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INTERVISTA SULLA GEOFILOSOFIA

Dal lavoro di ricerca di un giovane architetto, allievo di Paolo Portoghesi, nascono domande rivolte a due esponenti del pensiero geolosoco italiano, in un dialogo che si sviluppa attorno alle grandi questioni sulle quali un pensiero rivolto alla Terra non pu evitare di interrogarsi. Nel deserto che cresce della tecnicizzazione globalizzata e dello sradicamento sistematico delle culture, che cosa signica costruire nelle nostre citt, nel mondo che affronta un vertiginoso mutamento, e raggiungere una maggiore consapevolezza allaltezza delle decisioni epocali che ci attendono? E ancora: come si possono pensare e praticare memoria, luoghi, paesaggi, senso di appartenenza, dischiudendo nuove esperienze dellabitare umano sulla Terra?
Luisa Bonesio, studiosa di paesaggio, insegna Estetica allUniversit di Pavia. Caterina Resta insegna Filosofia teoretica e Filosofie del Novecento allUniversit di Messina. Riccardo Gardenal, architetto, autore del volume Geoarchitettura. Dalla teoria del pensiero al progetto, Roma 2010.

A CURA DI RICCARDO GARDENAL

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Terra e Mare
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Bonesio Resta

Luisa Bonesio Caterina Resta INTERVISTA SULLA GEOFILOSOFIA

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Dipartimento di Filosofia Universit degli Studi di Messina TERRA E MARE minima Collana di Geofilosofia diretta da Luisa Bonesio e Caterina Resta Comitato scientifico Massimo Cacciari Franco Cassano Serge Latouche Alberto Magnaghi Massimo Quaini 2

Dopo la fine dellordine cosmico su cui si reggevano le civilt antiche, dopo il tramonto della Cristianit medievale e il naufragio del delirio prometeico della Modernit, il globo sul quale ormai sappiamo davere un destino comune attende con urgenza un nuovo Nomos. Diviene dunque ineludibile, di fronte alla crisi che pervade ogni aspetto della vita sul nostro pianeta, tornare a pensare il senso e le possibili forme del nostro abitare sulla Terra. Ci pu avvenire soltanto a partire da un radicale ripensamento del Luogo, in quanto spazio non meramente astratto e geometrico, ma concreto lembo di terra, ogni volta singolare, qualificato dallincontro tra natura e cultura e dalle loro stratificazioni storiche, nel convincimento che lodierno galoppante processo di delocalizzazione non produce unicamente spaesamento, ma impedisce anche ogni possibilit di futuro soggiorno, senza il quale lumanit certamente destinata alla sparizione.

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Progetto grafico e copertina BosioAssociati, Savigliano (CN)

ISBN 978-88-8103-703-2 2010 Edizioni Diabasis via Emilia S. Stefano 54 I-42121 Reggio Emilia Italia telefono 0039.0522.432727 fax 0039.0522.434047 www.diabasis.it

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Indice

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Intervista a Caterina Resta Intervista a Luisa Bonesio Riferimenti bibliografici

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Intervista a Caterina Resta

Riccardo Gardenal: Geofilosofia: in che modo si avvicinata a questo pensiero e quali sono state le spinte che lhanno portata a coltivarlo? Caterina Resta: Lidea di una geo-filosofia si fatta strada in me gradualmente agli inizi degli anni Novanta. Il termine geofilosofia compare, credo per la prima volta, e comunque in modo significativo come titolazione del IV capitolo di un fortunato volume di Gilles Deleuze e Flix Guattari, Quest-ce que la philosophie?, uscito in Francia da Minuit nel 1991, e poi tradotto da Einaudi nel 1996. Vi erano gi, in quelle poche pagine, spunti di straordinario interesse, anche se del tutto interni alla pi generale prospettiva filosofica dei due autori, rispetto alla quale ho sempre nutrito numerose riserve. Lespressione geofilosofia viene poi rilanciata, sempre in ambito francese, ma in una prospettiva pi ampia e diversificata, nel 1993, in occasione della pubblicazione del volume collettaneo Penser lEurope ses frontires, testo che raccoglieva gli interventi dei partecipanti al Carrefour des Littratures europennes de Strasbourg, tenutosi dal 7 al 10 novembre del 1992, tra cui figurano anche i nomi di G. Agamben, A. Badiou, E. Balibar, J. Derrida, Ph. Lacoue-Labarthe, J.-L. Nancy, P. Virilio, B. Waldenfels. Il volumetto recava come intestazione: Gophilosophie de lEurope. Sar tuttavia Geo-filosofia dellEuropa, il fortunato testo di Massimo Cacciari, uscito per Adelphi nellanno successivo, il 1994, che, soprattutto in Italia, introdurr nel dibattito filosofico questo

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termine, mostrandone la enorme potenzialit ermeneutica. Per quanto riguarda il mio personale approccio alle questioni geo-filosofiche, questo libro, insieme al successivo LArcipelago, del 1997, rappresenta un dittico ineludibile per chiunque voglia avvicinarsi ad una prospettiva geofilosofica, sia dal punto di vista teoretico che filosofico-politico. Per mio conto, gi a partire dal mio primo volume su Heidegger (La misura della differenza. Saggi su Heidegger), avevo dedicato una parte non trascurabile della mia riflessione su questo autore davvero decisivo del Novecento a temi che si potrebbero definire geofilosofici: il concetto di misura, attraverso il confronto tra la figura dellagrimensore del Castello di Kafka e la lettura heideggeriana di Hlderlin e di Trakl, alla ricerca di un modo non meramente geo-metrico di intenderlo; la concezione della Heimkunft, del ritorno a casa, nel tentativo di sottrarre linterpretazione heideggeriana a una lettura in chiave di appaesamento e di radicamento nel senso nazionalsocialista del Blut und Boden; il tema della Terra, affrontato volta per volta nei suoi rapporti con il Mondo, con la Volont di potenza intesa come dominio e calcolo del reale, e, infine, in relazione al Cielo, cio allinterno della concezione heideggeriana del Geviert. Questa lettura geofilosofica di Heidegger si poi ulteriormente arricchita di nuove analisi in altri due testi, pubblicati negli anni successivi (Il luogo e le vie. Geografie del pensiero in Martin Heidegger; La Terra del mattino. Ethos, Logos e Physis nel pensiero di Martin Heidegger). Il primo, in particolare, intendeva far emergere la geo-grafia del pensiero heideggeriano, in virt della quale la questione del Luogo e delle Vie che a esso conducono, come anche quella del radicamento, rimettono potentemente in discussione la questione dellidentit e dellappartenenza, il significato del confine e della frontiera, il rapporto tra proprio ed estraneo, la singolarit degli idiomi. Ne La Terra del mattino, che riprende, nel titolo, una suggestiva espres-

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sione heideggeriana, che fa da contrappunto ad Abend-land, Terra della sera, Occidente, in particolare vi un saggio dedicato al concetto di Physis e allidea di natura. Nel frattempo lincontro con due autori come Ernst Jnger e Carl Schmitt (Stato mondiale o Nomos della terra. Carl Schmitt tra universo e pluriverso; Passaggi al bosco. Ernst Jnger nellera dei Titani), fondamentali insieme a Heidegger per comprendere i vari aspetti del nichilismo e del fenomeno della tecnica moderna, mi hanno sollecitata a soffermarmi, dal punto di vista geofilosofico, sui temi della globalizzazione e del nuovo ordine mondiale e su quei problemi, divenuti ineludibili, sollevati da una tecnica scatenata, che mette ormai a rischio la stessa sopravvivenza delluomo sul pianeta che lo ospita. Accanto a questa riflessione, dalle evidenti implicazioni geo-politiche, anche il mio incontro con il pensiero di autori come Lvinas, Derrida e Nancy stato decisivo per lapprofondimento, in particolare, del tema del rapporto identit-differenza, ostilitospitalit, e di un modo diverso di pensare la comunit, questioni che mi sembrano rivestire particolare interesse dal punto di vista geofilosofico, poich riguardano direttamente il senso e il modo del nostro co-abitare sulla Terra (Levento dellaltro. Etica e politica in Jacques Derrida; LEstraneo. Ostilit e ospitalit nel pensiero del Novecento). Quando, nel 1996, esposi le 10 tesi di Geofilosofia (testo pubblicato in Appartenenza e localit: luomo e il territorio, atti di un di un ciclo di incontri organizzato a Milano, consultabile, insieme ad altri testi di carattere geofilosofico, sul sito web www.geofilosofia.it), quasi un manifesto di quellambito di ricerca che, insieme a Luisa Bonesio avevamo pensato di scandagliare, il mio percorso teorico era gi giunto a sufficiente maturazione. Molte altre iniziative, sia editoriali che di organizzazione di convegni e seminari, si sono susseguite negli anni, condivise con Luisa Bonesio, compagna di strada fin dallinizio di questo percorso di ricerca, insieme alla quale dirigo anche la Collana di

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Geofilosofia Terra e Mare, inaugurata qualche anno fa presso lEditore Diabasis di Reggio Emilia. Se lincontro con la geofilosofia si nutrito di testi e di autori, il debito nei confronti dei quali non sar da parte mia mai abbastanza riconosciuto, tuttavia esso potuto accadere solo in virt di una conversione dello sguardo nei confronti, direi per brevit, della Terra e del senso del nostro abitarvi, cresciuta negli anni e condivisa in un dialogo mai interrotto con Luisa Bonesio, alimentata dalle nostre numerose peregrinazioni tra (il mio) mare e (i suoi) monti. Se, dal punto di vista filosofico, a ci mi aveva condotto soprattutto Heidegger, la sua analisi della tecnica moderna, dei temi del nichilismo e dellabitare-costruire-pensare, sul piano esistenziale questi interrogativi sono stati sollecitati da un nuova capacit di vedere, pi sensibile tanto nei confronti della bellezza, quanto del degrado ambientale che ci circonda. Risiedendo non posso dire abitando in una citt come Messina, che paradossalmente ha negato la sua geo-storica e geo-simbolica vocazione al mare, ho cominciato pian piano a vederlo, il mare, al di l della sua cancellazione. Ho poco per volta imparato a riconoscere una citt invisibile che, nonostante gli evidenti sfregi e loblio di s, pure poteva rivelarsi a me in scorci inaspettati di grande suggestione. Cos come, da anni frequentatrice delle Alpi, ho cominciato pian piano ad apprezzarle non da semplice turista, lasciandomi catturare dalla loro straordinaria bellezza e potenza estranea. Credo che senza questa conversione dello sguardo, senza un faticoso e spesso doloroso apprendistato intellettuale ed esistenziale insieme, non sia possibile accostarsi a un approccio geofilosofico, il quale, almeno secondo il mio punto di vista, aspira a essere una visione complessiva, non solo per il suo carattere interdisciplinare, ma anche perch come direbbe Ernst Jnger, un autore che giudico fondamentale per questa prospettiva la

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ste traiettorie entro le quali soltanto possibile un abitare. Si tratta, per molti versi, del tentativo di recuperare quelle coordinate ben conosciute dalle civilt antiche, cui prima facevo cenno, che la matematizzazione moderna dello spazio ha inevitabilmente perduto. La Er-rterung, di cui Heidegger parla nel contesto di uninterpretazione della poesia di Trakl, viene sottratta al suo consueto significato di discussione, per assumere quello pi fedele alla sua etimologia di collocazione, di ricerca del luogo. Da questo punto di vista la Er-rterung va pensata come il movimento opposto a quella Ent-ortung, a quella de-localizzazione cui Schmitt ha imputato la dissoluzione del Nomos delle Terra dellEt moderna, ormai incapace di un Ordinamento [Ordnung] che sia anche Collocazione [Ortung]. R.G.: Se, come scrisse Nietzsche, il nonluogo un deserto che cresce, perch questi stessi sono in continuo aumento? Cosa prospettano al futuro dellumanit? C.R.: Il deserto che cresce per Nietzsche limmagine stessa dellavanzare del nichilismo, di quel processo di Entortung, cui prima accennavo, parlando di Schmitt. Heidegger, commentando questa allarmante constatazione nietzscheana, suggeriva che il tratto pi inquietante della desertificazione che essa impedisce ogni crescita futura. Il processo di desertificazione del mondo, nel frattempo, da metafora del nichilismo divenuto desolante realt, che si mostra non solo nel crescente espandersi di territori aridi, causato dallopera delluomo sia direttamente (il disboscamento, labbandono delle colture ecc.) che indirettamente (i cambiamenti climatici), ma anche e forse ancor pi inquietantemente nel proliferare di quelli che Marc Aug ha chiamato non-luoghi. Ci che caratterizza i non-luoghi appunto il loro aver completamente smarrito quegli elementi, che contribuisco-

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no a dargli senso, di cui prima dicevamo, senza i quali un luogo non pu neppure dirsi tale; si tratta di spazi divenuti a tal punto anonimi, uniformi e decontestualizzati da potersi collocare indifferentemente in ogni punto della terra. Proprio perch il nostro tempo non sa pi riconoscere luoghi, ma solo spazi da attraversare il pi velocemente possibile come ha ben visto Virilio oggi proliferano piuttosto gli snodi, gli scambi, i punti di interconnessione e di raccordo, le aree di smistamento. Da questo punto di vista la rete Internet ne lesempio emblematico divenuta il nuovo spazio entro il quale ci muoviamo e dal quale traiamo i nostri modelli abitativi, senza poter trovare pi un luogo in cui sostare, sospinti dallaccelerazione di un flusso inarrestabile. In questo flusso, che veicola insieme informazioni, immagini, suoni, merci, mezzi di trasporto, denaro, le nostre stesse esistenze sono sospinte da quella che Jnger, negli anni Trenta, aveva chiamato mobilitazione totale. Egli, tuttavia, suggeriva che entro questo vortice era necessario trovare il punto immobile del movimento, altrimenti si sarebbe corso il rischio di rimanerne travolti. In un mondo in cui laccelerazione si cos accresciuta, diviene di fondamentale importanza la ricerca di luoghi in cui poter sostare, in cui ritrovare spazio e tempo per le nostre esistenze. Cos come la Modernit ha segnato il trionfo della vita urbana e dei processi di migrazione verso la citt che rende liberi, oggi, invece, soprattutto nelle metropoli dellOccidente, si assiste a un controesodo: non sono pochi coloro che scelgono di abbandonare citt sempre pi invivibili, entro le quali si sentono ormai prigionieri, per cercare luoghi in cui sia ancora possibile abitare. Questa fuga dalla citt, tuttavia, assume spesso il carattere nevrotico dei fine-settimana, di una evasione che si traduce impietosamente nellimprigionamento degli ingorghi autostradali o delle file ai caselli, in un viavai incessante che riproduce quella stessa mobilitazione dalla quale si voleva fuggire. Cos

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come, paradossalmente, sono proprio gli esodi estivi dalle citt a restituire, non ai luoghi superaffollati di vacanza, ma proprio alle citt deserte, il loro antico sapore di luoghi. E, daltra parte, non bastano il cascinale in campagna, la baita alpina o la casa al mare a rivelare il senso del luogo, se ovunque, intorno, ma soprattutto in se stessi, il senso del luogo si smarrito. Il deserto ha ormai coperto pressoch ogni dove. Solo una radicale conversione del nostro modo di pensare labitare potr ancora concederci di soggiornare in qualche luogo. E ci ha bisogno di tradursi in stili di vita condivisi, in un comune sentire. R.G.: Ricreare il luogo nelle nostre citt, riscoprendo la loro memoria e valori senza monumentalizzarli, bens servendosene per un progresso nuovo, che fondi proprio in questi ritrovati valori le sue radici. possibile? C.R.: Affinch le citt possano tornare ad essere luoghi e penso soprattutto alle citt della vecchia Europa sottraendole al loro crescente degrado e alla loro morte, da pi parti pronosticata, significa soprattutto interrogarsi non tanto sul gesto del costruire, quanto su quello del ri-costruire. Infatti, anche quando si tratti di dovere costruire qualcosa che prima non cera, questo gesto non sar mai ex novo, n tanto meno ex nihilo come pure la tentazione di tanta architettura contemporanea ma dovr necessariamente misurarsi con il contesto, nel tentativo di ricostruire, per quanto possibile, quei nessi, quelle relazioni che il vuoto dello spazio architettonico mostra lacerati. Se ogni costruire mostra in primo piano la logica di una interna coerenza, il ri-costruire non semplice restaurazione e ripetizione, tanto meno musealizzazione, ma capacit di cogliere richiami, di ristabilire rapporti che il tempo e lo spazio hanno interrotti. Sempre, ma a maggior ragione nel caso del ri-costruire che avviene entro spazi urbani dalla memoria stratificata, ledificare si

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Riccardo Gardenal: Geofilosofia: in che modo si avvicinata a questo pensiero e quali sono state le motivazioni che lhanno portata a coltivarlo? Nellarco della sua carriera, in quale momento si sentita maggiormente in linea con questo pensiero? Esiste un esempio in particolare che Le ispira un sentimento simile (opere artistiche, riferimenti geografici ecc.)? Luisa Bonesio: Prima di occuparmi del pensiero geofilosofico, oggetto della mia ricerca sono stati alcuni filosofi tedeschi che hanno analizzato i caratteri costitutivi ed epocali della modernit, formulando anche diagnosi molto distanti dal progressismo positivistico e dallidea illuministica della forza emancipativa di scienza e tecnica: in particolare Nietzsche, Heidegger, Spengler, Jnger. Prima ancora mi ero occupata di un altro filosofo tedesco fortemente critico verso i fallimenti storici della ragione occidentale, T.W. Adorno. La riflessione sulla tecnica moderna come assoggettamento della natura e del mondo, liquidazione della bellezza, abolizione della sacralit, sprezzo per le memorie e i retaggi del passato, la riduzione del vivente a spiegazioni disanimanti, linduzione di mondi sempre pi sofisticati, pervasivi e inavvertiti, ridotti a immagini sempre pi distanti dal mondo reale, che si ritrova anche in altri autori (per esempio G. Anders, J. Baudrillard, P. Virilio), mi ha portato a focalizzare sempre pi la mia attenzione sul tema della terra (cfr. La terra invisibile), come la dimensione ontologicamente costitutiva del nostro essere al mondo che viene cancellata e resa invisibile dagli apparati tecnici e dal loro filtro onnipervasivo. Tra gli effetti pi rilevanti che ne conseguono vi

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sono il disorientamento ontologico e spirituale, la sostituzione della concretezza, memorialit, simbolicit e vita della terra e dei suoi luoghi individuati con astrazioni e rappresentazioni (le quali, a loro volta, ne consentono la manipolabilit totale e indifferenziata) e la fine del consapevole rapporto di mediazione delluomo tra terra e cielo. Da questo punto di vista, nel mio percorso stato fondamentale un altro filone, meno visibile e accettato in quegli anni: quello dei pensatori delle forme simboliche e spirituali, come Gunon, Eliade, Coomaraswamy, Schuon, Titus Burckhardt, Henry Corbin, Panikkar e altri, il cui apporto stato per me imprescindibile per comprendere correttamente lanomalia della modernit nel suo pressoch totale smarrimento di consapevolezza cosmica e spirituale, ossia della coappartenenza delluomo a un tutto pi vasto, complesso e ordinato di relazioni e misure. Se queste sono state le ascendenze teoriche, chiaro quanto mi sia estranea la declinazione deleuziana della geofilosofia, e quanto pi affine quella di Massimo Cacciari (Geo-filosofia dellEuropa) anche per la comunanza dei riferimenti teorici, e, per certi versi, quella di Jean-Luc Nancy. In realt, se guardo le cose ancor pi nella prospettiva della necessit che conduce a percorrere una via di pensiero piuttosto che unaltra, riconosco in Rilke un pensiero poetante o una poesia pensante che mi hanno sempre molto coinvolta; ma davvero decisiva, a livello autobiografico, stata la progressiva riscoperta dei luoghi natali (le Alpi valtellinesi) e dei loro vicinati (lEngadina), in quanto paesaggi la cui bellezza mi ha sempre ispirato un profondo senso di appartenenza non meno che fatto avvertire lesemplarit universale racchiusa nella bellezza di ogni singolo luogo. Questi, daltra parte, sono ancora oggi i luoghi elettivi, ma certamente non unici, del mio impegno in campo paesaggistico. Ma di sicuro levento maggiore in questo cammino di ricerca stato lincontro con i temi approfonditi da Caterina Resta, e la

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condivisione dellinteresse, declinato da prospettive complementari, per alcuni dei pensatori e delle tematiche richiamati prima, in particolare Nietzsche, Heidegger e Jnger (a questultimo abbiamo dedicato un volume scritto insieme, Passaggi al bosco. Ernst Jnger nellera dei Titani). A partire dagli anni Novanta abbiamo avuto molte occasioni anche pubbliche per presentare, discutere e mettere a fuoco il nostro approccio geofilosofico e per far circolare sempre di pi il termine Geofilosofia come lapproccio che cerca di mettere al centro di ogni dibattito la nostra appartenenza terrestre e i problemi che conseguono dal suo disconoscimento e da un travalicamento cieco dei limiti e delle misure che assicurano non solo larmonia necessaria, ma la sopravvivenza stessa dellumanit. In questo senso, il nostro manifesto sono state le 10 tesi di geofilosofia di Caterina Resta (1996, ora in www.geofilosofia.it), in cui si sintetizzavano i punti focali della prospettiva geofilosofica. Certamente uno di questi ambiti di elaborazione e discussione, oltre che di individuazione di percorsi e posizioni affini e di ricerca di autori e testi del passato in cui rintracciare spunti utili alla comprensione geofilosofica attuale, stata lesperienza nella rivista Tellus, incontrata negli anni Novanta, e che successivamente abbiamo voluto sottotitolare Rivista di geofilosofia. La ritengo tuttora unesperienza interessante e fondativa per il nostro modo di lavorare e per far conoscere le nostre proposte, nel senso che essa, finch durata, ha realizzato quel dialogo necessario tra radicamento locale e dialogo globale che costituisce il fondamento e lorizzonte della Geofilosofia: pur realizzata materialmente e con le motivazioni profonde di unappartenenza geografica elettiva in un luogo periferico come la provincia di Sondrio, con scarsissimi mezzi economici e promozionali, Tellus come abbiamo potuto constatare anche a molti anni di distanza stata conosciuta, apprezzata e valutata in Italia e in Europa (forse molto meno nei luoghi in

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cui stata realizzata) come un laboratorio di proposta culturale estremamente interessante e innovativo. Da questa esperienza sono anche scaturite alcune iniziative editoriali volte a far conoscere alcuni testi e autori del Novecento mai tradotti in Italia, che ai nostri giorni acquistano un nuovo interesse teorico, oltre che rappresentare gli antecedenti di un approccio geofilosofico: per esempio la conferenza di Ludwig Klages, Luomo e la Terra e unantologia di quattro saggi del 1950 dedicata al paesaggio da tre geografi tedeschi (Troll, Lehmann e Schwind) e da uno storico dellarte (Ltezeler), con il titolo Lanima del paesaggio tra estetica e geografia. Negli anni successivi, fino ad oggi, abbiamo partecipato a numerosissimi incontri, proponendo la nostra prospettiva geofilosofica. Ho anche organizzato vari convegni, tra cui uno manifesto, spiccatamente interdisciplinare (geografia, geofilosofia, archeologia preistorica, estetica, letteratura), i cui Atti recano il titolo Orizzonti della Geofilosofia. Terra e luoghi nellepoca della mondializzazione. Ma lelenco sarebbe davvero troppo lungo. Non posso non notare che, a un lusinghiero effetto di fecondazione della prospettiva geofilosofica, soprattutto in ambiti disciplinari diversi (geografia, architettura, archeologia, sociologia, pedagogia ecc.), il disinteresse accademico per listituzione di insegnamenti geofilosofici soprattutto nellambito della mia universit stato piuttosto significativo della scarsa dimestichezza se non aperta diffidenza di taluni settori della filosofia italiana con linterdisciplinarit e con pensieri che cercano di produrre le condizioni di una pensabilit della situazione epocale, tanto su scala planetaria quanto su scala locale. Per poter sviluppare una simile prospettiva occorre sicuramente innanzitutto un pensiero genealogico della modernit, che ne pensi fino in fondo la costituzione storica e ideologica e possa cos superarla, avendone compreso rischi e chiusure. Dal mio punto di vista, gli autori richiamati in precedenza assicurano, con la loro radicalit dinter-

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R.G.: Come si potrebbe allora tornare alle origini e riscoprire i valori del luogo originario? L.B.: Non mai possibile tornare alle origini e non c, evidentemente, nessun luogo primordiale che non sia pura astrazione o costruzione mitica o immagine archetipica. E questo perch, come ho ripetuto, il luogo sempre una costruzione culturale e storica che pu variare e/o mantenere forme di stabilit anche molto perduranti, sintomo di un efficace equilibrio raggiunto nellinterazione con le condizioni geografiche e naturali. In realt, se guardiamo al passato dei luoghi, per quanto possibile ricostruirlo, potremmo vedere sia soluzioni molto buone, sia pratiche dissennate anche nellantichit: basti pensare ai massicci disboscamenti romani per alimentare le caldaie delle terme, o la riduzione delle feraci condizioni produttive dellAfrica del Nord allattuale distesa desertica del Sahara. Per non dire che anche pratiche apparentemente a basso impatto come la pastorizia hanno provocato comunque variazioni e contaminazioni delle specie vegetali, fenomeno che si verifica anche in natura per i semi trasportati dagli uccelli, dal pascolamento o dal vento. Ma di sicuro, nel passato, i luoghi erano tali; per usare i criteri di Marc Aug e di Edward Relph, erano relazionali, identitari e storici e questi loro caratteri fondanti si manifestavano nella loro varia configurazione fisica e simbolica. Abbiamo detto come la modernit distrugga queste caratteristiche, cosa possibile solo se c un preliminare e generale orientamento del pensiero in questa direzione e una riduzione delleffettiva complessit dei fenomeni storici in diagrammi bidimensionali, risolvibili come calcoli astratti in tutti i loro diversi aspetti. Ne un esempio lampante il funzionalismo architettonico: per una dimensione ontologicamente, spiritualmente e culturalmente complessa come labitare, viene prospettata da Le Corbusier una soluzione astratta, meccanica e intercambiabile come la macchina per abitare, basata su parametri astratti e universali di bi-

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sogni, che prescindono dalle configurazioni culturali, spaziali, dai retaggi storici: dai luoghi appunto. Lazione dissolvente e scompaginante della modernit stata relativamente rapida, ma molto profonda, a causa della performativit tecnica che, con il suo stesso linguaggio, astratto e potente grazie alla sua elementarizzazione, stata la principale causa dellomologazione degli stili costruttivi e della pervasivit delle distruzioni dei precedenti linguaggi insediativi. Eppure, come si diceva a proposito della rinascita della questione paesaggistica, oggi si assiste a una crescente domanda di orizzonte, a una diffusa domanda sociale di paesaggio, di luoghi dotati di senso, individualit e di qualit in cui possano sorgere comunit conviviali, sobrie e solidali. Ho analizzato a lungo questo ritorno dei luoghi nella cosiddetta postmodernit nel mio ultimo libro, Paesaggio, identit e comunit tra locale e globale, riconnettendolo alla ricerca di significati rigettati semplicisticamente nella corsa modernistica a liberarsi di dimensioni viste come zavorre incapacitanti del passato; significati e dimensioni che definiscono ontologicamente e simbolicamente lesistenza degli umani, non meno di quella del mondo naturale. Ma si tratta, appunto, di una rinascita che avviene oggi, in questa epoca, dopo il passato pi lontano e dopo una modernit che, nelle sue pretese mitiche (le metanarrazioni di Lyotard), anchessa trascorsa, in un contesto mondializzante, di grandi potenzialit tecniche, enormi rischi per la specie umana, lentezza colpevole nellassumere le conseguenze e le questioni ineludibili che la questione ambientale (lesplicitazione del soggiacente, per dirla con Sloterdijk) pone con urgenza esponenzialmente drammatica, incremento di quelle dimensioni endemiche negative che il modernismo si vantava di aver sconfitto (fame, guerre, violenza, distruzioni ambientali, povert, diseguaglianze, schiavit, sprezzo per le forme di vita, umana compresa) e una tragicamente scarsa consapevolezza della catastrofe in cui siamo implicati.

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In questo contesto drammatico, il ritorno ai luoghi (che sono in gran parte da reinventare) innanzitutto una risposta di consapevolezza che cerca di arginare la deriva mondialista di un sistema economico e di un modello di sviluppo disastrosi e iniqui, insostenibili da ogni punto di vista, affermando unethica dellabitare in questo pianeta che non pu che ripartire dalla localizzazione delle attivit. In fondo, espresso come imperativo ecologico immediato, a ci allude il criterio di qualificazione dei prodotti a Km 0. Si tratta quindi di comprendere che, nel richiamo alla rilocalizzazione, si intrecciano e convergono posizioni etiche, politiche, economiche e buone pratiche, come il pensiero e il movimento della decrescita di Latouche e Pallante, quello della convivialit, iniziato da Ivan Illich, ma soprattutto tutte le forme di governance spontanea che anche in Italia si stanno diffondendo, dagli Osservatori del paesaggio, agli ecomusei o musei del territorio, ai percorsi di attuazione del dettato della Convenzione Europea del Paesaggio nelle province e regioni. Credo anche che, nel restauro o nella progettazione dei luoghi, occorra comunque mantenere fede (pena la distruzione dellidentit dei luoghi, dove ancora sopravvive) a quelle che sono state chiamate le invarianti, o i profili di condensazione e riconoscibilit dellespressivit dei luoghi, e che oggi sempre pi spesso ricevono forme di codificazione in appositi statuti, che devono funzionare come criteri condivisi e fondanti di ogni azione che abbia una ricaduta territoriale. R.G.: Un concetto importante trattato nel suo testo Paesaggio, identit e comunit tra locale e globale quello di simbolo. Il paesaggio in questo caso non viene visto unicamente come dimensione naturale, bens come risultato di una rielaborazione culturale insita a monte, come daltronde aveva gi intuito Georg Simmel. Non forse proprio questo alla base della Geofilosofia?

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L.B.: Il concetto di simbolo era molto presente in un testo precedente, Geofilosofia del paesaggio. Nellultimo testo, cui Lei si riferisce, il concetto diventa il riconoscimento, peraltro presente in pressoch tutti gli studi attuali, del fatto che paesaggio, come del resto mostra la storia del termine nelle lingue europee, la manifestazione visibile di uninterazione culturale con la natura di un sito. Da questo punto di vista, se ci si riferisce alla dimensione naturale, avrebbe pi senso parlare di caratteri geografici (fisici, morfologici, climatici ecc.) del paesaggio. Questa posizione di coerenza concettuale e terminologica deriva dalla rielaborazione di alcune linee filosofiche europee, ma anche da acquisizioni pi recenti in altri campi: per esempio i concetti di mdiance e trajection del geografo francese contemporaneo Augustin Berque; quelli di artializzazione in situ et in visu di Alain Roger; particolarmente interessante anche un filone americano di late ascendenze fenomenologiche (Relph, Casey, Hillman), che ha il pregio di esplicitare linaggirabilit delle codificazioni simboliche delle dimensioni e relazioni spaziali e della loro articolazione in luoghi distinti, la cui adeguata comprensione resa possibile dallo studio degli archetipi e dei simbolismi presenti in tutte le culture. R.G.: Pensare il paesaggio come descritto nel suo libro, ovvero ricco di valori quali cultura, carattere storico, comunitario e simbolico, ancora possibile oggigiorno nel rievocare il senso dellabitare heideggeriano? L.B.: Personalmente trovo che la rievocazione letterale del pensiero heideggeriano pu essere opportunamente lasciata sullo sfondo nelle attuali argomentazioni, senza che nulla di essa sia stato smentito. Piuttosto credo, come ho a lungo argomentato in questi anni e nellultimo libro, che si debba maggiormente riflettere sui nuovi statuti degli abitanti e sul fatto che lappartenenza ai luoghi e la cura dei paesaggi non possa che essere elettiva, una scelta di responsabilit, quel diritto-dovere che la Convenzione Europea

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