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Paolo Guerrieri (IAI e Universit La Sapienza di Roma) Grazie molte per questo invito e questa possibilit di scambiare insieme

a voi alcune considerazioni che poi si inseriscono in una serie di valutazioni che sono state date in questa prima sessione. Io volevo mettere a fuoco tre argomenti, che mi sembrano possano essere utili come riflessione che possiamo fare insieme. La prima considerazione la fase che stiamo attraversando, vale a dire il fatto che ci troviamo in uno scenario chiamiamolo dopo-crisi ma in realt uno scenario che vede una ripresa relativamente modesta, piena di incertezze e che quindi disegna, in qualche maniera, un futuro a dir poco tuttaltro che di uscita dalla crisi. Questa fase importante perch, secondo me, lincertezza deriva dal fatto che iniziata una nuova fase della globalizzazione. Qui, come al solito, le definizioni possono essere tante ma io credo che (e questo volevo fare) si possono individuare sostanzialmente fino a oggi due fasi della globalizzazione: quella del dopoguerra che ha visto gli Stati Uniti e lEuropa dominare la scena mondiale (il 60-65 per cento del prodotto mondiale veniva dagli Stati uniti e dallEuropa, questi sono gli anni Cinquanta, gli anni Sessanta, gli anni Settanta). Questa prima fase di chiude, per una serie di fattori, e inizia una fase due della globalizzazione; una fase molto diversa perch a questo punto caratterizzata dallingresso dellAsia del Pacifico allinterno di questo gioco a due. Stati uniti ed Europa dal 60 passano al 40 per cento della produzione mondiale; il resto viene, in qualche modo, conquistato dallAsia del Pacifico, che inizialmente non la Cina, come sappiamo: in realt il discorso parte dal Giappone, poi investe una serie di paesi (la Corea del Sud, Singapore, la Malesia) e poi arriva la Cina. La Cina un fatto soprattutto che riguarda gli anni Novanta e questi ultimi dieci anni. Questa seconda fase della globalizzazione si chiude con la crisi. La crisi segna una discontinuit perch apre una fase tre della globalizzazione (di cui poi vorrei parlare) e che una fase in cui, a questo punto, non solo pi il polo asiatico a entrare in gioco ma il polo asiatico libera una serie di poli, in qualche modo, in America Latina, nel Nord Africa, nellEst europeo per cui entriamo in un sistema multipolare, un sistema che nasce, quindi, sostanzialmente dalle ceneri del bipolarismo transatlantico, vede una fase di transizione e oggi siamo in un sistema multipolare. Qual il problema di questo sistema multipolare? Che questa fase di transizione tutta aperta. In altri termini e ne possiamo discutere non difficile individuare lo sbocco di questa fase, dove arriveremo. Arriveremo in una situazione di ripartizione del potere economico mondiale dove Stati uniti ed Europa torneranno ad avere una quota che stimabile intorno al 25-28 per cento. Quindi una discesa: 60, 40, 25-28 per cento. Questa quota significa sostanzialmente che il sistema multipolare ha un effetto scontato, una redistribuzione del potere economico mondiale verso lAsia del Pacifico ma non solo: verso una serie di aree che, a questo punto, trainate sostanzialmente dal polo asiatico, sono entrate a far parte del gioco della globalizzazione.

Scontato dove andiamo, dove arriveremo; tuttaltro che scontato come ci arriveremo. Il problema vero di questi anni che ci di fronte quale aggiustamento Europa e Stati uniti metteranno in campo, chi pagher allinterno di questi paesi i costi di questo aggiustamento. La scelta di giocare questa partita del sistema multipolare secondo me per lEuropa, per lItalia una scelta obbligata, non c unaltra opzione e ne parleremo . Il problema per che questa opzione ha tante varianti per quanto riguarda laggiustamento da mettere in campo. Chi pagher questi costi? Questo perch non un gioco che pu essere considerato un gioco che dar a tutti di pi. Ci sar la possibilit di avere di pi ma con aggiustamenti. Questo a grandi linee il quadro oggi, dove siamo? Abbiamo vissuto una crisi drammatica che ha colpito tutta larea sviluppata nel suo insieme. Come vedete, dal dopoguerra non era mai avvenuto che leconomia mondiale conoscesse un meno come crescita. la prima volta in questi sessantanni, quello che successo nel 2009, quindi leconomia mondiale precipitata in una recessione perch i suoi motori, che restano fondamentali (Stati uniti ed Europa), sono precipitati in una fase recessiva. Abbiamo evitato una nuova grande depressione. Questo un dato di fatto importante. Come? Attuando delle straordinarie, per intensit ed estensione, politiche espansive sia fiscali sia monetarie. La differenza dagli anni Trenta sta tutta qui. Negli anni Trenta uno shock di pari entit, qual quello che abbiamo vissuto nel 20082009, venne, in qualche modo, non contrastato ma addirittura accompagnato da politiche che ne peggiorarono limpatto. Infatti, si fecero politiche di austerit nel 31, nel 32 e leconomia americana e poi il mondo precipit nella crisi che sappiamo. Quello che successo di nuovo e di diverso, questa volta, che si sono messi in campo, negli Stati uniti, in Asia, in parte in Europa, massicce politiche di spesa dal punto di vista della politica fiscale, massicce politiche di espansione monetaria andando oltre ogni tradizione. Quello che nei libri di testo sottolineato come non fare, cio attuare una somma di espansione fiscale e di espansione monetaria, stato fatto. E questo ha evitato la seconda grande depressione. Questo un dato importante da sottolineare perch adesso tornano fuori quelli che cominciano a dire: ma in fondo a che servito? No, servito perch noi avremmo avuto dei tassi di disoccupazione, dei crolli recessivi due o tre volte superiori a quelli che abbiamo registrato. Le simulazioni che si fanno negli Stati uniti e in Europa ci dicono questo. Senza questo massiccio intervento fiscale e monetario, saremmo andati e precipitati dritti dritti in una nuova grande depressione. Queste politiche hanno provocato un rimbalzo in positivo, hanno arrestato la caduta e hanno in qualche modo riavviato la domanda. Vedete qui il dato Mondo 2010. Ci dice che da 0,8, lattesa questanno 4,1. un tasso non stratosfericamente alto per, anche comparato con il passato, relativamente soddisfacente. Il problema, tuttavia, soprattutto uno. Questo tasso stato assicurato da spesa pubblica pi espansione della politica monetaria. Non c crescita del sistema internazionale e dei poli che lo compongono che si possa basare su spesa pubblica ed espansione monetaria. Non funzionano cos i sistemi in cui viviamo: perch si

abbia crescita, a un certo punto la spesa privata (consumi pi investimenti) deve diventare il motore della crescita. Allora il problema che stiamo vivendo che in realt questa staffetta da politiche economiche espansive verso una spesa privata in grado di tornare su dinamiche tali da sostenere la crescita negli Stati uniti ed Europa, questa staffetta in realt ancora tutta da creare.Il livello dei consumi e degli investimenti negli Stati uniti (in particolare privati) ancora insufficiente a tenere su la crescita. Quindi la situazione che stiamo vivendo che questo stimolo sta gradualmente venendo meno perch gli effetti positivi stanno diminuendo. A questi effetti positivi non sta subentrando un nuovo stimolo dalla spesa privata. Quindi quello che ci si aspetta come vedete un rallentamento che gi in essere negli Stati uniti, che si propagher al resto e in particolare in Europa. Per cui noi, fine anno/inizio prossimo anno, entreremo in una situazione di forte frenata. Se va bene, questa frenata rimarr, in qualche modo, contenuta, e allora questa previsione +3,1 dimostra un assestamento verso il basso ma pur sempre una dinamica modesta di crescita. Negli Stati uniti +1,5, in Europa +1. Sono cifre drammaticamente basse che per denotano comunque che, nello scenario pi ottimistico, il rallentamento c, ma rimane una modesta crescita che sfiora la stagnazione. Nello scenario pi negativo, che viene chiamato double dip, (il doppio tuffo), dopo la prima recessione 20082009, il secondo tuffo sarebbe nella prima fase del 2011. Si teme che, se qualche incidente di percorso avviene, questo rallentamento, abbassamento, in realt, non si assesti su +1 o +1,5 ma possa precipitare di nuovo in un meno negli Stati uniti e di rimbalzo ne parliamo in Europa, perch lEuropa totalmente a traino degli Stati Uniti, a traino della domanda mondiale (export-oriented growth). La situazione 60 per cento assestamento pi 1; 40 per cento situazione di meno. Questa la stragrande parte delle previsioni che oggi trovate. Fondo monetario, Ocse, privati, grossomodo non c grande divisione. La divisione che nessuno sa, se riusciremo a mantenere questo +1, +1,1 o se in realt si possa precipitare in una nuova fase di recessione. Ma perch questi scenari cos poco rassicuranti? Perch questi scenari che continuano a dirci che al meglio potremmo avere una domanda praticamente quasi piatta? Il problema che questa crisi non una crisi come si dice come le altre, perch di situazioni di crisi anche recessive ne abbiamo viste in questi sessantanni. Questa in realt una crisi tutta particolare perch nasce fondamentalmente dagli squilibri di bilancio che si sono accumulati in questi anni, che sono poi di due tipi sostanzialmente. C uno squilibrio di bilancio che riguarda i privati, le famiglie e le banche, le istituzioni finanziarie. Per cui per una serie di anni, perlomeno dieci, si speso a debito. Le famiglie americane continuavano a consumare ma in realt non avevano i redditi per farlo. Si indebitavano perch era molto facile farlo. Costava poco e se ne trovava quanto si voleva di credito. Ma anche le istituzioni finanziarie che a questa domanda hanno fatto fronte, hanno giocato sul fatto, a loro volta, di creare attivit finanziarie per lucrare in un sistema di profitti che poi si dimostrato un castello di carte.

Quindi primo problema: questo debito va smaltito. Non ci sar ripresa se non nel momento in cui questi bilanci torneranno a dimensioni fisiologiche Che abbiamo fatto in questi due anni? Abbiamo sostituito il debito pubblico al debito privato. Non si poteva fare altrimenti, perch la disoccupazione al 15-18 per cento non era unalternativa. Adesso, comunque, non si pu andare avanti in questoperazione di sostituzione perch il debito pubblico, come sappiamo, salito dappertutto. LItalia, insieme ad altri pochi paesi, aveva un debito superiore al cento per cento del Pil da molti anni ed eravamo una specie di maglia nera. Ecco, quello che era la maglia nera dellEuropa e dellarea sviluppata diventata in realt una situazione che vede molti altri paesi sulla stessa strada. Negli Stati uniti il debito era al 60, sta marciando verso il 90 per cento, mediamente lEuropa sta accumulando debito. Attenzione per. Ben diversa la storia i paesi hanno sperperato debito pubblico per pagare i costi del loro welfare. Questaffermazione priva di qualunque fondamento. Il debito pubblico sale in questi anni, in questi tre anni, per porre riparo a un debito privato assolutamente insensato che era stato accumulato. un debito pubblico che fa da tampone. Il che non cambia la situazione, comunque va fronteggiato, per affermare che oggi i debiti pubblici sono elevati in molti paesi (lasciamo adesso stare lItalia) perch si speso oltre i propri mezzi, unaffermazione assolutamente senza alcun rigore. Questo non toglie che questi debiti pubblici pongono un problema. Quindi quello che lEuropa e gli Stati Uniti stanno fronteggiando, ma in particolare gli Stati Uniti, un dato di questo genere. La spesa privata langue perch ci sono forti debiti ancora da smaltire e quindi i consumatori non consumano. Il consumatore americano, che per anni ha tenuto su tutto, a questo punto non ce la fa perch deve, in qualche modo, fronteggiare carte di credito che gli chiedono rientri, banche che gli chiedono rientri e soprattutto ha una casa il cui valore sta diminuendo e non come negli ultimi quindici anni prima della crisi aumentando gli dava la possibilit di spendere. LEuropa (se leviamo la Spagna, leviamo lIrlanda, leviamo qualche paese) non ha fatto come gli Stati Uniti. La Germania non ha una bolla immobiliare, lItalia di fatto non lha avuta, per adesso ne parliamo lEuropa fisiologicamente incapace di alimentare una sua crescita autonoma, a rimorchio della domanda mondiale. Naturalmente tutto questo fa capire il dato della disoccupazione che purtroppo un dato elevatissimo, che si riusciti a fermare rispetto al baratro del 15-16 per cento, che a un certo punto si prospettato, ma rimane a livelli, negli Stati uniti, del 10,5 per cento, ma questa una media. Quello che preoccupa che questa disoccupazione negli Stati uniti una disoccupazione prevalentemente a lungo termine. In altri termini, i disoccupati americani sono disoccupati che con grande probabilit non rientreranno nel mercato del lavoro. Questa una dimensione sociale gravissima. Se volete, gli stadi della crisi sono stati una crisi finanziaria prima, e questa crisi finanziaria in larga parte rientrata; una crisi economica che stata la recessione e poi questa ripresa anemica; e poi c il terzo stadio, la crisi sociale. La crisi sociale appena cominciata,

negli Stati uniti e in Europa, perch la crisi sociale il riflesso dei costi di questo tipo di transizione/aggiustamento. Questa crisi negli Stati uniti e in Europa ancora tutta da gestire. Quello che sappiamo che la disoccupazione, almeno fino al 2013-2014, con questi tassi di crescita non solo non diminuir ma si teme possa, in qualche maniera, continuare ad aumentare. La situazione, quindi, dellarea sviluppata una situazione di questo genere: una crisi recessiva che viene da lontano, che una crisi, in qualche maniera, alimentata da una crisi finanziaria del debito ma che poi sfocia in una crisi reale e quindi d luogo a quello che sappiamo sul piano della domanda. Quindi il problema degli Stati Uniti e dellEuropa che la crisi una crisi da domanda. Non c domanda di produzione e servizi. Non si sa come alimentare la domanda di produzione e servizi, perch naturalmente la soluzione europea, la Germania che esporta, una soluzione che andrebbe bene se ci fosse poi qualcuno, come stato per anni il caso degli Stati Uniti, che sostenesse questa crescita. Ma in realt ( questa la storia della globalizzazione che entra nella terza fase) noi siamo in una fase in cui quello che avvenuto per anni, gli Stati Uniti motore nelleconomia mondiale con i loro debiti e i loro deficit, non pi procrastinabile. Allora qui vengo allaltro tema importante, che in parte al centro della nostra riflessione. Ma i mercati emergenti, la Cina, lIndia, il Brasile, non sono loro i nuovi motori della crescita? In qualche modo in atto uno sviluppo di nuovi motori. Per il caso della Cina gi una realt di fatto, lIndia una realt in essere, lAmerica Latina, il Nord Africa. Questi motori sono importanti perch ci fanno capire dove arriveremo: a uneconomia multipolare in cui la crescita non verr pi dagli Stati uniti o dallEuropa ma sar, in qualche modo, una crescita a livello mondiale che alimentata da questi poli. Per ci dobbiamo arrivare, perch la situazione di oggi che questi poli nuovi sono ancora troppo gracili per poter fare loro da locomotiva delleconomia mondiale. La fase di transizione che stiamo vivendo una fase quindi che vede un passaggio da un sistema bipolare verso un sistema multipolare ma in cui, in realt, la locomotiva rimane fondamentalmente, per ragioni di numeri lAmerica. Il consumo americano nove volte il consumo della Cina. Se prendiamo i tassi di cambio, attenzione, perch qui come al solito i numeri ballano perch si usa, e giustamente per certe cose, convertire i dati delle varie monete in parit di potere dacquisto. Che significa: io voglio sapere quanto costa un hamburger in Cina e quanto costa negli Stati uniti, perch per capire il potere del reddito i prezzi sono importanti. Giustissimo. Per capire qual il reddito pro capite in Cina va usato quel dato. Ma attenzione. Per capire il contributo della Cina alla domanda mondiale, quel dato fasullo perch quel dato non mi dice quante macchine, quanti frigoriferi pu acquistare con limportazione. Devo usare i tassi di cambio correnti. E allora, se uso questi tassi di cambio correnti, viene fuori questa fotografia: i nuovi motori stanno crescendo. Guardiamo gli andamenti che riguardano, da un lato, i sei paesi pi ricchi oggi il G6 (cio Stati uniti, Giappone, Francia, Germania, Regno Unito e Italia). e prendiamo il 2007-2008. La differenza tra questi paesi e i B6 (sono

i nuovi motori: la Cina, lIndia, il Brasile, la Russia, la Corea del Sud e il Messico), per quanto vale il consumo un gap ancora forte. La tendenza da qui a quindici anni che questi paesi, sviluppando i tassi di crescita che attualmente stanno sviluppando (e non c ragione per dubitare che, in qualche maniera, ci saranno aggiustamenti) sono destinati a diventare fonti del consumo altrettanto importanti dei paesi oggi pi ricchi. Questa una svolta epocale perch sono circa duecentocinquanta anni che il consumo nasce negli Stati uniti e in Europa, in Europa e negli Stati uniti. Poi fine anni Ottanta/anni Novanta arriva lAsia del Pacifico. Il sistema multipolare sar un sistema profondamente diverso. La novit che una volta si muovevano le merci, si muovevano i capitali, si muovevano gli uomini. Oggi, da diversi anni, la globalizzazione qual quella che conosciamo fa muovere gli impianti di produzione. La novit assoluta di questa globalizzazione che una globalizzazione della produzione manifatturiera e dei servizi. Questo ha cambiato tutto. Se non cogliamo questo aspetto, non si riesce a capire in che cosa questa globalizzazione diversa dalla globalizzazione che abbiamo conosciuto nel passato. Anche se molti problemi si riaffacciano in molti casi con valenza molto simile. Che vuol dire la globalizzazione della produzione? Non un fatto politico, attenzione. Chi afferma che stato il Wto a far nascere la globalizzazione fa unaffermazione di assoluta pochezza dal punto di vista della ricostruzione storica. Non la politica che ha creato questo tipo di cose: sono i cambiamenti tecnologici, come sempre avvenuto in fasi epocali storiche, che hanno determinato la rottura di certi assetti. A un certo punto sono comparse tecnologie per cui quello che io facevo in trenta chilometri (e lo dovevo fare in trenta chilometri perch se non concentravo non ero competitivo), a un certo punto lho potuto riprodurre su centinaia, migliaia di chilometri. Anzi, se io non spezzettavo il processo e non riallocavo le fasi secondo queste convenienze, io ero in qualche modo tagliato fuori dal mercato. I vantaggi di costo che si possono avere frammentando e riallocando, vanno in certi settori dal 50 all80 per cento del costo di produzione. Questo tipo di cambiamento la politica lo ha cavalcato dopo, ma la rottura una rottura tecnologica. Questo ci fa capire perch la globalizzazione un fenomeno molto pi resistente a certi shock di quello che in un primo tempo abbiamo creduto. Dietro ci sono le convenienze delle imprese, la possibilit di aumentare i profitti. Allora il problema fondamentale della globalizzazione questo dato di cui dobbiamo tener conto. E che vuol dire che si fa cos? Che il manifatturiero va tutto, in Vietnam? Queste sono stupidaggini. Le imprese tedesche non hanno mandato il manifatturiero in Cina. Che cosa hanno fatto? Perch le imprese tedesche sono oggi imprese che ridominano la situazione mondiale? Primo, perch sono grandi, sono imprese medio-grandi. Questo mettiamocelo bene in testa che non una cosa che si pu considerare unopzione. Ci possiamo raccontare le cose che vogliamo, per un pezzo fondamentale della struttura produttiva tedesca fatta di imprese medio-grandi. Poi ci sono le piccole che sono fondamentali nel sistema.

Secondo, hanno fortemente internazionalizzato la loro produzione. Hanno fondamentalmente riallocato una serie fondamentale di fasi della produzione soprattutto nellEst europeo. La Polonia, la Slovacchia, lUngheria sono i luoghi dove le imprese tedesche hanno riorganizzato la loro produzione. Con quali effetti in patria? Non la desertificazione, attenzione, ma il cambio di passo. Quello che si fa in Germania oggi qualitativamente e tecnologicamente molto pi avanzato di quello che si faceva dieci anni fa. I servizi alla produzione delle imprese manifatturiere tedesche pesano oltre il 50 per cento sui costi del manifatturiero. Servizi, attenzione, servizi, che sono il polmone fondamentale per gestire questa nuova dimensione della frammentazione della produzione. Allora il problema chiave questo. iniziata una fase di transizione in cui, da un lato, per la prima volta dopo duecentocinquanta anni, il Sud del mondo sta diventando un grande polo manifatturiero. Gli investimenti, che andavano tutti in Europa e negli Stati uniti, da quindici anni a questa parte stanno andando verso il Sud, ma questa una cosa che noi abbiamo anche auspicato perch abbiamo detto che il 20 per cento della popolazione mondiale non poteva consumare l80 per cento delle risorse. Quindi cominciamo a prendere atto del fatto che in atto una redistribuzione della capacit manifatturiera. Quando si legge questo fenomeno, si hanno tre reazioni. La prima: questo sar un gioco sicuramente a somma zero. Quindi va contrastato, quindi lotta dura per evitare qualunque tipo di riorganizzazione che significhi una nuova divisione del lavoro, perch lItalia, lEuropa hanno solo da perdere. Questa una lettura che porta ad un arroccamento sulle posizioni cercando di rispondere colpo su colpo: se c bisogno, il protezionismo; se c ancora pi bisogno, penalizzare chiunque si azzardi a fare un investimento Contro questa posizione c laltro estremo che invece vede in questa redistribuzione qualche cosa che poi avr un suo aggiustamento naturale e che porter a un gioco a somma positiva. I consumi della Cina, dellIndia, del Brasile aumenteranno la produzione dellEuropa e degli Stati Uniti; e quindi noi potremo, se asseconderemo pienamente questo tipo di redistribuzione, giovarci di questo fondamentale assetto che si sta ridisegnando. Questa una visione panglossiana perch poi alla fine dice: che si deve fare? Niente perch bisogna in realt non contrastare queste tendenze fondamentali di aggiustamento. Guai a contrastare la grande impresa, guai a negoziare, anzi tappeti rossi nel momento in cui vengono poste delle opzioni. Queste sono due letture estreme secondo me tutte due, fondamentalmente sbagliate. Non che non contengano elementi di verit. Questa la difficolt poi di scegliere contiene elementi di verit la visione tutta negativa di chi dice: no, qui si va solo a perdere perch fa capire che, in realt, non pu essere una redistribuzione a cui si assiste e basta perch, se si fa questo, i contraccolpi possono essere deleteri. Anche la visione allopposto di chi in realt dice assecondiamo; anzi anticipiamo, acceleriamo contiene elementi di verit, perch o noi cavalchiamo londa lunga, oppure non c dubbio che lEuropa sconfitta.

LEuropa e lItalia che si arroccano sono destinate a una sicura sconfitta perch il mondo, perch il nuovo mondo non aspetter noi. I tempi non li dettiamo pi noi in queste cose. Allora anche la terza visione secondo me ha un elemento forte che quello di dire: un gioco che bisogna accettare. Non c unaltra opzione. Non possiamo dire alla Cina e allIndia: fermatevi o fatevi le cose per conto vostro, perch qui stiamo parlando di miliardi di persone che per la prima volta si sono affacciate da una situazione di minima sopravvivenza a una possibilit di consumo. Stanno realizzando quello che abbiamo realizzato decenni e decenni fa, cio si stanno comprando quei beni strumentali fondamentali che riguardano la persona, la casa. Questo meccanismo non lo fermiamo. Se c una cosa patetica dellEuropa lidea che possa dettare i tempi della globalizzazione. Le riunioni che si fanno a Bruxelles sono patetiche in questo: non ce ne siamo resi conto che non siamo pi lombelico del mondo. Noi dobbiamo confrontarci, noi Italia e noi Europa, con questo tipo di redistribuzione in atto, perch ancora una volta non dettato solo dalle scelte politiche ma dettato da qualcosa di molto pi complesso. La rivoluzione industriale non nata dalla politica. La rivoluzione industriale, nella met del Settecento, nasce da profondi sconvolgimenti che hanno una natura tecnologica dopo arriva la politica, poi arriva la dinamica sociale. Dobbiamo, quindi, accettare la sfida. Ma che significa accettare la sfida? Fondamentalmente significa definire modalit e costi di questo aggiustamento. Chi paga i costi di questo aggiustamento in Europa e in Italia? Questo tutto da definire, ma sicuramente dovremo pagare dei costi. Anche se poi c la possibilit di ritorni che siano in grado di compensare in maniera fondamentale questi costi. Nella visione naturalmente panglossiana, i costi li pagano i soliti, cio li devono pagare fondamentalmente la forza lavoro e chi pi ha, meno paga. La ristrutturazione a questo punto diventa un fenomeno con risvolti sociali enormi, drammatici. Ma si pu rispondere con larroccamento? No. Con larroccamento si risponde semplicemente accettando uno smottamento graduale, cio vedendo piano piano franare questo terreno per cui quello che io riesco a fare rinviare di un po questa sentenza, che poi diventa in qualche modo definitiva. Allora c la necessit di accettare questa sfida avendo un progetto. E quello che in parte ha fatto la Germania. Le imprese tedesche hanno risposto alla ristrutturazione con attenzione non la delocalizzazione e basta. Questa unaltra lettura veramente lasciatemi dire di bassissimo livello. Linternazionalizzazione nel paese tedesco una cosa molto pi complicata che spostare un pezzo di quello che faccio dove costa poco. Questo un modo di internazionalizzarsi di chi non ha chance, di chi non ha possibilit, delle imprese decotte?. Linternazionalizzazione una cosa pi complessa perch una rilocalizzazione che mi d la possibilit di reinvestire sul territorio, di ri-lanciare unattivit produttiva sul territorio, certo accettando cambiamenti

fondamentali che sono questo connubio con i servizi, che sono la scelta delle tecnologie digitali, che sono la scelta della ricerca e della tecnologia legata alle imprese: piccola, media, grande. Questo un passaggio obbligato. I tedeschi se lo sono fatto sostanzialmente creando tutto nel territorio, una serie di fondamentali polmoni che forniscono alle piccole imprese il capitale, il know-how di cui hanno bisogno. Gli istituti tecnici non li hanno chiusi, la formazione professionale non lhanno mandata alla deriva. Allora da queste cose bisogna ripartire, accettando la nostra vocazione manifatturiera ma innovando. Io posso produrre unaltra lavatrice, la lavatrice che mi d la possibilit di inglobare dentro un prodotto digitale per cui quella diventa una sorta di computer di casa. Ma se io non ho linvestimento nella digitalizzazione, ma che razza di manifatturiero penso di poter fare? Qui chiudo con un flash sullItalia. Si dice: lItalia e la Germania, la Germania e lItalia. Ma dov questo gemellaggio? Quello che sta succedendo con questa ripresa, stiamo vedendo che lexport in Germania crea +3 per cento di crescita del Pil, lexport italiano crea +1. 3 a 1 la dimensione. E guardate che quindici anni fa non era cos. Lexport tedesco creava l1,5 per cento di crescita, lexport italiano creava l1,5. Noi eravamo assolutamente alla pari ed eravamo il grande fornitore, tra laltro, di molte imprese tedesche. C un economista americano che si chiama Dani Rodrik che secondo me ha fotografato molto bene queste scelte che sono di fronte ai paesi europei, ai paesi avanzati. Da un lato, c il vincolo dellinternazionalizzazione, cio il fatto che io devo rispondere alla competitivit che mi chiede per poter giocare un certo gioco. Non la stabilisco io cos la competitivit, perch questo un delirio di onnipotenza che lasciamo a chi non segue queste cose. Poi ci sono le politiche nazionali, che sono un altro vincolo. Cio le politiche economiche che contano le continuano a fare gli stati: lItalia, la Francia, la Germania. Il pallino come si dice in mano sostanzialmente a questi paesi. E c per una terza variante che va considerata che sono le conquiste sociali, economiche che questi paesi hanno disegnato in questi anni, la democrazia. La democrazia che cos? La democrazia, cos come la viviamo noi, non solo andare a votare ogni quattro/cinque anni (anzi, in Italia ormai diventato molto pi frequente). E, un corpo di conquiste economico-sociale. Questa democrazia. La societ civile il risultato della democrazia europea. Allora qui il problema che abbiamo di fronte : come si mettono insieme queste tre cose, cio un vincolo internazionale, politiche nazionali, mantenimento e, se possibile, sviluppo della democrazia e delle conquiste sociali? Bene, Rodrik d una risposta non rassicurante: non possono stare insieme, non sono mai state insieme. Queste tre cose, in realt, devono trovare una conciliazione perch noi dobbiamo rinunciare a una o ridimensionare una delle tre.

Questa unaffermazione molto forte ma che coglie molto bene nel segno, cio non possibile immaginare una globalizzazione senza regole che va per suo conto; politiche nazionali, che restano dentro i confini e mantenimento delle conquiste sociali. Uno dei pericoli che noi corriamo, nella visione panglossiana, che, per rispondere alla globalizzazione ma mantenendo il potere nazionale, fondamentalmente, laggiustamento lo paghino le conquiste sociali. Quello un tipo di aggiustamento veniva giustamente detto che, per esempio, in sistemi autoritari facile mettere in atto perch la domanda che viene dal basso non una domanda forte come in un sistema democratico. Allora non sorprendente che certi sistemi autoritari in questa fase riescano a muoversi con pi agilit, anche se poi, vista a medio termine, questa flessibilit ha costi. Che cosa vuol dire per un paese come lItalia o la Germania questo trilemma che deve essere semplificato? Che rinunciamo in qualche modo alle conquiste sociali? No, non pu essere, la democrazia vive di queste conquiste. E allora come si fa? Cominciamo ad accettare lidea che le politiche vadano fatte su una dimensione pi ampia che quella nazionale, per esempio a livello europeo. Questo un modo di rispondere perch, attraverso lEuropa, noi saremo molto pi in grado di fare politica economica che in grado di contrastare la globalizzazione selvaggia. Senza una dimensione europea, quel trilemma diventa drammatico, e questo per noi molto importante. Ma basta? No, non basta perch c il terzo corno del trilemma che la dimensione internazionale. Il vincolo internazionale, cos come stato in questa, stato un vincolo assoluto perch la globalizzazione stata considerata un contesto dove non si poteva fare n intervenire. Questo tipo di globalizzazione e di internazionalizzazione senza regole non in grado di sopravvivere. Noi dobbiamo cercare di cooptare i Paesi emergenti (Cina, India, Brasile) allinterno di un sistema di regole che quello che abbiamo gestito con gli Stati Uniti per decenni. Ce la faremo? Non si sa. Naturalmente si tratta anche per lEuropa di fare scelte con responsabilit, perch lEuropa non pu dire: a questi Paesi: dateci le risorse per i posti dentro il Fondo monetario rimangono quelli che sono. pensabile che Cina e Belgio si equivalgano come potere di voto nel Fondo monetario? Oggi cos. E allora evidentemente questa unimportante scelta. Bisogna evitare larroccamento, se non si finisce come la prima globalizzazione. Come finita la prima globalizzazione? finita negli anni Trenta perch il trilemma di Rodrik (politiche nazionali, conquiste sociali, cio vincoli domestici, ed integrazione internazionale) stato risolto in un modo molto chiaro: stata messa una croce sullintegrazione internazionale, protezionismo, rilancio delle politiche di concorrenze? io mi avvantaggio e distribuisco i costi su di te. finita male perch negli anni Trenta lEuropa ha pagato un prezzo drammatico a questa scelta. Io mi auguro che non finisca cos nuovamente. Per questo sostengo che lopzione di accettare la sfida per lEuropa sia lunica opzione possibile perch altro tipo di soluzioni le abbiamo viste e non possono, essere

riconsiderate come opzioni possibili. Questo, come vedete, un quadro non certamente positivo, per il mestiere come il nostro non quello di dare certezze ma quello di fare delle diagnosi che siano pi fedeli possibili di quello che sta avvenendo. Siamo un po come i dottori che devono dire se uno sta bene o sta male. Non che gli possono dire: Non ti preoccupare, non hai niente. Esci pure cos, invece che un raffreddore, si prende una broncopolmonite.

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