2.5 Ungaretti, come altri poeti del tempo, avverte la necessit di trovare nuovi mezzi espressivi, diversi da quelli tradizionali e pi adatti a rappresentare la fragilit e la precariet della condizione umana. Spiega in che cosa consiste la cosiddetta rivoluzione metrica attuata dal poeta in questa prima fase della sua sperimentazione formale, indicandone anche qualche esempio in questa lirica. 3. Approfondimenti. Il tema del viaggio, spesso metaforico, un motivo ricorrente nella letteratura simbolista e decadente. Conosci altre poesie di altri autori che trattano questo tema?

Il primo tema il recupero del passato attraverso la memoria e il secondo tema il ristabilimento di un rapporto di armonia con il creato, che lesperienza della guerra sembra aver infranto. Bagnandosi nelle acque dellIsonzo, il poeta ha la sensazione di essere in piena sintonia con luniverso e con s stesso. Ci l'induce a ripensare a tutti i fiumi che ha conosciuto, simbolo delle diverse tappe della sua vita: il Serchio, legato alle vicende dei suoi avi, il Nilo, che lo ha visto crescere negli anni della fervida giovinezza egiziana, La Senna, che ha accompagnato la sua maturazione durante il periodo parigino (Marzio Dardano I testi, le forme, la storia, Palombo editore pagina 789). Nella prima parte della poesia il poeta descrive s stesso immerso nella sua condizione esterna, ambientale, presso una dolina, [una formazione tipica del paesaggio carsico, una cavit di forma approssimativamente circolare che si creata ad opera dell'acqua che scorre o precipita sulla roccia calcarea ndr.]. Quindi descrive il suo stato danimo di reduce dalla guerra. Disteso nel letto del fiume Isonzo si sente come una reliquia, un frammento superstite e pertanto maggiormente prezioso di un resto mortale, si sente come uno dei sassi levigati su cui cammina con movenze d'acrobata, sotto il sole, il cui calore benefico riceve con la stessa familiarit di un beduino. Ora affidato alle mani amorevoli dellIsonzo il poeta si riconosce parte delluniverso, cosciente che il suo rammarico frutto sempre di una disarmonia con il creato. Le acque del fiume lo lavano e lo purificano e gli danno una rara innocente felicit. Ungaretti rammenta i fiumi che hanno accompagnato la sua vita. Il Serchio, fiume della toscana, dove ha attinto lacqua la sua stirpe. Il Nilo, che lo ha visto nascere e crescere adolescente. La Senna, il fiume di Parigi, dove il poeta ha conosciuto se stesso. Il ricordo di questi fiumi affolla la memoria nostalgica dell'uomo, ora che la sua vita oscura e che sembra una collana di tenebre, perch le tenebre della notte evocano limmagine di una vita piena di incognite, racchiusa in un cerchio oscuro di timori e di presagi di morte (Maurizio Dardano pag. 791) . Lallegria di Naufragi la presa di coscienza di s, la scoperta che prima adagio avviene, poi culmina dimprovviso in un canto scritto il 16 agosto 1916 in piena guerra, in trincea, e che sintitola I Fiumi. Vi sono enumerate le quattro fonti che in me mescolavano le loro acque, i quattro fiumi il cui moto dett i canti che scrissi allora. I Fiumi una poesia dellallegria lunga; di solito, a quei tempi, ero breve, spesso brevissimo, laconico: alcuni vocaboli deposti nel silenzio come un lampo nella notte, un gruppo fulmineo di immagini, mi bastavano ad evocare il paesaggio sorgente dimprovviso ad incontrarne tanti altri nella memoria (da Vita dun uomopagina 517). Ecco il bel commento di Francesco Puccio:

Limmersione nelle acque, secondo il simbolismo che ad esse proprio, comporta una morte iniziatica, cui segue una rinascita, una riconquista dellidentit perduta ed unespansione dellIo a tutte le modalit dellesistenza: Ungaretti perde la specificit di essere umano per trasformarsi in una docile fibra / delluniverso, per sentirsi, al di l di ogni contrasto, s nel tutto e il tutto in s e raggiungere in quei sacri momenti una difficile e sofferta armonia con se stesso e con il cosmo, soffusa di un rara felicit (da Testi e interstesi del Novecento pagina 441). A cura della Redazione Virtuale
L. PIRANDELLO, Il piacere dell'onest ATTO PRIMO - SCENA OTTAVA BALDOVINO, FABIO

BALDOVINO (seduto, s'insella le lenti su la punta del naso e, reclinando indietro il capo) Le chiedo, prima di tutto, una grazia. FABIO Dica, dica... BALDOVINO Signor marchese, che mi parli aperto. FABIO Ah, s, s... Anzi, non chiedo di meglio. BALDOVINO Grazie. Lei forse per non intende questa espressione "aperto", come la intendo io. FABIO Ma... non so... aperto... con tutta franchezza... E poich Baldovino, con un dito, fa cenno di no:

10 ...E come, allora? BALDOVINO Non basta. Ecco, veda, signor marchese: inevitabilmente, noi ci costruiamo. Mi spiego. Io entro qua, e divento subito, di fronte a lei, quello che devo essere, quello che posso essere - mi costruisco - cio, me le presento in una forma adatta alla relazione che debbo contrarre con lei. E lo 15 stesso fa di s anche lei che mi riceve. Ma, in fondo, dentro queste costruzioni nostre messe cos di fronte, dietro le gelosie e le imposte, restano poi ben nascosti i pensieri nostri pi segreti, i nostri pi intimi sentimenti, tutto ci che siamo per noi stessi, fuori delle relazioni che vogliamo stabilire. - Mi sono spiegato? FABIO S, s, benissimo... Ah, benissimo! [...] 20 BALDOVINO Comincio io, allora, se permette, a parlarle aperto. - Provo da un pezzo, signor marchese - dentro - un disgusto indicibile delle abiette costruzioni di me, che debbo mandare avanti nelle relazioni che mi vedo costretto a contrarre coi miei... diciamo simili, se lei non s'offende. FABIO No, prego... dica, dica pure... BALDOVINO Io mi vedo, mi vedo di continuo, signor marchese; e dico: - Ma quanto vile, ma com' 25 indegno questo che tu ora stai facendo! FABIO (sconcertato, imbarazzato) Oh Dio... ma no... perch? BALDOVINO Perch s, scusi. Lei, tutt'al pi, potrebbe domandarmi perch allora lo faccio? Ma perch... molto per colpa mia, molto anche per colpa d'altri, e ora, per necessit di cose, non posso fare altrimenti. Volerci in un modo o in un altro, signor marchese, presto fatto: tutto sta, poi, se 30 possiamo essere quali ci vogliamo. [...] Ora, scusi, debbo toccare un altro tasto molto delicato. FABIO Mia moglie? BALDOVINO Ne separato. - Per torti... - lo so, lei un perfetto gentiluomo - e chi non

capace di farne, destinato a riceverne. - Per torti, dunque, della moglie. - E ha trovato qua una consolazione. Ma la vita - trista usuraja - si fa pagare quell'uno di bene che concede, con cento di noje e di dispiaceri. 35 FABIO Purtroppo! BALDOVINO Eh, l'avrei a sapere! - Bisogna che ella sconti la sua consolazione, signor marchese! Ha davanti l'ombra minacciosa d'un protesto senza dilazione. - Vengo io a mettere una firma d'avallo, e ad assumermi di pagare la sua cambiale. - Non pu credere, signor marchese, quanto piacere mi faccia questa vendetta che posso prendermi contro la societ che nega ogni credito alla mia firma. Imporre 40 questa mia firma; dire: - Ecco qua: uno ha preso alla vita quel che non doveva e ora pago io per lui, perch se io non pagassi, qua un'onest fallirebbe, qua l'onore d'una famiglia farebbe bancarotta; signor marchese, per me una bella soddisfazione: una rivincita! Creda che non lo faccio per altro. [...] FABIO Ecco, bene! E allora, questo. Benissimo! Io non vado cercando altro, signor Baldovino. L'onest! La bont dei sentimenti! [...] 45 BALDOVINO Ma le conseguenze, signor marchese, scusi! [...] FABIO Ecco... caro signore... - capir... - gi lei stesso l'ha detto - non... non mi trovo in condizione di seguirla bene, in questo momento [...] BALDOVINO - facilissimo. Che debbo fare io? - Nulla. - Rappresento la forma. - L'azione - e non bella - la commette lei: - l'ha gi commessa, e io gliela riparo; seguiter a commetterla, e io la nasconder. 50 Ma per nasconderla bene, nel suo stesso interesse e nell'interesse sopratutto della signorina, bisogna che lei mi rispetti; e non le sar facile nella parte che si vuol riserbare! - Rispetti, dico, non propriamente me, ma la forma - la forma che io rappresento: l'onesto marito d'una signora perbene. Non la vuol rispettare? FABIO Ma s, certo! 55 BALDOVINO E non comprende che sar tanto pi rigorosa e tiranna, questa forma, quanto pi pura lei vorr che sia la mia onest? - Perci le dicevo di badare alle conseguenze. [...] FABIO Come... perch, scusi? - Io non vedo tutte codeste difficolt che vede lei! BALDOVINO Credo mio obbligo fargliele vedere, signor marchese. Lei un gentiluomo. Necessit di cose, di condizioni, la costringono a non agire onestamente. Ma lei non pu fare a meno dell'onest! 60 Tanto vero che, non potendo trovarla in ci che fa, la vuole in me. Devo rappresentarla io, la sua onest: - esser cio, l'onesto marito d'una donna, che non pu essere sua moglie; l'onesto padre d'un nascituro che non pu essere suo figlio. vero questo? FABIO S, s, vero. BALDOVINO Ma se la donna sua, e non mia; se il figliuolo suo, e non mio, non capisce che non 65 baster che sia onesto soltanto io? Dovr essere onesto anche lei, signor marchese, davanti a me. Per forza! - Onesto io, onesti tutti. - Per forza! FABIO Come come? Non capisco! Aspetti...
Note: (1) - 1 mi presento a lei (2) - 2 le persiane Luigi PIRANDELLO (Girgenti 1867 - Roma 1936) ebbe il premio Nobel nel 1934. Tutta la sua produzione percorsa dal filo rosso dell'assurdo e del tragico della condizione umana, dal contrasto tra apparenza e realt e dallo sfaccettarsi della verit. Il testo proposto

tratto da Il piacere dell'onest, commedia in tre atti, rappresentata per la prima volta a Torino il 25 novembre 1917. La vicenda collocata ai primi del Novecento in una citt delle Marche. ______________________________________________ Un nobile (il marchese Fabio), separato dalla moglie, ha una relazione con una giovane (Agata), che aspetta da lui un bambino. Il marchese e la madre della giovane pensano di trovare ad Agata (riluttante, ma poi consenziente), un finto marito per salvare le apparenze. Accetta di assumere questo ruolo un altro aristocratico, Baldovino, uomo dalla vita dissipata, pieno di debiti di gioco, che non sa come pagare e che vengono pagati dal marchese. Ma Baldovino, molto accorto e sottile intenditore dei raggiri altrui, intuisce che Fabio, dopo aver fatto di lui un finto padre del nascituro, cercher di scacciarlo dalla famiglia, magari facendolo apparire un truffatore in qualche affare finanziario. Per prevenire questo inganno, Baldovino fonda tutto il suo rapporto col marchese su un patto di onest di pura forma: chiede che tutti debbano apparire sempre e in ogni cosa onesti, anche se non lo sono. Infatti, Baldovino, per tutta la vita imbroglione e sregolato, accetta questo vile patto solo per provare il piacere di apparire onesto, in una societ che non rende affatto facile lessere onesti. Ma alla fine giunge il colpo di scena: quando si scoprono linganno del marchese e la disonest sua e degli altri, Baldovino confessa la propria intima disonest e conquista in questo modo, involontariamente, la stima e lamore di Agata, che decide di andare a vivere con lui, portando con s anche il bambino. Nella Scena ottava dellAtto primo si incontrano e discutono per la prima volta il puntiglioso Baldovino e lincauto Fabio. - Le parole in neretto nel testo sono evidenziate gi dallAutore. Analisi del testo A. La figura di Baldovino 1. Cerca e commenta nelle battute di Baldovino le parole e le espressioni che meglio rivelano le sue posizioni e intenzioni nella trattativa. 2. Nel brano dalla riga 19 alla riga 41 quali esperienze affiorano della precedente vita di Baldovino? 3. In quale brano emerge pi chiaramente il quadro delle "apparenze" da salvare? Individualo e commentalo. B. La figura di Fabio 1. Come si caratterizza il linguaggio di Fabio rispetto a quello di Baldovino? 2. Quando Fabio (righe 42 e 43) parla di "onest" e "bont dei sentimenti" da parte di Baldovino, a che cosa sembra riferirsi? 3. In questo dialogo, Fabio fa finta di non capire i discorsi di Baldovino o non li comprende davvero? Argomenta la tua risposta. Commento complessivo e approfondimenti 1. Da questa vicenda, che per lungo tratto ci presenta personaggi pieni di ipocrisia e abituati al raggiro, si ricava alla fine anche una morale positiva? In che modo il pessimismo di Pirandello, quale si riscontra in questa ed in altre sue opere a te note, vuole aiutarci a trovare il filo per una condotta onesta nella vita, cos piena di difficolt per tutti? 2. Pirandello tra i nostri scrittori moderni che propongono per primi una lingua finalmente di "uso medio", cio di tipo parlato. Cerca e commenta le espressioni vicine al parlato di oggi. Puoi spiegare, ad esempio, il significato dell'avverbio "allora" qui pi volte usato. 3. Nel rispondere alle domande che ti sono state poste, riferisciti anche al contesto culturale europeo dell'epoca.

Citazione:1 prova maturit 2003 TIPOLOGIA A: Analisi del testo

Luigi Pirandello, da Il piacere dell'onest (atto I, scena VIII, dialogo tra Baldovino e Fabio) La figura di Pirandello, isolata dal resto del panorama culturale italiano, consente di seguire, grazie alla sua produzione, un percorso della crisi storica ed esistenziale dellindividuo ed, in particolare, dellintellettuale nella societ tra 800 e 900. Dopo il 1870, gli anni della sua prima formazione, un forte senso di insoddisfazione domina i vari settori dellopinione pubblica e gli animi dei giovani intellettuali per il fallimento degli ideali risorgimentali. La realt italiana non ha seguito infatti gli eroici ideali ipotizzati nel primo Ottocento: le zone meridionali senza speranza di sviluppo sono ridotte a mera mercanzia di conquista, il rinnovamento dello Stato, data lincapacit della politica di avviare un reale e sostanziale processo di trasformazione, rimane paralizzato negli scandali. Il periodo giolittiano vede il disgregarsi dellutopia socialista, data linsufficienza e la leggerezza di molti dei suoi dirigenti e la relativa e indolente arretratezza delle masse. Infine, la prima guerra mondiale che non muta le condizioni, ma diffonde unimmagine decadente della societ borghese ed esaspera la delusione e lirrequietudine popolare che videro nel fascismo il punto di coagulo di rivoluzione e crisi. Naturalmente anche gli intellettuali furono colti da questo senso di crisi, una crisi didentit ed proprio in questo contesto che potremmo collocare la figura di Pirandello. Sul binomio dialettico verit e finzione, caposaldo della genesi del teatro, Pirandello pone le basi del suo essere uno dei pi importanti autori teatrali; lindagine sulla Verit, intesa come dibattito sui problemi reali dellindividuo e della societ e non come verosimiglianza di personaggi e situazioni, definisce il processo di liberazione, per cos dire, attuato dallautore per arrivare ad una conoscenza pi alta, una Verit interna alloggetto preso in analisi. Il Piacere dellonest appunto unappendice al discorso pirandelliano di tale rapporto strutturale. Lambiguit della maschera, che permette di raggiungere la verit attraverso la finzione e quindi allobiettivo primo del teatro cio la catarsi, viene qui bene impostata. Baldovino accetta razionalmente di fingere la parte di marito legale di Agata, senza perdere per la sua azione-funzione attiva nella societ, smascherando e facendo accettare indistintamente la realt venutasi a costruire agli altri personaggi: il teatro non illusione: realt che finalmente appare. No, non siamo fatti della materia dei sogni: sono i sogni ad essere fatti della nostra stessa inafferrabile materia. Il personaggio vive una realt che gli viene imposta o da ci che lo circonda o costruita dal suo Io, si veste della maschera e tenta, cerca in ogni modo, di acquisire unautocoscienza innanzi alle motivazioni che lo hanno spinto a produrre quella maschera. La produzione letteraria di Pirandello nasce in margine al Verismo, ma se ne distacca fin dallinizio assumendo toni molto pi polemici, per una visione pi amara e

paradossale della vita. La sua attenzione rivolta allindividuo e parte dalla consapevolezza di una frattura che si attua nella civilt romantica e borghese. Larte di Pirandello la denuncia angosciosa di questa crisi. La molteplicit della realt rappresenta proprio lapparenza che caratterizza i suoi personaggi sempre pronti a lottare, dimenarsi contro lartificiosit di tutte le cose e a vivere nellansia di unesistenza vera. Da qui, dalla rappresentazione di una vita che non vita, ma solo illusione, si colloca il pessimismo pirandelliano, come cardine di un qualcosa che non limita, ma evidenzia la reale realt. Come moltissimi altri personaggi pirandelliani, Baldovino portando allesasperazione le convenzioni sociali del suo tempo, ne fa evincere le contraddizioni. Tutti gli attori del copione cercano di vivere in nome di una virt che non praticano, unipocrisia sottaciuta, ma conosciuta. Lincapacit di Baldovino di tenere fede alle sue promesse, pur avendo gi imparato dalla propria esperienza di vita (provo da un pezzo .. un disgusto indicibile delle obiette costruzioni di me . io mio vedo, mi vedo di continuo . non pu credere quanto piacere mi faccia questa vendetta che posso prendermi contro la societ che nega ogni credito alla mia firma) che la vera natura delle persone esce in tutta la sua bestialit, non si nega il piacere, come il protagonista dellEnrico IV, di prendersi una rivincita e di provare a sovvertire quella realt. Lui che era sempre stato un disonesto, diviene onesto tra gli inetti. Se il suo ruolo fosse di un deus ex machina il finale sarebbe il trionfo di un ipocrita, ma forse Baldovino realmente inconsapevole e sconfitto innanzi alla vita che lo costringe al rimorso vissuto nel dolore. Lattenzione rivolta allonore come fondamento della giustizia morale e familiare fa del marchese Fabio Colli un uomo attaccato radicalmente ad un apparenza che lo salvi in nome dei buoni sentimenti. Ci che conta ci che si dice, si viene a sapere e il resto delle genti pensa. Il limite tra linconsapevolezza di capire o il fingere di non capire davvero impercettibile, la finzione sembra servire a Fabio per scrollarsi lanimo di inutili fardelli. Le brevi risposte denotano una quasi incapacit di capire la realt, una difesa perentoria fatta di esclamazioni, interrogativi e ripetizioni del tutto in contrasto con il carattere prolisso di Baldovino. Capovolgimento di ruoli? Illusione, propria dei personaggi di Pirandello, umorismo legato al paradosso della vita, fantasmi di loro stessi, sogno della loro realt.

Con linsinuarsi nella civilt novecentesca del decadentismo, il mito di Ulisse viene rivisto sotto una luce completamente diversa. Sono principalmente due gli autori che riprendono il tema e lo interpretano in chiave moderna: Giovanni Pascoli e Gabriele dAnnunzio. In realt i due hanno poco in comune, perch, pur condividendo la grave crisi di valori tipica del decadentismo, la manifestano in modi completamente diversi e soprattutto reagiscono diversamente. Nei primi anni del secolo Pascoli dedica ad Ulisse pi di un componimento, Il ritorno, incluso nella raccolta Odi e Inni, il cui tema prevalente quello della nostalgia per la patria lontana, e Lultimo viaggio che rientra nella raccolta dei Poemi conviviali del 1904. Qui lepopea antica interpretata alla luce di significati estremamente moderni. Lastuto e inarrestabile eroe greco, una volta tornato a casa dal celebre viaggio, trascorre la vita invecchiando accanto all'amata moglie. Ma in lui rimane acceso un qualcosa difficilmente decifrabile, lattesa di un qualcosa di indefinito, uninesauribile sete di conoscenza. Passati dieci anni, decide di colmare il vuoto creatosi nella sua anima con un ultimo viaggio, una seconda odissea verso i luoghi visitati la prima volta, da consumarsi con i vecchi compagni superstiti. LOdisseo pascoliano triste e deluso, vecchio e stanco, pieno di dubbi, dominato dallansia di cogliere il vero senso delle cose. Dopo tante peregrinazioni ritorna ai luoghi del passato, vivi ancora nella sua memoria, non per compiere nuove audaci imprese, ma per comprendere il senso dellesistenza. Il suo ultimo viaggio un vano errare, ben lontano dal coraggio e dalla sicurezza dellUlisse omerico, dalla sua volont di accettare la sorte e di sopportare le sofferenze. La sua sete di conoscenza si mutata nellimpossibilit di acquisire certezze, anzi, ha sollecitato in lui ulteriori dubbi e interrogativi. Son io! Son io, che torno per sapere! / Ch molto io vidi, come voi vedete / me. S; ma tutto chio guardai nel mondo, mi riguard; mi domand: Chi sono?

Cos Ulisse lancia alle due immobili Sirene la sua domanda. Vuole capire quale sia il significato dellesistenza, ma le Sirene non rispondono, e lasciano schiantare la nave nera delleroe tra gli scogli. Come in Dante, lultimo viaggio si conclude con il naufragio: tra i due scogli si spezz la nave e il corpo delleroe approda allisola di Calypso. Giaceva in terra, fuori / del mare, al pi della spelonca, un uomo / Era Odisseo: lo riportava il mare / alla sua dea: lo riportava morto. Sar Calypso a fornirci la tragica risposta allinterrogativo di Ulisse: Non esser mai! Non esser mai! Pi nulla ma meno morto, che non esser pi!. Il senso delle parole della dea drammatico: meglio per luomo non nascere, dato che deve inevitabilmente morire. Ulisse perde cos le sue certezze per diventare il simbolo della crisi di valori che caratterizza il Decadentismo.

Questa crisi si manifesta in modo diverso nella produzione di Gabriele DAnnunzio, che, nel 1903, pubblica tre dei sette libri previsti di Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi: un progetto di celebrazione totale, che avrebbe dovuto esaurire tutto il reale. In particolare ci interessa il primo dei tre, Maia, perch tratta alcuni temi riconducibili allavventura di Ulisse. Maia un poema di ventuno canti che trae spunto autobiografico da una crociera di DAnnunzio sullo yacht di Edoardo Scarfoglio con altri amici. Il poeta si presenta come eroe ulisside, in cerca di multiformi esperienze, di un vivere sublime, divino, allinsegna della forza e della bellezza, pronto a rompere limiti e divieti pur di raggiungere il suo obiettivo. Il suo viaggio nel mondo greco unimmersione in un passato mitico, contrapposto alla realt moderna, alla civilt industriale da cui leroe fugge. Ma anche grazie a questa visione distaccata della sua realt, DAnnunzio capisce che il presente brulicante di nuove potenzialit vitali. Scopre la bellezza del moderno, inneggia alle macchine e al capitalismo, in quanto cariche di enormi energie che possono essere spese per fini eroici (cio, considerando la situazione storica in cui si trovava il poeta, imperiali). Non si contrappone pi alla realt borghese dallalto del suo aristocratico disprezzo,

ma anzi, si propone come cantore dei suoi fasti, legittimando (come gi avevano fatto il Parini e il Monti) lingresso della realt moderna in poesia, attraverso parafrasi mitologiche. Ulisse una delle figure usate in Maia per esprimere la visione dannunziana del mondo moderno. Ne Lincontro di Ulisse, tratto dal canto IV del poema, leroe greco viene rappresentato come un essere superiore, sdegnoso nei confronti della massa, che appare al poeta e ai suoi compagni sulla sua nera nave nel mar Ionio. In Omero i compagni di Ulisse si erano attirati la vendetta del dio Sole, perch avevano ucciso i buoi a lui sacri. In Dante leroe aveva convinto i compagni a non viver come bruti ma a seguir virtute e canoscenza. Nei versi dannunziani Ulisse il capo, leroe guida degli uomini che vogliono condurre una vita al di sopra della mediocrit: O Re degli Uomini / piloto di tutte le sirti, ove navighi?. Ma quando i compagni del poeta interpellano Ulisse, le voci e le grida di quegli uomini comuni risuonano allorecchio delleroe come schiamazzo di vani / fanciulli, a cui orgogliosamente superiore volse non egli il capo canuto. Solo al poeta sar riservato uno sguardo meno sdegnoso, perch mentre i suoi compagni vogliono essere seguaci del Re degli uomini, DAnnunzio vuole accompagnarsi ad Ulisse suo pari, per giungere qual allesaltazione del mito del superuomo e della propria volont di potenza. in me solo credetti. / Uomo, io non credetti ad altra / virt se non a quella / E inesorabile dun cuore / possente. E a me solo fedele / Io fui, al mio solo disegno. Il poeta immagina dunque lincontro con Ulisse, eroe-simbolo della navigazione, per trasfigurarlo nella personificazione del superuomo. In questo avverte linflusso del filosofo tedesco Friedrich W. Nietzsche che, nellopera Cos parl Zarathustra, parla di un superuomo libero di costruire il proprio destino, al di sopra di leggi morali e sociali, seguendo sollecitazioni e impulsi istintivi. Il superumanismo dannunziano si esprime in una visione di distacco aristocratico: Il mondo, quale oggi appare, un dono grandissimo

elargito dai pochi ai molti, dai liberi agli schiavi; da coloro che pensano e sentono a coloro che debbono lavorare. Nella concezione di DAnnunzio si possono vedere altri motivi comuni al pensiero nietzscheano, come il rifiuto del conformismo borghese, delletica e della piet e dellaltruismo, o lesaltazione dello spirito dionisiaco e della volont di potenza. La figura di Ulisse nella letteratura del Novecento, diventata spesso il simbolo dellinquietudine morale e filosofica delluomo contemporaneo, accompagnandosi in genere ai motivi del viaggio e della ricerca della verit (come gi in Dante). Umberto Saba che riesce ad esprimere in poche righe il significato universale del mito di Ulisse riprendendo il tema del viaggio visto in chiave fortemente autobiografica in alcune liriche del Canzoniere, ma specialmente nella lirica Ulisse (che conclude la raccolta Mediterranee del 44). Attraverso questo testo, Saba ripercorre le tappe principali della sua vita: la prima parte vede i tempi al passato riferiti alla sua giovinezza, che lautore chiama giovanezza secondo la tradizione aulica; nella seconda parte, che comincia con lo stacco decisivo oggi, il poeta va in profondit a scandagliare la sua anima insoddisfatta. Il testo insomma, oltre a fornire delle suggestive immagini del paesaggio marino, ripropone il percorso di una vita umana soffocata nel cieco labirinto di una verit sempre introvabile. E mentre i suoi compagni, ormai anziani, si sentono appagati nel loro quieto vivere (rappresentato nella poesia dal porto e dalle sue luci) e evitano di porsi domande, accettando supinamente la realt, Saba, pur vecchio, si sente ancora lontano dalla meta e si sente spinto al

largo da un indomabile e doloroso amore della vita, alla ricerca di nuove esperienze. Le figure che nascono da questa contrapposizione sono quella del conformista e quella del poeta, che saranno protagoniste di testi successivi (come appunto Il poeta e il conformista). Il grande valore morale e intellettuale di questa distinzione ha spinto Brberi Squarotti e Jacomuzzi a considerare la lirica come laltissimo testamento spirituale di Saba. Lultimo verso decisivo per la comprensione della poesia, ma anche dellintera produzione sabiana. Il doloroso amore della vita il movente che spinge il poeta alla ricerca della verit. Solo il poeta pu carpire la verit delle cose, il senso pi profondo di queste, ma se la vita male e dolore, la capacit del poeta di innamorarsene pari alla sua capacit di tollerarne la sofferenza. Lossimoro coglie la cifra pi alta ed emblematica della poesia di Saba, sintetizzandone gli aspetti contrastanti in un profondo sentimento di consapevolezza. Con questi versi Saba intendeva terminare la raccolta delle Mediterranee e insieme lintero volume del Canzoniere, che egli pubblicava in quegli anni e del quale Ulisse veniva appunto a rappresentare lultima pagina. Ma si trattava di una conclusione apparente, astuta, proprio perch la poesia sabiana, in quanto compensazione e adempimento degli impulsi vitali, non poteva concludersi che con la fine della vita stessa.

I fiori del male


Il Viaggio

A Maxime du Camp I Per il ragazzo, innamorato di mappe e di stampe, l'universo pari alla sua vasta brama. Come grande il mondo alla luce della lampada, come, agli occhi del ricordo, meschino! Un mattino partiamo, il cervello in fiamme, il cuore gonfio di rancore e di voglie amare, e andiamo seguendo il ritmo delle onde, cullando il nostro infinito sul finito dei mari: gli uni, felici di fuggire una patria infame, gli altri l'orrore delle proprie culle; e alcuni, astrologhi perduti negli occhi d'una donna, Circe tirannica dai profumi fatali. Per non essere mutati in bestie, s'inebriano di spazio, di luce e di cieli infuocati; il gelo che li morde, i soli che li bruciano cancellano lentamente il segno dei baci. Ma, veri viaggiatori sono quelli che partono per partire; cuori leggeri, simili a palloncini, non si staccano mai dal loro destino, e senza sapere perch dicono sempre: Andiamo! I loro desideri hanno forme di nuvole, e come il coscritto il cannone, sognano grandi, cangianti, ignote volutt, il cui nome lo spirito umano non ha mai conosciuto. II Imitiamo orrore, la trottola e la palla nei loro valzer e nei loro salti; come un Angelo crudele che frusta i soli la Curiosit ci tormenta e ci fa girare. Singolare sorte in cui la meta cambia continuamente di posto, e non trovandosi da nessuna parte, pu trovarsi dovunque! Ad essa, l'Uomo cui mai vien meno la speranza, per trovare posa corre sempre come un pazzo. La nostra anima un tre-alberi che cerca la sua terra, l'Icaria; "Apri l'occhio" echeggia sul ponte... Dalla coffa una voce ardente e dissennata "Amore, gloria, felicit" va gridando. Dannazione, uno scoglio. Ogni isolotto avvistato dall'uomo di guardia un Eldorado offerto dal Destino: ma l'Immaginazione, che subito s'abbandona ai suoi eccessi, non incontra che uno scoglio alla luce del mattino. O misero innamorato di paesi di fiaba! Bisogner incatenarti e buttarti a mare, marinaio ubbriaco, inventore di Americhe, il cui miraggio fa pi amari gli abissi? Cos il vagabondo, pesticciando nel fango, sogna, naso in aria, paradisi luminosi; e l'occhio ammaliato scopre una Capua dovunque una candela illumini un tugurio. III Straordinari viaggiatori, quali nobili storie leggiamo nei vostri occhi profondi come il mare. Oh, mostrateci gli scrigni della vostra ricca memoria, i gioielli meravigliosi fatti di astri e di etere.

Senza vapore n vela vogliamo navigare! Per alleviare il tedio delle nostre prigioni fate passare sui nostri spiriti, tesi come una tela, i vostri ricordi chiusi in cornici d'orizzonti. Diteci: che vedeste? IV Abbiamo visto astri e flutti; sabbie; e come qui, malgrado traumi e improvvisi disastri, ci siamo spesso annoiati. Lo splendore del sole sopra il mare violetto, la gloria delle citt nel sole che tramonta accendevano nei nostri cuori un inquieto ardore, ci spingevano a tuffarci in un cielo dai riflessi incantati. Le pi doviziose citt, i pi vasti paesaggi non possedevano mai il fascino misterioso che il caso ricava dalle nuvole: e sempre il desiderio ci tallonava dappresso. - Il godere d forza al desiderio. Desiderio, vecchia pianta, cui il piacere concime: mentre che ingrossa e indurisce la tua scorza, i tuoi rami vogliono vedere il sole da vicino. Crescerai eternamente, grande albero pi vitale del cipresso? - Tuttavia, con cura, abbiamo colto alcuni schizzi per il vostro album vorace, o fratelli che trovate bello tutto quanto viene di lontano! Abbiamo salutato idoli con la proboscide: troni costellati di gioielli lucenti; palazzi elaborati la cui pompa incantata sarebbe un sogno rovinoso dei nostri banchieri; costumi che inebriano gli occhi, donne che si tingono denti e unghie, giocolieri esperti che il serpente accarezza. V E poi, poi ancora? VI "O cervelli infantili! Abbiamo visto dovunque (per non dimenticare la cosa capitale) e senza averlo cercato, dall'alto sino al basso della scala fatale, lo spettacolo tedioso dell'eterno peccato: la donna, schiava vile, stupida e orgogliosa, senza ridere e senza disgustarsi, si ama, si adora; l'uomo, tiranno cupido, ingordo, lascivo e duro, schiavo della schiava, rigagnolo nella fogna; il carnefice che gioisce, il martire che singhiozza; la festa che insaporisce e profuma il sangue; il tiranno snervato dal veleno del potere e il popolo amante dello scudiscio che l'abbrutisce; tante religioni simili alla nostra che danno la scalata al cielo; la Santit che, come un uomo di gusti delicati, sguazza su un letto di piume, cerca la volutt fra i chiodi e il crine; ciarliera, ebbra del proprio genio, pazza come era un tempo, l'Umanit che grida a Dio nella sua delirante agonia: "O mio simile, o mio signore, io ti maledico!" e i meno sciocchi, arditi amanti della Demenza, che fuggendo il grande gregge recintato dal Destino, si rifugiano nell'oppio senza fine. - Tale l'eterno resoconto del mondo intero." VII Amaro sapere, quello che si ricava dal viaggiare! Il mondo, piccolo e monotono oggi come ieri, come domani, come sempre, ci mostra la nostra immagine: un'oasi d'orrore in un deserto di noia!

Partire? Restare? Se puoi, resta, se necessario, parti. Chi corre, chi si rannicchia per ingannare il Tempo, nemico vigilante e funesto... Vi sono, ahim, dei viaggiatori senza requie (come l'Ebreo errante e gli apostoli) ai quali nulla basta, n treno n nave, per fuggire questo infame reziario; ma ve ne sono che sanno ammazzarlo senza uscire dalla loro tana. Quando alfine calcher il piede sulla nostra schiena, potremo ancora sperare e gridare: Avanti. Come un tempo si partiva per la Cina, gli occhi puntati al largo ed i capelli al vento, ci imbarcheremo, col cuore gioioso d'un giovane passeggero, sul mare delle tenebre. Udite queste voci, funebri e affascinanti, che cantano: "Di qui, voi che volete assaporare il Loto profumato! Qui si raccolgono i frutti miracolosi dei quali il vostro cuore affamato; venite a inebriarvi della strana dolcezza di questo pomeriggio senza fine?" Riconosciamo lo spettro dal tono familiare; l i nostri Piladi tendono a noi le loro braccia. "Nuota verso la tua Elettra, se vuoi rinfrescarti il cuore", ci dice quella cui, un giorno, baciavamo le ginocchia. VIII O Morte, vecchio capitano, tempo, leviamo l'ancora. Questa terra ci annoia, Morte. Salpiamo. Se cielo e mare sono neri come inchiostro, i nostri cuori, che tu conosci, sono colmi di raggi. Versaci, perch ci conforti, il tuo veleno. Noi vogliamo, per quel fuoco che ci arde nel cervello, tuffarci nell'abisso, Inferno o Cielo, non importa. Gi nell'Ignoto per trovarvi del nuovo.

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