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La Coscienza Cristiana

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La Coscienza Cristiana
La coscienza morale cristiana e la sua formazione di fronte al magistero e specialmente ad Humanae Vitae.

Nella mentalit oggi dominante, si nota una grande esaltazione della coscienza, anzi, addirittura una riduzione della moralit alla fedelt alla propria coscienza. In reazione ed in opposizione con la morale tradizionale, accusata di "legalismo" e di esteriorit, si pensa che "seguire la propria coscienza" sia la suprema e forse lunica norma della vita morale. Per vivere moralmente bene basterebbe seguire la propria coscienza, giudice infallibile del bene e del male. Nessuno avrebbe il diritto di fare osservazioni od obiezioni a chi agisce secondo la propria coscienza. Anche il compito del sacerdote dovrebbe limitarsi ad esortare i fedeli ad agire secondo la loro coscienza, senza intromettersi nelle loro opinioni private. "Rispettare la coscienza", si dice. Questa valorizzazione della coscienza, dellinteriorit morale soggettiva rispetto alla legge esteriore, sembra corrispondere del resto allispirazione evangelica pi genuina. Non ha forse detto Ges, opponendosi al legalismo dei farisei: "Egli disse loro: "Anche voi siete ancora privi di intelligenza? Non capite che tutto ci che di esterno entra nelluomo non pu contaminarlo, giacch non entra nel suo cuore, bens nel ventre per finire poi nella fogna?" Cos dichiarava puri tutti gli alimenti. Per diceva pure: "Ci che esce dalluomo, questo, s, contamina luomo. Dallinterno, cio dal cuore degli uomini, procedono i cattivi pensieri, le fornicazioni, i furti, le uccisioni, gli adulterii, le cupidigie, le malvagit, linganno, la lascivia, linvidia, la bestemmia, la superbia e la stoltezza. Tutte queste cose malvagie procedono dallinterno e contaminano luomo"" (Mc 7, 18-23). Ed ancora: "Luomo buono trae fuori il bene dal prezioso tesoro del suo cuore; luomo cattivo invece, dal suo cattivo tesoro trae fuori il male. Con la bocca infatti si esprime tutto ci che si ha nel cuore" (Lc 6, 45). Anche il recente Concilio Vaticano II sembra aver riconosciuto alla coscienza un primato assoluto, o cos almeno spesso viene presentato il suo insegnamento. Si legge in Dignitatis humanae, n. 3: "Gli imperativi della legge divina luomo li coglie e li riconosce attraverso la sua coscienza, che egli tenuto a seguire fedelmente in ogni sua attivit". E Gaudium et spes, al n. 16, dedicato esplicitamente alla coscienza: "Luomo ha in realt una legge scritta da Dio nel suo cuore: obbedire ad essa la dignit stessa delluomo e secondo questa legge egli sar giudicato. La coscienza il nucleo pi segreto e il sacrario delluomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nellintimit propria". Tuttavia oggi si insinuata nella mentalit corrente, ed anche purtroppo nella predicazione e teologia cattolica, uninterpretazione della coscienza e del suo primato che ne fa una "deificazione della soggettivit" (cf J. Ratzinger, La Chiesa. Una comunit sempre in cammino) , unistanza indiscutibile di giudizio, una roccia contro cui viene a frantumarsi lo stesso magistero dei pastori della Chiesa. Davanti alla convinzione soggettiva della coscienza ogni altro argomento perde valore. La coscienza appare alla fine come la propria opinione soggettiva elevata a norma unica e indiscutibile della morale. Solo la coscienza soggettiva deciderebbe, in ultima istanza, del bene e del male.

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Se la coscienza ha dei diritti perch essa ha prima dei doveri. Ma ai nostri giorni, nella mentalit della maggioranza, i diritti e la libert di coscienza non servono che a dispensare dalla coscienza. () Un tempo la coscienza era un consigliere severo. Nel nostro secolo essa lascia spazio ad una contraffazione di cui non si era mai sentito parlare lungo diciotto secoli (): il diritto di fare ci che pare e piace" (Newman, Letter to the Duke of Norfolk, ch. V). Volgiamoci ora alle ripercussioni di questa concezione diffusa della coscienza nella Chiesa, a partire dal dibattito seguito allenciclica Humanae vitae. Obiezioni allinsegnamento di Humanae vitae in nome della coscienza. La concezione della coscienza soggettiva come un assoluto che nessuno pu giudicare ed a cui completamente affidato il giudizio morale sulle azioni ha avuto una grande ripercussione anche nei dibattiti intorno ad Humanae vitae ed in particolare intorno allapplicazione pratica della sua affermazione normativa centrale, quella che si trova al n. 14: " altres esclusa ogni azione che, o in previsione dellatto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di rendere impossibile la procreazione". Alcuni teologi cattolici infatti, pur non contestando la norma morale in se stessa, hanno proposto una concezione tale della coscienza nel suo rapporto con la norma, che rende praticamente i coniugi liberi di agire contro quanto insegnato dal Magistero, almeno in determinati casi. Purtroppo queste proposte teologiche sono molto divulgate, anche perch hanno trovato echi in alcune dichiarazioni ambigue di certi episcopati dopo lenciclica di Paolo VI. Nonostante Giovanni Paolo II abbia chiesto di rivedere alcune di queste dichiarazioni (Allocuzione ai Vescovi Austriaci, 9 giugno 1987) e di fatto i vescovi le abbiano poi, almeno in parte, precisate, si continua ad approfittare di esse per contrapporsi ad Humanae vitae. quindi opportuno esaminare brevemente almeno le due principali obiezioni che vengono opposte ad Humanae vitae in nome della coscienza. La prima obiezione quella che si rif alla cosiddetta "autonomia della coscienza". stata proposta in modo chiaro dal teologo tedesco F. Bckle e trova eco nelle dichiarazioni dei Vescovi tedeschi e belgi, seguite immediatamente ad Humanae vitae. Dice Bckle: "La coscienza esige dalluomo un giudizio ben fondato. Perci la decisione pu essere presa solo sulla base di motivi ragionevoli. Le norme morali insegnate dal Magistero obbligano solo nella misura in cui la coscienza viene convinta della ragionevolezza degli argomenti posti a loro sostegno" (F. Bckle, en Stimmen der Zeit). Cosi la coscienza diventa giudice della validit della norma: sono valide solo le norme che la coscienza ritiene fondate razionalmente. Un cristiana o una coppia potrebbero rifiutare di seguire le norme proposte dal Magistero, senza sentirsi in colpa, quando non ne fosse persuasa. Anzi dovrebbe farlo. Questo esigerebbe lautonomia morale della coscienza. Va qui subito osservato che il conflitto ipotizzato non tra coscienza e Magistero, ma tra opinione personale e insegnamento autentico dei pastori. Si sostiene cio che il singolo cristiano ha il diritto di avere unopinione personale diversa dal Magistero e il dovere di seguirla. Il Magistero non pi quindi riconosciuto come interprete "autentico" (che parla cio a nome dellAutore stesso della legge, per un carisma particolare dello Spirito). San Tommaso dAquino a tal proposito ha osservato che chi segue linsegnamento della Chiesa solo in quanto coincide con le proprie opinioni, in realt non segue quellinsegnamento, ma solo le proprie opinioni (Summa Theologiae, I-II, q. 104, a. 2, ad 3). Una seconda obiezione si presenta con un tono meno contestativo. Essa non nega

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direttamente il valore della norma insegnata dal Magistero, ma sostiene che nella prassi morale concreta occorre distinguere tra "principi generali" e "norme concrete". LEnciclica Humanae vitae, per esempio, darebbe i principi validi in generale, ma poi, nella situazione concreta, le circostanze particolari potrebbero legittimamente condurre la coscienza ad un giudizio diverso e contrario. I Vescovi francesi hanno parlato di "conflitto di valori", nel quale solo alla coscienza dei coniugi spetterebbe di scegliere il valore concretamente ed esistenzialmente preminente. Uninfelice dichiarazione della Congregazione per il Clero del 1971, per risolvere il cosiddetto "caso Washington", ha affermato, seguendo questa linea, che "le particolari circostanze che intervengono in un atto umano oggettivamente cattivo, mentre non possono trasformarlo in oggettivamente virtuoso, possono renderlo incolpevole, meno colpevole o soggettivamente difendibile". Non fa problema laffermazione che le circostanze possono rendere un atto in s cattivo meno colpevole o non colpevole, quando tali circostanze comportano una diminuzione o, al limite estremo, una scomparsa della responsabilit soggettiva. Quello che fa realmente problema laffermazione che, alla luce delle circostanze, si possa "difendere soggettivamente" la scelta di un atto istrionescamente cattivo dal punto di vista morale. Per capire come questa teoria sulla coscienza in rapporto alla legge non sia sostenibile basta che proviamo a pensare alla sua applicazione nel caso delluccisione di un innocente, del suicidio, delleutanasia o nel caso dellaborto: questi sarebbero atti in s cattivi, ma che potrebbero diventare soggettivamente giustificabili! Va ricordato che di fronte ad abusi di questa dichiarazione, un anno dopo la stessa Congregazione sent il dovere di emettere un appunto nel quale precisava di non essere unistanza dottrinale, ma solo disciplinare, di non aver voluto cambiare la dottrina della Chiesa sulla coscienza e ripeteva la frase incriminate togliendo "soggettivamente difendibile". Tuttavia questa precisazione non viene considerata, ed anche in opuscoli ampiamente diffusi nelle parrocchie per la preparazione al matrimonio, nonch in numerose conferenze e pubblicazioni, si continua a citare il primo comunicato della Congregazione per il Clero, come interpretazione autorizzata di Humanae vitae, dicendo che esso lascia alla coscienza dei coniugi la libert di ricorrere alla contraccezione quando lo ritengano giustificabile per le circostanze concrete della loro situazione. Un chiarimento definitivo su questo punto controverso quello offerto da Veritatis splendor, la quale al n. 81 afferma: "Le circostanze e le intenzioni non potranno mai trasformare un atto intrinsecamente disonesto per il suo oggetto in un atto "soggettivamente" onesto o difendibile come scelta". Che cos la coscienza morale? Per rispondere adeguatamente alle obiezioni ed anche alle giuste esigenze presenti nelle posizioni sopra segnalate, occorre ripensare alla natura della coscienza morale. Lo faremo in buona compagnia: con laiuto di San Paolo, di San Tommaso, del card. J.H. Newman e del Concilio Vaticano II, cosi come essi sono interpretati nellenciclica di Giovanni Paolo II Veritatis splendor (nn. 54-64). I1 termine coscienza deriva dal latino cum - scire (sapere insieme: un sapere unito a qualcosaltro, forse ad un altro). Cosi dice San Tommaso dAquino (Summa Theologiae, I, q. 79, a. 13). Gi da questa osservazione filologica emergono dunque due caratteristiche originali della coscienza, tipiche della concezione di San Tommaso (cf De veritate, qq. 16 e 17):

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La coscienza un sapere (scientia), una conoscenza singolare e particolarissima: la conoscenza del valore morale di un atto concreto. La coscienza non per Tommaso una facolt, ma il giudizio sul valore di quellatto concreto in riferimento alla verit morale universale sul bene, che la mia libert chiamata a compiere. Si tratta di una conoscenza che ha un carattere di interiorit unico e singolare: io sono interpellato da questo giudizio, senza possibilit di sfuggire, di evadere, di farmi sostituire. Se non seguo la voce della coscienza, essa rimane in me come un rimorso della verit conosciuta e tradita. La coscienza chiama sempre in causa la mia libert, perch la coscienza obbliga sempre a livello morale. Nello stesso tempo questa chiamata interiore e singolare implica qualcosa daltro, un "con" (cum). una conoscenza del particolare concreta alla luce delluniversale. Nella coscienza la persona sperimenta precisamente questo: una verit oggettiva, precedente al giudizio particolare, indipendente da me, quella che mi obbliga. Essa obbliga me, ma obbligherebbe ogni altro al mio posto. E mi obbliga in modo assoluto, indiscutibile. Oggettivit, assolutezza ed universalit sono le dimensioni costitutive dellesperienza etica vissuta nella coscienza. La coscienza ha la sua dignit in una verit che la precede e si apre ad una comunione di persona. Non isolamento individualistico e arbitrariet, ma obbedienza ad una verit universale, comune a tutti gli uomini. Singolarit e universalit sono dimensioni entrambe ineliminabili della coscienza morale. Errore del soggettivismo moderno cancellare oggettivit e universalit (cio il riferimento della coscienza alla verit e alla comunione), cos come lerrore di un certo legalismo del passato era stato quello di togliere valore alla soggettivit della persona e pensare alla coscienza come mera applicazione passiva di una legge esteriore al soggetto. Questo sostanzialmente quanto affermato da San Paolo in Rm 2,14-15, e recentemente ricordato dalla Veritatis splendor (n. 57): "Quando i pagani che non hanno la legge (quella promulgate sul Sinai mediante Mos), per natura agiscono secondo la legge, essi pur non avendo legge, sono legge a se stessi; essi dimostrano che quanto la legge esige scritto nei loro cuori, come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti interiori, che ora li accusano e ora li difendono". San Paolo distingue quindi due elementi: la legge scritta nel cuore (la "legge morale naturale") e la coscienza. Questultima testimone della legge di Dio nellintimo delluomo, in relazione agli atti concreti. La coscienza attesta la legge di Dio, applicandola agli atti. La coscienza accusa luomo quando i suoi atti non sono conformi alla legge scritta nel cuore. La coscienza dunque un giudizio mediante il quale la persona esamina la bont o la malizia di un atto concreto, in ragione del rapporto di questo atto concreto con la legge scritta nel cuore. Abbiamo cos trovato un primo elemento decisivo: la coscienza il giudizio interiore che il soggetto formula (e solo il soggetto pu farlo nella situazione concreta) sulla bont di un atto morale, il quale giudizio tuttavia fa riferimento ad una legge oggettiva, che precede la coscienza e si presenta come la sua legge (cf Veritatis splendor, n. 59). Il criterio di giudizio della coscienza precede la coscienza e non arbitrario: la legge morale "scritta da Dio nel cuore". Lordine morale oggettivo del bene riconosciuto dalla coscienza, ma non creato da essa: un ordine cui la coscienza obbedisce e in base al quale giudica gli atti. Solo cos la coscienza voce di Dio. Da tale ascolto (ob-audire, cio obbedienza), trae la sua dignit e il valore obbligante per i suoi precetti. La coscienza obbliga in nome di una verit che luomo non crea, ma a cui obbedisce. Si pu dire quindi che la coscienza la norma prossima e ultima dellagire morale: essa obbliga sempre il soggetto. Tuttavia la coscienza ha una norma che superiore a s: la legge

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morale (cf Veritatis splendor, n. 60). La tradizione scolastica ha espresso questo dicendo che la coscienza norma ultima, ma norma normata, mentre la legge norma normante la coscienza. La coscienza deve il suo carattere vincolante non a se stessa (in forza dellopinione soggettiva o dellarbitrio), ma dallordine oggettivo del bene voluto da Dio, la cui voce risuona nellintimo. Essa interiorit, ma interiorit oggettiva: la voce del bene, la voce del valore morale dentro di noi. E cos si supera il soggettivismo, senza eliminare il soggetto: la coscienza loggettivo ("la voce di Dio") dentro il soggetto. Questo permette di distinguere tra un giudizio di coscienza vero e un giudizio di coscienza sbagliato. Cos si esprimeva anche il Concilio Vaticano II: "Nellintimo della coscienza luomo scopre una legge che non lui a darsi, ma alla quale deve invece obbedire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene ed a fuggire il male, quando occorre dice chiaramente alle orecchie del cuore: fa questo, fuggi questaltro. Luomo ha in realt una legge scritta da Dio dentro il suo cuore: obbedire ad essa la dignit stessa delluomo e secondo questa egli sar giudicato" (Gauduim et spes, n. 16). La dignit della coscienza e del suo dettame dipende dunque da quanto essa corrisponde alla legge di Dio. Se possibile una coscienza erronea, una coscienza che sbaglia, significa che c un dovere della coscienza prima di ogni altro dovere: formarsi una coscienza alla luce della verit. Il card. J. H. Newman lha cos espressa nella gi citata "Lettera al Duca di Norfolk" (cap. V): "Al nostro tempo ferve una guerra accanita, direi quasi una cospirazione contro i diritti della coscienza Per diritti della coscienza intendono il diritto di pensare, di parlare, di scrivere, di agire come loro pare e piace, senza darsi alcun pensiero di Dio. La coscienza ha dei diritti. perch prima ha dei doveri. Ma oggi, per una parte assai numerosa del nostro pubblico, precisamente il diritto e la libert di coscienza che dispensano dalla coscienza" (Una parziale citazione di questo testo del card. Newman fatta da Veritatis splendor al n. 34, dove si parla del rapporto tra coscienza e verit). Egli aveva detto anche, nella stessa opera, che se durante un pranzo gli fosse stato chiesto di fare un brindisi per il Papa, egli certo lo avrebbe fatto, ma "prima per la coscienza e poi per il Papa". Dunque per Newman la coscienza davvero il luogo interiore del dialogo con Dio su cui si fonda ogni obbligo morale e religioso, anche quello di obbedienza al Papa; ma la coscienza veramente questo luogo, ha la dignit di essere "voce di Dio" solo se obbedisce alla verit, se si lascia illuminare e guidare dalla verit.

Del resto Ges stesso aveva insegnato proprio questo, come testimonia il Vangelo di San Luca: "La lucerna del corpo il tuo occhio. Se il tuo occhio buono, anche il tuo corpo nella luce; se invece malato, anche il tuo corpo nelle tenebre. Perci, bada che la luce che in te non sia tenebra" (Lc 11, 3-35). La coscienza la luce sul nostro cammino morale. La prima responsabilit che questa luce sia autentica, che si alimenti alla luce del vero, della legge di Dio. Altrimenti tutto sar tenebra. La formazione della coscienza morale. La coscienza non dunque un oracolo infallibile, ma piuttosto un testimone interiore della verit morale da applicare ai singoli atti. Essa non crea e non stabilisce autonomamente le norme morali (non "creative"; cf Veritatis splendor, n. 54), ma chiamata a divenire sensibile perspicace ascoltatrice della verit sul bene e sul male che ci proviene da Dio. San Tommaso dAquino dice che la qualit pi importante per avere un giudizio giusto di

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coscienza, dal momento che la realt della vita complessa e che siamo oscurati dalle passioni, la docilit (S. Th. II-II. q. 49, a. 3). Essere disponibili a lasciarsi istruire da chi ha unesperienza morale qualificata. Ma ci avviene nella misura in cui ci si lascia soprattutto misurare e guidare dalla verit, a differenza di quelle "anime ribelli", di cui San Paolo dice che esse sono "indocili alla verit e docili allingiustizia" (Rm 2, 8). Quando questa verit riveler il suo volto nella persona di Cristo, la docilit intrinseca al dinamismo dellintelligenza acquister laspetto dell"obbedienza della fede" (Rm 16, 26), con la quale, come dice il Concilio, "luomo si abbandona tutto a Dio liberamente, prestando il piano ossequio dellintelletto e della volont a Dio che rivela e assentendo volontariamente alla rivelazione data da lui". La coscienza morale cristiana sar quindi non unistanza individualistica isolata e contrapposta agli altri, ma un sapere con Cristo, verit sulluomo, un sapere condiviso e verificato nella Chiesa. Cosi pasta lesigenza primaria della formazione della coscienza morale cristiana. Nel suo Diario, lo scrittore russo F. Dostovskij ha lasciato scritto: "Non dire mai a nessuno "segui la tua coscienza"; digli invece "segui la tua coscienza quando vera"; infatti se non gli insegni il dovere di formarsi la coscienza nella verit, gli avrai solo indicate la strada pi diretta per autodistruggersi. La frase sostanzialmente vera e di grande attualit oggi, di fronte al potere inaudito che la tecnologia ha messo a disposizione per manipolare e deformare le coscienze. Quante volte oggi la coscienza che rifiuta di formarsi alla luce del Magistero autentico della Chiesa in nome di una presunta autonomia in realt solo lespressione delle opinioni inculcate surrettiziamente dal magistero onnipresente dei manipolatori dellopinione pubblica! Ma forse la frase di Dostovskij un po troppo pessimista e unilaterale, perch tace sul fatto che la coscienza ha proprio in se stessa il principio che rende possibile la sua formazione ed il suo corretto sviluppo: la voce del bene, quella legge non scritta di cui parlava San Paolo, che pur repressa e oscurata dal male continua a rendere luomo inquieto. Anche nel peccatore pi incallito essa non mai spenta del tutto, perch fa parte di quell"immagine" creaturale di Dio, che non in nostro potere cancellare mai del tutto. Dunque: non solo la coscienza la voce della responsabilit morale per il bene da fare e il male da evitare, ma anche noi siamo responsabili della nostra coscienza, del suo essere nella verit e del suo crescere nella verit. Come si forma la nostra coscienza? Una prima osservazione per avvicinarsi alla risposta consiste nel rilevare la natura propria della verit morale. La verit sul bene da fare non una verit teorica, ma "pratica". Non una verit da contemplare, ma da fare. Essa interpella tutta la mia persona e non soltanto la mia intelligenza. Allora si capisce che per comprenderla bisogna essere disposti a farla. La verit morale non si conosce solo con lintelligenza, ma anche e soprattutto si riconosce col cuore. Dice levangelista Giovanni: "Chi fa la verit viene alla luce" (Gv 3, 21). Il primato della vita buona, della santit vissuta quale criterio di discernimento del bene, diventa anche carta di credito per accettare la tradizione morale della Chiesa e il Magistero: infatti, al di l delle argomentazioni addotte e della capacit razionale di escogitarne di sempre pi persuasive per giustificare le norme morali insegnate, la Chiesa radica la sua conoscenza in questo grande patrimonio di vita, attinge la sua sapienza morale da questa grande testimonianza del bene, data dai suoi santi e sante. Dunque: la coscienza si forma quanto pi si fa il bene, si cresce in sensibilit per il bene e si seguono i testimoni del bene.

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La seconda osservazione che la coscienza si forma nella comunit nel dialogo con gli altri e nella comunione di vita. Il filosofo antico Eraclito dice in proposito: "Perci si deve seguire ci che universale e comune a tutti, giacch universale ci che comune a tutti. Ma pur essendo il Logos comune, vivono i pi come se avessero una capacit di giudizio particolare" (cf 2). Nel dialogo comune allinterno di una comunit di vita orientata al bene, io formo il mio giudizio, lo maturo. Cos Aristotele diceva che non c virt al di fuori dellamicizia coi virtuosi (Sul nesso tra amicizia e morale si pu leggere con utilit: P. Wadell, Friendship and the Moral Life). Qui, per il cristiano si incontra il dono della comunit cristiana, della Chiesa vissuta come comunione di persone. Essa la dimora della sua vita morale, il luogo in cui la sua sensibilit e la sua coscienza vengono educati. SantIgnazio di Loyola invitava a "sentire con la Chiesa", cio a formarsi una sensibilit in armonia con quel Corpo di Cristo che ha il dono dello Spirito dal suo Sposo, per comprendere la volont di Dio, e che nel suo rapporto sponsale con Cristo ci genera come nostra Madre. Coscienza morale del cristiano e Magistero circa Humanae vitae. qui che si colloca anche la dipendenza dallinsegnamento del Magistero nella formazione della Propria coscienza morale. Nella fede noi sappiamo che Ges Cristo ha promesso e assicurato ai Pastori e, in particolare a San Pietro, il dono dello Spirito, per interpretare autenticamente la legge divina, quella rivelata e quella naturale (cf Humanae Vitae, n. 4). Il cristiano che accoglie la Parola del suo Signore, sa che un Altro conosce la verit di lui pi di se stesso. Egli sa che Ges ha affidato alla Chiesa e al suo Magistero linterpretazione autentica di questa conoscenza. Egli quindi si fida di questa promessa, anche quando non vede pienamente la persuasivit razionale degli argomenti. E seguendo fa lesperienza di una crescita e quindi scopre che ragionevole fidarsi.

il principio del "seguire un Altro per essere di pi se stessi" Ora, questo giudizio secondo cui " giusto seguire un Altro, che si rivelato, ci parla e ci conduce attraverso il Magistero, non un giudizio estraneo o contrario alla coscienza. invece il primo e fondamentale giudizio della coscienza cristiana: il giudizio della fede, quel giudizio che le d la sua forma propria di coscienza credente. Nella lettera ai Romani San Paolo equipara per il cristiano "lessere contro la propria coscienza" allessere contro la fede". Il giudizio della fede, che mi fa seguire il Magistero come interprete autentico della Parola del Signore per indicarmi la via della vita, un giudizio ragionevole. Esso ha le sue ragioni proprie e non viola la coscienza. Quando dunque la coscienza del cristiano segue unindicazione del magistero che essa non riesce a comprendere nelle sue motivazioni razionali, essa non va contro se stessa, non nega la sua "autonomia". Essa infatti segue ed obbedisce a ci che non comprende sulla base del pi fondamentale giudizio di coscienza che " giusto obbedire". Al di l dellinevidenza della ragioni particolari, c levidenza della ragionevolezza di fidarsi. "Scio cui credidi": "so a chi ho prestato fede" (II Tim 1, 12). Ma quanto insegnato da Humanae vitae al n. 14 ha veramente questo valore vincolante per la coscienza morale del cristiano? Il discorso sarebbe qui troppo lungo, ma mi limito a citare ci che ha detto Giovanni Paolo II in unUdienza ai partecipanti al "Corso per insegnanti dei metodi naturali" il 5 giugno 1987: "Quanto insegnato dalla Chiesa, sulla contraccezione
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non appartiene a materia liberamente disputabile fra teologi. Insegnare il contrario equivale a indurre nellerrore la coscienza morale degli sposi. Conclusione. La coscienza morale dunque listanza ultima e decisiva per la vita morale del cristiano. Essa il luogo intimo dove Dio fa risuonare la sua voce, una voce che chiede di essere sempre seguita. E tuttavia occorre imparare a riconoscere la voce di Dio, occorre imparare a distinguerla dalla voce del proprio interesse egoistico o dalla mentalit corrente. La dignit della coscienza dipende dalla sua apertura alla verit, altrimenti si tratta di autoinganno. Per questo la coscienza morale ha bisogno di una formazione, che si realizza attraverso la crescita nella virt e lapertura alla comunione delle persone. La Chiesa, come comunione vissuta nella guida del suo Magistero, il luogo della formazione della coscienza morale cristiana. Nella comunione ecclesiale partecipiamo infatti al dono dello Spirito Santo, lo Spirito della verit, luce dei nostri cuori. SantAgostino diceva che abbiamo lo Spirito Santo nella misura del nostro amore alla Chiesa (Commento alla prima Epistola di Giovanni, VI, 10).

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