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Lincontro con la religiosit del soldato fu per la Chiesa italiana una occasione unica per affrontare i problemi di una

carente evangelizzazione popolare. Pu dirsi che il soldato italiano fosse religioso? Certamente nel 1915-1918 come nel 1940- 1945 fior una religiosit spontanea fatta delle invocazioni della grazia e del miracolo, ma la vita di guerra fu pure campo di fenomeni di aspra irreligiosit. La crisi religiosa che accompagna soprattutto il concludersi del primo conflitto mondiale, mostra linconsistenza delle voci di risveglio religioso e lallontanamento dalla Chiesa italiana della massa della pi giovane popolazione maschile del paese. La giovent della seconda guerra mondiale se si incanal poi in parte in movimenti cattolici di massa, rimase tuttavia, per larga parte estranea alla Chiesa. LA RELIGIOSIT DEL SOLDATO ITALIANO IN GUERRA
Il risveglio religioso poi al fronte viene in mente a molti scrittori di giornali la mattina quando si svegliano e pensano subito a cooperare al bene della patria colla penna. Il sentimento religioso si avviva in quelli che sono proprio sotto il battesimo del fuoco, ma negli altri si assopisce sempre pi e si accentua invece lindifferenza, lo spirito di bestemmia e di pornolatria: dove passano i figli di Marte, lasciano striscia che il tacere bello. La vita di trincea solo preferibile al Purgatorio e allInferno: se i soldati tollerassero un millesimo dei patimenti che soffrono per la patria terrena e loffrissero a Dio per la celeste, diventerebbero grandi santi: invece non si sen tono che continue imprecazioni contro la Provvidenza! . la sconsolata e amara lettera di un prete-soldato da un ospedale da campo, nel gennaio 1917. La guerra a suo avviso non produceva alcun rinnovamento religioso del tipo descritto allora da facili scrittori e giornalisti. Solo i pi esposti alla morte, in prima linea, mostravano di conservare e di ravvivare qualche devozione, quasi un risveglio del sentimento religioso dinanzi alla realt della morte vicina. Nella maggioranza dei soldati, nelle retrovie, dominava invece uno spirito irreligioso, di rifiuto netto della religione e dei suoi imperativi morali. Molte altre lettere di preti-soldati, conservate in archivi ecclesiastici, contengono osservazioni analoghe, giungendo alla conclusione che la guerra aveva un'influenza assolutamente negativa sul sentimento religioso dei soldati. Si tratta di una documentazione assai significativa, da cui non possibile prescindere, perch proviene da testimoni avvertiti e consapevoli dei problemi di cui scrivono. Tuttavia questi epistolari sono pure condizionati da quellavversione alla guerra, motivata in primo luogo proprio da motivi religiosi, che nei 22.000 preti- soldati dellesercito italiano del 1915-18 fu vivissima. Differenti erano in effetti le opinioni sulla religiosit dei soldati di altri attenti testimoni, quali erano i cappellani militari, pure presenti in numero cospicuo nellesercito italiano sin dallo scoppio delle ostilit. Le loro osservazioni presentano una immagine pi articolata e polivalente della religiosit dei soldati, distinguendo tra varie forme di espressioni e manifestazioni religiose. Secondo le relazioni sulla loro attivit che tutti i cappellani furono tenuti a presentare al vescovo di campo al termine del conflitto, il soldato italiano avrebbe

dimostrato nel corso della guerra un grande attaccamento ai valori religiosi e alla fede cattolica. quanto affermano poco meno dei due terzi dei cappellani, mentre solo il 12% mostra apertamente di ritenere che la propria missione religiosa sia stata inincidente ed i soldati non vi abbiano corrisposto che in misura minima. Tuttavia si tratta di valutazioni condizionate da un atteggiamento di difesa e giustificazione del proprio operato. Inoltre, molti cappellani di orientamento marcatamente nazionalista propendono a giudizi ottimistici sulla religiosit dei combattenti per una sorta di forzata cristianizzazione della guerra, operando una semplicistica identificazione tra il buon soldato, il valoroso, il patriottico, ed il buon cristiano. In realt, penetrando nelle pieghe dellanalisi che i cappellani compiono del lavoro compiuto, si scoprono valutazioni ben altrimenti critiche e realistiche. Numerosi cappellani ravvisano nell ignoranza dei soldati in materia di religione il principale impedimento riscontrato alla loro missione. La necessit di unistruzione religiosa pi seria e pi pratica del popolo nostro, afferma un cappellano di sanit, la massima rivelazione della guerra. Sarebbero soprattutto i soldati meridionali, con laggiunta di quelli romagnoli, a mostrare una scarsa conoscenza della religione cattolica e dei valori cristiani. Ma cos' questa asserita ignoranza religiosa, termine quanto mai generico? Secondo un cappellano di fanteria, il frutto della carenza di una adeguata catechesi, che dovrebbe correggere e innovare una certa religiosit tradizionale e quasi superstiziosa: La lotta contro il turpiloquio e la bestemmia, per quanto studiata ed intensa diede pochi risultati mancandovi il fondamento principale: listruzione e leducazione. Infatti s' potuto constatare che la maggioranza dei bestemmiatori hanno una educazione morale e religiosa meno che mediocre o quasi nulla. La maggioranza di questi soldati essendo elementi meridionali, abruzzesi e romagnoli presenta il fenomeno di una religiosit tradizionale e quasi superstiziosa, mancando quasi del tutto la vera istruzione catechistica. Perci la colpa di questi miseri risultati va ricercata nella mancanza di una istruzione religiosa antecedente... . Un altro cappellano osserva invece che i suoi soldati, quasi tutti meridionali, avevano della religione un concetto spesse volte poco esatto, se non addirittura falso, si che si dilettavano di pratiche esterne, e fors'anche superstiziose, ma trascura vano facilmente l'essenziale. Parecchi mi confessavano ingenuamente di aver sempre avuto devozione per l'uno o per l'altro Santo, ma di non essersi mai n confessati, n comunicati. Non appaiono, i soldati meridionali, indifferenti alla religione, ma ai margini, lontani dalla Chiesa ufficiale. Sono devoti, ma di una religione che non propriamente quella codificata di una compagine ecclesiale saldamente strutturata secondo una normativa e una fede tridentine. Vengono in mente, a questo proposito, le osservazioni di Gabriele De Rosa sulla mancata applicazione della riforma tridentina nella Chiesa del Mezzogiorno, e sulla religiosit caratteristica delle popolazioni meridionali, che non rifiutava apertamente dogmi e sacramenti dellortodossia cattolica, ma soprattutto si trasformava nel contatto con la vita reale, piegandosi a funzione propiziatoria dinanzi a circostanze di vita dure e grame, e ponendosi come in equilibrio tra la fede pura e la superstizione. Le espressioni religiose che ne scaturivano, scarsamente ancorate allinsegnamento del magistero ecclesiastico e alla morale cattolica, trasportate nel contesto bellico, non potevano trovare consenzienti i cappellani militari, in maggioranza provenienti dalle diocesi settentrionali, ove si erano formati in seminari e congregazioni religiose di stretta osservanza tridentina.

A differenza dei meridionali, i soldati della Lombardia, del Piemonte e soprattutto del Veneto sembrano nel complesso rispondere positivamente alle attese dei cappellani. Anche per essi, tuttavia, si rileva il problema di una certa ignoranza religiosa. Trovai cristiani ottimi scrive un cappellano di ospedale e religiosamente distinti, fra i giovani in generale della Lombardia, del Veneto, un po' anche del Piemonte: specialmente buoni i frequentatori dei circoli giovanili parrocchiali. Mi parve di capire una generale, miserabile e lagrimevole ignoranza religiosa, nella generalit. Questo ricorrente richiamo alla scarsa cultura religiosa dei soldati - la cui carenza pare pi drammatica nel caso dei soldati meridionali, ma pure denunciata a prescindere dalle provenienze geografiche dei singoli - appare come un dato nuovo e significativo di una pi consapevole coscienza ecclesiale. Si tratta infatti di osservazioni, le quali, bench si prestino allesaltazione da parte dei cappellani delle difficolt incontrate e dunque dei propri meriti nel conseguire quei risultati che vengono dichiarati, denotano una certa crisi della tradizionale idea della naturale e indiscutibile identit cristiana e cattolica del popolo italiano e della sua fedelt alla Chiesa. Non pochi cappellani, prendendo atto di questa realt di distacco dalla Chiesa, giungono a distinguere nettamente tra fede pura in Dio da un lato e osservanza delletica cattolica e delle pratiche sacramentali dallaltro. Il soldato una notazione rivelatrice comune a molti cappellani dimostra sentimento religioso, ci che forse manca la coscienza religiosa. Solo in apparenza contraddittorio, il cappellano di fanteria Luigi Greco dapprima rileva che il nostro popolo non ha perduto la fede. Ne sono tanto certo, quanto certo che nessun ferito e neppure ammalato grave si rifiutato di baciare il mio crocifisso, di raccomandarsi a Dio. . .. Per soggiungere subito dopo che il nostro popolo non cosi cristianamente religioso come troppi pensano. Questa triste verit in me il frutto di quarantatre mesi di vita militare. Sopra mille giovani si trova sempre qualcuno che vive abitualmente in grazia [] la massa per ignora completamente la religione, pecca e bestemmia Dio, non ha limiti nella immoralit. tanto difficile trovare un ufficiale che non frequenti case di prostituzione, e non ne parli con la disinvoltura pi impressionante. L esigenza sentita profondamente da Greco di insegnare al nostro soldato a non andare a donne, a non bestemmiare, a fare il proprio dovere, ad ascoltare la messa, a salvar lanima. Si avverte, nel resoconto di questo cappellano, la difficolt di affrontare direttamente il problema della condotta morale, dei costumi, del linguaggio degli uomini a lui affidati, con le sole categorie del peccato o della trasgressione dei comandamenti divini. Egli non nega l esistenza in molti soldati di una sincera fede religiosa, ma la carenza di formazione religiosa e morale che riscontra esclude a suo avviso che essi capiscano il significato di certi comportamenti ed il giudizio che se ne pu dare. Queste difficolt dei cappellani erano poi amplificate allorch essi si trovavano a contatto con soldati di tendenze anticlericali, in cui la cosiddetta ignoranza religiosa si coniugava con una radicata avversione per la figura del prete in divisa. Non si tratta di un fenomeno troppo diffuso, e tuttavia era particolarmente forte nei soldati della Toscana e della Romagna (oltre che nei ranghi degli ufficiali di complemento, di estrazione borghese). Sono proprio i toscani ed i romagnoli i soldati che appaiono meno devoti, privi persino di quel sentimento religioso, sia pure venato di superstizione, che non farebbe difetto ai poveri fanti-contadini del Mezzogiorno. In alcuni cappellani lincontro con soldati toscani o romagnoli produce un senso di scandalo e di personale

riprovazione ( ..,il toscano, quando parla, bestemmia scrive un cappellano di fanteria ; quando non parla, ha un sorriso sarcastico, falso. I toscani sono stati, senza alcun dubbio, i peggiori soldati [e questo lho sentito dalla testimonianza concorde di tutti gli ufficiali, eccettuati, si capisce, gli ufficiali toscani] e sono i peggiori cristiani. La bestemmia, questo orrendo peccato che essi hanno disseminato nel mondo, pare che abbia impresso in loro qualcosa di diabolico... ). Daltra parte, i soldati toscani e romagnoli non erano affatto teneri verso i cappellani, che essi ritenevano degli imboscati sia pure delle prime linee, e che qualificavano anzitutto come profeti di sventure, o iettatori come pi semplicemente si diceva. Un'eccezione di segno contrario a quella dei reparti di toscani e romagnoli era rappresentata nell'esercito dai corpi alpini. Indubbiamente qui i cappellani trovavano la maggiore rispondenza alla loro azione e proposta religiosa. Negli alpini essi riscontravano cio una devota e solida piet (nelle annuali cerimonie per il precetto pasquale, si comunicava generalmente la maggioranza degli alpini, con punte dell85% e del 90% dei componenti delle singole unit), ma anche vi potevano rilevare tutta una trama di sentimenti e di valori che in modo certo improprio ritenevano tipicamente e quasi esclusivamente cristiani. Cos era per il culto della famiglia, del lavoro, il rispetto della propriet, il senso della tradizione, del dovere, della fedelt. Gli che in queste truppe di montagna si rifletteva una consolidata civilt dellarco alpino, in certo senso separata, e mantenutasi integra nei valori civili e religiosi di una tradizione secolare in cui il ruolo della Chiesa cattolica e del clero era decisivo. Non a caso nellapologetica di guerra suggerita dalla stampa cattolica per il fronte, ricorrono immagini quali lalpino valoroso e credente che convince il fante romagnolo scettico e anticlericale a mettere da parte i suoi pregiudizi. Ma, al di l dei dati della provenienza regionale, quali elementi specifici della situazione bellica influivano sulla religiosit dei soldati, o ne determinavano gli alti e i bassi, il ravvivarsi o il raffreddarsi? E pi in generale, la vita di guerra favoriva o deprimeva il manifestarsi di sentimenti, atteggiamenti, pratiche ispirati a uno spirito religioso? Non solo i cappellani, ma la gran parte della stampa cattolica nel 1915-1918, nonch successivamente un po tutta la memorialistica della Grande guerra, anche di autori non cattolici e persino anticlericali, sono concordi nel riconoscere che un fattore decisivo per il ravvivarsi della religiosit nei soldati fosse la permanenza sulla linea del fuoco, la vicinanza del pericolo, lincertezza della propria incolumit, insomma la paura della morte. All'equazione che al maggior pericolo faceva corrispondere maggiore fede e preghiera tuttavia si accostava come pendant quella di segno contrario che ai periodi di stagnazione dei combattimenti, ai momenti di riposo o di permanenza nelle retrovie, faceva corrispondere una caduta di sentimenti e pratiche religiose, talora una crisi rovinosa della fede e della condotta morale. Una simile bivalente situazione, che nella vita dei soldati si alternava ovviamente con regolare periodicit, suscitava nellopinione pubblica cattolica, in coloro che sostenevano la tesi del risveglio religioso in atto nellesercito, ma anche in coloro che lo negavano, le massime perplessit e reazioni talvolta paradossali. Taluni giungevano in effetti a deplorare che certe unit fossero state troppo scarsamente provate dal fuoco della trincea, ossia in definitiva dalla durezza e dalla crudelt cieca della guerra. Altri invocavano che i periodi di riposo periodicamente concessi alle truppe impegnate nei combattimenti venissero trascorsi nel mantenimento della pi rigida disciplina militare e nella solitudine, lontano dai centri abitati dove pi facile era dimenticare la tensione della linea del fuoco e maggiori erano le tentazioni che si ponevano ad una moralit della cui saldezza si dubitava fortemente. Per riprendere le espressioni di un cappellano di artiglieria, i rischi della trincea erano una autentica fortuna per la vita religiosa e morale dei soldati: questi erano uomini esuberanti di vita , e vera solo da rallegrarsi se erano stati poco in riposo e quindi esposti ai pericoli . Sono affermazioni estreme, e tuttavia assai indicative. Del resto, osservazioni analoghe possono talvolta leggersi sulla stampa cattolica a proposito delle sofferenze fisiche o dei disagi della vita di

guerra. Il risveglio di piet che si riscontrava negli ospedali e ospedaletti da campo nei feriti pi gravi, sembrava scomparire una volta che questi si avviavano a guarigione. Si doveva per questo recriminare sullavvenuta guarigione? Certamente no, eppure la constatazione delleffimero risveglio religioso provocato dalla trincea, dal pericolo di morte o da una certa sofferenza fisica, portava taluni ad apprezzare ed a giustificare oltremodo proprio gli aspetti pi duri e crudeli della vita di guerra. Questa esaltazione dellesperienza bellica come occasione di conversione e rinnovamento interiore non deve per essere troppo generalizzata. Se si osserva la stampa cattolica nel 1915-18, e specie quella destinata al fronte per la propaganda religiosa fra i soldati come i diffusi periodici Mentre si combatte o La stella del soldato, per tacere del profluvio di libretti di devozione, manualetti di piet, opuscoli di preghiere e di vite di santi si rileva immediatamente la reiterata proposizione di uninfinita serie di edificanti riquadri e modelli di esemplari soldati e combattenti cristiani, i quali accoppiavano felicemente fede e valore militare, timor di Dio e amor di patria, preghiera e vittoria delle armi. Al tempo stesso per negli stessi giornali, fogli e opuscoli si ritrovano allarmanti denunce della grande diffusione tra i soldati, in prima linea non meno che nelle retrovie, della bestemmia e del turpiloquio, contro cui vengono lanciate continuamente campagne moralizzatrici; inoltre vi si riscontrano le espressioni della pi grave preoccupazione per la disastrosa condotta morale cui i soldati spesso si abbandonavano, proprio si affermava talora con le cautele imposte dalla censura per sfogare i patimenti, gli stenti, le paure della dura guerra. Insomma, si riconosceva che gli stessi elementi della vita di guerra che in taluni sembravano suscitare rinnovata fede e piet, in altri, o negli stessi in momenti diversi, provocavano atteggiamenti del tutto contrari. Si potrebbe qui richiamare anche la suggestiva silloge del censore e linguista austriaco Spitzer, la cui raccolta di lettere qualunque di umili prigionieri di guerra italiani rappresenta una delle fonti primarie per conoscere le condizioni spirituali del soldato italiano nel 1915-1918. Ebbene, in questo tipo di documentazione si nota come le drammatiche condizioni di vita, la fame, le malattie, la nostalgia della pace e della propria casa, la morte di tanti compagni di combattimento e di prigionia, suscitino reazioni spirituali spesso vivissime ed eccezionali, e indubbiamente il senso di un Dio che presiede alla guerra e alle sorti degli uomini, e tuttavia risalta con evidenza il fatto che sono reazioni facilmente contrastanti e opposte, sicch si passa spesso da un estremo allaltro. Vi chi esprime accorate e spontanee invocazioni e preghiere, chi si rivolge quasi in ogni riga a Dio, alla Madonna, ai santi, o alla Madonna e ai santi venerati nel suo paese o santuario, con un fervore sconosciuto in tempo di pace. Ma anche vi chi si lascia andare, quasi sfogando in tal modo tutta la sua ira, alle pi colorite maledizioni e grevi bestemmie ( a quali bestemmie esclama Spitzer pu dare origine la fame! ), espressioni di una irreligiosit sovente rivolta a corrispondenti, familiari dello scrivente, al contrario ancora credenti e devoti. Constatata ad ogni modo la diffusione, nel pericolo e nella sofferenza, di manifestazioni di religiosit estremamente vivaci e spontanee, vale la pena soffermarsi un poco sul significato di questo risveglio religioso, limitato si a una sola parte dellesercito, eppure reale. Va detto in primo luogo che non era un risveglio legato strettamente al servizio religioso e ai culti ufficialmente proposti dalle autorit ecclesiastiche. Non l'adesione alle funzioni celebrate dai cappellani militari, n tantomeno la partecipazione alle pratiche sacramentali o la recezione della predicazione degli stessi cappellani, dei preti-soldati o di altri occasionali ecclesiastici, che fornisce consistenza a questo fenomeno. Del resto, spesso le autorit militari costringevano i soldati a intervenire in massa, inquadrati e indrappellati, alle cerimonie religiose, ben sapendo che esse si svolgevano generalmente in forme tali da rappresentare un culto, oltre che a Dio, anche alla patria in guerra. In realt, la domanda religiosa dei soldati, resa tanto pi acuta quanto maggiori erano il rischio di vita, i patimenti e le paure, se per opportunit e coincidenza di circostanze si esprimeva nelle forme rituali promosse dallorganizzazione dei cappellani,

non sempre e non tanto in tali forme trovava un'espressione piena e soddisfacente. il caso soprattutto di quella gran massa che i cappellani definiscono assolutamente ignorante in fatto di religione e lontana da qualsiasi precisa nozione delle corrette espressioni e delle implicazioni morali del sentimento religioso. Questa religiosit della massa dei soldati, fatta dellinvocazione di grazia dinanzi al pericolo, della preghiera di una liberazione nel mezzo delle sofferenze, della richiesta della pace davanti al caos di una guerra che gli uomini da soli non sembravano poter dominare, affondava certamente le sue radici in ambienti, in terreni culturali, impregnati di motivi e di richiami, almeno nominalmente, cristiani. Basti ricordare il grande ruolo che in questa religiosit hanno le devozioni a certi santuari o a certe figure di santi, mentre le sue forme di piet si allacciano a tradizioni locali, di paese, o a credenze pie non incoraggiate, ma pure tollerate dalle autorit ecclesiastiche. una religiosit che non ha bisogno, per manifestarsi, dello stimolo del clero militare, che talora ne scopriva all'improvviso le manifestazioni esteriori. Come accade ad un prete in divisa che assiste con un certo stupore ad una breve processione organizzata allinsaputa di cappellani e preti-soldati: Dalle 16 alle 17, una cinquantina di soldati circa, tutti egubini, sono usciti fuori in processione, hanno fatto la processione dei ceri, costruiti in legno in segreto, dai soldati stessi, sul medesimo sistema dei veri ceri che si sogliono portare tutti gli anni in processione a Gubbio per la festa di santUbaldo. Non poche furono le riserve espresse sulla stampa cattolica nei confronti di questo tipo di manifestazioni religiose. Si temeva che queste non fossero ben distinte da fenomeni di superstizione, da pratiche magiche, da residui paganeggianti. Era invero la stessa multiforme devozione cattolica che faceva pervenire al fronte, da diocesi e da parrocchie, da congregazioni religiose e da santuari, per mezzo di comunit religiose come di singoli fedeli, una gran quantit di medaglie con effigi sacre, di scapolari, di abitini, di corone, di minuscole reliquie, e via dicendo. Accadeva tuttavia al contempo che questo inedito consumismo del sacro incontrasse nei suoi medesimi promotori i pi severi critici, allorch si notava che gli oggetti di devozione dati ai soldati venivano da questi usati si scrisse pi come talismani o amuleti che come richiami ad una vita di fede interiore. Invece che all'immagine dei santi effigiata sui foglietti di preghiera o sulle medagliette, i soldati parevano affidare le loro speranze di protezione dai pericoli unicamente alla carta o al metallo su cui il santo era raffigurato. Anche gli ex-voto un tratto di religiosit popolare pure tradizionalmente ed istituzionalmente accettato nella Chiesa cattolica divennero sospetti: si osservava che il loro fiorire avveniva nelle circostanze belliche pi drammatiche, passate le quali, ed ottenuta quindi la grazia richiesta, nulla cambiava nella vita religiosa o irreligiosa del soldato. Taluni, come don Giulio de Rossi, il futuro dirigente del Partito Popolare, vollero distinguere nettamente nella religiosit dei soldati, da un lato, un complesso di manifestazioni esterne atte a procurarsi la benevolenza divina nei difficili momenti della guerra , e dallaltro una pi matura coscienza religiosa che vivesse la fede inscindibilmente legata ad un codice morale, a delle opere. Le varie spontanee espressioni di religiosit dei soldati, o il loro costante appellarsi a motivi della tradizione e della fede cristiana per invocare la pace e lincolumit, costituivano in realt una sorta di dato acquisito nella cultura e nella spiritualit di tanti semplici soldati, e significavano qualcosa di pi del fenomeno strumentale e labile da tanti denunciato. Pur senza ricorrere alle definizioni di religione popolare o religione vissuta , va sottolineata la consistenza di questa autonomia religiosa dalle proposte e pure dai canoni della religione proposta ai soldati dagli ambienti cattolici pi qualificati e ufficiali. Essa, in effetti, sembra poter vantare un remoto radicamento in una tradizione secolare di vaste porzioni della popolazione italiana, che nel contatto con la realt

bellica pare trovare nuove forme espressive e nuova vitalit. ad esempio il caso della mistica della pace fortemente diffusa tra i soldati, per cui si invocava da Dio, dalla Vergine, dai santi la conclusione immediata del conflitto, senza quegli scrupoli patriottici al contrario frequenti nella stampa cattolica del 1915-18, e che si avvertivano negli orientamenti e nei discorsi di noti ecclesiastici. sufficiente ricordare a questo proposito quel folto gruppo di vescovi pi o meno accesamente patriottici studiato da Alberto Monticone. E daltra parte, al fronte stesso, non era certo la mistica di una pace da instaurare subito ed a qualsiasi prezzo che ispirava la predicazione di molti cappellani, od i documenti ufficiali del vescovo di campo, secondo cui la pace era anzitutto cristiana nel senso che doveva consistere essenzialmente nella pace della coscienza dopo il pieno compimento del proprio dovere, e, in secondo luogo, doveva consistere nella pace della nazione tutta dopo la vittoria, da conseguire a ogni prezzo. A coloro che criticavano levidente interesse ad un vantaggio personale contenuto nelle richieste ai santi, alla Madonna, per ottenere la fine immediata delle ostilit, il ritorno a casa, per potere sfuggire i compiti bellici pi pericolosi, per ricevere lesioni leggere che evitassero limpiego in prima linea, si potrebbe del resto opporre la difficolt di giungere a definire una preghiera pura al di fuori della vita reale. Ossia la preghiera non , in generale, isolata dalla vita concreta, quotidiana, ed in questo caso specifico non era isolata dalla vita di guerra, dai suoi stenti, dalle sue miserie, dalle sue paure. Un interessante riscontro di questi problemi interpretativi si ha nelle pagine che Malgeri, nelle sue ricerche sui cattolici italiani nella seconda guerra mondiale, dedica al rapporto tra preghiera e superstizione nei soldati. Rilevando la commistione tra elementi religiosi e superstiziosi in una serie di pratiche di preghiera e di invocazione dellaiuto divino, egli sottolinea come a una simile duplicit sia comunque sempre sottesa una costante ricerca del miracolo. solo il miracolo, lintervento divino, che, per soldati di una mentalit ancora largamente contadina (e si pensi quanto ancor pi lo fosse all'epoca della prima guerra mondiale) pu porre fine al flagello della guerra. La superstizione, le leggende, le facili voci e dicerie della credulit popolare, sono in fondo da ricondurre a una chiara richiesta del miracolo, ed in questo senso possono essere accostate ad una dimensione religiosa sia pure imperfetta. Come rilevava nel 1941 il presidente della Commissione per la censura di guerra di Varese, analizzando gli atteggiamenti a met strada tra la superstizione e la devozione religiosa, diffusi tra i militari e le famiglie dei richiamati, alla base di questi comportamenti pi che lelemento superstizioso vi era un sentimento fatalista che deriva dalla fede nel diretto intervento divino in ogni circostanza della vita. Questo sarebbe, secondo Malgeri, il significato profondo dell'uso delle lettere a catena, cosi frequente tra i soldati del secondo conflitto mondiale. Simili lettere, cui venivano attribuite propriet taumaturgiche e miracolistiche, andavano dalle pi tradizionali catene di santAntonio e suppliche alla Madonna di Pompei ad altre di nuovo conio, come la Lettera di Ges Cristo. Delle gocce di sangue che sparse N. S. Ges Cristo mentre andava al Calvario. In questultima, che sarebbe stata trovata nel Santo Sepolcro e poi conservata in una cassa dargento dal Papa e dagli imperatori cristiani, lo stesso Cristo narra della sua Passione. La Lettera, piena di particolari e dettagli fantastici, avrebbe avuto i seguenti effetti miracolosi: Quegli che porter questorazione non morr annegato n di mala morte improvvisa, sar libero dal contagio della peste, dalle saette e non morir senza confessione, sar libero dai suoi nemici e dal potere della giustizia e da tutti i suoi malevoli e falsi testimoni. Le donne che non possono partorire, tenendola in dosso partoriranno subito e usciranno di pericolo, Nelle case ove sar questa orazione non vi saranno tradimenti n di cose cattive, e 40 giorni prima della sua morte, quello che lavr sopra di s vedr la Beata Vergine Maria.

Non meno, in proporzione, che nella prima guerra mondiale, i soldati italiani del 1940-43 ricevettero dallinterno del paese, dai familiari, dai parroci, dal variegato mondo cattolico, una quantit di lettere, di fogli e foglietti, di periodici a sfondo religioso, di bollettini parrocchiali, contenenti suggerimenti e inviti alla preghiera e a pratiche di piet. Da questo materiale, nonch dalle raccolte di lettere dal fronte che sono state pubblicate (a cominciare da quelle assai ricche e toccanti curate da Nuto Revelli) si possono trarre alcune indicazioni sulla religiosit dei soldati della seconda guerra mondiale. Oltre alla diffusione delle lettere a catena, si nota particolarmente un altro dato, quello della preghiera alla Madonna Regina della Pace. Dal tempo del primo conflitto mondiale, la devozione mariana aumentata, e Pio XII stesso durante la guerra contribuisce fortemente allo sviluppo del culto mariano in relazione alla tragedia bellica, con speciali preghiere, documenti magisteriali, ed anche consacrando a Maria, l8 dicembre 1942, il mondo intero. Le invocazioni dei soldati sono rivolte alla Madonna, come s detto, soprattutto in quanto apportatrice di pace. Gli schemi delle preghiere e suppliche comprendono spesso accenni agli orrori, ai disagi, alle sofferenze della guerra, insieme alla richiesta dellincolumit e della fine del conflitto. Sono preghiere semplici, come quella diffusa tra i soldati dal foglietto mensile Cuore a cuore con Ges nellEucarestia: O Ges, il mondo intero assetato di pace e noi invochiamo con grande fede e con perseverante insistenza il patrocinio dellImmacolata Regina della pace, non solo per la nostra tranquillit, ma ancora per questa societ che si agita in una convulsione sanguinosa. Gli epistolari e i diari della campagna di Russia (tra i vari fronti della guerra italiana quello russo il pi studiato e quello su cui stata prodotta pi documentazione) mostrano come siano frequenti i richiami allintervento divino contro la guerra e per sfuggire alla morte. Nel corpo di spedizione italiano in Russia la nostalgia per la casa lontana acuiva forse le sofferenze e le paure delle vicende belliche, e provocava un'intensificazione della preghiera. Molto frequenti sono nelle lettere dalla Russia i riferimenti a rosari recitati collettivamente. Per citare una lettera tra tante: Adesso che avuto i misteri del Santo Rosario, dico il Rosario coi miei uomini della squadra e sono molto contenti, se vedessi cara moglie con che divozione lo recitiamo tutti rinchiusi in una buca e preghiamo con molta volont e il Signore non mancher di accettare le nostre suppliche. Accanto a queste forme di preghiera, in certo senso codificate dalla Chiesa, altre appartenevano ad un devozionismo popolare spontaneo, pi incline a credere e ad affidarsi a racconti di miracoli tanto eccezionali quanto ignoti alle gerarchie ecclesiastiche, oppure a virt taumaturgiche attribuite alluna o allaltra immagine sacra. la medaglietta da portare sempre al collo per non essere colpiti, oppure il foglietto con la preghiera trascritta, inviato da casa, che il soldato appunta con una spilla a ogni vestito che cambia. Nella prima guerra mondiale, lattesa e la richiesta del miracolo divino si espressero in forme parzialmente differenti, ma analoghe. Alla minore diffusione che ebbero le lettere a catena (ma una certa fortuna ebbero alcuni tipi di lettere che proponevano dei rosari a catena) suppl in certo senso il continuo propalarsi di strane leggende. Piero Melograni ne riporta alcune, inserendole nella sfera dei comportamenti irrazionali dei soldati. la credenza che santAntonio si fosse presentato di fronte ad una trincea, predicando la fine della guerra per l'agosto 1916; o la voce che un vecchio venerando (Pio X) si fosse presentato a un pastorello, chiedendo alcune pecore ed infine scegliendone quattro: tre le aveva gettate in un burrone ed una laveva portata via con

s, ed i soldati dicevano che la pecora salvata era lItalia, protetta da Pio X a differenza delle altre nazioni. Con il ritorno alla pace, e poi la graduale smobilitazione dellapparato militare nel 1919, si nota nei soldati un forte calo delle pratiche religiose, sia di quelle spontanee sia di quelle pi connesse allattivit dei cappellani militari. Questi ultimi spiegano il fenomeno nei termini di sempre del periodo bellico, ossia richiamandosi alla lontananza dal pericolo e alla sua cessazione, ad una scarsa moralit, al troppo ozio, alle inopportune dislocazioni delle unit militari presso centri abitati, ritenuti fonte di corruzione morale, e cosi via. In realt, ad allontanare i soldati dalle pratiche religiose intervenivano anche altri elementi. Erano, fra questi, lirritazione per il prolungamento della ferma militare, lansia per il congedo, le novit sociali e politiche dellimmediato dopoguerra. Certo che i reduci dimostravano grandi difficolt sia a riprendere in maniera piana e convinta le consuetudini religiose prebelliche, sia a conservare quel senso della presenza e della necessit di Dio sulla scena umana che si manifestava nelle invocazioni spontanee dei momenti del pericolo e di nostalgia della pace. Varie ricerche effettuate su scala locale, dal Piemonte al Veneto e alla Sicilia, sembrano confermare questo dato. Per usare le parole del Moderatore del Sinodo della Chiesa valdese, la maggiore chiesa protestante italiana che aveva avuto sotto le armi alcune migliaia di suoi membri, i reduci soprattutto giovani mostravano in generale uninquietante freddezza di fede, sicch non c'era da farsi illusioni sui risultati spirituali della guerra: Ora che la guerra finita sappiamo dire parole di pace; la guerra come guerra non pu far bene a nessuno. Lesponente religioso valdese rilevava il carattere antireligioso della guerra. La causa della crisi religiosa di tanti reduci era la stessa guerra, che aveva negato la conservazione delle certezze religiose precedenti senza consentirne alcun rinnovamento. Era la guerra, con il suo carico di irrazionalit violenta, di morte, che sembrava rivelare nel 1919 il suo aspetto antireligioso. Peraltro, non poche testimonianze sulle negative conseguenze religiose della guerra esistono gi per i primi anni del conflitto nella corrispondenza di soldati cattolici impegnati in gruppi o associazioni confessionali. Costoro, meno propensi a quelle manifestazioni di religiosit popolare tipiche della massa dei fanti-contadini, e pi inclini di questi ultimi a interpretare razionalmente lo spettacolo bellico, ne rifiutano una lettura semplificata nei termini di flagello o di destino per compierne un'analisi pi meditata. Scrive ad esempio allesponente della Giovent Cattolica, Egilberto Martire, un amico militare: intanto umilmente prosegue la nostra silenziosa fatica e a volte ci sentiamo un po' stanchi. Il Signore per ci aiuta e ci d il coraggio e la lena necessari. Ho detto il Signore eppure quanto poco si pensa alle cose del- l'anima quass! Sento un avvilimento profondo pensando che potrei fare tanto bene e tutto me lo impedisce. Tutte le domeniche io sono l, di fronte al nemico in trincea, e gli uomini con me, poi dimmi a cosa pu servire la buona volont! Spero per la Pasqua preparare qualche cosa ma dovr lavorare molto e se mi negano la mattina di riposo non ne far niente! Ti sembrer strano quello che io dico ma verit. Tutti pi o meno credono qui, ma la loro fede cosi lontana dalla vita che non riescono neppure a trovare un rapporto tra ci che fanno e ci che cristianamente dovrebbero fare. Ufficiali che si dicono cristiani sostengono che bisogna essere pi come dire? semplicisti in fatto di prigionieri (e tu mi hai capito) e credono che ci sia giusto... Con una frase che una condanna atroce: lo fanno loro credono di essere a posto... Vedi, io credo che la guerra per i pi spirituali sia forse troppo lunga. Anche i pi idealisti si pianano e si adagiano quando il sacrificio lungo... ci vorrebbero i santi, ma.... una lettera piuttosto efficace nel denunciare alcune conseguenze della guerra sullo spirito dei combattenti e le difficolt nel mantenere i propositi e gli atteggiamenti della vigilia bellica.

Per tornare, comunque, alla caduta delle pratiche religiose tra soldati e reduci nel 1918 e 1919, va rilevata una certa diversit tra la crisi forse inattesa della religione prescritta, ufficialmente proposta dal clero cattolico militare e non, e la crisi pi prevedibile di quella religione spontanea, dellinvocazione nel pericolo e nel flagello, pi autonoma della Chiesa. Diversamente dalla religione per cosi dire ufficiale, che aveva dei contenuti certi, era ben determinata sul piano etico e richiedeva una precisa continuit di atteggiamenti e di osservanza, la seconda non viveva in certo senso di una pretesa alla stabilit, avendo per suo precipuo carattere il ravvivarsi temporaneo, al di fuori di schemi prefissati, in occasione di particolari avvenimenti o situazioni di vita. La religiosit dell'invocazione spontanea del miracolo fatta di richiesta della grazia nel bisogno ed un po' anche nel piegare la religione ufficiale alla cultura e alle paure individuali non aspirava alla durevolezza della proposta religiosa caratteristica dell'azione dei cappellani militari, ma era tutta finalizzata ad un risultato immediato. Nella vita di guerra una certa religiosit spontanea fior e si diffuse largamente, ma in genere al di fuori di una qualche pedagogia evangelica intesa a promuoverla, non tanto ad una fede la quale gi risultava evidente nell'atto dellinvocazione, ma ad una pi consapevole e duratura coscienza religiosa. Manc, forse, chi volesse, o riuscisse, ad ancorare le espressioni di una religiosit e di una fede autentiche, che si manifestavano nei momenti del pericolo, ad un senso pi evangelico della vita. In questo senso il rapido declino di tutte le pratiche religiose nel 1918 e 1919 poneva ai responsabili della Chiesa italiana una serie di differenti interrogativi sia sull'efficacia della loro pastorale ordinaria, sia sulla necessit di una pi radicale rievangelizzazione di milioni di uomini della popolazione pi giovane del paese, quegli uomini come dissero allora taluni avvertiti sacerdoti che normalmente costituiscono l'immensa lacuna del popolo nostro. Roberto Morozzo della Rocca ORIENTAMENTO BIBLIOGRAFICO AA. VV., Benedetto XV, i cattolici e la prima guerra mondiale, a cura di Giuseppe Rossini, Roma 1963 AA, VV., Operai e contadini nella grande guerra, a cura di Mario lsnenghi, Bologna 1982 C. CARAVAGLIOS, Lanima religiosa della guerra, Milano 1935. G. DE ROSA, I cattolici, in AA. VV., Il trauma dellintervento: 1914-1919 Firenze 1968. F. FONTANA, Croce ed armi. Lassistenza spirituale alle Forze Armate Italia in pace e in guerra (1915-1955), Torino 1956. F. MALGER1, La Chiesa italiana e la guerra (1940-1945), Roma 1980. P. MELOGRANI, Storia politica della grande guerra 1915-1918, Bari 1969 A. MONTI, Fondamento scientifico del Catalogo per soggetti dell'Archivio della guerra in Milano con un saggio di ricerca sul tema: Espressione popolare del sentimento religioso nei soldati meridionali, Milano 1938. R. MOROZZO DELLA ROCCA, La fede e la guerra. Cappellani militari e preti- soldati (1915-1919), Roma 1980. N. REVELLI, Lultimo fronte. Lettere di soldati caduti o dispersi nella seconda guerra mondiale, Torino 1971. L. SPITZER, Lettere di prigionieri di guerra italiani (1915-1918), Torino 1976.

Il saggio tratto da AA.VV., Storia vissuta del popolo cristiano. Direzione di Jean Delumeau. Edizione italiana a cura di Franco Bolgiani, SEI, Torino, 1985 pp. 789-808

Procacci Giovanna, Soldati e prigionieri italiani nella grande guerra. Con una raccolta di lettere inedite

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