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Capitolo 1

Concetti fondamentali
1.1 Cenni sulla Teoria degli Insiemi
Lo scopo di questa sezione `e di dare quel minimo di Teoria degli Insiemi
necessario per il nostro lavoro e di introdurre la notazione di base.
In Matematica esistono dei concetti detti primitivi che non sono deni-
bili; tali sono, per esempio in geometria, i concetti di punto, retta e piano.
Unaltro di questi concetti `e quello di insieme, cio`e una collezione di oggetti o
enti di qualsiasi specie presi con un dato criterio. Cos` parliamo dellinsieme
degli abitanti della Provincia di Lodi o linsieme N dei numeri naturali cio`e
dei numeri 0, 1, 2, 3, . . . .
1
Gli insiemi sono caratterizzati da una o pi` u pro-
priet`a; cos` diciamo che un elemento x appartiene ad un insieme A quando
x ha la(le) propriet`a caratterizzante(i) A. Per esempio, supponiamo che A
sia linsieme dei numeri naturali caratterizzati dalla propriet`a P di essere
dispari; scriveremo questo insieme in forma concisa come segue
A = {n N |n dispari }
qui le graette { } stanno a indicare che abbiamo un insieme, il simbolo
ci dice che lelemento n appartiene allinsieme N ed il simbolo | si traduce con
tale che. Di sopra abbiamo adoperato in modo intuitivo anche il simbolo
= (uguale a). Come si vedr` a pi` u avanti, a volte `e necessario precisare cosa
si intenda con il concetto di uguaglianza.
Nellinsieme dei numeri naturali si possono fare due operazioni algebriche
importanti: la somma + e la moltiplicazione . Queste godono di importanti
propriet`a; cominciamo con la somma.
1
In questo corso assumiamo il concetto di numero naturale come intuitivo; tuttavia la
denizione rigorosa di numero naturale `e tuttaltro che semplice; infatti, solo verso la ne
del secolo 19
o
, il matematico tedesco Gottlob Frege riusci a ricongiungere lidea di numero
naturale alla teoria degli insiemi.
1
2 CAPITOLO 1. CONCETTI FONDAMENTALI
S1 (Commutativit`a) Per qualsiasi a, b N, a + b = b + a. Sostituendo
lespressione per qualsiasi con il simbolo logico , possiamo riscrivere
la propriet`a di commutativit` a nella forma concisa
(a, b N) a +b = b +a .
S2 (Associativit`a) (a, b, c N) (a +b) + c = a + (b +c) .
S3 (a N) a + 0 = 0 +a = a .
Per la moltiplicazione valgono le seguenti propriet`a:
M1 (Commutativit`a) (a, b N) a b = b a .
M2 (Associativit`a) (a, b, c N) (a b) c = a (b c) .
M3 (a N) a 1 = 1 a = a .
Le due operazioni sono collegate tra di loro dalla
Propriet`a Distributiva : (a, b, c N) a (b +c) = (a b) + (a c) .
Partendo dai numeri naturali e con laiuto della somma, possiamo denire
altri numeri: dato un numero naturale qualsiasi a, deniamo il negativo
di a (anche detto inverso additivo di a) come lunico numero x tale che
a +x = x +a = 0; linverso di a `e anche denotato con il simbolo a. Per
una questione di completezza troviamo conveniente scrivere esplicitamente
la propriet`a che ogni intero ha un inverso:
S4 (a Z)a + (a) = 0 .
Questa propriet`a dovrebbe essere letta assieme alle propriet`a S1, S2 e S3 dei
naturali scritte prima.
Si osservi che con questa denizione abbiamo costruito un insieme Z pi` u
grande di N ed abbiamo esteso la denizione di somma agli elementi di Z.
Linsieme Z detto insieme dei numeri interi `e pi` u grande di N nel
senso che
(a N) a Z .
Simbolicamente scriviamo N Z e leggiamo N `e contenuto in Z. In gen-
erale, diciamo che un insieme A `e contenuto in un insieme B (o che A `e un
sottoinsieme di B) se, e soltanto se (a A) a B; simbolicamente,
A B (a A) a B
(il simbolo st`a per se, e soltanto se) .
1.1. CENNI SULLA TEORIA DEGLI INSIEMI 3
Ora siamo in condizioni di denire luguaglianza di insiemi: due insiemi
A e B sono uguali (scriviamo A = B) A B e B A.
Sia C un sottoinsieme di un insieme B; linsieme dierenza di B e C `e
per denizione linsieme
B \ C = {x B|x C}
dove `e la negazione del simbolo logico e vuol dire che x non `e un elemento
di C o in altre parole, x non appartiene a C. Diamo un esempio concreto
della dierenza di due insiemi: consideriamo linsieme dei numeri interi Z e
sia {0} il sottoinsieme di Z costituito dal solo elemento 0 Z; allora, Z\{0}
`e linsieme dei numeri interi diversi da 0.
Siano A e B due insiemi dati; deniamo gli insiemi
1. intersezione A B = {x|x A e x B} ,
2. unione A

B = {x|x A e/o x B} ,
3. prodotto (cartesiano) A B = {(a, b)|a A e b B} .
Se gli insiemi A e B non hanno elementi in comune diciamo che A B `e
vuoto e scriviamo A B = .
Una relazione da un insieme A ad un insieme B `e semplicemente un
sottoinsieme R A B; se (a, b) R diciamo che lelemento a A `e in
relazione con lelemento b B (scriviamo anche aRb invece di (a, b) R). Il
dominio di R `e linsieme
dom(R) = {a A|(b B) aRb}
(qui il simbolo signica esiste) e la portata di R `e linsieme
por(R) = {b B|(a A) aRb} .
Una relazione di equivalenza in un insieme A `e una relazione R da A a se
stesso per la quale valgono le seguenti propriet`a:
1. Riessivit`a : (a A) aRa ,
2. Simmetria : aRb bRa (si legga: se aRb allora bRa) ,
3. Transitivit`a : aRb e bRc aRc .
Per qualsiasi a A, la classe di equivalenza a dellelemento a determinata
dalla relazione di equivalenza R `e linsieme
a = {x A|aRx} A .
4 CAPITOLO 1. CONCETTI FONDAMENTALI
Osserviamo subito che se due elementi a e b presi arbitrariamente in A non
sono equivalenti tramite R scriviamo aRb e qui R indica la negazione
della propriet`a R allora
a b = .
Infatti, se a b = allora esisterebbe un elemento x A|xRa e xRb. Le
propriet`a di simmetria e transitivit`a ci dicono allora che aRb contrariamente
allipotesi fatta su a e b. Vogliamo anche osservare che linsieme A si scrive
nella forma
A =
_
aA
a .
Infatti:
(a A)a a a
_
aA
a A
_
aA
a
e
(x
_
aA
a)(a A)x a x A .
Con questo abbiamo dimostrato il seguente risultato:
Teorema 1.1.1 Una relazione di equivalenza R in un insieme A determina
una partizione di A in classi di equivalenza disgiunte.
Denotiamo con A/R linsieme delle classi di equivalenza denite da R in
A; linsieme A/R `e anche detto insieme quoziente di A per R.
Nellinsieme degli interi esiste unaltra operazione importante: la divi-
sione. Dati a, b Z, diciamo che a divide b (o che b `e divisibile per a) se
esiste q Z tale che b = a q (q `e detto quoziente). Per esempio, 54 `e
divisibile per 9 ma non lo `e per 5. Adottiamo la notazione a|b per dire che
a divide b. Si osservi che il concetto di divisione appena introdotto denisce
una relazione in Z, la relazione di divisibilit`a; questa relazione `e riessiva e
transitiva come si pu`o facilmente dimostrare, ma non `e simmetrica (a|b e
b|a a = b). Fra non molto vedremo come si pu`o ottenere una
relazione di equivalenza partendo dalla divisione (con resto). Prima per`o
osserviamo che possiamo ordinare linsieme Z: diciamo che lintero a `e pi` u
grande dellintero b (notazione: a > b) se a + (b) = a b N \ {0}.
2
In
questo modo scriviamo linsieme Z nella forma
{. . . 3, 2, 1, 0, 1, 2, 3, . . .}
e tra due elementi, il pi` u grande `e quello che si trova pi` u a destra. Gli interi
a tali che a > 0 sono gli interi positivi. Per concludere queste osservazioni
sullordinamento degli interi osserviamo le seguenti propriet`a:
2
Se includiamo lo zero, cio`e se a b N allora diciamo che a `e pi` u grande o uguale a
b e scriviamo a b.
1.1. CENNI SULLA TEORIA DEGLI INSIEMI 5
O1 La somma di due interi positivi `e un intero positivo.
O2 Il prodotto di due interi positivi `e un intero positivo.
O3 (a Z) vale soltanto una delle alternative seguenti: (i) a > 0, (ii) a =
0, (a) > 0.
Queste tre propriet`a caratterizzano Z come insieme ordinato.
Ora riprendiamo i nostri due numeri 54 e 5; il 5 non divide il 54 per`o sta
10 volte nel 54 cio`e, 10 5 = 50 e 11 5 = 55 con 55 > 54 > 50; infatti,
possiamo scrivere 54 = 10 5 +4. Con questo esordio scriviamo la seguente
denizione: a divide con resto lintero b se esistono due interi q e r tali che
a > r 0 e b = a q + r; lintero r `e detto resto della divisione di b per
a. Naturalmente, se r = 0, allora a|b. In un corso rigoroso di Algebra si
dimostra che la divisione con resto `e sempre possibile nellinsieme degli interi
e che il quoziente ed il resto sono determinati in modo unico (cf. [?]).
Ora torniamo alle nostre relazioni di equivalenza. Sia a > 0 un numero
naturale ssato. Diciamo che due interi b e c sono equivalenti modulo a
e scriviamo b c (mod a), se nella divisione di b e c per a otteniamo il
medesimo resto r. La dimostrazione del fatto che lequivalenza modulo a `e
una relazione di equivalenza `e lasciata agli Esercizi. Nellesempio numerico
dato sopra vediamo che lequivalenza (mod. 5) produce una partizione di Z
in cinque classi disgiunte: 0, 1, 2, 3 e 4.
Una funzione f da un insieme A ad un insieme B (scriviamo f : A B)
`e una relazione da A a B con dominio A che assegna ad ogni elemento di A
un unico elemento di B. Diamo alcuni esempi di funzioni.
La somma di numeri naturali `e una funzione
+ : NN N
che associa ad ogni coppia di numeri naturali (p, q) il numero naturale p +q
(osservazione: ((p, q), (r, s) NN) (p, q) = (r, s) p = q e r = s).
Una funzione f : A B determina (ed `e determinata) dallinsieme
Ins(f) A B = {(x, f(x)) A B|x A e
(x, f(x)) = (y, f(y)) x = y} .
Una funzione f : A B `e iniettiva (risp. suriettiva) quando a due elementi
qualsiasi di A, f fa corrispondere due elementi distinti di B (risp. quando
per qualsiasi elemento b B esiste un elemento a A tale che f(a) = b).
Una funzione f : A B che sia al medesimo tempo iniettiva e suriettiva `e
detta biiezione. In simboli,
f : A B iniettiva se (x, y A) f(x) = f(y) x = y ,
6 CAPITOLO 1. CONCETTI FONDAMENTALI
f : A B suriettiva se (b B)(a A)f(a) = b .
1.2 Numeri razionali; numeri reali
Per denizione, linsieme Q dei numeri razionali `e linsieme di tutte le coppie
(p, q) Z Z tali che q = 0 e con la seguente denizione di uguaglianza:
(p, q) = (r, s) ps = qr .
Per dirlo con altre parole, osserviamo che la relazione di uguaglianza appena
denita `e in eetti una relazione di equivalenza nellinsieme Z(Z\ {0});
dunque, Q `e linsieme quoziente
Q = (Z (Z \ {0}))/
(cfr. Teorema 1.1.1).
Consideriamo il sottoinsieme Q
1
= {(p, 1)|p Z} di Q; la funzione
f : Z Q
1
, z (z, 1)
`e una biiezione e cos` possiamo identicare Z al sottoinsieme Q
1
di Q e per
abuso di linguaggio scriviamo Z Q . Possiamo ora estendere le denizioni
di somma e moltiplicazione degli interi ai razionali:
+ : QQ Q
((p, q), (r, s) Q) (p, q) + (r, s) = (ps +rq, qs)
: QQ Q
((p, q), (r, s) Q) (p, q) (r, s) = (pr, qs) .
Il verbo estendere che abbiamo usato di sopra non `e stato preso a caso:
infatti, le funzioni + : QQ Q e : QQ Q applicate al sottoinsieme
Z Z danno luogo a esattamente la somma e la moltiplicazione sugli interi.
Abbiamo scritto i razionali come coppie di numeri interi (a, b), con b = 0;
tuttavia i razionali sono scritti normalmente in forma frazionale
a
b
. Dora in
poi adotteremo questa scrittura per i razionali.
Osserviamo che se b|a, cio`e a = b q per un certo intero q, allora il
razionale
a
b
coincide con lintero q.
Un intero p `e detto primo se divisibile soltanto per se stesso e per lunit`a 1;
per esempio, i numeri 2, 3, 5, 7, 11, 13 e 17 sono primi. Non si conoscono tutti
1.2. NUMERI RAZIONALI; NUMERI REALI 7
i primi e non abbiamo tuttora un algoritmo che ci permetta di individuare
i numeri primi; tuttavia, sappiamo gi`a dallantichit` a greca, che un numero
naturale pu`o essere scritto in maniera unica come prodotto di potenze di
primi. Cos` per esempio
630 = 2 3
2
5 7 , 5577 = 3 11 13
2
.
Questo fatto ci serve per capire che esistono numeri che non sono razionali; a
questa conclusione erano gi`a arrivati Pitagora ed i suoi seguaci, verso il 530
A.C. ! Vediamo largomento. Prendiamo un quadrato di lato 1 e calcoliamo
la lunguezza d di una delle sue diagonali; per il noto teorema di Pitagora sui
triangoli rettangoli d
2
= 2 e dunque, d =

2. Supponiamo che d sia razionale,


cio`e d =
p
q
. Allora, p
2
= 2q
2
. Ora 2 divide 2q
2
e perci`o 2 divide p
2
; a causa
della decomposizione di un numero in potenze di primi sopra accennata, 2
divide p
2
(o sta in p
2
) un numero pari di volte; ne segue che 2 deve per forza
dividere q
2
un numero pari di volte e perci`o 2 divide 2q
2
= p
2
un numero
dispari di volte (quelle pari in cui divide q
2
pi` u una volta dovuto al fattore 2)
contradicendo la conclusione anteriore che 2 sta in p
2
un numero pari di volte!
Un numero che non sia il quoziente di due numeri interi come appunto `e il
caso di

2 `e detto numero irrazionale. Cosa sappiamo sui numeri irrazionali?


Tanto, e poco! Ad esempio, sappiamo che esistono inniti numeri irrazionali
per`o non li conosciamo tutti; sappiamo che il numero = C/d il quoziente
della lunghezza di una circonferenza per il suo diametro `e irrazionale, ma
non sappiamo tuttora se il numero

2
sia o no irrazionale! Per fortuna
c`e unaltro modo di studiare gli irrazionali, basato sulla scrittura decimale
dei numeri. Un qualsiasi numero naturale si scrive (in modo univoco) come
combinazione lineare di potenze intere non-negative del numero 10 (dieci) a
coecienti nellinsieme {0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9}; cos` il numero
537104 = 5 10
5
+ 3 10
4
+ 7 10
3
+ 1 10
2
+ 0 10
1
+ 4 10
0
Abbiamo cos` scritto i numeri interi in base 10. In questo modo i nu-
meri interi sono guardati come polinomi e le regole dellalgebra elementare
ci permettono di fare i calcoli in maniera ecace; in altre parole, possiamo
facilmente sommare, moltiplicare e dividere i numeri fra loro e cos
`
i ottenere
anche una rappresentazione decimale dei razionali. Per esempio,
1
3
= 0, 3333... ,
814
35
= 23, 2571428571428571...
In queste rappresentazioni notiamo che esiste un gruppo di numeri (periodo)
che si ripete continuamente: in 0, 333... il numro 3 `e ripetuto indenitamente;
in 23, 2571428571428... il gruppo 571428 `e ripetuto ad innitum; questo
8 CAPITOLO 1. CONCETTI FONDAMENTALI
fenomeno accade sempre per il quoziente di due interi, cio`e per i razionali.
Daltro canto, i numeri irrazionali non hanno questo comportamento:
= 3, 14159265358979323846.... ,

2 = 1, 4142....
in questi numeri non possiamo trovare un periodo che si ripeta! Non diamo la
dimostrazione di queste nostre aermazioni; lo studente potr`a incontrarle in
altri corsi o in testi pi` u specializzati. Ad ogni modo, le terremo per buone e ce
ne serviremo per costruire la retta reale. Intanto deniamo linsieme dei nu-
meri reali R come lunione dellinsieme Q dei numeri razionali e dellinsieme
I dei numeri irrazionali: R = Q I.
`
E evidente che Q I = . Abbiamo la
seguente successione di insiemi:
N Z Q R
Ricordiamo che linsieme Q `e munito di due operazioni fondamentali: la
somma ed la moltiplicazione; queste coincidono con le operazione di somma
e moltiplicazione dei razionali scritti nella loro rappresentazione decimale e
cos` estendiamo la somma, la moltiplicazione e le loro inverse (dierenza e
divisione) anche ai reali. Per semplicare la notazione scriveremo ab invece
di a b per qualsiasi a, b R. Ricapitoliamo quanto detto: linsieme R dei
numeri reali `e dotato di due operazioni
+ : RR R , : RR R
con le seguenti propriet`a:
A Propriet`a Associativa: (a, b, c R) (a +b) +c = a +(b +c) e (ab)c =
a(bc) .
C Propriet`a Commutativa: (a, b R) a +b = b +a e ab = ba .
N Esistenza di un elemento neutro: (a R) a + 0 = 0 + a = a e a1 =
1a = a .
IA Esistenza dellinverso additivo: (a R)( a R) a + (a) = 0 .
IM Esistenza dellinverso moltiplicativo: (a R|a = 0)(a
1
R) aa
1
=
1 .
D Propriet`a Distributiva: (a, b, c R) a(b +c) = ab +ac .
Nota : Linverso additivo a (risp. moltiplicativo a
1
) di qualsiasi reale a
`e unico.
1.2. NUMERI RAZIONALI; NUMERI REALI 9
Linsieme dei razionali Q con le sue operazioni di somma e moltiplicazione
gode delle stesse propriet`a; queste sono le propriet`a che caratterizzano un
campo; in questo senso parliamo del campo Q dei razionali e del campo R dei
reali.
Lidea di numero reale che abbiamo presentato sopra ha un carattere poco
formale; il primo a formulare una teoria completa e soddisfacente dei numeri
reali fu il matematico tedesco Julius Wilhelm Richard Dedekind tramite la
nozione di partizione del campo razionale; qui non faremo una presentazione
della teoria di Dedekind ma faremo una piccola incursione al concetto di
ordinamento dei razionali che appunto sta alla base del lavoro di Dedekind.
Similmente a quanto succede con linsieme degli interi, il campo razionale `e
ordinato; in altre parole, in Q possiamo denire a > b e e dimostrare che
valgono le propriet`a O1, O2 e O3 della sezione 1.1. Dimostriamo formalmente
questo fatto nel teorema seguente.
Teorema 1.2.1 Il campo Q dei razionali `e ordinato.
Dimostrazione Per denizione, diciamo che
a
b
> 0 ab > 0. Ricor-
diamo che
a
b
=
c
d
ad = cb. Moltiplichiamo i due lati delleguaglianza
ad = cb per bd per ottenere (ab)d
2
= (cd)b
2
. Siccome ab > 0 e d
2
> 0 i
due lati dellultima uguaglianza sono positivi; in particolare, da (cd)b
2
> 0 e
b
2
> 0 concludiamo che cd > 0, cio`e se una rappresentazione di un numero
complesso `e positiva nel senso da noi denito, tutte le altre lo sono! In questo
modo vediamo che la nostra denizione `e indipendente dal rappresentante; il
concetto di positivit`a che abbiamo dato per i razionali `e ben denito.
Ora dimostriamo O1: siano dati
a
b
> 0 e
c
d
> 0. Vogliamo dimostrare che
a
b
+
c
d
=
ad +bc
bd
> 0 , ossia (ad + bc)bd > 0 .
Abbiamo le ineguaglianze
ab > 0, cd > 0 abd
2
> 0, cdb
2
> 0
e dunque,
bd(ad +bc) = abd
2
+cdb
2
> 0 .
Lasciamo la dimostrazione di O2 e O3 a carico dello studente. 2
Anche il campo reale `e ordinato; assumeremo questo fatto come vero
senza entrare nel merito delle dimostrazioni.
10 CAPITOLO 1. CONCETTI FONDAMENTALI
1.3 Numeri complessi
Il campo dei numeri reali pu`o essere esteso ad un campo pi` u ampio. Come nel
caso dei razionali e reali, generiamo questo nuovo insieme numerico cercando
di dare un signicato ad una particolare operazione che in generale non pu`o
essere fatta nellinsieme di partenza. Nel caso presente cerchiamo di dare un
signicato alla radice quadrata di un numero negativo: per denizione, la
radice quadrata di un reale positivo k `e un numero reale x tale che x
2
= k
(chiaramente, se x ha questa propriet`a, anche x deve averla). Daltro canto
sappiamo che il quadrato di un numero reale diverso da zero `e sempre un
numero positivo e pertanto, la propriet`a x
2
= k non pu`o essere valida per
qualsiasi x = 0 e k < 0. Questo problema fu considerato dai matematici
sin da tempi molto antichi; infatti, Erone di Alessandria riusci a risolvere
lequazione x
2
+63 = 0 (circa lanno 100 A.D.) e Girolamo Cardano nel 1545
scrisse che il numero 40 pu`o decomporsi nella forma (5 +

15)(5

15)
senza per`o lasciare chiaro cosa fosse

15. Fu il matematico tedesco Karl


Friedrich Gauss (nel 1832) a dare il nome di numeri complessi ai numeri del
tipo a + ib, con a, b R e i tale che i
2
+ 1 = 0. In questa sezione daremo
una denizione rigorosa dei numeri complessi e studieremo le loro propriet`a.
Sia C il prodotto cartesiano C = R R e deniamo una operazione di
somma ed una di moltiplicazione in questo insieme:
+ : (CC C , (a, b) + (a

, b

) = (a +a

, b + b

) ,
: CC C , (a, b) (a

, b

) = (aa

bb

, ab

+a

b) .
Osserviamo esplicitamente che le operazioni di somma e moltiplicazione
in C godono delle medesime propriet`a della somma e la moltiplicazione dei
numeri reali (vedere Sezione ??, Propriet`a [A], [C],[N], [IA], [IM] e [D]): la
[A] e la [C] sono immediate; (0, 0) `e lelemento neutro additivo e (1, 0) `e
lelemento neutro moltiplicativo; lesistenza dellinverso additivo non pone
problemi; linverso moltiplicativo di (a, b) = 0 (almeno uno dei numeri reali
a, b deve essere = 0) `e dato da (
a
a
2
+b
2
,
b
a
2
+b
2
) (fare i conti!); la propriet`a
distributiva si verica facilmente. Dunque C `e un campo.
Ora prendiamo linsieme D di tutti i numeri del tipo a+ib con a, b R
e i
2
= 1 che Gauss chiam`o numeri complessi; per denizione
(a +ib) + (a

+ib) = (a +a

) + i(b + b

)
e
(a +ib)(a

+ib

) = aa

+iab

+ia

b +i
2
bb

= (aa

bb

) + i(ab

+ a

b) .
1.3. NUMERI COMPLESSI 11
La funzione : C D denita dalla relazione
((a, b) C) (a, b) = a +ib
rispetta le operazioni di somma e moltiplicazione nei due insiemi ossia,
((a, b) + (a

, b

)) = (a +a

, b + b

) = (a +a

) + i(b + b

) =
= (a +ib) + (a

+ib

) = (a, b) + (a

, b

)
((a, b)(a

, b

)) = (aa

bb

, ab

+a

b) =
= (aa

bb

) + i(ab

+a

b) = (a, b)(a

, b

) .
Supponiamo che (a, b) = (a

, b

); allora a + ib = a

+ ib

e perci`o a a

=
i(b

b). Prendendo i quadrati di ambi i lati delluguaglianza otteniamo (a


a

)
2
= i
2
(b

b)
2
= (b

b)
2
; ma il quadrato di un numero reale = 0 `e sempre
positivo e dunque lultima uguaglianza `e possibile solamente se a = a

e b = b

;
ci`o ci fa concludere che (a, b) = (a

, b

) o, in altre parole, elementi distinti di


C hanno immagini distinte per . In questo modo abbiamo stabilito che
`e una biiezione da C a D; nuovamente osserviamo che la mantiene le
operazioni; per questi motivi `e detta un isomorsmo. Poiche C `e un campo
lisomorsmo ci permette di dimostrare facilmente che linsieme D assieme
alle sue operazioni di somma e moltiplicazione `e un campo, senza vericare
le propriet`a di campo direttamente sulle operazioni in D; lasciamo questo
argomento alle esercitazioni. Dora in poi scriveremo i numero complessi
sempre nella loro forma gaussiana a+ib. Osserviamo che linsieme dei numeri
complessi del tipo a + i0 coincide con linsieme dei numeri reali; dunque
R C.
Il vantaggio di scrivere un numero complesso z = a + ib nella forma
(a, b) C che come insieme coincide con il prodotto cartesiano RR `e
che cosi possiamo considerarlo come un punto del piano R
2
e fare intervenire
concetti di geometria elementare. Sia P R
2
il punto di coordinate (a, b).
Sia y

la retta passante per P e perpendicolare alla retta Ox; questa retta


taglia lasse Ox nel punto A = (a, 0) e il triangolo OAP `e rettangolo. Sia
=

(AOP) langolo di vertice O, di lati OA, OP e orientato da OA a
OP Siccome la distanza tra P e O `e espressa dal numero r = +

a
2
+ b
2
abbiamo: a = r cos e b = r sin e perci`o possiamo scrivere
z = a +ib = r(cos + sin )
La parte destra delluguaglianza `e la forma trigonometrica del numero com-
plesso a + ib. Il numero reale non-negativo r `e il modulo di z; scriviamo
anche r = |z|; langolo `e detto argomento del numero complesso z. Per un
qualsiasi numero complesso z = a + ib, il coniugato di z `e per denizione il
numero complesso z = a ib; si noti che |z| = |z| e zz = |z|
2
.
12 CAPITOLO 1. CONCETTI FONDAMENTALI
Teorema 1.3.1 (Teorema di de Moivre)
3
Siano
z = r(cos +i sin ) , z

= r

(cos

+i sin

)
due numeri complessi arbitrari. Allora
zz

= rr

[cos( +

) + i sin( +

)]
Dimostrazione A parole, il Teorema di de Moivre dice che il valore asso-
luto (risp. largomento) del prodotto di due numeri complessi `e il prodotto
(risp. la somma) dei valori assoluti (risp. degli argomenti) dei fattori. Infatti,
zz

= rr

(cos +i sin )(cos

+i sin

)
= rr

[(cos cos

sin sin

) +i(cos sin

+ sin cos

)]
= rr

[cos( +

) +i sin( +

)]
in virt` u delle note formule che danno il coseno e il seno della somma di due
angoli. 2
Una applicazione immediata ed importante del Teorema di de Moivre `e
la determinazione delle radici ennesime dellunit`a cio`e, dei numeri complessi
z = a +ib tali che z
n
= 1 per n 2 intero. Evidentemente z = 1 + i0 `e una
radice dellunit`a; per`o ci sono altre n 1 radici dellunit`a, tutte diverse tra
loro e diverse da 1 (si noti che se n `e pari -1 `e una radice dellunit`a). Infatti,
cominciamo per osservare che il numero complesso 1+i0 si pu`o scrivere nella
forma 1+i0 = cos 2 +i sin 2; per ogni intero k = 1, 2, . . . , n1 prendiamo
il numero complesso
z
k
= 1(cos
2k
n
+i sin
2k
n
) ;
questo, in virt` u del Teorema di de Moivre, `e tale che (z
k
)
n
= 1 e dunque
`e una radice dellunit`a. Ripetiamo: per ogni numero intero n 1 ci sono
esattamente n radici dellunit`a distinte tra loro, una delle quali `e 1.
1.3.1 Equazioni di secondo grado
Sia data una funzione
P(x) = ax
2
+bx +c : R R
3
Abraham de Moivre, matematico inglese nato in Francia nel 1667, deceduto a Londra
nel 1754.
1.3. NUMERI COMPLESSI 13
con a, b, c R; il problema che ci poniamo `e quello di trovare dei numeri
complessi (o reali) z per i quali valga luguaglianza az
2
+bz +c = 0. Se a = 0
e b = 0 allora si ha che bz + c = 0 vale per z =
c
b
. Supponiamo che a = 0.
In questo caso consideriamo lespressione algebrica
x
2
+
b
a
x +
c
a
= x
2
+
b
a
x +
1
4
(
b
a
)
2
+
c
a

1
4
(
b
a
)
2
=
= (x +
1
2
b
a
)
2
+
c
a

1
4
(
b
a
)
2
= 0
Se scriviamo y = x +
1
2
b
a
lultima espressione ci permette di concludere che
y
2
=
1
4
(
b
a
)
2

c
a
=
b
2
4ac
4a
2
e dunque
x =
b

b
2
4ac
2a
.
In altre parole, il polinomio P(x) si decompone nella forma
P(x) = a(x
b +

b
2
4ac
2a
)(x
b

b
2
4ac
2a
) .
Il numero reale = b
2
4ac `e il discriminante dellequazione algebrica
P(x) = ax
2
+ bx + c = 0. Questo numero `e importante per lanalisi delle
soluzioni dellequazione P(x) = 0.
Caso a : > 0 Lequazione P(x) = 0 ha due soluzioni reali distinte:
x
0
=
b +

b
2
4ac
2a
e x
1
=
b

b
2
4ac
2a
;
Caso b : < 0 P(x) = 0 ha due soluzioni complesse date dai due numeri
complessi coniugati
x
0
=
b +i

b
2
+ 4ac
2a
e x
1
= x
0
==
b i

b
2
+ 4ac
2a
;
Caso c : = 0 in questo caso abbiamo la decomposizione
P(x) = ax
2
+bx +c = a(x
b
2a
)(x
b
2a
) = a(x
b
2a
)
2
(cio`e il polinomio
1
a
P(x) `e un quadrato perfetto) e la soluzione
b
2a
compare
due volte.
14 CAPITOLO 1. CONCETTI FONDAMENTALI
In sintesi, lequazione ax
2
+ bx + c = 0 ha due soluzioni reali (uguali o
distinte) o due soluzioni complesse coniugate date dalla formula
x =
b

b
2
4ac
2a
; (1.1)
a causa della formula anteriore si dice che ax
2
+ bx + c = 0 `e risolubile per
radicali.
1.3.2 Equazioni di terzo grado
Come per le equazioni algebriche di secondo grado, anche le equazioni del
terzo grado sono risolubli per radicali. Vediamo come.
Sia data lequazione
ax
3
+bx
2
+cx +d = 0
con a = 0. Possiamo assumere senza perdita di generalit`a che lequazione sia
del tipo
x
3
+bx
2
+cx +d = 0 .
Ora facciamo la sostituzione x = y b/3 per ottenere lequazione
y
3
+py + q = 0 ; (1.2)
a questo punto facciamo la sostituzione di Vi`ete
4
y = z
p
3z
(1.3)
per ottenere lequazione
z
3

p
3
27z
3
+q = 0
e dunque, dopo multiplicazione per z
3
, lequazione
z
6
+qz
3

p
3
27
= 0 . (1.4)
Ora facciamo la sostituzione z
3
= w; questa ci porta allequazione
w
2
+qw
p
3
27
= 0 (1.5)
4
Fran cois Vi`ete, matematico francese nato a Fontenay-le-Comte nel 1540, morto a
Parigi nel 1603.
1.4. COORDINATE CARTESIANE 15
che si pu`o risolvere per radicali mediante 1.1:
w =
q
2

q
2
4
+
p
3
27
e dunque,
z
3
=
q
2

q
2
4
+
p
3
27
. (1.6)
Queste due equazioni danno luogo a sei soluzioni tramite la formula di de
Moivre (le soluzioni sono infatti uguali due a due e cos` abbiamo eettiva-
mente solo tre soluzioni) che devono essere riportate nelluguaglianza 1.3 per
trovare i valori di y; inne, troviamo le soluzioni di
x
3
+bx
2
+ cx + d = 0
facendo la sostituzione y = x + b/3.
1.4 Coordinate cartesiane
Nella Sezione 1.2 abbiamo descritto (in modo non rigoroso) il concetto di
numero reale. Ora vediamo come il campo reale possa essere messo in cor-
rispondenza biunivoca con i punti di una retta. Scegliamo due punti di una
retta orizzontale r; chiameremo 0 il punto a sinistra e 1 quello di destra; il
punto 0 `e detto origine ed il punto 1 unit`a. La distanza tra i punti 0 e 1
`e la unit`a di distanza. Partendo dallorigine e muovendoci nella retta verso
destra, segnamo i punti che distano 2, 3, 4, . . . unit`a di misura da 0 (questo
processo pu`o essere fatto con un semplice compasso); i punti segnati rappre-
senteranno i numeri naturali 2, 3, 4, . . . (il numero 1 `e in corrispondenza con
il punto 1). Ora muoviamoci sulla retta verso sinistra, sempre partendo da
0, e segnamo i punti distanti 1, 2, 3, 4, . . . unit`a da 0: questi punti rappre-
sentano gli interi negativi. In questo modo abbiamo messo in corrispondenza
biunivoca un certo sottoinsieme di punti della retta e gli elementi di Z (il
naturale 0 `e in corrispondenza con lorigine).
Arrivati qui osserviamo che con un regolo ed un compasso possiamo di-
videre il segmento determinato da due punti consecutivi in dieci segmenti
uguali; in questo modo possiamo segnare sulla retta certi numeri razion-
ali: per esempio, il razionale
12
5
= 2 +
4
10
. In verit` a possiamo segnare sulla
retta il punto corrispondente a qualsiasi numero decimale a patto di con-
cordare che qualsiasi segmento sulla retta possa essere diviso in dieci parti
uguali, per piccolo che esso sia! Per esempio, vogliamo segnare il punto cor-
rispondente a = 3, 141592 . . .: prima osserviamo che 3 < < 4, poi che
16 CAPITOLO 1. CONCETTI FONDAMENTALI
3, 1 < < 3, 2; ma il segmento con estremi 3, 1 e 3, 2 si suddivide in 10 parti
uguali e 3, 14 < < 3, 15, e cos` di seguito... Inversamente, e con argomenti
analoghi, ad ogni punto della retta corrisponde un numero decimale innito,
cio`e un numero reale. In questo modo abbiamo una corrispondenza biunivo-
ca tra i punti della retta orizzontale r e quelli del campo reale R; per questo
motivo chiameremo la retta r retta reale (infatti, questo nome sar`a dato a
qualsiasi retta nella quale si sceglie unorigine ed una unit`a e i cui punti siano
identicati biunivocamente ai numeri reali). Si osservi che con questo possi-
amo individuare numericamente la posizione di un punto qualsiasi della retta
r in relazione allorigine 0 e allunit`a 1. Il verso da 0 a 1 `e il verso positivo
della retta reale.
Lidea di mettere in corrispondenza biunivoca i numeri reali con i punti
di una retta fu di importanza capitale per lo svolgimento della matematica;
vediamo come `e possibile sfruttarla per dare la posizione di un punto del piano
o dello spazio relativamente ad un sistema di riferimento. Cominciamo con il
piano. Sia un piano e su di esso prendiamo due rette x e y perpendicolari
una allaltra. Sia O il punto di intersezione di x con y; supponiamo che la
retta x sia orizzontale e che la y sia verticale. Ora consideriamo le due rette
come rette reali scegliendo lintersezione O come origine per ambedue e
scegliendo un punto unit`a sulla retta x a destra di O e una unit`a sulla y al
di sopra di O o pi` u precisamente, in tal modo che la parte positiva di x
preceda la parte positiva di y nel verso anti-orario.
`
E conveniente assumere
che le distanze allorigine dei due punti unit`a scelti siano uguali. In questo
modo abbiamo due rette reali perpendicolari con origine O nel piano : la
retta x (anche detta asse Ox) e la retta y (o asse Oy).
Sia P un punto arbitrario di ; abbiamo tre possibilit`a: 1. P x; 2.
P y; 3. P x e P y.
Caso 1. : al punto P corrisponde un numero reale a della retta reale x;
associamo la coppia di numeri reali (a, 0) a P e scriviamo P = (a, 0);
Caso 2. : al punto P corrisponde un numero reale b della retta reale y;
associamo la coppia di numeri reali (0, b) a P e scriviamo P = (0, b);
Caso 3. : lassioma delle parallele di Euclide (vedere Appendice) ci dice che
possiamo tracciare per P una e soltanto una retta x
1
(risp. y
1
) parallella
alla retta x (risp. y); il lettore `e pregato di osservare che la retta x
1
`e
perpendicolare alla retta y (notazione: x y) e che y
1
`e perpendicolare a
x (ossia y
1
x). La retta y
1
interseca lasse Ox nel punto A e la retta x
1
taglia y nel punto B i quali sono rappresentati rispettivamente dai numeri
reali a e b; in questo modo associamo al punto P la coppia di numeri reali
(a, b). Reciprocamente, data una qualsiasi coppia di numeri reali (a, b), ad
essa corrisponde un punto (ed uno solo) del piano (il lettore pu`o fare
lapposito disegno). I numeri a, b sono le coordinate cartesiane di P. Gli assi
1.4. COORDINATE CARTESIANE 17
Ox e Oy stabiliscono un sistema (ortogonale) di coordinate cartesiane sul
piano .
5
Siccome gli insiemi x e y sono identicati a R, indichiamo il piano
anche con R
2
= RR.
Una conseguenza immediata di questo modo di qualicare numericamente
i punti del piano `e la possibilit`a di calcolare la distanza tra due punti
arbitrari di . Infatti, siano dati due punti P, P

di coordinate cartesiane
P = (a, b) e P

= (a

, b

) (caso generico 3.). Da P tracciamo le rette x


1
y
e y
1
x e da P

tracciamo le rette x

1
y e y

1
x. Le rette x
1
, x

1
, y
1
e y

1
si intersecano come segue:
x
1
y
1
= P = (a, b) , x
1
y

1
= Q

= (a

, b) ,
x

1
y
1
= Q = (a, b

) e x

1
y

1
= P

= (a

, b

) .
I punti P, Q, P

e Q

sono i vertici di un rettangolo; la distanza d


PP
tra
P e P

`e precisamente la lunghezza della diagonale PP

ossia, la lunghezza
dellipotenusa del triangolo rettangolo PP

(o PQP

). Dal Teorema di
Pitagora concludiamo che
(d
PP
)
2
= (d
PQ
)
2
+ (d
P

Q
)
2
= (a a

)
2
+ (b b

)
2
ossia
d
PP
= +
_
(a a

)
2
+ (b b

)
2
(prendiamo la determinazione positiva della radice quadra perch`e parliamo
della distanza tra due punti).
Queste idee sono facilmente esportabili allo spazio tridimensionale. Siano
dati un piano ed un punto U . Sia z lunica retta che passa per U ed `e
perpendicolare al piano e sia O = z il punto di intersezione di z con .
Prendiamo un sistema ortogonale di coordinate cartesiane Ox, Oy nel piano
; le tre rette x, y e z sono perpendicolari due a due e si incontrano tutte
nel punto O, che scegliamo come origine del nostro sistema di coordinate
cartesiane spaziali; nalmente, scegliamo convenientemente una unit`a in Oz
(di lunghezza uguale alle unit`a di Ox, Oy orientando lasse = z in modo che
i sensi positivi dei tre assi Ox, Oy e Oz (in questordine) soddisno la regola
del cavatappi: prendiamo un cavatappi a vite e mettiamo la vite in parallelo
con lasse Oz; quando giriamo la leva del cavatappi da Ox a Oy allora la vite
avanza nel verso positivo dellasse degli z.
Sia P un punto arbitrario dello spazio R
3
. Indichiamo con xOy il piano
determinato dagli assi Ox e Oy; similmente abbiamo i piani xOz e yOz. Sup-
poniamo che P non appartenga a nessuno di questi tre piani. Consideriamo
5
Laggettivo cartesiane proviene da Cartesius, nome latino del matematico francese
Rene Descartes (1596-1650). La cosa curiosa `e che non fu Descartes a introdurre le
coordinate cartesiane in matematica.
18 CAPITOLO 1. CONCETTI FONDAMENTALI
i tre unici piani passanti per P e paralleli ai piani yOz, xOz e xOy; questi
piani intersecano i tre assi coordinati Ox, Oy e Oz rispettivamente nei punti
A, B e C; ma questi punti sono univocamente associati a numeri reali a, b e
c rispettivamente. Cos` il punto P avr` a coordinate cartesiane (a, b, c); recip-
rocamente, qualsiasi terna di numeri reali (a, b, c) `e associata ad un punto di
R
3
. Con questo stabiliamo un sistema (ortogonale) di coordinate cartesiane
nello spazio che sar`a anche indicato con R
3
= RRR per ragioni simili
a quelle date per il piano.
Come si calcola la distanza tra due punti di R
3
? Siano dati P = (a, b, c) e
P

= (a

, b

, c

); come prima cosa proiettaiamo P e P

perpendicolarmente sul
piano xOy per ottene i punti Q = (a, b, 0) e Q

= (a

, b

, 0); poi prendiamo il


piano che contiene P ed `e parallelo a xOy; questo piano interseca la retta
P

in un punto R = (a

, b

, c). Ora osserviamo che il triangolo PP

R `e
rettangolo ed il suo lato PR `e parallelo al segmento QQ

. Dunque i segmenti
PR e QQ

hanno la stessa lunghezza


d
QQ
= d
PR
= +
_
(a a

)
2
+ (b b

)
2
.
Ma il triangolo PP

R `e rettangolo e perci`o
(d
PP
)
2
= (d
PR
)
2
+ (d
P

R
)
2
donde concludiamo che
d
PP
= +
_
(a a

)
2
+ (b b

)
2
+ (c c

)
2
.
1.5 Matrici
Nella sezione 1.1 abbiamo costruito linsieme Z dei numeri interi; abbiamo
visto che Z `e munito di una operazione (somma di interi)
Z Z Z , (p, q) p +q
che gode delle propriet`a S1,S2,S3 e S4. Questo conferisce a Z la struttura
di gruppo; in particolare, dovuto alla commutativit` a della somma (vedi pro-
priet`a S1), il gruppo Z si dice commutativo o Abeliano.
6
In questa sezione
costruiremo gruppi abeliani pi` u elaborati i cui elementi sono detti matrici.
6
In onore del matematico norvegese Niels Henrik Abel (1802-1829) uno dei primi a
studiare queste strutture algebriche.
1.5. MATRICI 19
Siano m ed n due numeri naturali = 0 ssati; per denizione una matrice
reale con m righe ed n colonne `e un quadro di mn numeri reali del tipo
A =
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
a
11
a
12
. . . a
1n1
a
1n
a
21
a
22
. . . a
2n1
a
2n
. . . . . . .
. . . . . . .
. . . . . . .
a
m1
a
m2
. . . a
mn1
a
mn
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
Una tale matrice `e anche detta matrice reale mn o mn-matrice reale. Ev-
identemente `e perfettamente plausibile dare una denizione simile nei campi
dei razionali o complessi, o anche nel gruppo dei numeri interi; dora in
poi tralasceremo laggettivo reale in questa sezione poiche ci occuperemo
soltanto di questo tipo di matrici.
Per un qualsiasi 1 i m la i
ma
-riga della matrice A di sopra `e data
dagli elementi a
i1
, a
i2
, . . . , a
in1
, a
in
e per 1 j m, la j
ma
-colonna di A `e
data da a
1j
, a
2j
, . . . , a
m1j
, a
mj
. Si osservi che la i
ma
-riga e la j
ma
-colonna si
intersecano nellelemento a
ij
. Per alleggerire e semplicare la notazione,
molte volte scriveremo le matrici come la A di sopra nella forma A = (a
ij
).
Due mn-matrici A = (a
ij
) e B = (b
ij
) sono uguali se, e soltanto se
(1 i m , 1 j n) a
ij
= b
ij
.
Sia M
mn
linsieme di tutte le mn-matrici. In questo insieme possiamo
denire una operazione di somma:
+ : M
mn
M
mn
M
mn
che associa ad una copia di matrici (A = (a
ij
), B = (b
ij
)) la matrice A+B =
(a
ij
+b
ij
).
Teorema 1.5.1 Linsieme M
mn
con loperazione di somma di matrici `e
un gruppo abeliano.
Dimostrazione Si deve dimostrare che la somma di matrici obbedisce alle
regole denite in S1, S2, S3 e S4. Cominciamo con S1. Siano A = (a
ij
) e B =
(b
ij
) due matrici arbitrarie; per qualsiasi i, j la commutativit`a della somma di
numeri reali implica a
ij
+b
ij
= b
ij
+a
ij
e perci`o, A+B = B+A. Lassociativit`a
proviene dallassociativit`a della somma di numeri reali e cos` vale S2. La
matrice O = (o
ij
) tale che
(i, j N)(1 i m , 1 j n) o
ij
= 0
20 CAPITOLO 1. CONCETTI FONDAMENTALI
`e lelemento neutro per la somma di matrici: infatti, per qualsiasi A = (a
ij
),
A+O = O+A `e la matric che ha per elementi generici a
ij
+0 = a
ij
; dunque
S3 vale. Ora cerchiamo gli inversi. Anche questi sono facili a trovarsi: data
la matrice A = (a
ij
), la matrice A = (a
ij
) `e tale che A + (A) = O e
cos` S4. 2
Chiaramente, per qualsiasi numero intero positivo p e qualsiasi A
M(mn),
pA = A + .... +A , p volte .
Pi` u generalmente,
(r R)(A = (a
ij
) M(mn)) rA = (ra
ij
) .
Da questo punto no alla ne della sezione ci interesseremo esplicitamente
delle matrici quadrate, cio`e delle matrici in cui il numero di righe `e uguale
al numero delle colonne. Oriamo due spiegazioni a sostegno di questa nos-
tra scelta: una, perche le matrici quadrate (con lo stesso n) possono essere
moltiplicate tra loro e laltra, perche associato ad una matrice quadrata vi `e
un numero di grande importanza detto determinante della matrice.
Deniamo
: M
nn
M
nn
M
nn
((A = (a
ij
), B = (b
ij
) M
nn
) A B = (c
ij
=
n

=1
a
i
b
j
) .
Se n = 1, siccome le matrici 1 1 sono identicate ai numeri reali, questa
moltiplicazione coincide con il prodotto nei reali. Scriviamo lesempio n = 2.
Allora
A B = AB =
_
a
11
b
11
+a
12
b
21
a
11
b
12
+a
12
b
22
a
21
b
11
+a
22
b
21
a
21
b
12
+ a
22
b
22
_
Il lettore `e ora pregato di ricordarsi che la moltiplicazione dei numeri reali `e
associativa, commutativa e distributiva relativamente alla somma; questi fat-
to ha come diretta conseguenza il risultato riportato a seguito, i cui dettagli
di dimostrazione sono lasciati al lettore.
Teorema 1.5.2 La moltiplicazione delle matrici di M
nn
`e associativa e
distributiva relativamente alla somma.
In altre parole, il teorema asserisce che
(A, B, C M(n n)) A(BC) = (AB)C e A(B +C) = AB +AC .
1.5. MATRICI 21
Il lettore pu`o dimostrare facilmente (tramiti appositi esempi) che il prodotto
di matrici non `e commutativo. Come per i reali, la moltiplicazione delle
matrici quadrate ha un elemento neutro: esso `e dato dalla matrice I
n
= (
ij
)
con

ij
=
_
1 se i = j
0 se i = j
Molte matrici sono invertibili, cio`e hanno un inverso. Ad esempio, la
matrice
A =
_
2 1
1 1
_
ha per inverso la matrice
A
1
=
_
1 1
1 2
_
(fare i conti).
Purtroppo non tutte le matrici quadrate hanno un inverso per moltipli-
cazione: infatti, la matrice
A =
_
1 1
1 1
_
non ha inverso. Vediamo i dettagli del perche. Si supponga che A abbia un
inverso X = (x
ij
) ; allora
AX =
_
x
11
+x
21
x
12
+ x
22
x
11
+x
21
x
12
+x
22
_
e siccome AX = I
2
, dovremmo avere le seguenti equazioni:
x
11
+ x
21
= 1 x
12
+ x
22
= 0
x
11
+x
21
= 0 x
12
+ x
22
= 1
ma questo `e impossibile: non possiamo trovare due numeri reali x
11
e x
21
tali
che la loro somma sia simultaneamente uguale a 1 ed a 0!
Uno dei problemi che si possono risolvere tramite i determinanti `e appunto
quello di scoprire se una matrice `e invertibile o no. Il determinante `e una
funzione
det : M
nn
R
denita induttivamente nel modo seguente. Per n = 1 , deniamo il de-
terminante di una matrice A = (a
11
) a
11
come det(A) = a
11
. Ora
sia n > 1 e supponiamo di sapere calcolare il determinante di qualsiasi
22 CAPITOLO 1. CONCETTI FONDAMENTALI
(n 1) (n 1)-matrice. Allora, per qualsiasi n n-matrice A = (a
ij
)
deniamo
det(A) =
n

j=1
(1)
j+1
a
1j
det A
1j
dove A
1j
`e la (n1)(n1)-matrice ottenuta da A per la eliminazione della
prima riga e della j
ma
colonna di A. A volte il numero det A
1j
`e chiamato
minore dellelemento a
1j
.
Osservazione - Nella denizione di determinante data di sopra abbiamo preso
la prima riga della matrice A come preferenziale e abbiamo fatto i nostri
calcoli relativamente ai minori di quella riga. Si dimostra che `e possibile
prendere una qualsiasi riga (o anche colonna!) come preferenziale; infatti,
abbiamo il seguente risultato (che per`o non dimostriamo qui):
Teorema 1.5.3
(A = (a
ij
) M
nn
)
det(A) =
n

j=1
(1)
i+j
a
ij
det A
ij
=
n

i=1
(1)
i+j
a
ij
det A
ij
.
Scriviamo esplicitamente il determinante di A nei casi n = 2, 3.
Caso n = 2 : det(A) = a
11
a
22
a
12
a
21
Caso n = 3 : det(A) = a
11
M
11
a
12
M
12
+a
13
M
13
=
a
11
det
_
a
22
a
23
a
32
a
33
_
a
12
det
_
a
21
a
23
a
31
a
33
_
+a
13
det
_
a
21
a
22
a
31
a
32
_
I minori degli elementi di una matrice sono anche presenti nella costruzione
dellinverso di una matrice (nel caso in cui questi abbia un inverso). In ques-
ta sezione ci limitiamo a scrivere linverso di una matrice con determinante
non nullo nei casi n = 2 e n = 3 lasciando la teoria generale ad un futuro
appendice. Si noti che il caso n = 1 `e banale: una matrice A = (a
11
) `e
invertibile a
11
= 0; A
1
= ((a
11
)
1
).
Passiamo al caso n = 2. Supponiamo che la matrice
A =
_
a
11
a
12
a
21
a
22
_
abbia det(A) = 0; allora, A ha una matrice inversa
A
1
=
1
det(A)
_
a
22
a
12
a
21
a
11
_
.
1.5. MATRICI 23
Infatti
_
a
11
a
12
a
21
a
22
__
a
22
a
12
a
21
a
11
_
=
=
_
a
11
a
22
a
12
a
21
a
12
a
11
a
11
a
12
a
21
a
22
a
22
a
21
a
11
a
22
a
21
a
12
_
=
=
_
det(A) 0
0 det(A)
_
.
La matrice
A =
_
_
_
a
11
a
12
a
13
a
21
a
22
a
23
a
31
a
32
a
33
_
_
_
con det(A) = 0 ha inverso
A
1
=
1
det(A)
_
_
_
M
11
M
21
M
31
M
12
M
22
M
32
M
13
M
23
M
33
_
_
_ .
Il lettore `e invitato a fare i calcoli per convincersi della veracit`a della nostra
asserzione.
La trasposta di una (mn-matrice A = (a
ij
) `e la matrice A
T
= (b
ji
) con
b
ji
= a
ij
ossia, `e la matrice ottenuta da A scambiando le righe per le colonne.
Una matrice Ache coincide con la sua trasposta `e detta simmetrica; le matrici
simmetriche sono particolarmente importanti in geometria analitica dovuto
ai loro legami con le coniche e le quadriche.
Ora vediamo alcune propriet`a dei determinanti.
Teorema 1.5.4 Per qualsiasi n n-matrice A,
det A
T
= det A .
Dimostrazione Il teorema `e ovvio per n = 1. Procediamo per induzione su
n. Supponiamo che il risultato sia vero per n1. Supponiamo che A = (a
ij
);
allora, A
T
= (a
T
ij
) = (a
ji
) e per lipotesi di induzione,
det A
T
ij
= det A
ji
.
Ma allora,
det A
T
=
n

i=1
(1)
i+j
a
T
ij
det A
T
ij
=
n

i=1
(1)
i+j
a
ji
det A
ji
= det A .
2
24 CAPITOLO 1. CONCETTI FONDAMENTALI
Teorema 1.5.5 Sia A una n n-matrice. Allora:
1. se gli elementi della i
ma
riga (o colonna) sono tutti 0, det A = 0;
2. se la matrice A

proviene dalla matrice A per multiplicazione di tutti


gli elementi della i
ma
riga (o colonna) di A per un numero c, det A

=
c det A;
3. se ogni elemento a
ij
della i
ma
riga (o colonna) di A `e uguale ad una
somma a
ij
= a

ij
+a
ij
,
det A = det A

+ det A
dove A

, A sono le matrici provenienti da A ottenute sostituendo gli


elementi a
ij
per a

ij
e a
ij
rispettivamente.
La dimostrazione `e una conseguenza diretta delle denizioni ed `e lasciata a
carico del lettore.
Teorema 1.5.6 (i) Se A

`e ottenuta da A scambiando due righe (o colonne)


di questultima, allora
det A

= det A ;
(ii) se due righe (o colonne) di A sono uguali, det A = 0 ;
(iii) se due righe (o colonne) di A sono proporzionali, det A = 0.
Dimostrazione (i) Per induzione su n (evidentemente con n 2). Sia
A =
_
a
11
a
12
a
21
a
22
_
.
Allora
det A = a
11
a
22
a
12
a
21
.
Supponiamo per ipotesi che
A

=
_
a
12
a
11
a
22
a
21
_
;
allora,
det A

= a
12
a
21
a
11
a
22
= det A .
Ora assumiamo che il risultato sia valido per n 1, con n 1 2 e dunque,
n 3. Supponiamo che la i
ma
riga di A non sia una delle righe scambi-
ate e facciamo lespansione del determinante di A daccordo con questa i
ma
1.5. MATRICI 25
riga. Allora a

ij = a
ij
e ogni matrice A

ij
si ottiene dalla corrispondente A
ij
scambiando due righe (corrispondenti alle righe cambiate di A). Dunque,
det A

ij
= det A
ij
e
det A

=
n

j=1
(1)
i+j
a

ij
det A

ij
=
n

j=1
(1)
i+j
a
ij
det A
ij
= det A .
(ii) Supponiamo che le righe i e k di A siano uguali. Scambiando tra loro
queste righe otteniamo dalla prima parte che
det A = det A .
Ma questo `e possibile solo nel caso in cui det A = 0.
(iii) Supponiamo che a
ij
= ra
kj
, j = 1, . . . , n per i e j con i = j ssati. Da
questo concludiamo che
det A =
n

j=1
(1)
i+j
a
ij
det A
ij
=
n

j=1
(1)
i+j
ra
kj
det A

ij
dove A

ij
`e una matrice con due righe uguali. Ma det A

ij
= 0 per la parte
(ii). 2
Teorema 1.5.7 Sia A

la matrice ottenuta da una matrice A multiplicando


la riga i di A per una costante c e sommando il risultato alla riga k con
k = i. Allora,
det A

= det A .
Dimostrazione Gli elementi a

kj
della k
ma
riga di A

sono dati da
a

kj
= ca
ij
+a
kj
, j = 1, . . . , n .
Per i risultati anteriori, lespansione del determinante di A

tramite la sua
k
ma
riga `e
det A

= c det A + det A ,
con A una matrice avente due righe uguali (i righi i e k) e dunque, tale che
det A = 0. Questo conclude la dimostrazione. 2
Teorema 1.5.8 Sia A una n n-matrice data, n 2. Allora, per qualsiasi
k = i,
n

i=1
(1)
i+j
a
ij
det A
kj
= 0 .
26 CAPITOLO 1. CONCETTI FONDAMENTALI
In altre parole, il teorema dice che se sviluppiamo un determinante pren-
dendo una riga ed i minori relativi ad una riga diversa, otteniamo 0. Un
risultato simile vale per le colonne.
Dimostrazione La formula scritta nellenunciato del teorema signica che
stiamo calcolando il determinante di una matrice A

con due righe uguali: la


riga i e la riga k. Dunque, per il Teorema 1.5.6, parte (ii). 2
In forma concentrata, la denizione di determinante ed il teorema ante-
riore possono essere scritti come segue:
per lespansione a righe:
n

i=1
(1)
i+j
a
ij
det A
kj
=
ik
det A ;
per lespansione a colonne:
n

k=1
(1)
i+k
a
ik
det A
jk
=
ij
det A .
Capitolo 2
Algebra Vettoriale
2.1 Vettori reali
In questa sezione daremo una presentazione intuitiva dei vettori reali, come
quella che potremmo trovare eventualmente quando studiamo la Fisica per
la prima volta. Qualsiasi concetto sico che abbia una grandezza ed una
direzione orientata (come per esempio, la velocit`a o la accelerazione) pu`o
essere rappresentato da un vettore.
Il punto di partenza per la denizione di vettore `e il concetto di segmento
orientato. Un segmento di estremi A e B (con A = B) contenuto nello spazio
R
3
`e detto orientato se gli si attribuisce un senso, diciamo da A a B (il senso
da B a A `e opposto al senso da A a B). Notazione:

AB per il segmento
AB orientato da A a B;

BA per il segmento AB orientato da B a A. Il
punto A (risp. B) di

AB `e detto origine (risp. termine) di

AB. A volte `e
conveniente indicare il segmento orientato

AB con la notazione

AB = BA.
Due segmenti AB e CD paralleli hanno la medesima direzione.
Sia V linsieme di tutti i possibili segmenti orientati di R
3
. Diciamo che
due segmenti orientati sono equipollenti se sono paralleli (hanno la medes-
ima direzione), hanno la stessa lunghezza e lo stesso senso. Si osservi che
lequipollenza `e una relazione di equivalenza in V e perci`o divide questo in-
sieme in classi di equivalenza disgiunte; ognuna di queste classi `e un vettore
reale di R
3
. Linsieme V (R
3
) di tutti questi vettori `e detto spazio vettoriale
reale tridimensionale.
Attenzione : A volte indichiamo un vettore v con un segmento orientato
che lo rappresenti; cos` scriviamo v =

AB pur sapendo che v `e la classe di
equipollenza di

AB.
Per denizione, la lunghezza |v| di un vettore v `e la lunghezza di qualsiasi
segmento orientato che lo rappresenta. Dato arbitrariamente v V (R
3
) il
27
28 CAPITOLO 2. ALGEBRA VETTORIALE
vettore v `e il vettore ottenuto come la classe di equipollenza di un segmen-
to orientato parallelo ad un rappresentante di v e che ne ha la medesima
lunghezza ma orientamento opposto. Ora abbiamo tutti gli ingredienti per
denire la nostra prima operazione: il prodotto di un numero reale per un
vettore.
RV (R
3
) V (R
3
) , (k, v) kv
dove kv `e il vettore parallelo a v, di lunghezza |k||v| e orientamento uguale
a quello di v se k > 0 o a quello di v se k < 0; se k = 0 allora kv `e il
vettore nullo

0 rappresentato dallorigine O. In questo contesto il numero
reale k `e anche detto scalare e cos` questa operazione `e anche conosciuta
come prodotto di un vettore per uno scalare.
La nostra seconda operazione `e la somma di vettori.
V (R
3
) V (R
3
) V (R
3
) , (v, w) v + w
Siccome i vettori sono classi di equivalenza loperazione deve essere deni-
ta su rappresentanti generici e deve essere indipendente da questi. Dati
arbitrariamente v, w V (R
3
) deniamo il vettore v + w come segue:
1. scegliamo un punto generico arbitrario A R
3
;
2. sia

AB il rappresentante di v con origine in A;
3. sia

AC il rappresentante di w con origine in A;
4. sia ABCD il parallelogrammo ottenuto completando la gura data dai
segmenti AB e AC;
5. prendiamo il segmento orientato

AD;
per denizione, v+ w `e la classe di equipollenza di

AD. Quanto allindipendenza
dai rappresentanti, se avessimo preso unaltra origine A

e rappresentanti

,

A

, il rettangolo A

sarebbe semplicemente una traslazione


parallela di ABCD e dunque, il segmento orientato

A

sarebbe equipollente
a

AD. Perci` o il nostro concetto di somma di vettori `e ben denito.
Unaltro modo di costruire la somma di due vettori che potrebbe essere
utile nelle esercitazioni `e quello di partire da un rappresentante

AB di v, un
rappresentante

BD di w e denire v+ w come la classe di

AD; qui la notazione
alternativa

AB = B A si presenta come particolarmente interessante:
v + w =

AB +

BD = (B A) + (D B) = D A .
Propriet`a della somma di vettori:
2.1. VETTORI REALI 29
S1 (Commutativit`a) (v, w V (R
3
)v + w = w +v .
S2 (Associativit`a) (v, w, u V (R
3
)(v + w) +u = v + ( w +u) .
S3 (v V (R
3
))v +

0 =

0 +v = v .
S4 (v V (R
3
))v + (v) =

0 .
l lettore `e pregato di osservare che queste propriet`a sono esattamente le stesse
che le propriet`a della somma di numeri interi (vedere Sezione 1.1).
Il prodotto di un vettore per uno scalare ha le seguenti propriet`a:
P1 (v V (R
3
))1v) = v;
P2 (k, R)(v V (R
3
))k(v) = (k)v;
P3 (k, R)(v V (R
3
))(k +)v = kv +v.
La somma di vettori ed il prodotto di un vettore per uno scalare sono
collegate dalla seguente Propriet`a Distributiva :
D (k R)(v, w V (R
3
))k(v + w) = kv +k w.
La dierenza tra due vettori ha una semplice interpretazione geometrica:
supponiamo volere disegnare v w; prendiamo come al solito i rappre-
sentanti

AB e

AC di v e w rispettivamente; sia x la classe di

CB; allora,
w +x = v e dunque v w = x; in altre parole,
v w = (B A) (C A) = B C .
Le propriet`a [S1],[S2],[S3],[S4],[P1],[P2],[P3] e [D] caratterizzano lo spazio
vettoriale V (R
3
); in verit`a tali propriet`a sarebbero presenti nel caso in cui
facessimo le medesime costruzioni e ragionamenti in R
2
, cio`e se prendessimo
i nostri vettori sul piano R
2
(in tale caso avremmo lo spazio vettoriale reale
bidimensionale. Le propriet`a menzionate sono anche quelle che caratteriz-
zano uno spazio vettoriale astratto su un campo qualsiasi, come il lettore
vedr`a in un corso di Algebra Lineare.
A questo punto sfruttiamo il fatto che in R
3
abbiamo un sistema di co-
ordinate cartesiane dato dagli assi (ortogonali tra loro) Ox, Oy e Oz. Com-
inciamo per osservare che un qualsiasi vettore v V (R
3
) pu`o sempre essere
rappresentato dal segmento orientato

OA con origine in O; ora, il termine A
`e un punto di R
3
e dunque `e rappresentato dalle sue coordinate (a
1
, a
2
, a
3
) e
cos` possiamo caratterizzare il vettore v dalle coordinate (a
1
, a
2
, a
3
) cio`e,
scriviamo v = (a
1
, a
2
, a
3
). In questo contesto i numeri reali a, b, c saranno
30 CAPITOLO 2. ALGEBRA VETTORIALE
chiamati coordinate vettoriali di v. La lunghezza di un vettore v = (a
1
, a
2
, a
3
)
`e cos` immediatamente calcolata:
|v| =
_
a
2
1
+a
2
2
+a
2
3
.
Da questo `e facile dedurre che
(k R)(v = (a
1
, a
2
, a
3
) V (R
3
)) kv = (ka
1
, ka
2
, ka
3
) ;
in particolare, 1v = (a
1
, a
2
, a
3
).
Per la somma di vettori abbiamo una situazione un p`o pi` u complessa.
Prendiamo i vettori v =

OA = (a
1
, a
2
, a
3
), w =

OB = (b
1
, b
2
, b
3
) e la loro
somma v+ w =

OC. I punti O, A, B e C sono i vertici di un parallelogrammo
OACB che si proietta perpendicolarmente sul parallelogrammo OA
1
C
1
B
1
del
piano determinato dagli assi Ox e Oy (infatti, il piano OAA
1
determinato
dai punti O, A e A
1
`e parallelo al piano BCC
1
perche i segmenti OA e
BC risp. AA
1
e CC
1
sono paralleli; dunque tagliano il piano Ox, Oy
in rette parallele e pertanto OA
1
e B
1
C
1
sono paralleli ; in modo simile, i
segmenti OB
1
e A
1
C
1
sono paralleli). Ora restringiamo la nostra attenzione
al parallelogrammo OA
1
C
1
B
1
del piano Ox, Oy. Le coordinate dei vertici O,
A
1
e B
1
sono conosciute:
O = (0, 0, 0) , A
1
= (a
1
, a
2
, 0) e B
1
= (a

1
, b
2
, 0) .
Proiettiamo i vertici A
1
, B
1
e C
1
perpendicolarmente sullasse Ox; otteni-
amo i punti A

1
= (a
1
, 0, 0), B

1
= (a
1
, 0, 0) e C

1
di cui dobbiamo trovare
la coordinata. Per una questione di similitudine di triangoli concludiamo
immediatamente che i segmenti OA

1
e B

1
C

1
sono di uguale lunghezza; da
questo possiamo inferire che
d
OA

1
+d
OB

1
= d
OB

1
+d
B

1
C

1
= d
OC

1
e perci`o, la coordinata di C

1
in x `e esattamente a
1
+ a

1
; in altre parole, la
prima coordinata del punto C `e a
1
+ a

1
. Con ragionamenti simili sugli altri
assi coordinati, concludiamo che C = (a
1
+ b
1
, a
2
+b
2
, a
3
+b
3
) ossia,
v + w =

OC = (a
1
+b
1
, a
2
+b
2
, a
3
+b
3
) .
`
E facile dimostrare che se v = (a
1
, a
2
, a
3
) e w = (b
1
, b
2
, b
3
), allora
v w = (a
1
b
1
, a
2
b
2
, a
3
b
3
)
2.2. PRODOTTO SCALARE 31
Ci sono tre vettori di V (R
3
) che hanno una rilevanza non trascurabile
nella teoria degli spazi vettoriali reali tridimensionali; essi sono i vettori
unitari
1

i = (1, 0, 0) ,

j = (0, 1, 0) e

k = (0, 0, 1) .
Il motivo della loro importanza `e che essi possono generare qualsiasi vettore
reale in modo unico: infatti, dato arbitrariamente v = (a
1
, a
2
, a
3
), possiamo
scrivere
v = a
1

i + a
2

j +a
3

k
e, se v potesse essere scritto nella forma
b
1

i +b
2

j + b
3

k
allora
(a
1
, a
2
, a
3
) = (b
1
, b
2
, b
3
)
e dunque a
1
= b
1
, a
2
= b
2
e a
3
= b
3
. Diciamo che i vettori di V (R
3
) sono
combinazioni lineari dei vettori

i ,

j e

k
e che linsieme {

i,

j,

k} `e una base (canonica) di V (R


3
).
2.2 Prodotto Scalare
Il prodotto scalare in V (R
3
) `e la funzione
<, >: V (R
3
) V (R
3
) R
denita come segue:
(v, w V (R
3
)) < v, w >= |v|| w| cos()
dove =

(v, w) `e langolo determinato dai vettori v, w con 0 .
Le seguenti propriet`a del prodotto scalare sono conseguenze immediate
della denizione:
PS1 (v V (R
3
)) < v,

0 >=<

0, v >= 0 ;
PS2 (v, w V (R
3
)) < v, w >=< w, v > (il prodotto scalare `e commuta-
tivo);
1
Abbiamo scritto la parole unitari perche tali vettori hanno lunghezza 1.
32 CAPITOLO 2. ALGEBRA VETTORIALE
PS3 (v, w V (R
3
))(k R) < kv, w >=< v, k w >= k < v, w > ;
PS4 (v V (R
3
)) < v, v >= |v|
2
.
Teorema 2.2.1 Due vettori non nulli v e w di V (R
3
)) sono ortogonali luno
allaltro < v, w >= 0.
Dimostrazione Condizione necessaria : supponiamo che v sia perpendico-
lare a w (notazione: v w). Allora, cos() = 0 e dalla denizione deduciamo
che < v, w >= 0.
Condizione suciente : qui lipotesi `e che < v, w >= 0; siccome i due vet-
tori non sono nulli, v| = 0 e w| = 0; la denizione di prodotto scalare ci fa
concludere che cos() = 0 e perci`o = /2. 2
Molte volte ci conviene interpretare il prodotto scalare tramite il concetto
di proiezione di un vettore su unaltro. Siano v =

AB e w =

AC due vettori
dati, con angolo tra di loro. Dal punto B tracciamo una perpendicolare alla
retta AC; questa retta taglia AC in un punto C

. Deniamo la proiezione di
v su w come il numero
proj
w
(v) = d
AC

dove d
AC
`e la distanza tra i punti A e C

e
=
_
1 se C

lato AC
1 se C

lato opposto a AC
Geometricamente abbiamo la proiezione del segmento AB sulla retta per A
nella direzione di w munita del segno positivo se 0 < /2 e del segno
negativo se /2 < . Con questo abbiamo che
< v, w >= |v|| w| cos() = | w|proj
w
(v) .
La proiezione proj
v
( w) `e denita in modo analogo; si osservi che
| w|proj
w
(v) = |v|proj
v
( w) .
Le propriet`a PS1, PS2, PS3 e PS4 sono completate da una propriet`a
distributiva del prodotto scalare relativamente alla somma di vettori. Per
alleggerire un p`o la notazione, dora in poi prenderemo i rappresentanti dei
nostri vettori con origine nel punto O R
3
, origine del sistema di coordinate
cartesiane. Adotteremo anche la convenzione di scrivere un vettore con la
medesima lettera latina minuscola del termine del suo rappresentante: a =

OA.
2.2. PRODOTTO SCALARE 33
Teorema 2.2.2 (Propriet`a distributiva)
(a,

b, c V (R
3
)) <a +

b, c >=<a, c > + <

b, c > .
Dimostrazione Sia

d =a+

b =

OD. Siano
A
,
B
e
D
tre piani perpendi-
colari alla retta r per O nella direzione di c e che contengano rispettivamente,
i punti A, B e D. Siano
A

=
A
r , B

=
B
r e D

=
D
r
le intersezioni dei tre piani con r. La proiezione (con segno) del segmento
orientato

AD che rappresenta

b `e uguale a proj
c
(

b) (i segmenti orientati OB
e AD sono equipollenti); daltro lato,
proj
c
(a) + proj
c
(

AD) = proj
c
(

d)
e dunque,
proj
c
(

d) = proj
c
(a) + proj
c
(

b) .
In questo modo,
<a +

b, c >= |c|proj
c
(

d) = |c|proj
c
(a) +|c|proj
c
(

b) =
=<a, c > + <

b, c > .
2
Siccome il prodotto scalare `e commutativo, ne segue che
<c, a +

b >=<c, a > + <c,

b > .
A questo punto ci conviene ragionare da un punto di vista algebrico.
Ricordiamoci che i vettori

i,

j e

k formano una base di V (R


3
) cio`e, un vettore
qualsiasi si esprime in modo unico come combinazione lineare con coecienti
reali dei vettori della base. Ora notiamo che in vista della propriet`a PS4 e
del Teorema 2.2.1
<

i,

i >= 1 , <

j,

j >= 1 , <

k,

k >= 1
<

i,

j >= 0 , <

i,

k >= 0 e <

j,

k >= 0 .
La Propriet`a distributiva ora interviene per farci vedere che il prodotto
scalare di due vettori arbitrari v = (a
1
, a
2
, a
3
) e w = (b
1
, b
2
, b
3
) `e dato da
< v, w >= a
1
b
1
+a
2
b
2
+a
3
b
3
.
34 CAPITOLO 2. ALGEBRA VETTORIALE
Come applicazione calcoliamo il coseno dellangolo di due vettori v =
(a
1
, a
2
, a
3
) e w = (b
1
, b
2
, b
3
): siccome
< v, w >= |v|| w| cos()
i risultati anteriori ci dicono che
cos() =
a
1
b
1
+a
2
b
2
+ a
3
b
3
_
a
2
1
+a
2
2
+ a
2
3
_
b
2
1
+ b
2
2
+b
2
3
.
2.3 Prodotto Vettoriale
Unaltra operazione nellinsieme V (R
3
) `e data dal cosiddetto prodotto vetto-
riale
: V (R
3
) V (R
3
) V (R
3
) , (v, w) v w
denita nel modo seguente: come al solito, sia langolo 0 denito
dai vettori v e w; allora,
v w = |v|| w| sin() u
dove u `e un vettore unitario perpendicolare al piano dei vettori v, w in modo
che la terna (v, w, u) soddis la regola del cavatappi (vedere Sezione 1.4).
Osserviamo che siccome la funzione sin() 0 per tutti i valori di compresi
tra 0 e , il coeciente |v|| w| sin() 0 e perci`o v w e u hanno il medesimo
senso.
Le propriet`a seguenti si dimostrano facilmente dalla denizione del prodot-
to vettoriale:
PV1 (v V (R
3
)) v

0 =

0 v =

0 ;
PV2 (v, w V (R
3
)) v w = w v (il prodotto vettoriale non `e commu-
tativo);
PV3 (v, w V (R
3
))(k R) (kv) w = v (k w) = k(v w).
La propriet`a distributiva (valida per il prodotto scalare) `e anche presente
nel prodotto vettoriale ma la sua dimostrazione `e un tantino pi` u dicile. Per
cominciare, osserviamo che la lunghezza del vettore v w `e data dal numero
positivo
|v|| w| sin()
2.3. PRODOTTO VETTORIALE 35
e siccome |v| sin() non `e altro che laltezza del parallelogrammo di base w
determinato dai vettori v e w, ne segue che |v w| `e larea di tale parallelo-
grammo. Ilprodotto triplo di tre vettori arbitrari u, v, w V (R
3
) `e il numero
reale
< u, v w >= |u||v w| cos()
dove `e langolo tra i vettori u e v w (si noti che 0 ). Se u e v w
sono vettori non nulli
< u, v w >= 0 cos() = 0
= /2 u, v, w sono complanari .
Escludendo questo caso, i vettori u, v, w (ossia, i loro rappresentanti con orig-
ine comune) formano un parallelepipedo di base v, w e lato u di cui |u|| cos()|
`e laltezza; siccome |v w| `e larea del parallelogrammo v, w,
| < u, v w > | = volume del papallelepipedo u, v, w .
Da questultimo fatto concludiamo che
| < u, v w > | = | < w, u v > |
perche questi due numeri positivi rappresentano il volume del medesimo par-
allelepipedo. In verit` a posiamo fare un passo in pi` u: possiamo dimostrare
che
< u, v w >=< w, u v > .
Infatti, facciamo un disegno rappresentante i tre vettori in questione; il piano
v, w divide R
3
in due semispazi, S
v, w
che contiene il vettore v w ed il suo
opposto S
opp
v, w
. Analogamente, il piano u, v divide R
3
in due semispazi, S
u,v
che contiene il vettore uv ed il suo opposto S
opp
u,v
. Ora si osservi che u S
v, w
(risp. u S
opp
v, w
) se, e soltanto se, w S
u,v
(risp. w S
opp
u,v
). Questo fatto ci
permette di concludere che cos(u, v w) e cos( w, uv) sono ambedue positivi
o ambedue negativi.
Con questa osservazione e la commutativit`a del prodotto scalare arrivi-
amo alla seguente conclusione:
PT
(u, v, w V (R
3
))
< u, v w >=< w, u v >=< v, w u > .
Teorema 2.3.1 (Propriet`a distributiva del prodotto vettoriale)
(u, v, w V (R
3
)) u (v + w) = u v +u w .
36 CAPITOLO 2. ALGEBRA VETTORIALE
Dimostrazione Prendiamo il vettore

t = u (v + w) u v u w
e calcoliamo il prodotto scalare <

t,

t >= |

t|
2
con laiuto della propriet`a PT
e della distributivit`a del prodotto scalare. Abbiamo
<

t,

t >=<

t, u (v + w) u v u w >=
=<

t, u (v + w) > <

t, u v > <

t, u w >=
=<

t u, v + w > <

t, u v > <

t, u w >=
=<

t u, v > + <

t u, w > <

t u, v > <

t u, w >= 0 .
Ma |

t| = 0

t = 0 e dunque,
u (v + w) = u v +u w
come volevamo dimostrare. 2
Per concludere questa nostra presentazione fortemente geometrica del
prodotto vettoriale, osserviamo che siccome sin() = 0 = 0, ,
due vettori non nulli v, w hanno prodotto vettoriale nullo se, e soltanto se,
sono paralleli (hanno la medesima direzione). Dunque,
(v V (R
3
)) v v = v

v = 0 ;
in particolare,

i =

j =

k

k = 0 .
Le seguenti uguaglianze si dimostrano facilmente:

j =

k ,

j

k =

i ,

k

i =

j ,

i =

k ,

k

j =

i ,

i

k =

j .
Ora passiamo a guardare il prodotto vettoriale algebricamente. Calco-
liamo il prodotto vettoriale di due vettori arbitrari v = (a
1
, a
2
, a
3
) e w =
(b
1
, b
2
, b
3
). Per fare questo, scriviamo i due vettori come combinazioni lineari
dei vettori della base canonica:
v = a
1

i +a
2

j +a
3

k e w = b
1

i +b
2

j +b
3

k ;
a causa della propriet`a distributiva del prodotto vettoriale (Teorema 2.3.1)
concludiamo che
v w = (a
2
b
3
a
3
b
2
)

i (a
1
b
3
a
3
b
1
)

j + (a
1
b
2
a
2
b
1
)

k
2.4. APPLICAZIONI 37
ossia,
v w = (a
2
b
3
a
3
b
2
, a
3
b
1
a
1
b
3
, a
1
b
2
a
2
b
1
) .
Il lettore `e pregato di osservare che daccordo con la regola di calcolo
del determinante di una matrice quadra di tre righe e tre colonne, possiamo
scrivere
v w = det
_
_
_

i

j

k
a
1
a
2
a
3
b
1
b
2
b
3
_
_
_ .
Anche il prodotto triplo ha una sua formulazione algebrica elementare:
infatti, dati i vettori
a = (a
1
, a
2
, a
3
) ,

b = (b
1
, b
2
, b
3
) e c = (c
1
, c
2
, c
3
) ,
un semplice calcolo ci permette di scrivere
<a,

b c >= det
_
_
_
a
1
a
2
a
3
b
1
b
2
b
3
c
1
c
2
c
3
_
_
_ .
2.4 Applicazioni
In questa sezione si faranno alcune applicazioni dei vettori reali alla geometria
euclidea.
I punti, le rette ed i piani sono enti primitivi della geometria e come
tali non si deniscono esplicitamente. In una costruzione sistematica del-
la geometria euclidea essi vengono individuati da alcune loro propriet`a
caratteristiche dette assiomi, considerate come verit`a non dimostrabili; come
esempi citiamo i seguenti:
Due punti distinti A e B determinano sempre una retta r = AB.
Tre punti A, B e C non situati in una medesima retta determinano sempre
un piano = ABC.
Se due punti A e B di una retta r appartengono ad un piano , allora
qualsiasi punto della retta r appartiene al piano .
Se due piani e hanno un punto A in comune, allora e hanno al meno
un secondo punto in comune.
Se tre punti appartengono ad una retta, uno e soltanto uno dei punti si
trova tra gli altri due.
38 CAPITOLO 2. ALGEBRA VETTORIALE
In un piano possiamo tracciare da un punto A, non appartenete ad una
retta r, una ed una sola retta s che non interseca la retta r; la retta s
`e la parallela ad r passante per A (Assioma di Euclide).
Gli assiomi riportati di sopra sono tratti dal lavoro del matematico tedesco
David Hilbert (1862-1943) sui fondamenti della geometria [3]. Noi abbiamo
gi`a fatto uso implicitamente di questi assiomi, adandoci alla nostra intu-
izione e a ci`o che abbiamo imparato nelle scuole medie e superiori, quando
abbiamo introdotto la nozione di vettore.
Cominciamo per studiare vettorialmente la retta r = AB denita da
due punti distinti A, B R
3
. Ricordiamo al lettore che un punto arbitrario
A R
3
denisce un vettore a =

OA. Si noti che per qualsiasi numero reale
m, il termine C del vettore c = a + m(

b a) si trova nella retta r cio`e, i


punti A, B e C sono allineati; in particolare, per qualsiasi 0 m 1, il
punto C `e un punto del segmento AB (con C = A se m = 0 e C = B se
m = 1). Reciprocamente, supponiamo che C r. Allora esiste un numero
reale m per il quale

AC = m

AB. Se sommiamo il vettore a =

OA a ambi i
lati di questa uguaglianza otteniamo

OA +

AC =

OA + m

AB e da questa,
c =a+m(

ba); lultima equazione vettoriale pu`o essere riscritta nella forma


c = (1 m)a +m

b (si osservi esplicitamente che la somma dei coecienti di


a e

b `e uguale a 1). Le osservazioni precedenti dimostrano il seguente


Teorema 2.4.1 Condizione necessaria e suciente perche un punto C
R
3
appartenga alla retta r = AB `e che esistano due numeri reali , con
+ = 1 e c = a +

b.
Le equazioni
c =a + m(

b a) (2.1)
c = a +

b con , R e + = 1 (2.2)
sono due forme della equazione vettoriale della retta r = AB.
Possiamo fare uso del Teorema 2.4.1 per ottenere le coordinate di un
punto qualsiasi della retta r = AB, con A = (a
1
, a
2
, a
3
) e B = (b
1
, b
2
, b
3
); per
esempio se C `e il punto medio del segmento AB,
c =
1
2
a +
1
2

b = (
a
1
+b
1
2
,
a
2
+b
2
2
,
a
3
+ b
3
2
) . (2.3)
In generale, se C = (x, y, z) lequazione 2.1 diventa
(x, y, z) = (a
1
, a
2
, a
3
) +m(b
1
a
1
, b
2
a
2
, b
3
a
3
)
e dunque
x = a
1
+ m(b
1
a
1
) , y = a
2
+ m(b
2
a
2
) , z = a
3
+m(b
3
a
3
) (2.4)
e queste sono le equazioni parametriche della retta AB.
2.4. APPLICAZIONI 39
Teorema 2.4.2 (Teorema di Pitagora) Sia ABC un triangolo con angolo
retto nel vertice C. Allora,
|AB|
2
= |BC|
2
+|CA|
2
.
Dimostrazione Consideriamo i vettori a =

BC,

b =

CA e c =

BA.
Allora,

b =c a e dunque
|

b|
2
=<

b,

b >= |a|
2
+|c|
2
2 <a, c > .
Ma lultimo addendo `e nullo perche

(a, c) = /2. 2
Il lettore dovrebbe rivedere la dimostrazione classica del teorema!
Teorema 2.4.3 La somma delle lunghezze di due lati di un triangolo `e
maggiore della lunghezza del terzo lato.
Dimostrazione Prendiamo un triangolo di vertici A, B, C ed i vettori
a =

BC,

b =

CA e c =

BA =a +

b; come per il Teorema 2.4.2


|c|
2
= |a|
2
+|

b|
2
+ 2|a||

b| cos(

(a,

b)) ;
siccome

(a,

b) = 0, abbiamo
|c|
2
< |a|
2
+|

b|
2
+ 2|a||

b| = (|a| +|

b|)
2
e dunque
|c| < |a| +|

b| .
2
Teorema 2.4.4 Le mediane di un triangolo si incontrano in un punto P che
le divide nella ragione 1 : 2.
Dimostrazione Siano A, B e C i vertici del nostro triangolo e siano
M
1
AB, M
2
BC e M
3
AC i punti medi dei tre lati del triangolo.
Vogliamo dimostrare che AM
2
BM
3
CM
1
= P e
M
1
P
CP
=
M
2
P
AP
=
M
3
P
BP
=
1
2
.
40 CAPITOLO 2. ALGEBRA VETTORIALE
Prendiamo i vettori a,

b, c, m
1
, m
2
e m
3
; dal Teorema 2.4.1 concludiamo che
m
1
=
1
2
a +
1
2

b , (2.5)
m
2
=
1
2

b +
1
2
c , (2.6)
m
3
=
1
2
c +
1
2
a . (2.7)
Per eliminazione di

b dalle equazioni 2.5 e 2.6 otteniamo


2 m
1
+c = 2 m
2
+a
e per eliminazione di c da 2.6 e 2.7,
2 m
2
+a = 2 m
3
+

b ;
queste due ultime equazioni divise per 3 ci permettono di scrivere che
p =
2
3
m
1
+
1
3
c =
2
3
m
2
+
1
3
a =
2
3
m
3
+
1
3

b .
A causa del Teorema 2.4.1, concludiamo dallequazione
p =
2
3
m
1
+
1
3
c
che il punto P AM
2
; analogamente, le altre uguaglianze ci permettono di
concludere che P BM
3
e P CM
1
. Daltra parte, possiamo scrivere
p =
2
3
m
1
+
1
3
c = m
1
+
1
3
(c m
1
)
e da questo concludiamo che P si trova a una distanza uguale a
1
3
d
CM
1
da
M
1
e dunque
M
1
P
CP
=
1
2
;
gli altri due casi sono dimostrati in modo simile. 2
Teorema 2.4.5 Le diagonali di un parallelogrammo si incontrano nel loro
punto medio.
2.4. APPLICAZIONI 41
Dimostrazione Siano A, B, C e D i vertici del parallelogrammo. Siccome
i lati opposti del parallelogrammo sono paralleli `e immediato che

ba =c

d
e da questa uguaglianza concludiamo che
p =
1
2

b +
1
2

d =
1
2
a +
1
2
c
cio`e, le diagonali si incontrano in un punto P che infatti `e il loro punto medio
dalla formula 2.3. 2
Teorema 2.4.6 La mediana alla base di un triangolo isocele `e perpendicolare
alla base.
Dimostrazione Siano A, B i vertici della base del triangolo, M sia il punto
medio e O sia il terzo vertice. Da ci`o che abbiamo visto in precedenza,
m =
1
2
a +
1
2

b
e dunque, il prodotto scalare
< m,

b a >=
1
2
(|

b|
2
|a|
2
) = 0
perch`e |

b| = |a|. In altre parole, m

b a. 2
Teorema 2.4.7 Langolo iscritto in un semicerchio `e un angolo retto.
Dimostrazione Consideriamo un semicerchio di centro O, diametro AB e
semicirconferenza ; sia C . Vogliamo dimostrare che langolo

(BC, AC) =
/2. I punti A, B e C danno luogo ai vettori
a =

OA ,

b =

OB = a , c =

OC ,

AC =c a e

BC =c +a .
Siccome
<

AC,

BC >=<c a, c +a >= 0
e questi vettori non sono nulli, concludiamo che

(BC, AC) = /2 (vedere
Corollario ??). 2
42 CAPITOLO 2. ALGEBRA VETTORIALE
Teorema 2.4.8 (Legge dei seni) Sia ABC un triangolo di angoli
=

(BA, AC) , =

(AB, BC) , =

(AC, CB) ;
allora
|CB|
sin()
=
|AC|
sin()
=
|AB|
sin()
.
Dimostrazione Prendiamo i vettori u =

CB,v =

AC e w =

AB; si osservi
che w = u +v. Sappiamo che w w =

0; daltro lato,
w w = w (u +v) = w u + w v
e dunque,
| w||u| sin() = | w||v| sin() .
Da questultima uguaglianza si conclude che
|CB|
sin()
=
|AC|
sin()
.
Laltra uguaglianza dellenunciato si dimostra in modo simile. 2
Il prossimo risultato `e una generalizzazione del notissimo Teorema di
Pitagora.
Teorema 2.4.9 (Legge dei coseni) Sia ABC un triangolo con angolo =

(BA, AC). Allora,


|BC|
2
= |AB|
2
+|AC|
2
2|AB||AC| cos() .
Dimostrazione Come nel teorema precedente prendiamo i vettori u =

CB,v =

AC e w =

AB; allora u = w v Ora calcoliamo il prodotto scalare
de u con se stesso:
< u, u >=< w v, w v >=
|v|
2
+| w|
2
2 < v, w >= |v|
2
+| w|
2
2|v|| w| cos()
e da questa equazione troviamo il risultato. 2
2.5. TRASLAZIONI E ROTAZIONI 43
2.5 Traslazioni e Rotazioni
Nel Capitolo 3 ci preoccuperemo di capire quali equazioni algebriche di sec-
ondo grado in x, y rappresentano una conica e pi` u precisamente, che tipo di
conica. Per arrivare a questo ultimo obiettivo sar`a necessario modicare le
equazioni in modo da ottenere una equazione di secondo grado di cui conosci-
amo la curva; ci`o si ottiene mediante cambiamenti del sistema di coordinate
cartesiane. In seguito studieremo questi cambiamenti di coordinate; siccome
faremo ragionamenti simili anche per le superci quadriche (vedere il Capi-
tolo 4), tanto vale studiare subito i cambiamenti dei sistemi di coordinate
nello spazio tridimensionale.
Consideriamo lo spazio R
3
assieme ad un suo sistema (ortogonale) di
coordinate cartesiane Ox, Oy, Oz. Sia O

= (k, , m) un punto arbitrario


di R
3
, origine di un nuovo sistema (ortogonale) di coordinate cartesiane
O

, O

, O

in tal modo che i piani O

, O

e O

siano paral-
leli rispettivamente ai piani Oxy, Oyz e Oxz. Se un punto P dello spazio
ha coordinate (x, y, z) nel sistema originale e coordinate (x

, y

, z

) nel nuovo
sistema, allora `e facile capire che
x

= x k , y

= y , z

= z m ,
o equivalentemente,
x = x

+k , y = y

+ , z = z

+m .
Ora prendiamo R
3
con due sistemi ortogonali di coordinate cartesiane
Ox, Oy, Oz e Ox

, Oy

, Oz

(i due hanno la medesima origine). Siano

i,

j,

k i
vettori unitari di base nel primo sistema e

i

,

k

quelli del secondo. Si noti


che un vettore arbitrario v di V (R
3
) pu`o essere scritto in termini della base
{

i,

j,

k} come
v =< v,

i >

i+ < v,

j >

j+ < v,

k >

k .
Dunque i vettori

i

,

k

si possono scrivere come segue:

=<

i

i >

i+ <

i

j >

j+ <

i

k >

k ,

=<

j

i >

i+ <

j

j >

j+ <

j

k >

k e

=<

k

i >

i+ <

k

j >

j+ <

k

k >

k .
Riscriviamo questo sistema nella forma
_

= a
11

i +a
12

j + a
13

= a
21

i +a
22

j +a
23

= a
31

i + a
32

j +a
33

k
(2.8)
44 CAPITOLO 2. ALGEBRA VETTORIALE
e rileviamo esplicitamente la matrice
R =
_
_
_
a
11
a
12
a
13
a
21
a
22
a
23
a
31
a
32
a
33
_
_
_ (2.9)
che chiamiamo di matrice di rotazione. Siccome
<

i,

i >=<

j,

j >=<

k,

k >= 1
<

i,

j >=<

j,

k >=<

k,

i >= 0
e le medesime relazioni valgono per i vettori

i

e

k

perche il sistema
Ox

, Oy

, Oz

`e ortogonale, otteniamo le equazioni


a
2
11
+ a
2
12
+a
2
13
= 1
a
2
21
+a
2
22
+a
2
23
= 1
a
2
31
+a
2
32
+a
2
33
= 1
a
11
a
21
+a
12
a
22
+a
13
a
23
= 0
a
11
a
31
+a
12
a
32
+a
13
a
33
= 0
a
21
a
31
+a
22
a
32
+ a
23
a
33
= 0
(2.10)
ossia, i vettori le cui componenti sono gli elementi delle righe di A i cosid-
detti vettori righe di A sono ortonormali tra di loro, cio`e ogni vettore riga
ha lunghezza 1 e due vettori righe distinti sono perpendicolari tra loro. Per
questo motivo la matrice A `e detta ortogonale; infatti, cos` sono dette tutte
le matrici i cui vettori righe (o colonne) sono ortonormali.
Sia A
T
la trasposta della matrice A (ricordiamo che A
T
si ottiene scriven-
do le righe di A come colonne di A
T
). Allora, dalle equazioni 2.10 concludi-
amo che
AA
T
= A
T
A = I
3
e cio`e, A `e invertibile e ha per inversa la matrice A
T
.
Ricordando che prendiamo sempre i nostri sistemi di coordinate in modo
che gli assi siano perpendicolari tra loro e con lorientamento dato dalla regola
del cavatappi e ricordando anche le caratterizzazioni del prodotto triplo di tre
vettori come volume e come determinante, concludiamo che il determinante
della matrice di rotazione 2.9 `e uguale a 1: infatti, i vettori ortonormali

i

e

k

determinano un parallelepipedo di volume 1 e daltro lato,


<

i

>= det
_
_
_
a
11
a
12
a
13
a
21
a
22
a
23
a
31
a
32
a
33
_
_
_ = det(A).
Raccogliamo gli ultimi risultati in un unico teorema:
2.5. TRASLAZIONI E ROTAZIONI 45
Teorema 2.5.1 Sia
R =
_
_
_
a
11
a
12
a
13
a
21
a
22
a
23
a
31
a
32
a
33
_
_
_
una matrice di rotazione. Allora valgono i seguenti risultati:
1. i vettori righe di R hanno lunghezza 1 e sono ortogonali tra di loro;
2. det R = 1;
3. R `e invertibile e R
1
= R
T
.
Sia P un punto arbitrario di R
3
. Supponiamo che P abbia coordinate
(x, y, z) nel sistema Ox, Oy, Oz; quali saranno le sue coordinate nel sistema
Ox

, Oy

, Oz

? Come ente geometrico il vettore p =



OP non dipende dalla
scelta del sistema di coordinate per R
3
ma relativamente alle basi {

i,

j,

k} e
{

,

k

} ha coordinate diverse; cos` ,


p = x

i + y

j + z

k
e
p = x

+y

+z

.
Da questultima combinazione lineare otteniamo
x

=< p,

> , y

=< p,

> , z

=< p,

k

> ,
e dalle equazioni 2.8 concludiamo che
x

= a
11
x + a
12
y +a
13
z
y

= a
21
x +a
22
y + a
23
z
z

= a
31
x +a
32
y +a
33
z
ossia,
_
_
_
x

_
_
_ =
_
_
_
a
11
a
12
a
13
a
21
a
22
a
23
a
31
a
32
a
33
_
_
_
_
_
_
x
y
z
_
_
_
Nel piano R
2
le cose procedono in maniera analoga. Sia Ox, Oy un sis-
tema di coordinate ortogonali e sia dato un punto O

= (k, ) R
2
; ora
prendiamo un nuovo sistema (ortogonale) di coordinate cartesiane O

, O

in tal modo che gli assi O

, O

siano paralleli rispettivamente agli assi


Ox, Oy. Se un punto P del piano ha coordinate (x, y) nel sistema originale
e coordinate (x

, y

) nel nuovo sistema, allora `e facile capire che


x

= x k , y

= y ,
46 CAPITOLO 2. ALGEBRA VETTORIALE
o equivalentemente,
x = x

+ k , y = y

+ .
Ora prendiamo R
2
con due sistemi ortogonali di coordinate cartesiane con
la medesima origine Ox, Oy e Ox

, Oy

. Siano

i,

j i vettori unitari di base


nel primo sistema e

i

quelli del secondo. Come nel caso tridimensionale,


scriviamo i vettori

i

nella forma

=<

i

i >

i+ <

i

j >

j ,

=<

j

i >

i+ <

j

j >

j .
Riscriviamo questo sistema nella forma
_

i

= a
11

i + a
12

= a
21

i +a
22

j
(2.11)
e rileviamo esplicitamente la matrice di rotazione
A =
_
a
11
a
12
a
21
a
22
_
(2.12)
Anche in questo caso
a
2
11
+ a
2
12
= 1
a
2
21
+ a
2
22
= 1
a
11
a
21
+a
12
a
22
= 0
ossia, i vettori righe di A sono ortonormali tra di loro e dunque, AA
T
=
A
T
A = I
2
. Anche nel caso bidimensionale, det(A) = 1. Infatti, pensiamo
alla rotazione nel piano come una rotazione nello spazio attorno allasse Oz;
allora abbiamo le equazioni vettoriali
_

= a
11

i + a
12

j + 0

= a
21

i +a
22

j + 0

= 0

i + 0

j + 1

k
(2.13)
dalle quali possiamo estrarre la matrice
B =
_
_
_
a
11
a
12
0
a
21
a
22
0
0 0 1
_
_
_ .
Come per il caso n = 3,
<

i

>= det(B) = 1
2.5. TRASLAZIONI E ROTAZIONI 47
e siccome det(B) = det(A), concludiamo che det(A) = 1.
Sia P un punto arbitrario di R
2
con coordinate (x, y) nel sistema Ox, Oy
e coordinate (x

, y

) nel sistema Ox

, Oy

. Come nel caso pi` u generale


x

= a
11
x +a
12
y
y

= a
21
x +a
22
y
ossia,
_
x

_
=
_
a
11
a
12
a
21
a
22
__
x
y
_
Facciamo un esempio specico. Supponiamo ruotare il piano Ox, Oy
attorno allorigine nel senso anti-orario di un angolo ; allora,
_

i

= cos

i + sin

= sin

i + cos

j
donde concludiamo che un punto P di coordinate (x, y) nel sistema Ox, Oy
ha coordinate
_
x

= xcos +y sin
y

= xsin +y cos
nel sistema Ox

, Oy

; i valori di x, y in termini di x

, y

sono dati dalle


equazioni
_
x = x

cos y

sin
y = x

sin +y

cos
(2.14)
Teorema 2.5.2 Traslazioni e rotazioni conservano distanze e angoli.
Dimostrazione Vogliamo dimostare che traslazioni e rotazioni manten-
gono la lunghezza dei vettori e gli angoli tra essi. Cominciamo con le traslazioni.
Sia una traslazione di R
3
data dalle equazioni
x = x

+k , y = y

+ , z = z

+ m .
Sia v un vettore rappresentato dal segmento orientato

OAcon A = (a
1
, a
2
, a
3
).
Allora trasforma tale segmento nel segmento orientato (

OA) di estremi
O

= (k, , m) e A

= (a
1
+ k, a
2
+ , a
3
+ m); dunque (

OA) = v o in altre
parole, le traslazioni mantengono i vettori.
Sia ora una rotazione denita dalla matrice ortonormale
A =
_
_
_
a
11
a
12
a
13
a
21
a
22
a
23
a
31
a
32
a
33
_
_
_ .
48 CAPITOLO 2. ALGEBRA VETTORIALE
Dato v = (a
1
, a
2
, a
3
), abbiamo
(v) =
(a
11
a
1
+a
12
a
2
+ a
13
a
3
, a
21
a
1
+ a
22
a
2
+a
23
a
2
, a
31
a
1
+a
32
a
2
+a
33
a
3
)
e facendo i conti, otteniamo
|(v)|
2
= a
2
1
+a
2
2
+ a
2
3
= |v|
2
.
Pi` u generalmente, facendo i conti si vede che una rotazione non altera il
prodotto scalare di due vettori, cio`e
< (v), ( w) >=< v, w >
e perci`o
< (v), ( w) >
|(v)||( w)|
=
< v, w >
|v|| w|
= cos
dove `e langolo tra v e w. 2
Capitolo 3
Curve algebriche piane
3.1 Curve piane
In questo capitolo studieremo le gure piane denite come luoghi geometrici
di tutti i punti di R
2
che siano soluzioni di una equazione algebrica reale
f(x, y) = 0. Questi luoghi sono detti curve (algebriche) piane.
Cominciamo per fare alcune considerazioni generali sulle curve piane. Si
chiama ordine di una curva il grado del polinomio che la determina. Se un
polinomio f(x, y) si scrive come prodotto di due polinomi di gradi 1 come
f(x, y) = g(x, y)h(x, y)
la curva piana denita da f(x, y) = 0 si decompone come lunione delle
curve determinate da g(x, y) = 0 e h(x, y) = 0, dette componenti di . Per
esempio, la curva di ordine 3 denita dallequazione
x
3
y
3
+x
2
(1 y) +y
2
(1 + x) x + y 1 = (x y + 1)(x
2
+y
2
1) = 0
ha come componenti la curva denita dallequazione
x
2
+ y
2
1 = 0
e quella denita da
x y + 1 = 0 .
Si noti che queste due curve si incontrano in due punti: (1, 0) e (0, 1). La
curva di ordine 2 data da
x
2
+y
2
2xy + 2x 2y + 1 = (x y + 1)
2
= 0
ha come (unica) componente la curva x y + 1 = 0 che per`o deve essere
contata due volte.
49
50 CAPITOLO 3. CURVE ALGEBRICHE PIANE
Ora diamo lenunciato di un teorema che ha avuto molta importanza
per la Geometria Algebrica, dove compare sotto varie forme equivalenti; la
dimostrazione di questo teorema sfugge agli scopi di questo corso per`o il suo
contenuto `e di interesse per il nostro lavoro; il lettore curioso potr`a trovarne
una dimostrazione in [7].
Teorema 3.1.1 (Teorema di Bezout)
1
Due curve algebriche di ordini m e n
che hanno pi` u di mn punti in comune hanno una componente comune.
Trattandosi della ricerca di punti comuni a due curve algebriche piane
(cio`e dei punti del piano che soddisfano simultaneamente due equazioni alge-
briche reali in due variabili) il risultato va interpretato nel campo complesso
e con i dovuti riguardi per le cosiddette multiplicit`a di intersezione. Facciamo
un esempio semplice. Sia data dallequazione
x
2
+y
2
= 1
e sia r una curva di equazione x k = 0. Allora
1. se 1 < k < 1,
r = (k,

1 k
2
) ;
2. se k < 1 o k > 1,
r = (k, i

k
2
1) ;
3. se k = 1 (resp. k = 1),
r = (1, 0) resp. (1, 0)
ma ognuna di queste intersezioni deve essere contata 2 volte cio`e, ogni
intersezione ha molteplicit`a 2.
Ora cominceremo a studiare alcune curve speciali di R
2
: le rette e le cosid-
dette coniche ossia: circonferenza, parabola, ellisse e iperbole. Nel capitolo
successivo studieremo le coniche dal punto di vista puramente geometrico.
1
Etienne Bezout, Nemours 1730 Les Basses-Loges (Fontainebleau) 1783.
3.1. CURVE PIANE 51
3.1.1 Rette
Consideriamo il piano R
2
munito di un sistema ortogonale di coordinate Ox,
Oy. Osserviamo subito che le equazioni 2.1 e 2.2 si trasferiscono naturalmente
al piano R
2
; questo vale anche per le equazioni parametriche: dati A =
(a
1
, a
2
) e B = (b
1
, b
2
) la retta r = AB ha le equazioni parametriche
x = a
1
+ m(b
1
a
1
) , y = a
2
+m(b
2
a
2
) . (3.1)
Facciamo unanalisi pi` u aprofondita di queste equazioni parametriche.
Per cominciare, supponiamo che a
1
= b
1
; in questo caso il vettore

b a =
(0, b
2
a
2
) `e parallelo al vettore

j (cio`e allasse Oy) e lequazione x a
1
=
0 caratterizza tutti i punti di r. Analogamente, se a
2
= b
2
, la retta r `e
rappresentata dallequazione y a
2
= 0. Supponiamo nalmente che a
1
= b
1
e a
2
= b
2
(non `e possibile avere simultaneamente a
1
= b
1
e a
2
= b
2
perche
siamo partiti da punti distinti A e B). In questo caso abbiamo
m =
x a
1
b
1
a
1
=
y a
2
b
2
a
2
;
scrivendo
a = b
2
a
2
, b = a
1
b
1
e c = a
2
(b
1
a
1
) a
1
(b
2
a
2
)
otteniamo lequazione lineare in x e y
ax + by +c = 0 .
I tre casi considerati ci mostrano che le equazioni parametriche di una retta
per due punti distinti possono essere trasformate in una equazione lineare
(con coecienti reali)
ax + by + c = 0 con almeno uno tra a, b = 0 .
Reciprocamente, sia data una equazione lineare in x, y con coecienti reali
ax +by +c = 0 ; (3.2)
dimostriamo che i punti (x, y) del piano che soddisfano lequazione apparten-
gono tutti ad una retta. Supponiamo per ora che a, b e c siano tutti e tre non
nulli. Se y = 0 lequazione 3.2 implica ax + c = 0 e le coordinate del punto
A = (c/a, 0) soddisfano 3.2; se x = 0, sono le coordinate di B = (0, c/b)
a soddisfare 3.2. Ora calcoliamo lequazione vettoriale della retta r = AB:
essa `e
(x, y) = (
c
a
, 0) + m(
c
a
,
c
b
)
52 CAPITOLO 3. CURVE ALGEBRICHE PIANE
o in forma parametrica,
x +
c
a
= m
c
a
, y = m
c
b
e quindi, eliminando la m tra le due otteniamo lequazione ax + by + c = 0
che coincide con lequazione data. I casi in cui a = 0 oppure b = 0 (non `e
possibile avere ambedue a = 0 e b = 0) sono discussi in modo analogo; si noti
che se a = 0 abbiamo una retta parallela a Ox, se b = 0 la retta `e parallela
allasse Oy e se c = 0 la retta passa per il punto origine O.
A questo punto vogliamo osservare esplicitamente il vettore n = (a, b)
ottenuto dai coecienti di x e y nellequazione ax + by + c = 0 di una retta
r di R
2
`e perpendicolare alla direzione della retta; infatti:
1. a = 0 r Ox e n = (0, b) Ox e perci`o n r;
2. b = 0 r Oy e n = (a, 0) Oy e perci`o n r;
3. a = 0, b = 0, c = 0 r passa per lorigine e contiene il punto (1, a/b);
il vettore v = (1, a/b) ha la medesima direzione di r e < n, v >= 0 e
dunque n r;
4. a = 0, b = 0, c = 0 r incontra Ox in (c/a, 0) e Oy in (0, c/b); il
vettore v = (c/a, c/b) `e nella direzione di r e < n, v >= 0.
Esistano altri modi per dare lequazione di una retta nel piano.
Retta per un punto e in una direzione data - Sono dati A = (a
1
, a
2
) e n =
(a, b). Se X = (x, y) r i vettori

AX e n sono paralleli; dunque abbiamo le
equazioni parametriche:
x = a
1
+ ma , y = a
2
+mb .
Retta per un punto e perpendicolare ad una direzione data - Sono dati A =
(a
1
, a
2
) e n = (a, b). Allora

AX n < (x a
1
, y a
2
), (a, b) >= 0
e dunque,
ax +by + (aa
1
ba
2
) = 0 .
Retta perpendicolare ad una direzione data e ad una distanza data dallorigine
- Sia n = (a, b) un vettore dato. Cerchiamo lequazione di una retta r che
sia perpendicolare alla direzione di n e che si trovi ad una distanza d > 0
dallorigine O. Sia c = (x, y) un vettore di R
2
. Allora,
<c, n >= |n||c| cos(

(n, c)) =
3.1. CURVE PIANE 53
=

a
2
+b
2
proj
n
(c) ;
daltro lato, <c, n >= ax +by e perci`o,
ax + by =

a
2
+b
2
proj
n
(c) .
Ora i punti C del piano che appartengono ad una tale retta devono soddisfare
la condizione |proj
n
(c)| = d e siccome il numero proj
n
(c) pu`o essere positivo
o negativo, abbiamo due possibili soluzioni:
ax + by +d

a
2
+b
2
= 0
ax + by d

a
2
+b
2
= 0
Siano dati una retta r R
2
di equazione
ax +by +c = 0
ed un punto A = (a
1
, a
2
) R
2
tale che A r. Ci proponiamo di calcolare
la distanza tra A e r. La retta n per A e perpendicolare a r ha equazioni
parametriche
x = a
1
+ ma , y = a
2
+mb ;
sostituendo questi valori per x e y nellequazione della retta abbiamo a(a
1
+
ma) + b(a
2
+mb) + c = 0 e dunque
m =
aa
1
+ba
2
+ c
a
2
+ b
2
(il denominatore non pu`o essere nullo). Allora
r n = B = (a
1

aa
1
+ba
2
+c
a
2
+b
2
a, a
2

aa
1
+ ba
2
+c
a
2
+b
2
b)
La distanza tra A e B (cio`e, la distanza tra A e r) `e data dal numero
d = |aa
1
+ba
2
+ c|
1

a
2
+b
2
.
3.1.2 La circonferenza
Siano dati un punto C R
2
ed un numero reale positivo r; linsieme dei
punti P R
2
tali che d
PC
= r `e la circonferenza di centro C e raggio r. Si
usa anche dire che la circonferenza di centro C e raggio r `e il luogo geometrico
dei punti di R
2
la cui distanza a C `e r.
54 CAPITOLO 3. CURVE ALGEBRICHE PIANE
La forma pi` u semplice dellequazione della circonferenza si ottiene pren-
dendo il centro C come origine del sistema ortogonale di coordinate carte-
siane: allora
P
_
x
2
+ y
2
= r
ossia
x
2
+y
2
= r
2
.
Questa `e lequazione canonica della circonferenza.
Anche lequazione della circonferenza di raggio r e centro C = (c
1
, c
2
) si
ottiene banalmente ed `e
(x c
1
)
2
+ (y c
2
)
2
= r
2
.
Supponiamo che C abbia le coordinate (c
1
, c
2
); allora,
P = (x, y) d
PC
=
_
(x c
1
)
2
+ (y c
2
)
2
= r
ossia,
(x c
1
)
2
+ (y c
2
)
2
= r
2
o equivalentemente,
x
2
+y
2
2xc
1
2yc
2
+ c
2
1
+ c
2
2
r
2
= 0 .
Come si pu`o constatare dallultima equazione, lequazione di una circon-
ferenza nelle condizioni date `e una equazione quadratica (di secondo grado)
in x e y senza termine misto in xy e con i coecienti di x
2
e y
2
uguali a 1.
Inversamente, supponiamo di avere lequazione
x
2
+y
2
+dx + ey + f = 0 (3.3)
con e, d, f numeri reali arbitrari. Aermiamo che tale equazione rappresenta
una circonferenza purche d
2
+ e
2
4f > 0 ! Per dimostrare questa nostra
aermazione trasformiamo lequazione con il metodo del completamento dei
quadrati: osserviamo che 3.3 `e equivalente allequazione
x
2
+dx +
d
2
4
+y
2
+ ey +
e
2
4
= f +
d
2
4
+
e
2
4
ossia,
(x +
d
4
)
2
+ (y +
e
4
)
2
=
1
4
(d
2
+e
2
4f)
rappresenta una circonferenza di centro (d/2, e/2) e raggio
r = 1/2
_
d
2
+e
2
4f .
3.1. CURVE PIANE 55
Sappiamo dalla geometria elementare che tre punti determinano una cir-
conferenza; vediamo con un semplice esempio como ci`o accade. Siano dati i
punti A = (1, 1), B = (0, 3) e C = (1, 0). Prendiamo i segmenti AB e AC
e i loro rispettivi punti medi M
1
= (1/2, 2) e M
2
= (0, 1/2). Le rette r
1
e r
2
passanti per M
1
e M
2
e perpendicolari ai segmenti AB e AC rispettivamente
si incontrano nel centro della circonferenza Z perche le distanze da Z ai punti
A, B e C sono uguali. Le equazioni di queste rette sono
r
1
: 2x 4y + 7 = 0
r
2
: 4x 2y + 1 = 0
;
il loro punto di incontro `e Z = (1/2, 3/2) e la distanza di Z a A, per
esempio, `e uguale a
_
5/2. Dunque troviamo che la circonferenza passante
per i tre punti dati ha equazione
x
2
+ y
2
+x 3y = 0 .
Daltro lato `e possibile fare un ragionamento puramente algebrico per
trovare lequazione della circonferenza per i punti A, B e C. Infatti, im-
ponendo che le coordinati di tali punti soddisni lequazione generale della
circonferenza 3.3 otteniamo il sistema lineare
_

_
d + e +f = 2
3e +f = 9
d +f = 1
che ha per soluzione (unica) d = 1, e = 3 e f = 0 donde concludiamo che
lequazione 3.3 diventa
x
2
+ y
2
+ x 3y = 0 .
3.1.3 La parabola
Una parabola `e il luogo geometrico dei punti del piano R
2
che sono equidis-
tanti da una retta ed un punto di R
2
; la retta d `e la direttrice ed il punto F
`e il fuoco della parabola.
Per trovare una equazione che rappresenti canonicamente una parabola
procediamo nel modo seguente: sia p > 0 la distanza dal fuoco alla direttrice;
prendiamo un sistema ortogonale di coordinate cartesiane xOy in R
2
in tal
modo che F = (p/2, 0) e d abbia equazione x +p/2 = 0. Allora,
d
PF
= d
Pd

_
(x p/2)
2
+y
2
= |x + p/2|
56 CAPITOLO 3. CURVE ALGEBRICHE PIANE
e dunque,
x
2
px +
p
2
4
+y
2
= x
2
+px +
p
2
4
e cos` abbiamo una equazione canonica della parabola.
y
2
= 2px , p > 0 .
Il punto (0, 0) `e il vertice della parabola e lasse Ox `e detto asse di sim-
metria, questo perche, dato un qualsiasi punto (x
o
, y
o
) della parabola, anche
il punto (x
o
, y
o
) appartiene alla parabola.
Ci sono altre tre possibili posizioni per la parabola e perci`o, altre tre
equazioni canoniche; per esempio, se prendiamo il punto (p/2, 0) per fuoco
e la retta x p/2 = 0 come direttrice, troviamo lequazione
y
2
= 2px , p > 0 ;
le altre due possibilit`a sono:
x
2
= 2py , p > 0 ,
x
2
= 2py , p > 0 .
3.1.4 Lellisse
Lellisse `e il luogo geometrico dei punti del piano tali che la somma delle
distanze da due punti ssi `e costante. Questi due punti ssi sono detti fuochi.
La denizione ha senso soltanto nel caso in cui questa costante sia pi` u
grande della distanza tra i fuochi. Per ottenere lequazione canonica dellellisse
prendiamo un sistema di coordinate avente per asse orizzontale Ox la retta
passante per i due fuochi F ed F

e per origine il punto medio del segmento


FF

. Dunque i fuochi avranno coordinate F = (c, 0) e F

= (c, 0). Sia


2a > 0 la costante data. La denizione ora ci dice che P = (x, y) `e un punto
dellellisse se, e soltanto se
_
(x c)
2
+y
2
+
_
(x +c)
2
+y
2
= 2a .
Se trasferiamo uno dei radicali a destra e prendiamo il quadrato dei due lati
delluguaglianza otteniamo
(x c)
2
+y
2
= 4a
2
4a
_
(x +c)
2
+ y
2
+ (x +c)
2
+ y
2
;
facendo i conti otteniamo
_
(x + c)
2
+y
2
= a +
c
a
x .
3.1. CURVE PIANE 57
Calcoliamo nuovamente i quadrati di ambi i lati per ottenere
(x +c)
2
+y
2
= a
2
+ 2cx +
c
2
a
2
x
2
e pertanto,
x
2
a
2
+
y
2
a
2
c
2
= 1 .
Siccome a > c possiamo prendere il numero reale b =

a
2
c
2
e lequazione
anteriore diventa
x
2
a
2
+
y
2
b
2
= 1 ,
una forma canonica dellequazione dellellisse. Da questa equazione osservi-
amo che la nostra ellisse interseca lasse Ox nei punti A = (a, 0), A

= (a, 0)
e (a causa del Teorema di Pitagora) incontra lasse Oy nei punti B = (0, b)
e B

= (0, b). Il segmento A

A (risp. B

B) `e detto asse maggiore (risp.


asse minore) dellellisse; lintersezione dellasse maggiore con lasse minore `e
il centro dellellisse. Si noti che lasse maggiore (risp. asse minore) `e un asse
di simmetria nel senso che se un ponto (x
o
, y
o
) appartiene allellisse anche
(x
o
, y
o
) (risp. (x
o
, y
o
)) appartienne allellisse. Il centro dellellisse `e cen-
tro di simmetria della gura nel senso che dato un qualsiasi punto (x
o
, y
o
)
dellellisse, il punto (x
o
, y
o
) `e anche nella gura.
Si noti che se prendessimo i punti F = (0, c) e F

= (0, c) come fuochi,


avremmo lequazione canonica
x
2
b
2
+
y
2
a
2
= 1
Finalmente, il quoziente
e =
c
a
`e detto eccentricit`a dellellisse; chiaramente 0 < e < 1.
Ritorniamo per un momento alla denizione della parabola per ricordare
che questa gura piana `e denita come il luogo geometrico dei punti P le cui
distanze ad un punto F ed una retta d sono uguali; in altre parole,
d
PF
d
Pd
= 1 .
Consideriamo lellisse E di equazione canonica come sopra, con fuochi F =
(c, 0), F

= (c, 0) e prendiamo le rette d e d

di equazioni
x
a
e
= 0 e x +
a
e
= 0
rispettivamente. Vogliamo dimostrare il seguente
58 CAPITOLO 3. CURVE ALGEBRICHE PIANE
Teorema 3.1.2
P E
d
PF
d
Pd
= e
oppure
P E
d
PF

d
Pd

= e .
Dimostrazione Condizione necessaria :
P E d
PF
/d
Pd
= e Supponiamo che P = (x, y) soddis lequazione
dellellisse; allora,
(a
2
c
2
)x
2
+ a
2
y
2
= a
2
(a
2
c
2
)
e da questa otteniamo
c
2
x
2
+a
4
= a
2
c
2
+a
2
y
2
+a
2
x
2
. (3.4)
Ora
d
PF
d
Pd
=
_
(x c)
2
+ y
2
|x a
2
/c|
e perci`o prendendo i quadrati di ambi i lati e semplicando otteniamo
(
d
PF
d
Pd
)
2
=
c
2
[x
2
2cx +c
2
+ y
2
]
c
2
x
2
2a
2
cx +a
4
;
sostituendo lespressione
c
2
x
2
+ a
4
nel denominatore di questa uguaglianza per il suo valore in 3.4 si ha
(
d
PF
d
Pd
)
2
=
c
2
[x
2
2cx +c
2
+y
2
]
a
2
[x
2
2cx +c
2
+y
2
]
= (
c
a
)
2
e perci`o
d
PF
d
Pd
= e .
Condizione suciente : d
PF
/d
Pd
= e P E La condizione ci dice che
_
(x c)
2
+y
2
= e|x a
2
/c| .
Prendendo i quadrati dei due lati dellespressione e semplicando otteniamo
che
x
2
a
2
+
y
2
b
2
= 1
ossia P E.
Risulati analoghi si ottengono per il fuoco F

e la direttrice d

. 2
3.1. CURVE PIANE 59
3.1.5 Liperbole
Liperbole `e il luogo geometrico dei punti del piano tali che la dierenza delle
distanze da due punti ssi detti fuochi `e una costante positiva.
Come per lellisse, prendiamo un sistema di coordinate avente per asse
orizzontale Ox la retta passante per i due fuochi F ed F

e per origine il punto


medio del segmento FF

. Siano F = (c, 0) e F

= (c, 0) le coordinate dei


fuochi e sia 2a > 0 la costante data. La denizione ora ci dice che P = (x, y)
`e un punto delliperbole se, e soltanto se
_
(x c)
2
+y
2

_
(x +c)
2
+ y
2
= 2a .
Trasferendo un radicale a destra e quadrando i lati otteniamo
(x c)
2
+y
2
= (x +c)
2
+ y
2
4a
_
(x + c)
2
+y
2
+ 4a
2
che si trasforma nelluguaglianza
4a
_
(x +c)
2
+ y
2
= 4a
2
+ 4cx ;
dividendo i due lati per 4a e quadrando nuovamente otteniamo
x
2
+ 2cx +c
2
+y
2
= a
2
+ 2cx +
c
2
a
2
x
2
ossia,
(
c
2
a
2
1)x
2
y
2
= c
2
a
2
e dividendo per c
2
a
2
otteniamo
x
2
a
2

y
2
c
2
a
2
= 1 .
Ora dimostriamo che c > a. Prendiamo un triangolo PFF

il cui vertice P
`e un punto della nostra iperbole. Sia d
1
(risp. d
2
) la lunghezza del segmento
PF (risp. PF

); da una nota propriet`a dei triangoli (vedere il Teorema 2.4.3)


2c +d
2
> d
1
e 2c +d
1
> d
2
e perci`o
2c > d
1
d
2
, 2c > d
2
d
1
ossia, 2c > |d
1
d
2
|; daltro lato, |d
1
d
2
| = 2a e allora 2c > 2a cio`e, c > a.
Questo ci permette di prendere il numero reale b =

c
2
a
2
e sostituendo
60 CAPITOLO 3. CURVE ALGEBRICHE PIANE
questo valore nellequazione delliperbole troviamo nalmente la seguente
forma canonica dellequazione delliperbole:
x
2
a
2

y
2
b
2
= 1 .
Come nel caso dellellisse, se prendessimo i fuochi F = (0, c) e F

= (0, c)
avremmo lequazione
y
2
a
2

x
2
b
2
= 1 .
La retta passante per i due fuochi F e F

`e lasse trasverso; la perpen-


dicolare a questasse passante per il punto medio del segmento FF

`e lasse
coniugato; nalmente, lintersezione di questi due assi `e il centro delliperbole.
Come nel caso dellellisse, gli assi sono assi di simmetria ed il centro `e un
vero centro di simmetria per la gura.
Leccentricit`a delliperbole `e il quoziente
e =
c
a
;
in questo caso e > 1.
Come per lellisse, liperbole I di equazione
x
2
a
2

y
2
b
2
= 1
ha due direttrici: le rette d e d

di equazioni
x
a
e
= 0 e x +
a
e
= 0
rispettivamente. Come per la parabola e la ellisse abbiamo il seguente
risultato:
Teorema 3.1.3
P I
d
PF
d
Pd
= e
oppure
P I
d
PF

d
Pd

= e .
Dimostrazione La dimostrazione `e perfettamente analoga a quella del
Teorema 3.1.2 ed `e lasciata come esercitazione. 2
3.2. GEOMETRIA GRECA 61
3.2 Le coniche nella geometria greca
In questa sezione studieremo le coniche dal punto di vista geometrico cio`e,
faremo una incursione in quella straordinaria parte della scienza che fu appun-
to la geometria greca. Fu Menacheo, allievo di Platone, che verso il 350 a.C.
inizi`o lo studio sistematico delle curve piane si ottengono come lintersezione
di un cono circolare retto di R
3
con un piano che non passa per il suo ver-
tice.
2
Menacheo arriv`o alle coniche nel tentativo di risolvere il problema di
Delo ossia, il problema della duplicazione del cubo (dato un cubo di spigolo
pertanto di volume V =
3
costruire un cubo di spigolo

di volume
2V).
3
Consideriamo lo spazio R
3
diviso in due parti dal piano orizzontale R
2
e
sia a una retta perpendicolare a R
2
; sia ora g una retta che interseca a nel
punto V e facente un angolo con a, 0 < < /2. Ora facciamo ruotare g
attorno ad a in modo che langolo non si alteri mai; la gura C ottenuta `e
un doppio cono di apertura , generatrice g e vertice V (attenzione: la retta
verticale a non `e parte del doppio cono!). Chiameremo falde i coni di C : pi` u
precisamente, falda superiore e falda inferiore. Sia R
3
un piano che non
contiene il vertice V . Prenderemo in considerazione tre casi:
1. `e perpendicolare allasse a;
2. g e parallela al piano e questo incontra il doppio cono in una sola
falda;
3. incontra il doppio cono in ambe le falde.
Caso 1 Sia = C lintersezione del piano con il cono; sia C il punto di
intersezione di con lasse di rotazione a. Siccome il cono C `e ottenuto per
rotazione della generatrice g intorno allasse, il punto A = g descrive una
circonferenza di centro C e contenuta in e che coincide con . Pi` u avanti
riprenderemo il discorso sulla circonferenza.
Caso 2 Supponiamo che incontri il doppio cono nella falda inferiore. Il
piano verticale

determinato dalle rette a e g incontra in una retta g

par-
allela a g e interseca il doppio cono in una seconda retta g

; sia W = g

.
`
E
facile costruire nel piano

una circonferenza con centro O nellasse a e che


sia tangente alle rette g, g

e g

: infatti, a `e la bisettrice dellangolo



(g, g

)
2
Nella geometria greca i coni era visti come solidi e perci`o le sezioni di un cono con un
piano erano, per i geometri greci, delle supercie piane limitate da curve (curve che noi
oggi chiamiamo propriamente coniche).
3
Il problema della duplicazione del cubo si chiama anche problema di Delo perche
Eratostene, in una lettera al re Tolomeo III, disse essere stato proposto dalloracolo di
Apollo agli abitanti della citt`a di Delo.
62 CAPITOLO 3. CURVE ALGEBRICHE PIANE
con vertice V ; costruendo la bisettrice b dellangolo

(g

, g

) con vertice W
otteniamo il centro O = a b della nostra circonferenza; nalmente da O
tracciamo le perpendicolari p, p

e p

a g, g

e g

rispettivamente ottenendo
i punti Q = p g, F = p

e Q

= p

che sono, rispettivamente, i


punti di tangenza delle rette g, g

e g

con la circonferenza . Ruotando


attorno allasse a otteniamo una sfera che `e tangente al piano nel punto
F. Questa sfera `e anche tangente alla falda inferiore del doppio cono in una
circonferenza
1
contenuta in un piano orizzontale

che contiene i punti


Q e Q

; osserviamo che langolo formato da e

`e uguale a /2 .
Sia P un punto dellintersezione C. La retta PV `e contenuta in C; sia
T = PV
1
. Siccome PV e PF sono tangenti a in T e F rispettivamente,
i segmenti PF e PT hanno uguale lunghezza ossia,
d
PF
= d
PT
.
Sia ora P
1
la proiezione ortogonale di P sul piano

. Il triangolo PTP
1
ha
gli angoli

(TPP
1
) = e

(PP
1
T) = /2
e dunque, per la legge dei seni (vedere Teorema 2.4.8),
PP
1
sin(/2 )
= PT
cio`e,
d
PP
1
cos()
= d
PT
= d
PF
.
Daltro lato, siano d =

e D la proiezione ortogonale del punto P sulla


retta d. Il triangolo PP
1
D ha gli angoli

(PP
1
D) = /2 e

(PDP
1
) = /2
e nuovamente per la legge dei seni,
d
PP
1
cos()
= d
Pd
;
in denitiva,
d
PF
d
Pd
= 1 .
La curva piana ottenuta come intersezione del cono C e del piano `e la
parabola di fuoco F e direttrice d; i suoi punti sono caratterizzati dalla
propriet`a
P C
d
PF
d
Pd
= 1 .
3.2. GEOMETRIA GRECA 63
Ora osserviamo che la retta g

(ricordiamo che

`e il piano de-
terminato dalle rette a e g) incontra la retta g in un punto U e la retta g

nel
punto W; questi due punti appartengono allintersezione C. Cos` abbiamo
un triangolo UV W nel quale possiamo iscrivere una circonferenza con cen-
tro O a; daltro lato, abbiamo anche una gura formata dal segmento UW
e dalle semi-rette che non contengono V e partono da U e W rispettivamente
nelle direzioni di g e g

; sia

la circonferenza con centro O

a e tangente
a UW e alle semi-rette appena descritte. Queste circonferenze danno luogo
a due sfere e

che sono tangenti al piano nei punti (fuochi) F e F

rispettivamente. In questa costruzione troviamo anche le rette (direttrici)


d =

e d

1
dove

1
`e il piano orizzontale della circonferenza data dallintersezione

C .
Limitiamoci, per ora a studiare la situazione relativamente al fuoco F ed
alla direttrice d. Sia langolo tra i piani e

. Come nel Caso 1 abbiamo:


d
PP
1
cos()
= d
PF
d
PP
1
sin()
= d
Pd
e dunque,
d
PF
d
Pd
=
sin()
cos()
=
sin()
sin(/2 )
.
Nelle condizioni date il quoziente
sin()
cos()
`e una costante e; per giunta, /2 >
e perci`o 0 < e < 1.
Considerazioni analoghe possono essere fatte relativamente al fuoco F

ed
alla direttrice d

. La curva C `e lellisse di fuochi F, F

e direttrici d, d

; i
suoi punti sono caratterizzati dalla propriet`a
P C
d
PF
d
Pd
=
d
PF

d
Pd

= e , 0 < e < 1 .
La costante e `e detta eccentricit`a dellellisse.
Caso 3 Lasciamo questo caso al lettore come esercitazione; ci limitiamo ad
osservare che procedendo come nei due casi anteriori troveremo due sfere e

situate in due falde distinte, nonche due fuochi e due direttrici; nalmente,
64 CAPITOLO 3. CURVE ALGEBRICHE PIANE
leccentricit`a e `e maggiore di 1. La gura ottenuta `e liperbole caratterizzata
da
P C
d
PF
d
Pd
=
d
PF

d
Pd

= e , e > 1 .
`
E interessante notare che per Menacheo la circonferenza non aveva legami
con le coniche perch`e lui studi`o queste gure intersecando un cono con un
piano perpendicolare ad una generatrice, dunque ottenendo una parabola se
= /4, una ellisse se < /4 ed una iperbola se > /4 (Menacheo poteva
ottenere una circonferenza solo se = 0, ma in tal caso la circonferenza ha
raggio nullo).
Ora riprendiamo le nostre considerazioni sulla circonferenza. Come ab-
biamo visto questa gura geometrica pu`o essere ottenuta come intersezione
di un piano con un cono di asse a e generatrice g purche sia perpendi-
colare ad a. Possiamo dire che la circonferenza proviene da una ellisse con
i due fuochi coincidenti; ma dove si trovano le direttrici? Per dare una sp-
iegazione di come stanno le cose facciamo un salto indietro, alla Sezione ??
e precisamente, alla denizione di eccentricit` a. Ricordiamo che la parabola
ha eccentricit`a e = 1, e che per lellisse (risp. iperbola) leccentricit` a vale
0 < e < 1 (risp. e > 1); per giunta, leccentricit`a `e data dal quoziente delle
distanze di un punto della gura ad un fuoco e alla corrispondente direttrice.
Ora, facendo coincidere i fuochi della circonferenza con il centro, la distanza
tra un punto della circonferenza ed un suo fuoco `e la lunghezza del raggio;
daltro lato, se prendessimo la direttrice come la retta impropria del piano
della circonferenza, la distanza da un punto della circonferenza alla direttrice
sarebbe innita e al limite, il quoziente d
PF
/d
Pd
sarebbe 0. In questo senso
la circonferenza si ravvicina alla parabola perch`e ha un solo fuoco ed una
sola direttrice (allinnito).
3.3 Classicazione delle coniche
Abbiamo visto che la circonferenza, la parabola, lellisse e liperbola, quan-
do riferite ad un sistema di coordinate conveniente, sono rappresentate da
equazioni algebriche di secondo grado in x e y. Ora vedremo come trasfor-
mare una equazione di secondo grado nelle variabili x e y in modo a potere
riconoscere quale gura piana rappresenti. Il nostro approccio sar`a inizial-
mente molto elementare, per poi cercare di risolvere il problema in forma pi` u
completa e denitiva.
La forma pi` u generale di una equazione algebrica di secondo grado in x e
y `e
Ax
2
+Bxy +Cy
2
+Dx +Ey +F = 0 , (3.5)
3.3. CLASSIFICAZIONE DELLE CONICHE 65
con almeno uno dei coecienti A, B e C diversi da zero (caso contrario
avremmo una equazione di primo grado).
Ci proponiamo di studiare la curva determinata dallequazione 3.5 daccordo
con il fatto che i coecienti A, B e C siano nulli o no. Ci sono alcuni casi da
considerare.
Caso A - B = 0 e AC = 0.
Facciamo una traslazione del sistema di coordinate tramite le equazioni
x = x

+k , y = y

+ ;
lequazione 3.5 diventa
A(x

+ k)
2
+C(y

+)
2
+ D(x

+k) +E(y

+) + F = 0
ossia,
Ax
2
+Cy
2
+ (2Ak + D)x

+ (2C +E)y

+ Ak
2
+C
2
+Dk + E +F = 0
Se imponiamo le condizioni
2Ak + D = 0 e 2C + E = 0
cio`e, se scegliamo k = D/2A e = E/2C, lultima equazione diventa
Ax
2
+ Cy
2
=
1
4
D
2
/A +
1
4
E
2
/C F . (3.6)
Questultima equazione ci permette di classicare il luogo
Ax
2
+Cy
2
+Dx +Ey +F = 0 :
infatti, daccordo con le equazioni canoniche (vedi Sezione ??) consideriamo
le seguenti possibilit`a:
1. AC > 0 : allora il luogo dei punti del piano che soddisfano lequazione
3.6 `e:
(i) una ellisse se
1
4
D
2
/A +
1
4
E
2
/C F > 0,
(ii) il punto (k, ) se
1
4
D
2
/A +
1
4
E
2
/C F = 0,
(iii) linsieme vuoto se
1
4
D
2
/A +
1
4
E
2
/C F < 0,
(iv) una circonferenza se A = C e
1
4
D
2
/A +
1
4
E
2
/C F > 0;
66 CAPITOLO 3. CURVE ALGEBRICHE PIANE
2. AC < 0 : il luogo geometrico denito da 3.6 `e:
(v) una iperbole se
1
4
D
2
/A +
1
4
E
2
/C F = 0,
(vi) linsieme denito dalle due rette
_
|A|x

_
|C|y

= 0 ,
_
|A|x

+
_
|C|y

= 0
passanti per lorigine, se
1
4
D
2
/A +
1
4
E
2
/C F = 0;
Nei casi (ii) e (vi) diciamo che la conica `e degenere.
Esempio 1 - Studiare la curva piana di equazione
9x
2
+ 25y
2
+ 18x 100y 116 = 0 .
Con la traslazione
x

= x + 1 , y

= y 2
lequazione diventa
x
2
25
+
y
2
9
= 1
che rappresenta una ellissi.
Esempio 2 - Il luogo dellequazione
3x
2
+y
2
+ 5 = 0
`e vuoto perche la somma di tre fattori positive non pu`o mai essere nulla.
Caso B - B = 0 e uno dei due coecienti A o C sia nullo (diciamo, per
esempio, che C = 0); abbiamo lequazione
Ax
2
+Dx + Ey +F = 0 .
Facciamo il cambiamento di variabili
x = x

+k , y = y

per ottenere lequazione


Ax
2
+ (2Ak + D)x

+Ey

+ Ak
2
+ Dk + F = 0
e imponendo luguaglianza 2Ak + D = 0 abbiamo
Ax
2
+ Ey

D
2
/4A + F = 0 .
Se E = 0 allora
x
2
= D
2
/4A F
3.3. CLASSIFICAZIONE DELLE CONICHE 67
e cosi abbiamo linsieme vuoto se D
2
/4A F < 0 o il prodotto delle rette
x

_
D
2
/4A F = 0 e x

+
_
D
2
/4A F = 0
(conica degenerata); altrimenti, se E = 0 facciamo la traslazione
x

= x

, y

= y

+
1
E
(D
2
/4A F)
per ottenere lequazione
Ax
2
= Ey

di una parabola con vertice nellorigine.


Esempio 3 - Per lequazione
x
2
+ 4x + 4y + 4 = 0
facciamo la traslazione
x = x

2 , y

= y
per ottenere
x
2
= 4y

,
equazione di una parabola.
Caso C - B = 0.
Vogliamo dimostrare che `e possibile fare una rotazione conveniente di
angolo del sistema di coordinate in modo a fare scomparire il fattore con
xy, ritornando cos` ai casi A e B. Infatti, consideriamo la rotazione
_
x = x

cos y

sin
y = x

sin +y

cos
(cfr. Equazioni 2.14, Sezione 2.5); sostituendo questi valori nellequazione
3.5 otteniamo lequazione
A(x

cos y

sin )
2
+B(x

cos y

sin )(x

sin +y

cos )+
+C(x

sin +y

cos )
2
+D(x

cos y

sin )+
E(x

sin +y

cos ) +F = 0 .
Dopo le dovute semplicazioni otteniamo lequazione
[Acos
2
+Bsin cos +C sin
2
]x
2
+ (3.7)
[2(C A) sin cos +B(cos
2
sin
2
)]x

+
68 CAPITOLO 3. CURVE ALGEBRICHE PIANE
[Asin
2
Bsin cos +C cos
2
]y
2
+
[Dcos + E sin ]x

+ [Dsin +E cos ]y

+F = 0 .
Il nostro obiettivo `e quello di trovare un angolo tale che
2(C A) sin cos +B(cos
2
sin
2
) = 0 .
Daltro lato `e saputo che
sin 2 = 2 sin cos , cos 2 = cos
2
sin
2

e dunque, lultima uguaglianza si scrive


(C A) sin 2 +Bcos 2 = 0
ossia,
cot 2 =
A C
B
. (3.8)
Ricapitolando, per una equazione quadratica arbitraria
Ax
2
+Bxy +Cy
2
+Dx +Ey + F = 0
esiste sempre una rotazione di assi con centro di rotazione O di un angolo
, 0 < < , tale che lequazione 3.8 sia valida, e che fa scomparire il
coeciente del fattore misto.
Esempio 4 - Sia data lequazione di secondo grado in x, y
8x
2
4xy + 5y
2
144 = 0 .
Daccordo con la formula 3.8, cot 2 = 3/4; da questa uguaglianza conclu-
diamo che
cos
2
2/ sin
2
2 = 9/16
e siccome sin
2
2 + cos
2
2 = 1, otteniamo
cos
2
2 =
9
25
.
Daltro lato, cot 2 essendo negativo, langolo 2 `e compreso tra /2 e e
pertanto, cos 2 = 3/5. Da questo valore, ricordando che
sin =

1 cos 2
2
, cos =

1 + cos 2
2
,
otteniamo
sin = 2

1
5
, cos =

1
5
3.3. CLASSIFICAZIONE DELLE CONICHE 69
e dunque la rotazione
_
_
_
x =
_
1
5
x

2
_
1
5
y

y = 2
_
1
5
x

+
_
1
5
y

.
Sostituendo questi valori nella equazione quadratica data otteniamo
4x
2
+ 9y
2
= 144
ossia,
x
2
36
+
y
2
16
= 1
che `e lequazione canonica di una ellisse con le seguenti caratteristiche nel
sistema di coordinate Ox

, Oy

: i fuochi hanno coordinate (2

5, 0), i vertici
sono (6, 0).
Esempio 5 - Classicare la conica data dallequazione
6x
2
+ 24xy y
2
12x + 26y + 11 = 0 . (3.9)
Facciamo subito la traslazione
x = x

+k , y = y

+
per eliminare i termini lineari; il sistema
_
B + 2Ak = D
2C +Bk = E
che per la nostra curva diventa
_
24 + 12k = 12
2 + 24k = 26
ha una unica soluzione: k = 1, = 1. Con questo, lequazione data si
trasforma nellequazione
6x
2
+ 24x

y
2
+ 30 = 0 .
Ora facciamo la rotazione di angolo tale che
cot 2 =
6 + 1
24
(vedere lequazione 3.8); da questo concludiamo che cos 2 = 7/25 e dunque,
cos =
4
5
, sin =
3
5
70 CAPITOLO 3. CURVE ALGEBRICHE PIANE
(vedere Esempio 4). Cos` otteniamo la rotazione
x

=
4
5
x
3
5
y
y

=
3
5
x +
4
5
y
e da questa, lequazione
15x
2
10y
2
+ 30 = 0
ossia,
y
2
3

x
2
2
= 1
che `e lequazione di una iperbole.
A questo punto ci poniamo il problema seguente: `e possibile trovare
dei numeri collegati a lequazione 3.5 che siano invarianti per traslazioni
e rotazioni e che possano dare indicazioni sul tipo di conica rappresentata
dallequazione? Per rispondere a questa domanda (la cui risposta sar`a aer-
mativa) cominciamo per scrivere 3.5 in forma matriciale. Pi` u precisamente,
rappresentiamo un punto arbitrario X = (x, y) R
2
dalla matrice colonna
X =
_
_
_
x
y
1
_
_
_
e prendiamo la (3 3)-matrice simmetrica (detta matrice dei coecienti di
3.5)
C =
_
_
_
A B/2 D/2
B/2 C E/2
D/2 E/2 F
_
_
_
ricavata dai coecienti dellequazione. Allora
Ax
2
+Bxy +Cy
2
+Dx +Ey + F = 0
`e equivalente allequazione matriciale
_
_
_
x
y
1
_
_
_
T
_
_
_
A B/2 D2
B/2 C E/2
D/2 E/2 F
_
_
_
_
_
_
x
y
1
_
_
_ = 0 (3.10)
in cui
_
_
_
x
y
1
_
_
_
T
=
_
x y 1
_
3.3. CLASSIFICAZIONE DELLE CONICHE 71
`e la matrice trasposta.
Dentro la matrice dei coecienti ci sono due sottomatrici di interesse
particolare:
Q =
_
A B/2
B/2 C
_
associata ai termini quadratici e
L =
_
D/2
E/2
_
associata ai termini lineari di 3.5. Con questa notazione lequazione 3.10 pu`o
anche scriversi nella forma pi` u compressa
X
T
_
Q L
L
T
F
_
X = 0 (3.11)
Teorema 3.3.1 I numeri reali
I
1
= A +C , I
2
= det Q e I
3
= det C
sono invarianti per traslazioni e rotazioni.
Dimostrazione Cominciamo con una traslazione x = x

+ k , y = y

+ ;
lequazione 3.5 diventa
Ax
2
+B(x

+k)(y

+ ) + Cy
2
+ (2Ak +D)x

+ (2C + E)y

+
Ak
2
+C
2
+ Dk +E + F = 0
cio`e
Ax
2
+ Bx

+ Cy
2
+ (2Ak +B +D)x

+ (2C + Bk + E)y

+
Ak
2
+ Bk + C
2
+Dk +E +F = 0 ;
Siccome i coecienti di x
2
e y
2
sono rimasti immutati `e chiaro che I
1
non
`e cambiato con la traslazione. Un calcolo diretto dei determinanti I
2
e I
3
prima e dopo la traslazione dimostra linvarianza.
Ora facciamo una rotazione
_
x = x

cos y

sin
y = x

sin +y

cos
ossia,
X = RX

72 CAPITOLO 3. CURVE ALGEBRICHE PIANE


con
R =
_
_
_
cos sin 0
sin cos 0
0 1
_
_
_ ;
allora 3.10 diventa
X

T
R
T
CRX

= 0 .
Siccome
det Rdet R
T
= 1
(i due determinanti sono ambedue +1 o -1) vedere Teorema 2.5.1 si ha
det R
T
CR = det C
(ricordiamo al lettore che il determinante di un prodotto `e il prodotto dei
determinanti). Questo dimostra linvarianza di I
3
per rotazioni.
Riguardo linvarianza di I
2
per rotazioni riprendiamo lequazione 3.11 e
osserviamo che la matrice Q dei termini quadratici viene trasformata dalla
rotazione di sopra nella matrice
Q

=
_
cos sin
sin cos
_
T
Q
_
cos sin
sin cos
_
e dunque det Q

= det Q = I
2
`e invariante.
Finalmente, per linvarianza di I
1
osserviamo che i coecienti A e B si
trasformano, rispettivamente, in
A = Acos
2
+Bsin cos + C sin
2

e
C = Asin
2
Bsin cos +C cos
2

e siccome sin
2
+ cos
2
= 1, abbiamo
I
1
= A +B .
2
Teorema 3.3.2 Il graco di una equazione
Ax
2
+ Bxy +Cy
2
+Dx +Ey +F = 0
(oltre a possibili casi degeneri) `e:
3.3. CLASSIFICAZIONE DELLE CONICHE 73
(i) una parabola se I
2
= 0;
(ii) una ellisse se I
2
> 0 e A = C o una circonferenza se I
2
> 0 e A = C;
(iii) una iperbole se I
2
< 0.
Dimostrazione Trasformiamo lequazione
Ax
2
+ Bxy + Cy
2
+Dx +Ey + F = 0
in una equazione del tipo 3.7 tramite una rotazione di angolo . Dal Teo-
rema 3.3.1 sappiamo che I
2
non cambia nella nuova equazione; daltro lato,
scegliamo in modo che cot 2 = (AC)/B in modo a eliminare il coeciente
del termine misto. In questo modo abbiamo che
AC = AC
1
4
B
2
= I
2
e cos` il segno di AC `e uguale a quello di I
2
; lanalisi sulla classicazione
delle curve piane di equazione 3.5 con il coeciente del termine misto uguale
a zero fatta nel principio della sezione ci permette di concludere la veracit`a
del risultato enunciato. 2
Nella sezione ?? abbiamo visto che lellisse e liperbole hanno un centro di
simmetria (infatti, in quella sezione abbiamo le coniche con le loro equazioni
canoniche e il centro di simmetria dellellisse e delliperbole coincide con
lorigine del sistema di coordinate). Ora vogliamo dimostrare il seguente
risultato:
Teorema 3.3.3 Il luogo geometrico denito dallequazione
Ax
2
+Bxy +Cy
2
+ Dx +Ey + F = 0
ha un centro di simmetria I
2
= 0.
Dimostrazione Facciamo una traslazione del sistema di coordinate tramite
le equazioni
x = x

+ k , y = y

+ ;
sostituendo questi valori di x e y nellequazione generale e facendo i conti
arriviamo alle equazione
Ax
2
+ Bx

+Cy
2
+ (B + 2Ak + D)x

+ (2C + Bk +E)y

+
74 CAPITOLO 3. CURVE ALGEBRICHE PIANE
+(Ak
2
+Bk + C
2
+ Dk +E +F) = 0
Ora osserviamo che il sistema lineare nelle variabili k e
_
B + 2Ak = D
2C +Bk = E
ha una soluzione (unica) il determinante della matrice dei coecienti
`e non banale, ossia
B
2
4AC = 0 .
La soluzione del sistema lineare fornisce le coordinate del centro di simmetria;
infatti, dando a k ed i valori ottenuti come soluzioni del sistema, lequazione
generale diventa
Ax
2
+Bx

+Cy
2
+ (Ak
2
+Bk + C
2
+ Dk +E + F) = 0
e questa ha un centro di simmetria: (x

, y

) `e soluzione di questultima
equazione (x

, y

) `e soluzione. 2
Ora vediamo con un esempio come possiamo usare gli invarianti per
classicare rapidamente una conica. Riprendiamo lesempio 5, ossia
6x
2
+ 24xy y
2
12x + 26y + 11 = 0
la cui matrice `e
C =
_
_
_
6 12 6
12 1 13
6 13 11
_
_
_
e dunque,
I
1
= 5 , I
2
= 150 , I
3
= 6 750 .
Siccome I
2
= 0 la conica `e a centro e dunque (a meno di degenerazione) `e
una ellisse o una iperbole; con questo sappiamo che dopo una traslazione ed
una eventuale rotazione la matrice associata si riduce ad una matrice del tipo
_
_
_
A 0 0
0 C 0
0 0 F
_
_
_
con AC = 0. Allora abbiamo
I
1
= A +C , I
2
= AC , I
3
= ACF
3.4. CONICHE E ALGEBRA LINEARE 75
e dunque, facendo i calcoli otteniamo
A =
_
15
10
C =
_
10
15
F = 30
donde (scrivendo x, y invece di x, y come nellesempio) concludiamo che
lequazione canonica della curva `e
15x
2
10y
2
+ 30 = 0
oppure
10x
2
+ 15y
2
+ 30 = 0
che in ambi i casi rappresentano iperboli.
Il lettore si domander`a come spiegare questa doppia rappresentazione.
Ebbene, la prima si ottiene dallequazione
6x
2
+ 24x

y
2
+ 30 = 0
tramite la rotazione di angolo la cui matrice `e
R =
_
4/5 3/5
3/5 4/5
_
in quanto che la seconda si ottiene con una rotazione di angolo ben pi` u ampio,
cio`e /2 + .
3.4 La classicazione delle coniche tramite lalgebra
lineare
Cominciamo per riscrivere lequazione generale di una curva del secondo
ordine
Ax
2
+Bxy +Cy
2
+ Dx +Ey + F = 0 (3.12)
nella forma
a
11
x
2
+ 2a
12
xy + a
22
y
2
+ 2a
13
x + 2a
23
y +a
33
= 0 , (3.13)
con
a
11
= A , 2a
12
= B , a
22
= C ,
76 CAPITOLO 3. CURVE ALGEBRICHE PIANE
2a
13
= D , 2a
23
= E e a
33
= F .
La forma matriciale dellequazione 3.24 `e
X
T
CX = 0 (3.14)
in cui
X =
_
_
_
x
y
1
_
_
_
e
C =
_
_
_
a
11
a
12
a
13
a
12
a
22
a
23
a
13
a
23
a
33
_
_
_
`e la matrice dei coecienti di .
Abbiamo denito i vettori reali a due dimensioni partendo da concetti
puramente geometrici e abbiamo anche osservato che possiamo rappresentare
tali vettori tramite coppie di numeri reali. In questa sezione i nostri vettori
sarrano rappresentati da matrici reali; dunque, un vettore
v = (x, y) V (R
2
)
si scriver` a normalmente nella forma matriciale
v =
_
x
y
_
.
A questo punto osserviamo che una matrice reale
A =
_
a
11
a
12
a
21
a
22
_
agisce linearmente sullo spazio vettoriale V (R
2
) rasformando vettori in vet-
tori: pi` u precisamente, il prodotto matriciale
_
a
11
a
12
a
21
a
22
__
x
y
_
=
_
a
11
x +a
12
y
a
21
x + a
22
y
_
denisce una funzione
A : V (R
2
) V (R
2
)
tale che
(, R)(v, w V (R
2
))
A(v + w) = A(v) + A( w) . (3.15)
3.4. CONICHE E ALGEBRA LINEARE 77
Il vettore v + w `e detto combinazione lineare dei vettori v e w; la matrice
A, considerata come funzione, `e detta trasformazione lineare. Lasciamo al
lettore il compito di dimostrare 4.15.
Vogliamo ora studiare il seguente problema: sia data una (2 2)-matrice
A; `e possibile trovare un numero reale = 0 ed un vettore non-nullo v


V (R
2
) tali che
A(v

) = v

? (3.16)
Si osservi che lequazione 4.16 si scrive in forma matriciale come segue:
_
a
11
a
12
a
21
a
22
__
x
y
_
=
_
x
y
_
ossia
_
a
11
a
12
a
21
a
22
__
x
y
_
=
_
0
0
__
x
y
_
.
Da questa equazione ricaviamo lequazione matriciale
_
a
11
a
12
a
21
a
22

__
x
y
_
=
_
0
0
_
che equivale al sistema lineare omogeneo
_
(a
11
)x +a
12
y = 0
a
21
x + (a
22
)y = 0
(3.17)
Ora un tale sistema ha soluzioni non banali se, e soltanto se
det A = 0 ;
sviluppando il determinante, otteniamo unequazione algebrica del secondo
grado in

2
(a
11
+ a
22
) a
12
a
21
= 0 (3.18)
detta polinomio caratteristico di A.
Le radici dellequazione 4.18 sono gli autovalori di A: un vettore v

corrispondente ad una radice di 4.18 `e un autovettore di A. In teoria


lequazione caratteristica potrebbe avere soluzioni complesse che a noi non
interesserebbero; perci`o ci limiteremo a studiare il caso in cui A `e simmet-
rica (ossia A = A
T
, la trasposta di A) perch`e per una matrice simmetrica
distinta da un multiplo della matrice banale I
2
si dimostra che le radici del
suo polinomio caratteristico sono reali (vedere Teorema 3.4.1); daltronde,
78 CAPITOLO 3. CURVE ALGEBRICHE PIANE
siamo anche interessati a studiare i polinomi caratteristici di matrici sim-
metriche perch`e le matrici delle coniche sono simmetriche. In particolare, ci
interessiamo alla sottomatrice
Q =
_
a
11
a
12
a
12
a
22
_
della matrice C di 3.24.
Teorema 3.4.1 Una matrice reale simmetrica
A =
_
a
11
a
12
a
12
a
22
_
che non sia un multiplo della matrice identit`a I
2
ha due autovalori reali
distinti.
Dimostrazione Le radici del polinomio caratteristico

2
(a
11
+ a
22
) + det A = 0
di A sono date dalla formula
= 1/2[(a
11
+a
22
)
_
(a
11
+ a
22
)
2
4 det A] .
Si noti che il discriminante
= (a
11
+ a
22
)
2
4 det A = (a
11
a
22
)
2
+ 4a
2
12
0
perche somma di quadrati; daltro lato, = 0 soltanto nel caso in cui la
matrice A = I

. 2
Lemma 3.4.2 Siano date le matrici
X =
_
x
1
x
2
_
, Y =
_
y
1
y
2
_
e A = (a
ij
)
i,j=1,2
.
Allora,
Y
T
AX = X
T
A
T
Y .
Dimostrazione Cominciamo per osservare che
Y
T
AX =
2

i=1
(
2

j=1
a
ij
x
j
)y
i
3.4. CONICHE E ALGEBRA LINEARE 79
e
X
T
A
T
Y =
2

j=1
(
2

i=1
a
ji
y
i
)x
j
La propriet`a commutativa dei numeri reali dimostra il risultato. 2
Si noti che se A `e simmetrica allora vale
Y
T
AX = X
T
AY . (3.19)
Teorema 3.4.3 Assumiamo che la matrice reale
A = (a
ij
)
i,j=1,2
sia simmetrica e che e siano due autovalori (reali) distinti di A. Allora
gli autovettori v

e v

associati a questi due autovalori sono perpendicolari


tra loro.
Dimostrazione Si vuole dimostrare che < v

, v

>= 0. A questo scopo


osserviamo che
< v

, A(v

) >=< v

, v

>= < v

, v

> .
Daltro lato, il Lemma 3.4.2 tradotto in linguaggio vettoriale ci dice che
< v

, A(v

) >=< v

, A
T
(v

) > ;
siccome A = A
T
,
< v

, A
T
(v

) >=< v

, A(v

) >= < v

, v

>
e dunque,
( ) < v

, v

>= 0 .
Ma per ipotesi = 0 e dunque
< v

, v

>= 0 .
2
Ora applichiamo i risultati precedenti alla classicazione delle coniche.
Sia una conica di equazione
a
11
x
2
+ 2a
12
xy +a
22
y
2
+ 2a
13
x + 2a
23
y +a
33
= 0 .
80 CAPITOLO 3. CURVE ALGEBRICHE PIANE
Come al solito indichiamo con C la matrice di e con Q la sottomatrice dei
suoi termini quadratici. Ricordiamo al lettore che se
det Q = I
2
= 0
la conica ha un centro di simmetria (vedere Teorema 3.3.3). Partiamo
da questo caso. Facciamo una traslazione del sistema di coordinate xOy in
modo che lorigine O

del nuovo sistema x

sia coincidente con il centro


di (naturalmente, gli assi O

e O

sono paralleli agli assi Ox e Oy,


rispettivamente. Con questo eliminiamo i due termini lineari e la matrice C
si trasforma in una matrice
C

=
_
_
_
a
11
a
12
0
a
12
a
22
0
0 f
_
_
_
(le sottomatrici dei termini quadratici di C e C

coincidono; vedere la di-


mostrazione del Teorema 3.3.1). Ci sono due casi da considerare.
Caso 1 - Q = rI
2
. Dividendo f per r, se necessario, possiamo infatti
assumere che Q = I
2
; dunque, possiamo scrivere lequazione di nella forma
x
2
+y
2
= f/r .
Se f/r < 0, linsieme `e vuoto; se f/r = 0, `e il lunione di due rette
complesse; se f/r > 0 allora `e una circonferenza di raggio
_
f/r riferita al
sistema x

.
Caso 2 - Q = rI
2
. Per il Teorema 3.4.1 Q ha due autovalori distinti e ;
per il Teorema 3.4.3, gli autovettori v

e v

associati sono perpendicolari tra


di loro. Sia R la (2 2)-matrice i cui vettori colonna sono i vettori unitari
c
1
= v

/|v

| e c
2
= v

/|v

|; osserviamo che siccome c


1
e c
2
sono ortonormali,
la matrice R `e di rotazione.
Per le propriet`a degli autovettori e autovalori di Q abbiamo
QR = R
_
0
0
_
ossia, la rotazione di matrice R sul sistema x

trasforma lequazione
a
11
x
2
+ 2a
12
x

+a
22
y
2
+f = 0
della conica (relativa al sistema di coordinate x

) nellequazione
x
2
+y
2
+ f = 0
3.5. FASCI 81
e questa ci permette di classicare facilmente .
Ci manca studiare il caso in cui non ha un centro di simmetria, ossia
quando det Q = 0. Sappiamo che `e una parabola; il problema `e quello
di trovare gli assi relativamente ai quali lequazione di assume la forma
canonica. Siccome il determinante di Q `e nullo, Q = rI
2
e dunque Q ha
dua autovalori distinti e e due autovettori (unitari) c

e c

ortogonali tra
loro. Questi ultimi producono una matrice di rotazione che impieghiamo per
eliminare leventuale termine misto (in xy). Pi` u precisamente: prendiamo la
3 3-matrice di rotazione
R =
_
c

0
0 0 1
_
;
a questo punto sostituiamo la matrice
X =
_
_
_
x
y
1
_
_
_
per matrice RX e cos` lequazione matriciale di ossia
X
T
CX = 0
assume la forma
(RX)
T
C(RX) = X
T
_
_
_
0 a
0 b
a b a
33
_
_
_X .
Ora usiamo il metodo della completazione dei quadrati per eliminare i
termini lineari.
3.5 Fasci
In questa sezione parleremo di fasci di rette e di coniche; questi ci serviran-
no per introdurre le cosiddette coordinate omogenee e per risolvre numerosi
problemi.
3.5.1 Fasci di rette
Cominciamo con un esempio numerico. Siano date le rette di equazioni
2x + 4y 1 = 0
3x y + 12 = 0
82 CAPITOLO 3. CURVE ALGEBRICHE PIANE
Queste due rette debbono incontrarsi perch`e i loro vettori normali
r = (2, 4) ,

r

= (3, 1)
non sono paralleli. Ma quale `e il punto di intersezione? Per ottenerlo,
moltiplichiamo la seconda equazione per 4 e sommiamola alla prima per
ottenere
14x + 47 = 0
cio`e, x = 47/14; sostituendo x della prima equazione per 47/14 otteniamo
y = 27/14 (se avessimo sostituito x della seconda equazione per 47/14 e
avessimo fatto i conti per trovare il valore di y, avremmo trovato il medesimo
risultato: y = 27/14). I valori x = 47/14 e y = 27/14 soddisfano ambedue
le equazioni e perci`o, il punto
(x, y) = (47/14, 27/14)
`e comune alle due rette.
Passiamo al caso generale. Siano date le rette
r : ax +by +c = 0
r

: a

x + b

y +c

= 0
e supponiamo che i rispettivi vettori normali
r = (a, b) ,

r

= (a

, b

)
non siano paralleli. Per trovare il punto di intersezione P = r r

multi-
plichiamo lequazione di r per a

, quella di r

per a e facciamo laddizione


delle due equazioni per ottenere
(ab

b)y = a

c ac

.
Ora possiamo calcolare y purche
ab

b = det
_
a b
a

_
= 0 .
Per arrivare a questo fatto dimostriamo il seguente
Lemma 3.5.1 Due rette
r : ax +by +c = 0
r

: a

x + b

y +c

= 0
non sono parallele
det
_
a b
a

_
= 0 .
3.5. FASCI 83
Dimostrazione Consideriamo il piano R
2
immerso in R
3
tramite lidenticazione
dei punti (x, y) R
2
e (x, y, 0) R
3
. Ora prendiamo i vettori non paralleli
r = (a, b, 0) ,

r

= (a

, b

, 0)
e osserviamo che
r

= det
_
a b
a

k =

O
(vedere Sezione 2.3). 2
Dunque
y =
a

c ac

ab

b
.
In maniera perfettamente analoga otteniamo
x =
b

c bc

ab

b
.
Possiamo descrivere la soluzione (x, y) in termini di certe matrici e dei
loro determinanti (vedere la Sezione 1.5).
4
Infatti, consideriamo il sistema di
equazioni lineari (lineari perche tutte le equazioni coinvolte sono del primo
grado)
ax +by = c
a

x + b

y = c

e osserviamo che
x =
det
_
c b
c

_
det
_
a b
a

_
e
y =
det
_
a c
a

_
det
_
a b
a

_
Sia P = (x
0
, y
0
) il punto di intersezione di due rette
r : ax + by +c = 0
r

: a

x + b

y +c

= 0 ;
4
Questo tema sar`a ripreso pi` u a lungo nellAppendice A di questo capitolo.
84 CAPITOLO 3. CURVE ALGEBRICHE PIANE
linsieme di tutte le rette del piano che passano per il punto P `e detto fascio di
rette per P. Algebricamente, tale fascio `e rappresentato da una combinazione
lineare
(ax + by +c) + (a

x +b

y +c

) = 0
nella quale , sono due numeri reali tali che
2
+
2
= 0. Una qualunque
retta del fascio `e data da una equazione
(a +a

)x + (b +b

)y + (c +c

) = 0 . (3.20)
La domanda che ora uno si pone naturalmente `e: come interpretare queste
idee nel casi in cui r ed r

siano parallele? Per cominciare, i vettori r e



r

sono paralleli e perci`o, esiste t R tale che



r

= tr, ossia,
a

= ta , b

= tb .
In questo caso lequazione 3.20 diventa
a( +t)x + b( +t)y + c +c

= 0
e perci`o, abbiamo una collezione di rette parallele, anchessa detta fascio
(di rette parallele). Le rette di un tale fascio sono caratterizzate dal fatto
che tutte hanno la medesima direzione, quella del vettore v

= (b, a); tali


rette non si incontrano in R
2
daccordo con gli assiomi di Euclide, ma si
potrebbe pensare di farle incontrare in un punto di una estensione ideale di
R
2
. Questo si pu`o fare introducendo le cosiddette coordinate omogenee del
piano. Nellinsieme R
3
di tutte le terne di numeri reali (x
1
, x
2
, x
3
) con almeno
uno dei numeri x
i
= 0 , i = 1, 2, 3 prendiamo la relazione di equivalenza
(x
1
, x
2
, x
3
) (x

1
, x

2
, x

3
) (k R)|x

i
= kx
i
, i = 1, 2, 3 ;
linsieme quoziente R
3
/ `e il piano proiettivo reale RP
2
. Le classi di equiv-
alenza [x
1
, x
2
, x
3
] sono punti di RP
2
. Si noti che esiste una corrispondenza
biunivoca tra i punti di R
2
e linsieme degli elementi [x
1
, x
2
, x
3
] RP
2
con
x
3
= 0, data dalla funzione
: R
2
RP
2
, (x, y) [x, y, 1] ;
in questo senso possiamo considerare R
2
come un sottoinsieme di RP
2
. Un
punto del tipo [x
1
, x
2
, 0] `e detto punto improprio di R
2
; linsieme di tutti i
punti improprii [x
1
, x
2
, 0] `e la retta impropria di R
2
.
Ora vogliamo sapere quale sia il luogo geometrico dei punti di RP
2
che
soddisfano una equazione lineare del tipo
ax
1
+ bx
2
+cx
3
= 0
3.5. FASCI 85
con a, b, c R. Chiaramente il punto [b, a, 0] appartiene a ; oltre a questo,
se x
3
= 0 tutti i punti della retta
ax +by +c = 0
con x = x
1
/x
3
e y = x
2
/x
3
sono anchessi in . Cos` , lequazione
ax
1
+ bx
2
+ cx
3
= 0
rappresenta una retta (appunto la retta ax + by + c = 0 di R
2
) pi` u il punto
improprio [b, a, 0] dato dalla direzione della retta ax + by +c = 0.
Ritonando al problema di come interpretare il fascio di rette parallele
a( +t)x +b( +t)y + c +c

= 0
possiamo ora dire che questo `e un vero fascio
a( +t)x
1
+b( +t)x
2
+ (c +c

)x
3
= 0
di rette di RP
2
passanti per il punto improprio [b, a, 0].
3.5.2 Fasci di Coniche
Nella prima parte di questa sezione abbiamo parlato di fasci di rette; in parti-
colare, ci siamo serviti dei fasci di retter parallele per introdurre il concetto di
punto improprio. Ora vogliamo studiare i fasci di coniche, non con lintuito
di introdurre nuovi concetti ma con lidea di servircene come metodo per la
determinazione di una conica data da un certo numero di punti o condizioni.
Si ricorda che ci vogliano tre punti non alineati per costruire una cir-
conferenza che li contenga; in particolare, abbiamo risolto quel problema
algebricamente prendendo lequazione generica della circonferenza
x
2
+ y
2
+dx + ey +f = 0
imponendo la condizione che le coordinate dei punti la soddisno, costruendo
un sistema lineare di tre equazioni nelle variabili d, e e f la cui soluzione ci
fornisce i dati necessari per ottenere lequazione richiesta. Si osservi che in
verit` a dovremmo avere scritto lequazione generica
a
11
x
2
+a
22
y
2
+ 2a
13
x +a
23
y +a
33
= 0
con a
11
= a
22
e perci`o con quattro incognite (appunto le a
11
, a
13
, a
23
e a
33
)
cosa che richiede tre condizioni per la sua soluzione. Per la determinazione
di una conica in generale, lequazione generica che trattiamo `e del tipo
a
11
x
2
+ 2a
12
xy +a
22
y
2
+ 2a
13
x + 2a
23
y +a
33
= 0 (3.21)
86 CAPITOLO 3. CURVE ALGEBRICHE PIANE
oppure
a
11
x
2
1
+ 2a
12
x
1
yx
2
a
22
x
2
2
+ 2a
13
x
1
x
3
+ 2a
23
x
2
x
3
+a
33
x
2
3
= 0
nel caso in cui consideriamo coordinate omogenee (cio`e, vogliamo lavorare
anche con i punti impropri). Ora le variabili in gioco sono sei e cos` abbiamo
bisogno di cinque punti (tre dei quali presi arbitrariamente non siano mai
alineati) per determinarle!
Facciamo un esempio numerico. Determinare la conica passante per i
punti
A = (2, 0), B = (0, 1), C = (2, 0), D = (0, 1), E = (1, 1) .
Imponendo la condizione che questi punti soddisno lequazione 3.21 otteni-
amo il sistema lineare
_

_
a
22
+ 2a
23
+a
33
= 0
a
22
2a
23
+a
33
= 0
4a
11
+ 4a
13
+a
33
= 0
4a
11
4a
13
+a
33
= 0
a
11
2a
12
+a
22
+ 2a
13
2a23 + a
33
= 0
di cinque equazioni a sei variabili; dunque dando un valore ad una di esse,
diciamo a
33
= 1, otteniamo i valori a
11
= 1/4, a
12
= 1/4, a
22
= 1,
a
13
= a
23
= 0 e cos` abbiamo la conica di equazione
x
2
+xy + 4y
2
4 = 0 .
In seguito proponiamo un altro metodo, basato sulla costruzione di un
apposito fascio di coniche.
Siano date le coniche e

di equazioni omogenee
X
T
CX = 0
X
T
C

X = 0
rispettivamente. Per il Teorema di Bezout 3.1.1 le due coniche si intersecano
in quattro punti, diciamo A, B, C e D (presi in senso lato: punti propri,
impropri o immaginari). Consideriamo ora la combinazione lineare
X
T
CX +X
T
C

X = 0 ; (3.22)
questa nuova equazione pu`o essere scritta nella forma
X
T
(C +C

)X = 0
3.6. CONICHE RETTE 87
in cui la matrice
D = C +C

`e simmetrica, come il lettore pu`o facilmente costatare. Dunque, lequazione


3.22 rappresenta una conica per qualsiasi valori dati ai parametri e ;
lequazione 3.22 `e lequazione del fascio di coniche passante per i punti base
A, B, C e D.
Ora riprendiamo il problema di determinare la conica passante per
A = (2, 0), B = (0, 1), C = (2, 0), D = (0, 1), E = (1, 1) .
I punti A, B, C e D determinano quattro rette di equazioni
r
1
: x 2y + 2 = 0
r
2
: x + 2y 2 = 0
r
3
: x 2y 2 = 0
r
4
: x + 2y + 2 = 0
e queste deniscono due coniche degenerate
(x 2y + 2)(x 2y 2) = 0 , (x + 2y 2)(x + 2y + 2) = 0
passanti per i quattro punti A, B, C e D e pertanto, componenti del fascio
di coniche
(x 2y + 2)(x 2y 2) + (x + 2y 2)(x + 2y + 2) = 0
di base A, B, C e D. Ma noi vogliamo la conica di quel fascio che contenga
E = (1, 1), cosa che per = 1 risulta in = 3/5. Facendo i conti otteniamo
la conica
x
2
+xy + 4y
2
4 = 0 .
3.6 Intersezioni di coniche con rette
Cominciamo per riscrivere lequazione generale di una curva del secondo
ordine
Ax
2
+Bxy +Cy
2
+Dx +Ey +F = 0 (3.23)
in coordinate omogenee e nella forma
a
11
x
2
1
+ 2a
12
x
1
x
2
+ a
22
x
2
2
+ 2a
13
x
1
x
3
+ 2a
23
x
2
x
3
+a
33
x
2
3
= 0 , (3.24)
con
a
11
= A , 2a
12
= B , a
22
= C ,
88 CAPITOLO 3. CURVE ALGEBRICHE PIANE
2a
13
= D , 2a
23
= E e a
33
= F .
Lequazione 3.24 si scrive in forma matriciale
X
T
CX = 0 . (3.25)
in cui
X =
_
_
_
x
1
x
2
x
3
_
_
_
e
C =
_
_
_
a
11
a
12
a
13
a
12
a
22
a
23
a
13
a
23
a
33
_
_
_
`e la matrice dei coecienti di .
Ora prendiamo una retta r che passa per un punto Z di coordinate omoge-
nee [z
1
, z
2
, z
3
] e nella direzione di un vettore v = (k, ) = 0. Se identichiamo
la direzione v al punto improprio [k, , 0], lequazione parametrica della retta
r in forma matriciale `e
_
_
_
x
1
x
2
x
3
_
_
_ =
_
_
_
z
1
z
2
z
3
_
_
_ + m
_
_
_
k

0
_
_
_ . (3.26)
Con la notazione
X =
_
_
_
x
1
x
2
x
3
_
_
_ , Z =
_
_
_
z
1
z
2
z
3
_
_
_
e
K =
_
_
_
k

0
_
_
_
lequazione 3.26 della retta r diventa
X = Z +mK .
Dunque, un punto X r appartiene alla conica 3.24
(Z + mK)
T
C (Z +mK) = 0 ,
ossia,
m
2
K
T
CK + 2mK
T
CZ +Z
T
CZ = 0 (3.27)
(vedere il Lemma 3.4.2).
Questa equazione di secondo grado nellincognita m da molte informazioni
sulla posizione relativa di r e . Infatti, lequazione pu`o avere
3.6. CONICHE RETTE 89
1. zero soluzioni reali (cio`e, ha due soluzioni complesse coniugate): la
retta non interseca la conica;
2. una soluzione reale: la retta r `e tangente a ;
3. due soluzioni reali: la retta `e secante a ,
4. innite soluzioni reali (quando i tre coecienti sono nulli): r `e parte
integrante della conica.
Per capire meglio queste nostre dichiarazioni si rende necessaria una
analisi accurata di 3.27; cos` dividiamo la discussione in vari casi.
Caso I:
K
T
CK = 0 , K
T
CZ = 0 e Z
T
CZ = 0 .
Allora 3.27 ha una soluzione m = 0 (che indica il fatto Z gi`a
evidenziato da Z
T
CZ = 0) e anche la soluzione
m =
2K
T
CZ
K
T
CK
che da luogo al punto Y r le cui coordinate omogenee sono denite
dallequazione matriciale
_
_
_
x
1
x
2
x
3
_
_
_ =
_
_
_
z
1
z
2
z
3
_
_
_
2K
T
CZ
K
T
CK
_
_
_
k

0
_
_
_ .
La retta r `e allora secante a .
Caso II:
K
T
CK = 0 , K
T
CZ = 0eZ
T
CZ = 0 .
Lequazione di secondo grado nella variabile m
m
2
K
T
CK + 2mK
T
CZ +Z
T
CZ = 0
ha una radice doppia m = 0 e perci`o il punto Z deve essere contato due
volte; dunque la retta r `e tangente a nel punto Z.
Quale sarebbe lequazione della tangente a in Z? La condizione K
T
CZ =
0 si traduce nellequazione
(a
11
z
1
+a
12
z
2
+a
13
z
3
)k + (a
12
z
1
+ a
22
z
2
+a
23
z
3
) = 0 . (3.28)
nelle variabili k, che non possono ambedue essere nulle, trattandosi delle
coordinate di un vettore direzione non nullo v; abbiamo due possibilit`a:
90 CAPITOLO 3. CURVE ALGEBRICHE PIANE
(i) Almeno uno dei coecienti di k e
f
1
= a
11
z
1
+a
12
z
2
+ a
13
z
3
f
2
= a
12
z
1
+a
22
z
2
+a
23
z
3
`e diverso da zero. Prendiamo la retta t di equazione omogenea
f
1
x
1
+ f
2
x
2
+ f
3
x
3
= 0
con f
3
= a
13
z
1
+ a
23
z
2
+a
33
z
3
. Siccome
f
1
z
1
+f
2
z
2
+f
3
z
3
= Z
T
CZ = 0 (3.29)
il punto Z t; daltro lato, il vettore w = (f
1
, f
2
) `e perpendicolare alla retta
t ed al vettore v (vedere lequazione 3.28). Dunque la retta t `e nella direzione
di v; siccome Z t, la retta t coincide con la retta r e lequazione
f
1
x
1
+f
2
x
2
+f
3
x
3
= 0
ossia
(a
11
z
1
+a
12
z
2
+a
13
z
3
)x
1
+(a
12
z
1
+a
22
z
2
+a
23
z
3
)x
2
+(a
13
z
1
+a
23
z
2
+a
33
z
3
)x
3
= 0
(3.30)
`e lequazione della retta tangente a passante per Z.
(ii) I due coecienti f
1
e f
2
sono nulli.
Siccome il punto Z = [z
1
, z
2
, z
3
] `e un punto proprio, la terza coordinata
z
3
= 0 e dunque, da 3.29 concludiamo che
f
3
= a
13
z
1
+a
23
z
2
+ a
33
z
3
= 0
Tutto ci`o ci porta ad un sistema omogeneo di tre equazioni a tre variabili
_

_
a
11
z
1
+a
12
z
2
+a
13
z
3
= 0
a
12
z
1
+ a
22
z
2
+a
23
z
3
= 0
a
13
z
1
+a
23
z
2
+a
33
z
3
= 0
nel quale la variabile z
3
= 0. Ci`o `e possibile
I
3
= det C = 0 .
In questo caso la conica `e detta degenere.
Caso III:
K
T
CK = 0 , K
T
CZ = 0 e Z
T
CZ = 0 .
3.6. CONICHE RETTE 91
La condizione K
T
CK = 0 ci dice che il punto improprio [k, , 0] appartiene
alla conica di equazione 3.24; inoltre, la condizione signica che
k
2
a
11
+ 2ka
12
+
2
a
22
= 0 . (3.31)
Unanalisi dellequazione 3.31 ci permette di riconoscere le coniche che
intersecano la retta impropria. Per esempio, facciamo lipotesi che = 0 e
a
11
= 0; allora, scrivendo k/ = t, abbiamo
t =
1
a
11
[a
12

_
a
2
12
a
11
a
22
]
Questa equazione ha due soluzioni distinte in t se
a
2
12
a
11
a
22
> 0 ;
siccome a
2
12
a
11
a
22
= I
2
, la curva `e una iperbole (cfr. Teorema 3.3.2).
Il Teorema appena citato ci dice che una iperbole ha due punti impropri.
Il lettore pu`o vericare facilmente che lellisse
x
2
a
2
+
y
2
b
2
= 1 , (3.32)
non ha punti impropri mentre la parabola
y
2
= 2px , p > 0 (3.33)
ha un solo punto improprio: [1, 0, 0].
Nel caso in considerazione lequazione 3.27 diventa
2mK
T
CZ = 0
che ha una sola soluzione m = 0 e dunque, oltre ad un punto improprio, la
retta r interseca la conica (iperbole o parabola) nel punto (proprio) Z.
Caso IV:
K
T
CK = 0 , K
T
CZ = 0 e Z
T
CZ = 0 .
La condizione K
T
CK = 0 ci dice che stiamo lavorando con una iperbole
od una parabola. La seconda condizione, ossia
K
T
CZ = 0
`e valida solo per liperbole; se aggiungiamo a queste due condizioni lipotesi
Z
T
CZ = 0, vediamo che lequazione 3.27 non `e valida, e perci`o nessun punto
proprio delle rette r (trovate tramite 3.31) incontra liperbole; questo fatto
92 CAPITOLO 3. CURVE ALGEBRICHE PIANE
ed il Teorema di Bezout ci permettono di concludere che ciascuno dei due
punti impropri intersezione delle due rette r con liperbole deve essere contato
due volte o , in altre parole, le rette r sono tangenti alliperbole per i punti
impropri. Queste due rette sono le asintote alliperbole.
Le asintote alliperbole
x
2
a
2

y
2
b
2
= 1
sono le rette date dalle equazioni
b
a
x y = 0 .
Per la parabola
y
2
= 2px , p > 0
la situazione `e un po diversa: infatti questa equazione soddisfa la prima ma
non la seconda delle tre condizioni evidenziate nela Caso IV; ci`o nonostante
possiamo dire che la parabola ha una asintota: la retta impropria x
3
= 0.
Infatti, questa retta ha un unico punto di intersezione con la parabola, ossia
il punto [1, 0, 0] e perci`o `e tangente alla conica in quel punto.
Caso V:
K
T
CK = 0 , K
T
CZ = 0 e Z
T
CZ = 0 .
In questo caso, oltre alle equazioni 3.31 e 3.28, abbiamo
a
11
z
2
1
+ 2a
12
z
1
z
2
+ a
22
z
2
2
+ 2a
13
z
1
z
3
+ 2a
23
z
2
z
3
+a
33
z
2
3
= 0 . (3.34)
Questultima ci dice che le asintote alliperbole hanno punto propri Z in
comune con liperbole; dunque le asintote sono parti integranti dellperbole
che `e degenerata (prodotto di due rette). Per esempio, la conica
x
2
y
2
= 0
e la retta passante per [0, 0, 1] e nella direzione di v = (1, 1) soddisfano le tre
condizioni ed `e lunione delle rette x y = 0.
Pasiamo ora ad alcuni esempi. Consideriamo la circonferenza di centro
nellorigine e raggio unitario ed il punto Z = (0, 2) nellasse y; in coordinate
omogenee abbiamo lequazione
x
2
1
+ x
2
2
x
2
3
= 0
ed il punto Z = [0, 2, 1]. Qui abbiamo le matrici
C =
_
_
_
1 0 0
0 1 0
0 0 1
_
_
_ , K =
_
_
_
k

0
_
_
_ e Z =
_
_
_
0
2
1
_
_
_ .
3.6. CONICHE RETTE 93
Lequazione 3.27 assume la forma
m
2
(k
2
+
2
) + 4m+ 3 = 0
e facendo k = 1 otteniamo i vettori direzione
v = (1,

3) , w = (1,

3) .
Le rette tangenti alla circonferenza passanti per il punto Z sono date dalle
equazioni parametriche
_
x = m
y = 2 +m

3
_
x = m
y = 2 m

3
`
E facile calcolare i punti di tangenza: (

3/2, 1/2) e (

3/2, 1/2). La
retta passante per questi due punti di tangenza `e detta retta polare della
circonferenza data relativamente al punto esterno Z.
La parabola ha una retta tangente particolare. Infatti, consideriamo la
parabola
y
2
= 2px , p > 0
ossia, x
2
2
2px
1
x
3
= 0 in coordinate omogenee. Si noti che il punto improprio
P = [1, 0, 0] appartiene a questa parabola; facendo i conti si ottiene che
lequazione 3.30 diventa x
3
= 0 ossia, la retta impropria x
3
= 0 `e tangente
alla parabola y
2
= 2px , p > 0.
94 CAPITOLO 3. CURVE ALGEBRICHE PIANE
Capitolo 4
Superci algebriche
4.1 Il piano
Ora ci trasferiamo allo spazio R
3
.
Cominciamo con il seguente
Teorema 4.1.1 Lequazione del piano che contiene il punto A = (x
1
, x
2
, x
3
)
ed `e perpendicolare al vettore n = (a, b, c) `e
a(x x
1
) +b(y x
2
) +c(z x
3
) = 0 . (4.1)
Dimostrazione Chiaramente i valori x = x
1
, y = x
2
e z = x
3
ci danno
una soluzione dellequazione; pertanto A . Supponiamo ora che B =
(y
1
, y
2
, y
3
) sia anchesso in . Allora
a(y
1
x
1
) + b(y
2
x
2
) + c(y
3
x
3
) = 0 .
Le equazioni parametriche della retta AB sono
x = x
1
+ m(y
1
x
1
) , y = x
2
+m(y
2
x
2
) , z = x
3
+m(y
3
x
3
)
per qualsiasi valore di m (cio`e, per qualsiasi punto X(m) della retta AB
vedere Sezione 2.4, equazioni 2.4); sostituendo questo valori nellequazione
4.1 otteniamo
a(x
1
+m(y
1
x
1
) x
1
) +b(x
2
+m(y
2
x
2
) x
2
)+
+c(x
3
+m(y
3
x
3
) x
3
) =
m[a(y
1
x
1
) + b(y
2
x
2
) +c(y
3
x
3
)] = 0
95
96 CAPITOLO 4. SUPERFICI ALGEBRICHE
e dunque X(m) . Allora il luogo dei punti di R
3
che soddisfano lequazione
`e realmente un piano. Finalmente osserviamo che n . Infatti, se (x, y, z)
il vettore v = (x x
1
, y x
2
, z x
3
) `e perpendicolare a n perche
< n, v >= a(x x
1
) +b(y y
1
) + c(z z
1
) = 0 .
2
Ponendo d = ax
1
+bx
2
+ cx
3
lequazione 4.1 diventa
ax +by +cz +d = 0 . (4.2)
Reciprocamente, supponiamo ci sia data unequazione lineare nelle vari-
abili x, y, z a coecienti in R, diciamo ax+by +cz +d = 0, con al meno uno
dei coecienti a, b o c diversi da zero (in altre parole, con a
2
+b
2
+c
2
= 0). Si
osservi che esistono punti di R
3
le cui coordinate non soddisfano lequazione.
Dunque il luogo dei punti di R
3
che sono soluzioni dellequazione `e diver-
so da R
3
. Daltro lato, lequazione lineare data ha innite soluzioni: basta
dare arbitrariamente un valore ad una delle variabili nel caso in cui uno dei
coecienti reali sia nullo e calcolare il valore della variabile rimanente, op-
pure dare valori arbitrari a due delle variabili nel caso in cui i tre coecienti
siano non nulli e calcolare il valore della terza variabile. Fissiamo un punto
A = (x
1
, x
2
, x
3
) tale che ax
1
+ bx
2
+ cx
3
+ d = 0; per qualsiasi altro punto
B = (y
1
, y
2
, y
3
) soluzione dellequazione si vericano due condizioni: 1) tutti
i punti della retta AB soddisfano lequazione e 2), la retta AB `e perpendi-
colare al vettore n = (a, b, c). Allora, 4.2 `e la forma generale dellequazione
di un piano in R
3
.
Distanza da un punto ad un piano Dati A = (x
1
, x
2
, x
3
) e di equazione
ax + by + cz + d = 0, vogliamo calcolare la distanza di A a . Il vettore
n = (a, b, c) `e perpendicolare a e dunque, la retta r per A e parallela a n `e
perpendicolare a ; sia B = r . La distanza cercata `e precisamente d
AB
.
Ora passiamo ai calcoli. Le equazioni parametriche di r sono
x = x
1
+ma , y = x
2
+ mb , z = x
3
+mc
e cos` dallequazione del piano otteniamo
a(x
1
+ma) +b(x
2
+mb) + c(x
3
+ mc) + d = 0
cosa che ci permette di trovare il valore di m e delle coordinate di B:
m =
ax
1
+bx
2
+cx
3
+d
a
2
+ b
2
+c
2
,
4.1. IL PIANO 97
z
1
= x
1
a
ax
1
+ bx
2
+cx
3
+ d
a
2
+b
2
+c
2
,
z
2
= x
2
b
ax
1
+bx
2
+ cx
3
+d
a
2
+ b
2
+c
2
,
z
3
= x
3
c
ax
1
+bx
2
+ cx
3
+d
a
2
+ b
2
+c
2
.
La formula che ci da la distanza tra due punti ci permette di concludere che
d
AB
=
|ax
1
+bx
2
+cx
3
+d|

a
2
+b
2
+ c
2
.
Daccordo con gli assiomi della geometria euclidea, due piani distinti han-
no una retta in comune o non si incontrano per niente (cio`e sono paralleli).
Dunque, una retta pu`o essere rappresentata anche dalla soluzione comune di
due equazioni lineari reali in x, y e z:
_
: ax +by +cz +d = 0

: a

x +b

y + c

z +d

= 0
Le equazioni parametriche della retta denita dai due piani sopra si ri-
cavano facilmente tramite lalgebra vettoriale. Infatti i vettori n = (a, b, c) e
n

= (a

, b

, c

) sono perpendicolari ai piani e

rispettivamente; dunque il
vettore
n n

= (bc

cb

, ca

ac

, ab

ba

)
ha la direzione della retta r =

. In questo modo, una volta individuate


le coordinate di un punto qualsiasi di r diciamo A = (a
1
, a
2
, a
3
) r
abbiamo le equazioni parametriche di r:
x = a
1
+m(bc

cb

) , y = a
2
+ m(ca

ac

) , z = a
3
+m(ab

ba

) ,
Distanza da un punto ad una retta (1) Supponiamo dati un punto A =
(x
1
, x
2
, x
3
) ed una retta r di equazioni parametriche
x = y
1
+ma , y = y
2
+mb , z = y
3
+mc .
Il punto B = (y
1
, y
2
, y
3
) r e
proj
n
(

BA) =
a(x
1
y
1
) + b(x
2
y
2
) + c(x
3
y
3
)

a
2
+ b
2
+c
2
98 CAPITOLO 4. SUPERFICI ALGEBRICHE
(questo valore si ottiene tramite il prodotto scalare < n,

BA >). Sia C la
proiezione ortogonale di A su r; dal Teorema di Pitagora
1
concludiamo che
|CA|
2
=
3

i=1
(x
i
y
i
)
2

[a(x
1
y
1
) + b(x
2
y
2
) + c(x
3
y
3
)]
2
a
2
+b
2
+c
2
.
(2) Siano A = (x
1
, x
2
, x
3
) ed r data dallintersezione di due piani
_
ax +by +cz + d = 0
a

x +b

y + c

z +d

= 0
La retta r `e nella direzione del vettore
r = (a, b, c) (a

, b

, c

) = (bc

c, a

c ac

, ab

b)
e dunque, lequazione del piano per A e perpendicolare a r `e
(bc

c)(x x
1
) + (a

c ac

)(y x
2
) + (ab

b)(z x
3
) = 0 .
Daltro lato taglia r nel punto C (proiezione ortogonale di A su r) le cui
coordinate sono date dalla soluzione comune del sistema lineare
_

_
ax +by +cz +d = 0
a

x +b

y + c

z +d

= 0
(bc

c)(x x
1
) + (a

c ac

)(y x
2
)+
+(ab

b)(z x
3
) = 0 .
La distanza d
AC
si calcola ora come la radice quadrata positiva della somma
dei quadrati delle dierenze delle rispettive coordinate di A e C.
4.2 Altre superci
Una supercie algebrica dello spazio tridimensionale `e rappresentata da una
equazione polinomiale di secondo grado nelle variabile x, y e z. Due tali
superci si intersecano, in generale, secondo una curva spaziale.
1
Il lettore conosce la dimostrazione di questo teorema dalle scuole medie o superiori; per
una dimostrazione elementare e molto semplice fatta con laiuto dei vettori reali, vedere il
Teorema 2.4.2.
4.2. ALTRE SUPERFICI 99
4.2.1 La sfera
La sfera `e il luogo geometrico dei punti di R
3
che si trovano ad una distanza
ssa r > 0 da un punto C = (c
1
, c
2
, c
3
) detto centro (della sfera). Il valore r
`e il raggio (della sfera). Lequazione (canonica) di una tale sfera si determina
facilmente ed `e:
(x c
1
)
2
+ (y c
2
)
2
+ (z c
3
)
2
= r
2
.
Si noti che i coecienti dei termini quadratici sono tutti uguali a 1. Se
lequazione di una sfera `e data nella forma
x
2
+y
2
+z
2
+ Dx +Ey +Fz + G = 1
troviamo il suo centro e raggio con una traslazione di coordinate ossia, usando
il metodo della completazione dei quadrati come nellesempio a seguito.
Esempio 1 : Trovare il centro ed il raggio della sfera
x
2
+ y
2
+z
2
+ 4x 6y + 10z 2 = 0
Riscriviamo lequazione nella forma
(x
2
+ 4x + 4) + (y
2
6y + 9) + (z
2
+ 10z + 25) 4 9 25 2 = 0
ossia
(x + 2)
2
+ (y 3)
2
+ (z + 5)
2
= 40
e perci`o abbiamo una sfera di centro C = (2, 3, 5) e raggio 2

10. In
pratica abbiamo fatto fatto la traslazione
_

_
x = x

+ 2
y = y

3
z = z

+ 5 .
4.2.2 Superci cilindriche
Una supercie cilindrica `e una supercie generata da una retta
r R
3
(detta generatrice) che `e obbligata a muoversi parallelamente a se stessa e
avente sempre un punto in comune con una curva dello spazio (detta curva
direttrice).
100 CAPITOLO 4. SUPERFICI ALGEBRICHE
Non `e dicile trovare lequazione di una supercie cilindrica. Assumiamo
che la direttrice sia denita dallinterzezione di due superci
F(x, y, z) = 0 e G(x, y, z) = 0
e che la generatrice sia data da una retta nella direzione di un vettore
v = (a, b, c). Sia (x
0
, y
0
, z
0
) il punto in comune delle direttrice e la gen-
eratrice; allora, lequazione della supercie cilindrica cos` denita `e data
dalla soluzione del sistema di equazioni
_

_
F(x
0
, y
0
, z
0
) = 0
G(x
0
, y
0
, z
0
= 0
x = x
0
+ ma
y = y
0
+mb
z = z
0
+mc
(le ultime tre equazioni sono le equazioni parametriche della generatrice).
Facciamo alcuni esempi.
Esempio 2 - Lequazione
x
2
+y
2
= 9
`e lequazione del cilindro di direttrice denita dallintersezione della sfera
x
2
+y
2
+ z
2
= 9
con il piano z = 0 e avente per generatrice una retta parallela allasse 0z. Si
noti che tale cilindro `e un cono avente per vertice il punto improprio [0, 0, 1, 0].
Esempio 3 - Sia la parabola y
2
= 2x del piano xOy e r una retta parallela
allasse Oz e avente un punto in comune con . La supercie cilindrica
ottenuta in questo modo, la cui equazione `e appunto y
2
= 2x in R
3
`e detta
paraboloide cilindrico.
4.2.3 Superci di rotazione
Una superfcie di rotazione `e una supercie generata da una curva (la gen-
eratrice) che ruota senza deformarsi attorno ad una retta r ssa (detta asse
di rotazione). Supponiamo che sia data dallintersezione di due superci
f(x, y, z) = 0 , g(x, y, z) = 0
e che lasse di rotazione r sia espresso mediante le sue equazioni parametriche
_

_
x = x
0
+ma
y = y
0
+ mb
z = z
0
+mc
4.3. QUADRICHE 101
Un punto arbitrario P = (x
1
, y
1
, z
1
) descrive una circonferenza durante
la rotazione; questa circonferenza `e infatti lintersezione del piano passante
per P e perpendicolare a r con la sfera di centro (x
0
, y
0
, z
0
) passante per P.
Cosi abbiamo due altre equazioni in gioco:
a(x x
1
) +b(y y
1
) +c(z z
1
) = 0
per il piano, e
(x x
0
)
2
+ (y y
0
)
2
+ (z z
0
)
2
= (x
0
x
1
)
2
+ (y
0
y
1
)
2
+ (z
0
z
1
)
2
per la sfera. Ci serviamo di queste due equazioni pi` u le equazioni
f(x
1
, y
1
, z
1
) = 0 , g(x
1
, y
1
, z
1
) = 0
per liberarci dalle coordinate (x
1
, y
1
, z
1
) e cos` ottenere nalmente lequazione
della supercie di rotazione.
4.3 Quadriche
Una quadrica `e il luogo dei punti (x, y, z) R
3
che soddisfano unequazione
matriciale del tipo
_
_
_
_
_
x
y
z
1
_
_
_
_
_
T _
_
_
_
_
a
11
a
12
a
13
a
14
a
12
a
22
a
23
a
24
a
13
a
23
a
33
a
34
a
14
a
24
a
34
a
44
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
x
y
z
1
_
_
_
_
_
= 0 (4.3)
(si noti che la matrice intermedia `e simmetrica) o se vogliamo, unequazione
polinomiale di secondo grado tipo
a
11
x
2
+ 2a
12
xy + a
22
y
2
+ 2a
13
xz + 2a
23
yz +a
33
z
2
+2a
14
x + 2a
24
y + 2a
34
z +a
44
= 0 .
In seguito descriviamo sei tipi di quadriche con le loro equazioni canon-
iche.
Elissoide - Luogo geometrico denito da unequazione della forma
x
2
A
2
+
y
2
B
2
+
z
2
C
2
= 1 (4.4)
Iperboloide ellittico a una falda - Luogo geometrico denito da unequazione
della forma
x
2
A
2
+
y
2
B
2

z
2
C
2
= 1 (4.5)
102 CAPITOLO 4. SUPERFICI ALGEBRICHE
Iperboloide ellittico a due falde - Luogo geometrico denito da unequazione
della forma
x
2
A
2

y
2
B
2

z
2
C
2
= 1 (4.6)
Paraboloide ellittico - Luogo geometrico denito da unequazione della forma
x
2
A
2
+
y
2
B
2
= z (4.7)
Paraboloide iperbolico - Luogo geometrico denito da unequazione della
forma
x
2
A
2

y
2
B
2
= z (4.8)
Cono ellittico - Luogo geometrico denito da unequazione della forma
x
2
A
2
+
y
2
B
2
=
z
2
C
2
(4.9)
Per avere unidea della forma geometrica di queste sei quadriche studiamo
le loro intersezioni con gli assi e i piani coordinati, e pi` u in generale, le
intersezioni di dette quadriche con vari piani paralleli ai piani coordinati.
Cominciamo con lellissoide. Questa gura interseca gli assi Ox, Oy e Oz
rispettivamente nei punti
(A, 0, 0) , (0, B, 0) e (0, 0, C) .
Le intersezioni dellellissoide con i piani coordinati xOy, xOz e yOz sono
rispettivamente le ellissi
x
2
A
2
+
y
2
B
2
= 1 ,
x
2
A
2
+
z
2
C
2
= 1 e
y
2
B
2
+
z
2
C
2
= 1 .
Le intersezioni dellellissoide 4.4 con un piano
x = k , A < k < A
sono le ellissi
y
2
B
2
(1 k
2
/A
2
)
+
z
2
C
2
(1 k
2
/A
2
)
= 1
(le intersezioni con i piani x = A sono i punti (A, 0, 0)). Otteniamo
risultati simili per le intersezioni di 4.4 con piani y = k e z = k.
4.3. QUADRICHE 103
Se A = B = C = r lellissoide 4.4 `e una sfera di raggio r e centro
nellorigine; se due di quei tre numeri sono uguali, abbiamo una supercie di
rotazione detta ellissoide di rotazione (o anche sferoide); per esempio
x
2
A
2
+
y
2
B
2
+
z
2
A
2
= 1
`e lequazione della supercie di rotazione generata dallellisse
_
x
2
A
2
+
y
2
B
2
+
z
2
C
2
= 1
z = 0
intorno allasse degli y.
Liperboloide ellittico a una falda 4.5 taglia lasse Ox (rispetivamente Oy)
nei punti (A, 0, 0) (rispettivamente (0, B, 0)), ma non interseca lasse degli
z perche lequazione
z
2
/C
2
= 1
non ha soluzione! Le intersezioni di 4.5 con i piani z = k sono le ellissi
x
2
A
2
(1 k
2
/C
2
)
+
y
2
B
2
(1 k
2
/C
2
)
= 1
e le sue intersezioni con i piani y = k sono le iperbole
x
2
A
2
(1 k
2
/B
2
)

z
2
C
2
(1 k
2
/B
2
)
= 1 .
Ora passiamo alliperboloide ellitico a due falde. Questa supercie in-
terseca lasse degli x nei punti (A, 0, 0) e non intrseca gli altri due assi;
si osservi che |x| A altrimenti la parte sinistra dellequazione 4.6 sarebbe
strettamente minore di 1. Questa supercie non interseca il piano yOz e
taglia gli altri due piani coordinati in iperbole. Finalmente, le intersezioni
delliperboloide ellitico a due falde con i piani di equazioni x = k , |k| > A
sono le ellissi
x
2
B
2
(k
2
/A
2
1)
+
z
2
C
2
(k
2
/A
2
1)
= 1 ;
se |k| < A non c`e intersezione.
Il paraboloide ellittico di equazione 4.7 interseca gli assi coordinati nellorigine
(0, 0, 0); le sue intersezioni con i piani xOz e yOz sono parabole. Daltro lato,
la supercie 4.7 interseca i piani z = k , k > 0 in ellissi. Se A = B abbi-
amo un paraboloide di rivoluzione generato dalla rotazione di unapposita
parabola intorno allasse Oz.
104 CAPITOLO 4. SUPERFICI ALGEBRICHE
Il paraboloide ellittico di equazione 4.8 incontra gli assi Ox, Oy e Oz nel
punto (0, 0, 0). La sua intersezione con il piano x = 0 `e la parabola
y
2
= B
2
z
di vertice (0, 0) e contenuta semipiano negativo del piano x = 0, inquanto
che la sua intersezione con il piano y = 0 `e la parabola
x
2
= A
2
z
di vertice (0, 0) e contenuta nel semipiano positivo del piano y = 0. Fi-
nalmente, lintersezione di 4.8 con il piano z = 0 `e la conica degenerata
nellunione delle due rette
Bx +Ay = 0 , Bx Ay = 0 .
Lultima delle nostre quadriche, ossia il cono ellittico di equazione
x
2
A
2
+
y
2
B
2
=
z
2
C
2
incontra gli assi coordinati nellorigine e i piani x = 0, y = 0 in due rette
passanti per lorigine; i piani z = k , k = 0 intersecano il cono ellittico in
ellissi ed i piani paralleli ai piani x = 0 e y = 0 (ma non coincidenti con
questi) lo incontrano in iperboli. Se A = B abbiamo il cono a due falde gi`a
incontrato nella Sezione 3.2.
Concludiamo questa sezione notando che le quadriche seguenti hanno un
centro di simmetria:
1. elissoide;
2. iperboloide ellittico a una falda;
3. iperboloide ellittico a due falde;
4. cono ellittico.
4.4 Classicazione delle quadriche
Nella sezione anteriore abbiamo trovato le equazioni canoniche delle quadriche
cio`e, le equazioni che descrivono le quadriche nel modo pi` u semplice e che
4.4. CLASSIFICAZIONE DELLE QUADRICHE 105
si ottengono scegliendo sistemi di coordinate cartesiane ortogonali ben po-
sizionati. Parafrasando il formalismo che abbiamo usato con le coniche
osserviamo subito che lequazione generale di una quadrica `e del tipo
a
11
x
2
+2a
12
xy+2a
13
xz+a
22
y
2
+2a
23
yz+a
33
z
2
+2a
14
x+2
24
y+2a
34
z+a
44
= 0 ;
(4.10)
in forma matriciale questa equazione si scrive come segue:
_
x y z 1
_
_
_
_
_
_
a
11
a
12
a
13
a
14
a
12
a
22
a
23
a
24
a
13
a
23
a
24
a
34
a
14
a
24
a
34
a
44
_
_
_
_
_
_
_
_
_
_
x
y
z
1
_
_
_
_
_
(4.11)
e in forma compatta,
X
T
CX = 0 (4.12)
dove C `e la matrice (simmetrica) dei coecienti e
X =
_
_
_
_
_
x
y
z
1
_
_
_
_
_
`e la matrice denita dal punto arbitrario (x, y, z) R
3
.
Per fare scomparire tutti i temini lineari usiamo il metodo della comple-
tazione dei quadrati (come abbiamo fatto con le coniche) ossia, sostituiamo
le coordinate x, y e z per x +k, y + e z +m rispettivamente, per ottenere
da 4.12 lequazione
X
T
CX + 2X
T
CK +K
T
CK = 0 (4.13)
dove
K =
_
_
_
_
_
k

m
1
_
_
_
_
_
.
I termini lineari sono raggruppati nel termine
X
T
CK ;
infatti, facendo i conti vediamo che
X
T
CK =
106 CAPITOLO 4. SUPERFICI ALGEBRICHE
(a
11
k +a
12
+a
13
m+ a
14
)x + (a
12
k +a
22
+a
23
m+a
24
)y+
(a
13
k +a
23
+ a
33
m+a
34
)z +a
14
k +a
24
+a
34
m +a
44
e dunque i coecienti di x, y e z sono simultaneamente nulli se, e solamente
se,
_

_
a
11
k +a
12
+a
13
m = a
14
a
12
k + a
22
+a
23
m = a
24
a
13
k +a
23
+ a
33
m = a
34
(4.14)
che a sua volta ha una unica soluzione se, e solamente se,
det
_
_
_
a
11
a
12
a
13
a
12
a
22
a
23
a
13
a
23
a
33
_
_
_ = 0 .
In questo caso, la quadrica ha il punto (k, , m) per centro di simmetria.
Infatti, abbiamo dimostrato il seguente risultato.
Teorema 4.4.1 Una quadrica di equazione 4.11 ha un centro se, e solamente
se,
det
_
_
_
a
11
a
12
a
13
a
12
a
22
a
23
a
13
a
23
a
33
_
_
_ = 0 .
Ricordiamo al lettore che le quadriche a centro sono: lellissoide, gli
iperboloidi ellittici a una o due falde e il cono ellittico.
Una volta eliminati i termini lineari dallequazione generale dobbiamo
eliminare i termini misti in xy, xz e yz. Per questo abbiamo bisogno di fare
una rotazione. Per arontare il problema ci serviamo della nostra esperienza
con le coniche e precisamente, a quanto esposto nella Sezione 3.4. Per una
ragione di completezza della presente sezione, esponiamo in poche righe i
risultati principali ottenuti in 3.4. I termini quadratici dellequazione di una
conica sono racchiusi in una 2 2-matrice Q; questa, essendo simmetrica
ha due autovalori reali (eventualmente coincidenti) dai quali ricaviamo due
autovettori che saranno ortogonali tra di loro se Q = rI
2
; i vettori unitari
associati sono le colonne della matrice di rotazione richiesta. Seguiamo queste
idee nella presente sezione.
Sia
A =
_
_
_
a
11
a
12
a
13
a
21
a
22
a
23
a
31
a
32
a
33
_
_
_
una 3 3-matrice reale data. Questa denisce una funzione
A : V (R
3
) V (R
3
)
4.4. CLASSIFICAZIONE DELLE QUADRICHE 107
(v = (x
1
, x
2
, x
3
) V (R
3
), A(v) =
_
_
_

3
i=1
a
1i
x
i

3
i=1
a
2i
x
i

3
i=1
a
3i
x
i
_
_
_
che `e lineare, ossia tale che
(, R)(v, w V (R
3
))
A(v + w) = A(v) +A( w) . (4.15)
Come per il caso 22, vogliamo trovare gli autovalori e gli autovettori di
una trasformazione lineare A ossia, cerchiamo i possibili numeri reali = 0
e i vettori non-nulli v

V (R
3
) tali che
A(v

) = v

. (4.16)
Si osservi che lequazione 4.16 si scrive in forma matriciale come segue:
_
_
_
a
11
a
12
a
13
a
21
a
22
a
23
a
31
a
32
a
33
_
_
_
_
_
_
x
1
x
2
x
3
_
_
_ =
_
_
_
x
1
x
2
x
3
_
_
_
ossia
_
_
_
a
11
a
12
a
13
a
21
a
22
a
23
a
31
a
32
a
33
_
_
_
_
_
_
x
1
x
2
x
3
_
_
_ =
_
_
_
0 0
0 0
0 0
_
_
_
_
_
_
x
1
x
2
x
3
_
_
_ .
Da questa equazione ricaviamo lequazione matriciale
_
_
_
a
11
a
12
a
13
a
21
a
22
a
23
a
31
a
32
a
33

_
_
_
_
_
_
x
1
x
2
x
3
_
_
_ =
_
_
_
0
0
0
_
_
_
che equivale al sistema lineare omogeneo
_

_
(a
11
)x
1
+a
12
x
2
+ a
13
x
3
= 0
a
21
x
1
+ (a
22
)x
2
+ a
23
x
3
= 0
a
31
x
1
+a
32
x
2
+ (a
33
)x
3
= 0
(4.17)
Ora un tale sistema ha soluzioni non banali se, e soltanto se
det A = 0 ;
sviluppando il determinante, otteniamo il polinomio caratteristico di A:

3
+ (
3

i=1
a
ii
)
2
(

i<j
a
ii
a
jj

i<j
a
ij
a
ji
) + det A = 0 . (4.18)
108 CAPITOLO 4. SUPERFICI ALGEBRICHE
Come nella Sezione 3.4 le radici dellequazione 4.18 sono gli autovalori e i
vettori corrispondenti v

sono gli autovettori di A. Come per il caso 2 2,


le 3 3-matrici simmetriche sono speciali, ma sono pi` u dicili da trattare.
Il passo successivo `e quello di dimostrare che per qualsiasi 3 3-matrice
reale simmetrica A esiste una (3 3)-matrice di rotazione R tale che
R
T
AR =
_
_
_

1
0 0
0
2
0
0 0
3
_
_
_
dove
1
,
2
,
3
sono gli autovalori di A; in altre parole, ci piacerebbe di-
mostrare che qualsiasi 3 3-matrice simmetrica `e diagonalizzabile. Vediamo
come si potrebbe procedere. Sia
1
un autovalore reale di A (esiste perche
lequazione caratteristica di A ha almeno una soluzione reale. Sia v
1
un au-
tovettore corrispondente, che possiamo assumere unitario. Sia w V (R
3
) un
vettore in una direzione diversa dalla direzione di v
1
e prendiamo il vettore
v
2
=
w < w, v
1
> v
1
| w < w, v
1
> v
1
|
.
Il vettore v
2
`e unitario e perpendicolare a v
1
. Finalmente, sia v
3
= v
1
v
2
;
si noti che |v
3
| = 1 e che la matrice R
1
le cui colonne sono appunto i vettori
v
1
, v
2
e v
3
`e di rotazione. Siccome
(R
T
1
AR
1
)
T
= R
T
1
AR
1
la matrice
R
T
1
AR
1
`e simmetrica; allora
R
T
1
AR
1
=
_
_
_

1
0 0
0 b
11
b
12
0 b
12
b
22
_
_
_
perche A(v
1
) =
1
v
1
. Se la matrice simmetrica
B =
_
b
11
b
12
b
12
b
22
_
fosse distinta da una matrice del tipo rI
2
, allora per il Teorema ?? esistireb-
bero due autovalori distinti
2
e
3
di B e una (2 2)-matrice di rotazione
R
2
tale che
R
T
2
BR
2
=
_

2
0
0
3
_
4.4. CLASSIFICAZIONE DELLE QUADRICHE 109
e con questo si avrebbe una matrice
R = R
1
_
1 0
0 R
2
_
tale che
R
T
AR =
_
_
_

1
0 0
0
2
0
0 0
3
_
_
_
Purtroppo non sappiamo se la matrice
B =
_
b
11
b
12
b
12
b
22
_
`e distinta da rI
2
e perci`o non abbiamo una dimostrazione del risultato che
vorremmo avere!
Il risultato che cerchiamo `e vero ma per dimostrarlo sar`a necessario seguire
una linea diversa da quella indicata anteriormente. Ci limiteremo a lavorare
allinterno dello spazio vettoriale reale tridimensionale V (R
3
) ma il lettore
deve avere presente il fatto che i nostri risultati si possono estendere senza
maggiori dicolt`a al caso generale di uno spazio vettoriale reale di dimensione
n.
Cominciamo il nostro lavoro ricordando osservando che il prodotto scalare
`e bilineare, cio`e
(u, v, w V (R
3
))(a, b R)
< au + bv, w >= a < u, w > +b < v + w >,
< u, av +b w >= a < u, v > +b < u, w > .
Diciamo che una trasformazione lineare A : V (R
3
) V (R
3
) `e autoag-
giunta quando
(u, v V (R
3
)) < A(u), v >=< u, A(v) > .
Lemma 4.4.2 Una trasformazione lineare
A : V (R
3
) V (R
3
)
`e autoaggiunta la matrice di A `e simmetrica.
Dimostrazione Indichiamo la matrice di A con la medesima lettera A =
(a
ij
|i, j = 1, 2, 3); inoltre, per semplicare le nostre dimostrazioni indichiamo
i vettori della base canonica di V (R
3
) con e
1
, e
2
e e
3
.
110 CAPITOLO 4. SUPERFICI ALGEBRICHE
:
(i, j = 1, 2, 3)a
ij
=< A(e
i
), e
j
>=< e
i
, A(e
j
) >= a
ji
.
:
(i, j = 1, 2, 3) < A(e
i
), e
j
>= a
ij
= a
ji
=< e
i
, A(e
j
) > . (4.19)
Dati due vettori arbitrari
u =
3

i=1
u
i
e
i
, v =
3

i=1
v
i
e
i
,
dalla bilinearit`a di A e 4.19 concludiamo che
< A(u), v >=< u, A(v) > .
2
Ad ogni trasformazione lineare autoaggiunta A si associa una forma
bilineare simmetrica
B : V (R
3
) V (R
3
) R
((u, v) V (R
3
) V (R
3
))B(u, v) =< A(u), v > . (4.20)
La bilinearit`a di questa forma proviene dalla bilinearit`a del prodotto scalare
e dalla linearit`a di A, inquanto che la simmetria segue dalla autoaggiunzione
di A.
Una forma quadratica `e una funzione
: V (R
3
) R
tale che, per qualsiasi v = (x, y, z) V (R
3
)),
(v) = a
11
x
2
+ 2a
12
xy + 2a
13
xz +a
22
y
2
+ 2a
23
yz +a
33
z
2
.
Dal punto di vista matriciale possiamo scrivere
(v) =
_
_
_
a
11
a
12
a
13
a
12
a
22
a
23
a
13
a
23
a
33
_
_
_
_
_
_
x
y
z
_
_
_
Lemma 4.4.3 Esiste una corrispondenza biunivoca tra linsieme delle trasfor-
mazioni lineari autoaggiunte di V (R
3
) e linsieme delle forme quadratiche a
valori reali denite su V (R
3
).
4.4. CLASSIFICAZIONE DELLE QUADRICHE 111
Dimostrazione Infatti, ad ogni forma bilineare simmetrica
B : V (R
3
) V (R
3
) R
si associa una forma quadratica
Q : V (R
3
) R
denita dallequazione
Q(v) = B(v, v)
per qualsiasi v V (R
3
). Daltro lato, una forma quadratica Q : V (R
3
) R
determina una trasformazione bilineare simmetrica
B(u, v) =
1
2
[Q(u +v) Q(u Q(v)] .
2
Il nostro obiettivo `e dimostrare che per una trasformazione lineare au-
toaggiunta
A : V (R
3
) V (R
3
)
esiste una base ortonormale di V (R
3
) tale che relativamente a questa, A
`e una matrice diagonale. Sia Q lunica forma quadratica associata alla
trasformazione lineare A. Come gi`a fatto di sopra, scriviamo
Q(x, y, z) =
_
_
_
a
11
a
12
a
13
a
12
a
22
a
23
a
13
a
23
a
33
_
_
_
_
_
_
x
y
z
_
_
_ . (4.21)
Vogliamo studiare il comportamento di Q relativamente ad un cambiamento
di coordinate; seguendo le indicazioni della Sezione 2.5, prendiamo un nuovo
sistema di coordinate cartesiane Ox

, Oy

, Oz

tali che i vettori base unitari


siano dati dalle formule
_

= u
1

i + u
2

j +u
3

= v
1

i + v
2

j + v
3

= w
1

i +w
2

j + w
3

k
(4.22)
(cfr. 2.8); dunque, se p V (R
3
) ha coordinate (x, y, z) nel sistema Ox, Oy, Oz
e coordinate (x

, y

, z

) nel sistema Ox

, Oy

, Oz

avremmo
_

_
x = u
1

+ v
1

+w
1

y = u
2

+ v
2

+ w
2

z = u
3

+v
3

+w
3

112 CAPITOLO 4. SUPERFICI ALGEBRICHE


Nel nuovo sistema, la forma quadratica diventa uguale a
(v) = a
11
(u
1

+v
1

+w
1

)
2
+
+2a
12
(u
1

+v
1

+w
1

)(u
2

+ v
2

+w
2

) + . . .
. . . +a
33
(u
3

+v
3

+w
3

)
2
=

11
x
2
+ 2
12
x

+ 2
13
x

+
22
y
2
+ 2
23
y

+
33
z
2
.
A conti fatti, il coeciente
11
assume la forma seguente:

11
= (a
11
u
1
+a
12
u
2
+ a
13
u
3
)u
1
+ (a
12
u
1
+ a
22
u
2
+a
23
u
3
)u
2
+(a
13
u
1
+a
23
u
2
+a
33
u
3
)u
3
.
Per semplicare la notazione scriviamo
_

_
A
1
= a
11
u
1
+ a
12
u
2
+a
13
u
3
A
2
= a
12
u
1
+ a
22
u
2
+ a
23
u
3
A
3
= a
13
u
1
+ a
23
u
2
+a
33
u
3
(4.23)
e dunque,

11
= A
1
u
1
+A
2
u
2
+A
3
u
3
.
Analogamente, otteniamo

12
= A
1
v
1
+A
2
v
2
+ A
3
v
3

13
= A
1
w
1
+ A
2
w
2
+A
3
w
3
.
I coecienti
23
,
22
e
33
sono calcolabili in modo simile, ma non sono
necessari al momento.
La forma quadratica `e detta pura se i coecienti

12
=
13
=
23
= 0 ;
in tale caso la forma quadratica diviene
=
11
x
2
+
22
y
2
+
33
z
2
.
Il problema `e appunto quello di trovare un cambiamento di coordinate tale
che diventi una forma quadratica pura. Un sistema ortogonale di coor-
dinate cartesiane nel quale la forma quadratica `e pura `e detto un sis-
tema principale di assi. Il seguente teorema vale in qualsiasi dimensione; qui
presentiamo la sua dimostrazione nel caso n = 3.
2
2
Osserviamo in particolare che il teorema degli assi principali `e pi` u generale dei
risultati descritti nella Sezione 3.4.
4.4. CLASSIFICAZIONE DELLE QUADRICHE 113
Teorema 4.4.4 (Teorema degli assi principali) Una forma quadratica
ha sempre un sistema di assi principali ossia, esitano sistemi ortogonali di
coordinate cartesiane per i quali pu`o essere scritto come
=
1
x
2
+
2
y
2
+
3
z
2
.
Per giunta, i valori
1
,
2
,
3
sono le radici del polinomio caratteristico 4.18.
Dimostrazione Cominciamo il nostro lavoro imponendo le condizioni
_

11
= A
1
u
1
+A
2
u
2
+ A
3
u
3
=

12
= A
1
v
1
+A
2
v
2
+A
3
v
3
= 0

13
= A
1
w
1
+A
2
w
2
+A
3
w
3
= 0
(4.24)
Siccome la matrice di cambiamento delle coordinate in 4.22 `e ortinormale,
abbiamo anche le seguenti equazioni
_

_
u
2
1
+u
2
2
+u
2
3
= 1
u
1
v
1
+u
2
v
2
+u
3
v
3
= 0
u
1
w
1
+u
2
w
2
+u
3
w
3
= 0
(4.25)
Multiplicando le equazioni 4.25 per e sottraendole dalle equazioni 4.24
si ottiene il seguente sistema omogeneo di equazioni lineari nelle incognite
A
1
u
1
, A
2
u
2
e A
3
u
3
:
_

_
u
1
(A
1
u
1
) + u
2
(A
2
u
2
) +u
3
(A
3
u
3
) = 0
v
1
(A
1
u
1
) + v
2
(A
2
u
2
) + v
3
(A
3
u
3
) = 0
w
1
(A
1
u
1
) +w
2
(A
2
u
2
) + w
3
(A
3
u
3
) = 0 .
(4.26)
Siccome la matrice del sistema 4.26 coincide con la matrice del cambiamento
di coordinate, il suo determinante `e 1 e dunque, il sistema ha soltanto la
soluzione banale, ossia
A
1
= u
1
, A
2
= u
2
, A
3
= u
3
.
Sostituendo questi valori nel sistema di equazioni 4.23 otteniamo un nuovo
sistema lineare
_

_
(a
11
)u
1
+ a
12
u
2
+ a
13
u
3
= 0
a
12
u
1
+ (a
22
)u
2
+ a
23
u
3
= 0
a
13
u
1
+ a
23
u
2
+ (a
33
)u
3
= 0
(4.27)
che esprime le condizioni a cui devono soggiacere le componenti del vettore
unitario

i

(vedere le equazioni 4.22). Il sistema lineare omogeneo 4.27 ha


114 CAPITOLO 4. SUPERFICI ALGEBRICHE
una soluzione non banale soltanto se il determinante della matrice dei coe-
cienti `e nullo; ma tale determinate `e appunto il polinomio caratteristico della
matrice A che `e un polinomio del terzo grado e perci`o ha certamente almeno
una radice reale
1
. Facciamo la sostituzione di per
1
nel sistema 4.27;
otteniamo un sistema omogeneo nelle variabili u
1
, u
2
e u
3
la cui matrice ha
rango 2. Se il rango `e 2, il vettore

`e univocamente denito (a meno del


segno algebrico); se il rango `e 1, allora ci sono innite possibilit`a di scelta
per

i

; in ogni caso, scegliamo



i

e poi prendiamo arbitrariamente due


vettori unitari

j

e

k

in modo che i tre vettori

,

j

e

k

siano ortogonali
tra loro. Questi tre vettori deniscono un sistema ortogonale di coordinate
cartesiane nel quale

11
=
1
,
12
=
13
= 0
e perci`o, la forma quadratica si scrive nella forma
=
1
x
2
+
22
y
2
+ 2
23
y

+
33
z
2
.
Se
23
= 0 siamo arrivati: abbiamo trasformato la nostra forma quadrat-
ica in una forma quadratica pura! (Si osservi che
22
e
33
potrebbero anche
essere uguali.) Supponiamo che
23
= 0. In questo caso manteniamo lasse
Ox

e cerchiamo di fare una rotazione del sistema y

Oz

in modo ad eliminare

23
. Questo `e facile: siccome la matrice reale simmetrica
_

22

23

23

33
_
non `e un multiplo di I
2
per i teoremi 3.4.1 e 3.4.3 esiste un sistema ortogonale
di coordinate Ox
o
= Ox

, Oy
o
, Oz
o
per il quale `e una forma quadratica
pura del tipo
=
1
x
2
o
+
2
y
2
o
+
3
z
2
o
con
1
,
2
e
3
numeri reali.
La prima parte del Teorema degli assi principali `e dimostrata. Ci manca
dimostrare che i numeri reali
2
e
3
sono le radici del polinomio caratter-
istico 4.18 (sappiamo di gi`a che
1
`e una radice di 4.18). Per fare questa
dimostrazione, prendiamo un sistema arbitrario di assi principali nel quale
abbiamo una forma quadratica
=
1
X
2
+
2
Y
2
+
3
Z
2
. (4.28)
Supponiamo che i tre vettori di base del sistema principale siano dati da
_

I = u
1

i + u
2

j +u
3

J = v
1

i +v
2

j + v
3

K = w
1

i +w
2

j +w
3

k
(4.29)
4.4. CLASSIFICAZIONE DELLE QUADRICHE 115
e che la trasformazione al sistema originale sia data dalle equazioni
_

_
X = u
1
x + u
2
y +u
3
z
Y = v
1
x +v
2
y +v
3
z
Z = w
1
x +w
2
y + w
3
z .
Sostituendo questi valori in 4.28 otteniamo
=
1
(u
1
x +u
2
y +u
3
z)
2
+
2
(v
1
x + v
2
y +v
3
z)
2
+
3
(w
1
x + w
2
y + w
3
z)
2
.
Da questa arriviamo allespressione originale
(v) = a
11
x
2
+ 2a
12
xy + 2a
13
xz +a
22
y
2
+ 2a
23
yz +a
33
z
2
nella quale abbiamo i coecienti
a
11
=
1
u
2
1
+
2
v
2
1
+
3
w
2
1
a
12
=
1
u
1
u
2
+
2
v
1
v
2
+
3
w
1
w
2
a
13
=
1
u
1
u
3
+
2
v
1
v
3
+
3
w
1
w
3
a
22
=
1
u
2
2
+
2
v
2
2
+
3
w
2
2
a
23
=
1
u
2
u
3
+
2
v
2
v
3
+
3
w
2
w
3
a
33
=
1
u
2
3
+
2
v
2
3
+
3
w
2
3
.
(4.30)
Sostituendo queste uguaglianze nel polinomio caratteristico 4.18 e ricordando
che la matrice
_
_
_
u
1
u
2
u
3
v
1
v
2
v
3
w
1
w
2
w
3
_
_
_
(dunque valgono le uguaglianze 4.25), 4.18 diventa

3
+ (
1
+
2
+
3
)
2
(
1

2
+
2

3
+
3

1
) +
1

3
= 0
che si fattorizza nella forma
(
1
)(
2
)(
3
) = 0
e dunque,
1
, i = 1, 2, 3 sono le tre radici del polinomio caratteristico.
Si osservi che questo argomento `e valido per qualsiasi sistema di assi prin-
cipali; dunque la forma quadratica ha i medesimi coecienti
i
, i = 1, 2, 3
in tutti i sistemi possibili di assi principali. 2
Lequazione

3
+ (
3

i=1
a
ii
)
2
(

i<j
a
ii
a
jj

i<j
a
ij
a
ji
) + det A = 0
116 CAPITOLO 4. SUPERFICI ALGEBRICHE
`e anche detta equazione secolare; questo nome viene dallAstronomia: infatti,
nella teoria delle perturbazioni delle orbite dei pianeti compaiono equazioni
di questo tipo per misurare le perturbazioni delle orbite, perturbazioni che
si manifestano solo dopo lunghissimi intervalli di tempo.
A questo punto il percorso per classicare le quadriche `e chiaro: (i) dalla
matrice C associata allequazione della quadrica si estrae la matrice Q dei
termini quadratici; (ii) se det Q = 0 la quadrica ha un centro di simmetria le
cui coordinate possono essere calcolate risolvendo il sistema lineare
_

_
a
11
k +a
12
+a
13
m = a
14
a
12
k + a
22
+a
23
m = a
24
a
13
k + a
23
+a
33
m = a
34
;
(iii) in ogni caso si calcolano le radici dellequazione caratteristica proveniente
dalla 3 3-matrice simmetrica Q; queste radici che non sono necessaria-
mente distinte tra loro sono associate a sistemi di assi principali nei quali
lequazione della quadrica assume una forma riconoscibile (vedere 4.3).
4.5 Appendice A - Sistemi di Equazioni lin-
eari
Nella Sezione ?? abbiamo osservato che se prendessimo due rette in R
2
, di
equazioni
ax + by = c e a

x +b

y = c

e se avessimo
det
_
a b
a

_
= 0 ,
allora le rette si incontrerebbero, precisamente nel punto di coordinate (x, y)
date dalle equazioni
x =
det
_
c b
c

_
det
_
a b
a

_
e
y =
det
_
a c
a

_
det
_
a b
a

_
.
4.5. APPENDICE A 117
Passiamo a R
3
. Supponiamo che siano dati tre piani ,

e di
equazioni rispettive
_

_
ax +by +cz + d = 0
a

x +b

y +c

z +d

= 0
ax +by +cz +d = 0
(4.31)
Geometricamente ci sono diverse possibilit`a: o questi piani non si incontrano,
cio`e sono paralleli, o se si incontrano, possono incontrarsi tutti in una sola
retta, o in un solo punto o in due rette parallele.
Anche in questo caso, possiamo sapere, con un metodo puramente algebri-
co, di quale caso geometrico stiamo parlando; il determinante della matrice
dei coecienti del sistema si rivela la pedina essenziale. Invece di studiare il
caso di tre equazioni a tre variabili (tre piani in R
3
) esamineremo il caso n
dimensionale pi` u generale. Il nostro primo risultato `e la cosiddetta Regola di
Cramer
3
Un sistema di n equazioni lineari a n variabili
_

_
a
11
x
1
+a
12
x
2
+. . . +a
1n
x
n
= b
1
a
21
x
1
+a
22
x
2
+ . . . +a
2n
x
n
= b
2
. . . . . . . . .
. . . . . . . . .
a
n1
x
1
+a
n2
x
2
+. . . +a
nn
x
n
= b
n
.
(4.32)
`e detto risolubile se esiste una n
upla
(x
1
, x
2
, . . . , x
n
) di numeri reali - detta
soluzione del sistema - che soddis simultaneamente tutte le equazioni del
sistema. Per esempio, il sistema di equazioni 4.31 denito dalle equazioni di
tre piani `e risolubile se i piani si incontrano in un punto: la soluzione `e data
dalle coordinate del punto di intersezione. Prima di passare alla Regola di
Cramer deniamo, per ogni intero 1 k n la matrice
B
k
=
_
_
_
_
_
_
_
_
a
11
. . . a
1(k1)
b
1
a
1(k+1)
. . . a
1n
a
21
. . . a
2(k1)
b
2
a
2(k+1)
. . . a
2n
. . .
. . .
a
n1
. . . a
n(k1)
b
n
a
n(k+1)
. . . a
nn
_
_
_
_
_
_
_
_
ottenuta dalla matrice A dei coecienti del sistema 4.32 sostituendo gli el-
ementi a
ik
della k
ma
colonna di A rispettivamente per i valori b
i
trovati nel
lato destro del sistema.
3
Gabriel Cramer, matematico svizzero (Ginevra 1704 - Bagnols-sur-C`eze, Nimes, 1752.)
118 CAPITOLO 4. SUPERFICI ALGEBRICHE
Teorema 4.5.1 Se il determinante della matrice A del sistema lineare 4.32
`e diverso da zero (det A = 0) il sistema `e risolubile; inoltre, il sistema ha
una unica soluzione e per ogni k tale che 1 k n,
x
k
=
det B
k
det A
. (4.33)
Dimostrazione Facciamo lipotesi che (x
1
, . . . , x
n
) sia una soluzione di
4.32. Multiplichiamo la i
ma
riga
a
i1
x
1
+ a
i2
x
2
+. . . +a
in
x
n
= b
i
per (1)
i+k
det A
ik
; otteniamo luguaglianza
n

j=1
a
ij
(1)
i+k
det A
ik
x
j
= b
i
(1)
i+k
det A
ik
.
Ora lasciamo variare lindice i da 1 a n e facciamo la somma di tutte le
uguagliane ottenute:
n

i=1
(
n

j=1
a
ij
(1)
i+k
det A
ik
x
j
) =
n

i=1
b
i
(1)
i+k
det A
ik
.
La somma alternata del lato destro dellultima uguaglianza `e lespansione del
determinante di B
k
via la colonna k ossia,
n

i=1
b
i
(1)
i+k
det A
ik
= det B
k
;
daltro canto
n

i=1
(
n

j=1
a
ij
(1)
i+k
det A
ik
x
j
) =
n

j=1
(
n

i=1
a
ij
(1)
i+k
det A
ik
)x
j
e
n

j=1
(
n

i=1
a
ij
(1)
i+k
det A
ik
)x
j
=
n

j=1

jk
(det A)x
j
= x
k
det A .
Questo dimostra che x
k
ha la forma annunciata 4.33.
Supponiamo ora sia data una n
upla
(x
1
, . . . , x
n
) di numeri reali tali che,
per qualsiasi 1 k n,
x
k
=
det B
k
det A
ossia,
det Ax
k
=
n

i=1
(1)
i+k
b
i
det A
ik
4.5. APPENDICE A 119
. Multiplicando questa ultima uguaglianza per a
jk
e facendo la somma per
k otteniamo
det A
n

k=1
a
jk
x
k
=
n

i=1
(
n

k=1
(1)
i+k
a
jk
det A
ik
)b
i
e perci`o,
det A
n

k=1
a
jk
x
k
=
n

i=1

ij
(det A)b
i
ossia, abbiamo la i
ma
riga del sistema 4.32. 2
Torniamo ora al sistema 4.31 dei tre piani. Supponiamo che i piani e

siano paralleli e che il terzo piano tagli i primi due in due rette parallele
= e

. Da queste condizione concludiamo che i vettori


normali ai piani e

ossia, (a, b, c) e (a

, b

, c

) sono paralleli e dunque il


determinante della matrice dei coecienti di 4.31 `e nullo (vedere il Teorema
1.5.6). In questo caso, non possiamo applicare la regola di Cramer come ci
aspettavamo, ma possiamo trovare le equazioni (parametriche) delle rette
e

. Concentriamoci nel caso . Abbiamo un sistema lineare a due equazioni


e tre variabili
_
ax +by +cz = d
a

x +b

y +c

z = d

(4.34)
che ha soluzioni nel senso che esistono terne di numeri (x, y, z) che soddisfano
siltaneamente le due equazioni; infatti abbiamo innite soluzioni perche i
piani si incontrano in una retta. Tramite la nostra familiarit`a con i vettori
reali possiamo facilmente trovare le equazioni parametriche di ; cerchiamo
per`o un altro metodo. La (2 3)matrice del sistema
_
a b c
a

_
ha tre possibili (2 2)-sottomatrici:
4
_
a b
a

_
,
_
a c
a

_
e
_
b c
b

_
.
Certamente una di queste (2 2)-matrici ha determiante diverso da zero
(perche?); supponiamo che
det
_
a b
a

_
= 0 .
4
La denizione di sottomatrice si trova pi` u avanti nel testo.
120 CAPITOLO 4. SUPERFICI ALGEBRICHE
Ora diamo a z il valore z = m che consideriamo come un parametro e
cerchiamo la soluzione del sistema
_
ax +by = d cm
a

x + b

y = d

m
tramite la Regola di Cramer: abbiamo
_
_
_
x =
b

(dcm)b(d

m)
ab

b
y =
a(d

m)a

(dcm)
ab

b
e da queste otteniamo le equazioni parametrice di :
_

_
x =
bd

d
ab

b
+ m
bc

c
ab

b
y =
a

dad

ab

b
+ m
a

cac

ab

b
z = m .
Si osservi che se i tre piani del sistema 4.31 sono paralleli, questi non si
incontrano; inoltre, det A = 0 e non esiste nessuna (2 2)-sottomatrice di A
con determinante non nullo.
Sia A una (m n)-matrice reale; una (p q)-matrice B, con p m,
q n, `e detta una sottomatrice di A se B `e ottenuta da A eliminando mp
righe e n q colonne di A. Il rango di A (rango (A)) `e il pi` u grande intero
r per il quale esiste una (r r)-sottomatrice di A con determinante diverso
da zero.
Diamo un esempio numerico esplicito. Sia A la matrice
_
_
_
_
_
2 3 1 1 0
0 1 7 1 4
1 2 4 0 2
2 2 6 2 4
_
_
_
_
_
;
unanalisi dei determinanti delle sottomatrici possibili ci porta alla conclu-
sione che il rango di A `e 2: per esempio,
det
_
0 1
1 2
_
= 1 .
Per trovare questo risultato abbiamo calcolato i determinanti di tutte le
(44) e (33)-sottomatrici di A; evidentemente, un tale metodo non `e ideale.
Per`o `e possibile studiare il problema del rango di una matrice in forma pi` u
sistematica ed in modo di ridurre la matrice ad unaltra matrice per la quale
il rango `e facilmente individuato. Passiamo ad esporre queste idee. Una
trasformazione elementare di una matrice A `e un modo di trasformare A in
una matrice B tramite una delle seguenti operazioni:
4.5. APPENDICE A 121
(e1) cambiare tra di loro due righe (o colonne);
(e2) multiplicare una riga o colonna per una costante = 0;
(e3) multiplicare una riga (o colonna) per una costante = 0 e sommare il
risultato ad unaltra riga (o colonna).
Il risultato seguente `e essenziale:
Teorema 4.5.2 Sia A

una matrice ottenuta da una matrice A per una


qualsiasi trasformazione elementare. Allora, rango (A

) = rango (A).
Dimostrazione La dimostrazione `e semplicissima per i primi due tipi
(e1), (e2) di trasformazione elementare; il terzo tipo richiede un certo lavoro.
Supponiamo che la matrice A

sia ottenuta multiplicando la prima riga di A


per c = 0 e sommando il risultato alla seconda riga. Sia B

una qualunque
(kk)-sottomatrice di A

con k > rango (A). Ci sono tre casi da considerare:


1. B

contiene parte della prima riga di A

ma non contiene nessun ele-


mento della seconda riga di A

. Allora B

`e una (k k)-sottomatrice
di A e dunque, det B

= 0 perche k > rango (A).


2. B

contiene parte della prima e della seconda riga di A

; in questo caso,
det B

= det B +c det D con B una (k k)-sottomatrice di A (dunque


det B = 0) e D una sottomatrice di A con due righe uguali (dunque
det D = 0). Allora det B

= 0.
3. B

contiene parte della seconda riga ma non la prima riga di A

. Allora,
B

= cB con B avente due righe uguali e perci`o, det B

= 0.
Questo argomento ci permette di concludere che
rango (A

) rango (A) .
Daltro canto, si capisce che da A

possiamo tornare alla matrice A tramite


una trasformazione elementare e perci`o,
rango (A) rango (A

) .
Le due disuguaglianze di sopra hanno come conseguenza che
rango (A

) = rango (A) .
2
122 CAPITOLO 4. SUPERFICI ALGEBRICHE
Il teorema anteriore permette di trasformare una (mn)-matrice A in una
matrice A

di medesimo rango, con A

in forma triangolare cio`e, tale che tutti


gli elementi di A

sotto la diagonale principale (la diagonale che contiene gli


elementi di indici ii) siano nulli. Formaliziamo questo fatto come un teorema.
Teorema 4.5.3 Sia A = (a
ij
|1 i n, 1 j m) una matrice data; per
mezzo di trasformazioni elementari la matrice A pu`o essere trasformata in
una matrice A

tale che
(i) rango (A

) = rango (A) ,
(ii) (2 i n)(j < i)a

ij
= 0 .
Dimostrazione La prima parte `e il Teorema 4.5.2. Per la seconda, pro-
cediamo in modo sistematico come segue. Se lelemento a
11
= 0 usiamo
trasformazioni di tipo (e3) per trasformare in zeri tutti gli altri elementi
della prima colonna. Supponiamo che a
11
= 0; al meno uno degli elementi
della prima colonna di A deve essere non nullo (altrimenti eliminiamo ques-
ta inutile colonna di zeri). Con una trasformazione (e1) mettiamo la riga
corrispondente a questo elemento non nullo nel posto della prima riga e poi
procediamo come nel caso a
11
= 0. 2
4.6 Bibliograa
Bibliograa
[1] Abate, M. Geometria, McGraw-Hill Italia, Milano 1996.
[2] Betti, R. Lezioni di Geometria, Parte seconda, Masson, Mialano 1996.
[3] Hilbert, D. The Foundations of Geometry (translation by
E.J.Townsend), The Open Court Publishing Co., La Salle, Ill.,
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