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Appunt i dal l e l ezi oni del c or so di

LOGI CA MATEMATI CA

per st udent i di I nf or mat i c a



a cura di A. Labella e G.T. Bagni







Roma, 2002
2





Il frontespizio di unedizione di De Coelo e De Mundo di Aristotele
con i commenti di Jandun stampata a Venezia nel 1589



__________
3







Indice





Parte prima Insiemi e funzioni p. 7

1. Teoria degli insiemi

1.1. Insiemi
1.2. Sottoinsiemi e inclusione
1.3. Operazioni con gli insiemi: unione,
intersezione, differenza
1.4. Il prodotto cartesiano di due insiemi

2. Relazioni e propriet

2.1. Sottoinsiemi del prodotto cartesiano
2.2. Relazioni tra un insieme e se stesso
e loro propriet
2.3. Relazioni di equivalenza e insieme quoziente
2.4. Relazioni dordine
2.5. Relazioni dordine totale e dordine parziale

3. Funzioni

3.1. La definizione di funzione
3.2. Funzioni iniettive, suriettive, biiettive

4. Funzioni composte e funzioni inverse

4.1. La funzione composta
4.2. Lapplicazione della definizione di funzione
composta
4.3. Il dominio della funzione composta
4.4. La funzione identit
4.5. La relazione inversa

5. Cenni sulle antinomie della teoria degli insiemi

4
5.1. Le antinomie
5.2. Gottlob Frege e Bertrand Russell



Parte seconda Numeri naturali p. 39

6. Linsieme dei numeri naturali

6.1. I numeri naturali: approccio cardinale
6.2. I numeri naturali: approccio ordinale
6.3. La rappresentazione dei numeri naturali
6.4. Propriet di operazioni aritmetiche
e insiemistiche: lalgebra di Boole

7. Dimostrazioni per induzione

7.1. Proposizioni dipendenti da un naturale
7.2. Dimostrazioni per induzione

8. I numeri primi

8.1. Divisibilit e numeri primi
8.2. La scomposizione in fattori primi
8.3. Quanti sono i numeri primi?
8.4. Condizioni di primalit

9. Confronto di insiemi infiniti

9.1. La potenza del numerabile
9.2. La potenza del continuo



Parte terza Logica degli enunciati p. 71

10. Enunciati, connettivi, valori di verit

10.1. Verit
10.2. Enunciati
10.3. Connettivi e valori di verit
10.4. Interpretazioni, equivalenze logiche, validit

11. Il metodo dei tableaux proposizionali

11.1. La confutazione di un enunciato composto
11.2. La costruzione di un tableau proposizionale
11.3. Correttezza e completezza

12. Il sistema di Gentzen

12.1. Il sistema deduttivo di Gentzen
12.2. Deduzione di Gentzen e tableau

13. Cenni sul sistema di Hilbert

13.1. Il sistema di Hilbert
5
13.2. Regole derivate del sistema di Hilbert



Parte quarta Logica dei predicati p. 99

14. Formule predicative e quantificatori

14.1. Dalla segnatura alle formule predicative
14.2. I quantificatori
14.3. Variabili vincolate e variabili libere
14.4. Modelli e validit

15. Il metodo dei tableaux e il calcolo dei predicati

15.1. Tableaux e quantificatori
15.2. Regole per la costruzione di un tableau
predicativo
15.3. Esempi di formule valide nel calcolo
dei predicati
15.4. Correttezza e completezza del metodo
dei tableaux

16. I sistemi di Gentzen e di Hilbert, la risoluzione
e il calcolo dei predicati

16.1. Sistema di Gentzen per il calcolo dei predicati
16.2. Correttezza e completezza del sistema
di Gentzen
16.3. Cenni sul sistema di Hilbert per il calcolo
dei predicati
16.4. Correttezza e completezza del sistema
di Hilbert



Parte quinta Procedimenti di risoluzione p. 121

17. Forme normali congiuntive e risoluzione

17.1. Forme normali congiuntive
17.2. Risoluzione
17.3. Correttezza e completezza della risoluzione
17.4. Quali prospettive?





Appendice A Il sistema assiomatico di Zermelo p. 129
per la teoria degli insiemi


Appendice B Teorie aritmetiche e modelli p. 135


Appendice C Complementi sui numeri primi p. 141



6
Riferimenti bibliografici p. 147

7





Il frontespizio di unedizione delle opere di Aristotele con i commenti
di San Tommaso dAquino stampata a Venezia nel 1550



__________

7
I

Insiemi e funzioni




1. TEORIA DEGLI INSIEMI


1.1. Insiemi

Intuitivamente, il concetto di insieme pu essere fatto corrispondere allatto mentale
mediante il quale associamo alcuni elementi in un tutto unico detto insieme. La teoria
degli insiemi pu essere introdotta assiomaticamente e linsieme un concetto
primitivo: storicamente, lapplicazione del metodo assiomatico alla teoria degli
insiemi ebbe in Ernest Zermelo (1871-1953) il principale protagonista; dedicheremo
a tale argomento lappendice A.
In questa fase ci limiteremo ad introdurre le principali nozioni insiemistiche
mantenendo un punto di vista intuitivo. Non richiesta alcuna particolare omogeneit
tra gli elementi che costituiscono un insieme: possibile associare nello stesso insieme
un numero qualsiasi di elementi di qualsiasi genere (anche se nel paragrafo 5.2 ci
occuperemo della questione delleventuale appartenenza di un insieme a se stesso
come elemento).

Esempio. possibile parlare di un insieme a cui appartengono il nome del monte pi
alto della Terra, lultima lettera dellalfabeto italiano e le soluzioni dellequazione:
x+6 = 5x. Tale insieme ha elementi: Everest, Z, 2, 3.

Un insieme privo di elementi si dice insieme vuoto; si indica col simbolo .

Esempio. Linsieme costituito dalle soluzioni intere di: x = 2 linsieme vuoto, :
ci equivale ad affermare che lequazione data non ha radici intere.

Affinch una collezione di elementi possa essere classificata come un insieme vero
e proprio, deve sempre essere possibile stabilire se un qualsiasi elemento appartiene
(o non appartiene) allinsieme cos introdotto.
8

Esempio. Ha senso, nella teoria degli insiemi, parlare dellinsieme costituito dai
numeri reali maggiori di 4. Infatti possibile stabilire oggettivamente se un qualsiasi
elemento appartiene o no a tale insieme: per appartenere allinsieme, un elemento
deve (contemporaneamente):
essere un numero reale;
essere maggiore di 4.
Dunque allinsieme introdotto apparterranno certamente elementi come 59, 19,
33/8; mentre non vi apparterranno elementi come 1, 31/8, 4 (che sono numeri reali,
ma non sono maggiori di 4), o come Firenze, Hemingway, un esagono regolare, il
numero 5 (che non sono numeri reali).

(Contro)esempio. Non ha senso, nella teoria degli insiemi, parlare dellinsieme
costituito dai libri interessanti: non infatti possibile affermare oggettivamente se un
libro interessante oppure se non lo .

convenzione spesso accettata indicare gli insiemi con lettere maiuscole (A, B,
C, ...) e gli elementi con minuscole (a, b, c, ...). Lappartenenza dellelemento a
allinsieme A si indica con la scrittura: aA nella quale il simbolo si legge:
appartiene a. La non appartenenza di b a B si indica con: bB. Quindi la
condizione richiesta per poter parlare di insieme, espressa precedentemente, :
affinch I sia un insieme, richiesto che, per ogni elemento a, sia possibile
stabilire che laffermazione aI sia vera o falsa.
Per indicare dettagliatamente gli insiemi, con i loro elementi, si possono scegliere
diversi procedimenti. Un primo metodo, detto rappresentazione tabulare, consiste
nellelencare tutti gli elementi che costituiscono linsieme in questione tra parentesi
graffe; ad esempio, la scrittura I = {1; 2; 5} significa che allinsieme I appartengono
(solamente) gli elementi 1, 2, 5. Notiamo che lordine con cui si elencano gli elementi
privo di importanza. Un insieme non presuppone alcun particolare ordinamento dei
suoi elementi (a meno che ci venga esplicitamente indicato); con le scritture:

{1; 2; 5} {1; 5; 2} {2; 1; 5} {2; 5; 1} {5; 1; 2} {5; 2; 1}

intendiamo lo stesso insieme, avente per elementi 1, 2, 5 (indipendentemente
dallordine), qualsiasi rappresentazione si scelga tra le sei indicate.
Talvolta la rappresentazione tabulare pu essere scomoda e addirittura
impraticabile quando linsieme in questione costituito da infiniti elementi. La
rappresentazione caratteristica si ottiene evidenziando (ove ci sia possibile) una
9
condizione necessaria e sufficiente per lappartenenza di un elemento allinsieme
considerato. La scrittura dellinsieme avr forma:

{x: x rispetta unassegnata condizione}

nella quale il simbolo : (talvolta sostituito da ) si legge tale che.

Esempio. Indichiamo linsieme I di interi il cui quadrato minore di 15:
rappresentazione tabulare: I = {3; 2; 1; 0; 1; 2; 3};
rappresentazione caratteristica: I = {x: x un numero intero e 3x3}.

Nellesempio precedente abbiamo scritto (usando parole tratte dalla lingua
italiana) che lelemento x un numero intero, cio appartiene allinsieme
costituito dai numeri interi. Questo insieme generalmente indicato con il simbolo
Z. Anche altri insiemi numerici sono di uso frequente:

N insieme dei numeri naturali
N
0
insieme dei numeri naturali non nulli

Z insieme dei numeri interi
Z
0
insieme dei numeri interi non nulli
Z
+
insieme di numeri interi positivi
Z
-
insieme dei numeri interi negativi

Q insieme dei numeri razionali
Q
0
insieme dei numeri razionali non nulli
Q
+
insieme dei numeri razionali positivi
Q
-
insieme dei numeri razionali negativi

R insieme dei numeri reali
R
0
insieme dei numeri reali non nulli
R
+
insieme dei numeri reali positivi
R
-
insieme dei numeri reali negativi

C insieme dei numeri complessi

e dunque linsieme dei numeri interi il cui quadrato minore di 15 pu scriversi {x: x
Z e 2x2} oppure {xZ: 2x2}.


1.2. Sottoinsiemi e inclusione
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Fissato un insieme A, diremo sottoinsieme B di A un insieme al quale non
appartengono elementi non appartenenti ad A: dunque B pu essere costituito da
alcuni elementi di A, o da tutti gli elementi di A, o da nessun elemento.

Definizione. Linsieme B si dice sottoinsieme dellinsieme A se ogni elemento di B
elemento di A; si dice anche che B incluso in A e si scrive: BA.

Tra tutti i sottoinsiemi di un insieme dato A troviamo sempre linsieme A stesso e
linsieme vuoto : essi sono detti sottoinsiemi impropri di A; un sottoinsieme di A
diverso da A stesso e da si dice sottoinsieme proprio di A.
Linsieme vuoto ammette uno ed un solo sottoinsieme (improprio): . Un insieme
costituito da un solo elemento, A = {a}, ammette due sottoinsiemi impropri, ed A
stesso, e non ammette alcun sottoinsieme proprio.

Definizione. Si dice insieme delle parti di un insieme I linsieme (I) avente per
elementi tutti i sottoinsiemi (propri ed impropri) di I: (I) = {J: JI}.

Si pu verificare che se linsieme I costituito da n elementi (si dice anche che la
cardinalit di I n: riprenderemo ed amplieremo il concetto di cardinalit nella
sezione II), linsieme delle parti di I costituito da 2
n
elementi (ovvero: la cardinalit
di (I) 2
n
: dimostreremo ci nel capitolo 7).

Esempio. Consideriamo linsieme (avente cardinalit 3): I = {5; w; z}. I suoi
sottoinsiemi propri sono:

{5}, {w}, {z}, {5; w}, {5; z}, {w; z}

I suoi sottoinsiemi impropri sono: , {5; w; z}.
Linsieme delle parti (proprie e improprie) dellinsieme I ha cardinalit 2
3
= 8 ed
, in rappresentazione tabulare:

(I) = {, {5}, {w}, {z}, {5; w}, {5; z}, {w; z}, {5; w; z}}

Il concetto di inclusione ci permette di riprendere quello di uguaglianza di due
insiemi. Diremo dunque che i due insiemi A e B sono uguali, e scriveremo A = B,
quando A sottoinsieme di B e contemporaneamente B sottoinsieme di A, cio
quando: A B e B A.
11


1.3. Operazioni con gli insiemi: unione, intersezione, differenza

Definizione. Linsieme AB, unione degli insiemi A, B, linsieme al quale
appartengono gli elementi che appartengono almeno ad uno degli insiemi A, B: AB
= {x: xA o xB}.

Esempio. Lunione degli insiemi: A = {xR: 1<x<5} e B = {xR: 3<x<15}
linsieme: AB = {xR: 1<x<15}.

Definizione. Linsieme AB, intersezione degli insiemi A, B, linsieme al quale
appartengono gli elementi che appartengono contemporaneamente agli insiemi A, B:
AB = {x: xA e xB}.

Esempio. Lintersezione di: A = {xR: 1<x<5}, B = {xR: 3<x<15} linsieme:
AB = {xR: 3<x<5}.

Due insiemi la cui intersezione si dicono disgiunti. Si verifica che:

II = I (infatti allunione di I e di I appartengono tutti e soltanto gli
elementi appartenenti a I o a I).
I = I (infatti allunione di I e di appartengono tutti e soltanto gli
elementi appartenenti a I o a ; ma a non appartiene
alcun elemento...).
II = I
I =
IJ = JI (propriet commutativa)
IJ = JI (propriet commutativa)
I(JK) = (JI)K (propriet associativa)
I(JK) = (JI)K (propriet associativa)
I(JK) = (IJ)(IK) (propriet distributiva)
I(JK) = (IJ)(IK) (propriet distributiva)

Definizione. Linsieme A\B, differenza degli insiemi A e B, linsieme al quale
appartengono gli elementi che appartengono ad A ma non appartengono a B: A\B =
{x: xA e xB}.

12
Esempio. La differenza di A = {xR: 1<x<5} e B = {xR: 3<x<15} linsieme:
A\B = {xR: 1<x3}.

Per quanto riguarda le propriet delloperazione introdotta, si verifica che:

I\I =
I\ = I
\I =


1.4. Il prodotto cartesiano di due insiemi

Quanto finora esposto a proposito del concetto di insieme non fa riferimento
allordine con cui gli elementi di un insieme sono elencati. per possibile, in
determinati casi, specificare un particolare ordinamento allinterno di un dato insieme:
quanto ci accingiamo a fare introducendo la coppia ordinata.
Siano dati gli insiemi A, B, che supporremo inizialmente non vuoti. Una coppia
ordinata di elementi di A e di B si indica con il simbolo: (a; b).
Essa un insieme costituito da due elementi, il primo dei quali appartenente ad A,
il secondo a B.

Definizione. Linsieme AB, prodotto cartesiano degli insiemi A e B, linsieme
avente per elementi tutte le coppie ordinate (a, b), con aA e bB: AB = {(a; b):
aA e bB}.

Nel caso in cui (almeno) uno dei due insiemi A, B sia , AB vuoto.

Esempio. Il prodotto cartesiano di A = {c; d} e B = {2; 4; 7} AB = {(c; 2); (d;
2); (c; 4); (d; 4); (c; 7); (d; 7)}.

Introduciamo le proiezioni. Faremo riferimento ad un qualche sottoinsieme SA
B (limportanza dei sottoinsiemi del prodotto cartesiano apparir evidente a partire
dal prossimo paragrafo).

Definizione. Sia SAB. Di dice proiezione di S su A (rispettivamente: su B)
linsieme U = {x: xA e (x; b)S per almeno un b} (rispettivamente: {y: yB e (a;
y)S per almeno un a}).

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Evidentemente la proiezione di tutto linsieme (non vuoto) AB su A A stesso e
su B B stesso.

Esempio. Sia S il sottoinsieme di NN costituito dalle coppie (n; m) tali che n+m =
3. Lasciamo al lettore di verificare che S = {(0; 3); (1; 2); (2; 1); (3; 0)}.
La proiezione di S su N U = {0; 1; 2; 3}.
In questo caso con N indichiamo indifferentemente sia il primo che il secondo
degli insiemi dei quali viene considerato il prodotto cartesiano NN. Tuttavia in
generale necessaria una loro distinzione, come apparir chiaro dallesempio
seguente.

Esempio. Sia T il sottoinsieme di NN costituito dalle coppie (n; m) tali che 2n+m
= 4. Lasciamo al lettore di verificare che T = {(0; 4); (1; 2); (2; 0)}.
La proiezione di S sul primo degli insiemi N U
1
= {0; 1; 2}.
La proiezione di S sul secondo degli insiemi N U
2
= {0; 2; 4}.



2. RELAZIONI E LORO PROPRIET


2.1. Sottoinsiemi del prodotto cartesiano

Siano dati gli insiemi A, B, AB. Come sappiamo, ad AB appartengono tutte le
coppie ordinate costituite da un primo elemento tratto da A e da un secondo
elemento tratto da B. Pu essere opportuno, in alcuni casi, evidenziare alcuni
particolari sottoinsiemi di AB: ad esempio, per sottolineare che alcune coppie di A
B rispettano una qualche propriet, verificano una legge.

Definizione. Si dice relazione tra gli insiemi A e B un sottoinsieme del prodotto
cartesiano AB.

Esempio. Consideriamo gli insiemi:

A = {Arno; Po; Tevere} B = {Firenze; Pisa; Torino}

e il loro prodotto cartesiano:

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AB = {(Arno; Firenze); (Arno; Pisa); (Arno; Torino);
(Po; Firenze); (Po; Pisa); (Po; Torino);
(Tevere; Firenze); (Tevere; Pisa); (Tevere; Torino)}

Tra tutte le coppie aventi per primo elemento un elemento di A (in questo caso,
un fiume) e per secondo un elemento di B (una citt), individuiamo quelle costituite
dal nome di un fiume e da quello di una citt bagnata da tale fiume:

R = {(Arno; Firenze); (Arno; Pisa); (Po; Torino)}

Limportanza del sottoinsieme R di AB evidente: esso sottolinea che tutte (e
soltanto) le coppie ad esso appartenenti verificano una determinata propriet, ovvero
sono costituite da un fiume e da una citt bagnata da esso.
Il sottoinsieme R ora indicato uno dei possibili sottoinsiemi di AB: altri
sottoinsiemi possono essere individuati da altre considerazioni (tutte ugualmente
valide dal punto di vista insiemistico).

Quando si considera la coppia (a; b) appartenente ad un dato sottoinsieme R di
AB, si dice che lelemento aA ha per corrispondente bB nella relazione R,
oppure che gli elementi a, b sono in relazione fra loro.
Una relazione, come ogni sottoinsieme del prodotto cartesiano di insiemi, pu
essere rappresentata graficamente.

Esempio. Il grafico rappresenta la relazione introdotta nel precedente esempio.

Torino

Pisa

Firenze

Arno Po Tevere


2.2. Relazioni tra un insieme e se stesso e loro propriet

Per la definizione del prodotto cartesiano di due insiemi, sopra introdotta, non
necessario che gli insiemi in questione siano distinti: cio possibile parlare del
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prodotto cartesiano II, costituito dallinsieme di tutte le coppie ordinate (a, b) con a
I e bI. Esamineremo le caratteristiche delle relazioni definite in II.
Le relazioni tra un insieme I e se stesso possono infatti godere di interessanti
propriet, introdotte dalle definizioni seguenti:

Definizione. Si dice che la relazione RII gode della propriet riflessiva se, per
ogni aI : (a; a)R.

Cio: una relazione definita tra gli elementi di un insieme gode della propriet
riflessiva (si dice anche: riflessiva) se ogni elemento dellinsieme considerato in
relazione con se stesso.

Definizione. Si dice che la relazione RII gode della propriet antiriflessiva se,
per ogni aI : (a; a)R.

Cio: una relazione definita tra gli elementi di un insieme gode della propriet
antiriflessiva (si dice anche: antiriflessiva) se nessun elemento dellinsieme
considerato in relazione con se stesso.

Definizione. Si dice che la relazione RII gode della propriet simmetrica se per
ogni aI e per ogni bI tali che (a; b)R, : (b; a)R.

Cio: una relazione definita tra gli elementi di un insieme gode della propriet
simmetrica (si dice anche: simmetrica) quando, per ogni coppia di elementi a, b
dellinsieme considerato, accade che se a in relazione con b, allora anche b in
relazione con a.

Definizione. Si dice che la relazione RII gode della propriet antisimmetrica se
(a; b)R e (b; a)R implica che sia: a = b.

Cio: una relazione definita tra gli elementi di un i nsieme gode della propriet
antisimmetrica (si dice anche: antisimmetrica) quando, per due elementi a, b
dellinsieme considerato, il contemporaneo essere a in relazione con b e b in
relazione con a implica che a = b.

Definizione. Si dice che la relazione RII gode della propriet transitiva se per
ogni aI, per ogni bI e per ogni cI tali che (a; b)R e (b; c)R, : (a; c)R.

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Cio: una relazione definita tra gli elementi di un insieme gode della propriet
transitiva (si dice anche: transitiva) quando, per ogni terna di elementi a, b, c
dellinsieme considerato, accade che se a in relazione con b e b in relazione con
c, allora a in relazione con c.

Esempio. Consideriamo nellinsieme I delle rette del piano la RII:

R = {(r; s): r coincidente o parallela a s}

Tale relazione gode delle propriet:
riflessiva, perch ogni retta coincidente o parallela a se stessa (nel caso
specifico: coincidente);
simmetrica, perch se la retta r coincidente o parallela alla retta s, allora
anche s coincidente o parallela a r;
transitiva, perch se la retta r coincidente o parallela alla retta s e la retta s
coincidente o parallela alla retta t, allora la retta r risulta coincidente o parallela a t.
Il lettore verificher che la relazione R non gode delle altre propriet sopra
esaminate (antiriflessiva, antisimmetrica).

Esempio. Consideriamo, nellinsieme J delle lunghezze dei segmenti del piano, la
SJJ:

S = {(a; b): la lunghezza a non minore di quella b}

Tale relazione gode delle propriet:
riflessiva, perch la lunghezza di ogni segmento non minore di se stessa;
antisimmetrica, perch se la lunghezza di un primo segmento non minore
della lunghezza di un secondo ed inoltre la lunghezza del secondo segmento non
minore di quella del primo, allora i due segmenti considerati hanno la stessa
lunghezza;
transitiva, perch se la lunghezza a di un segmento non minore di quella b
e la lunghezza b non minore di quella c, allora la lunghezza a non minore di quella
c.
La relazione S non gode delle altre propriet sopra esaminate (antiriflessiva,
simmetrica).

Esempio. Consideriamo, nellinsieme I delle rette del piano, la TII:

T = {(r; s): r perpendicolare a s}
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Tale relazione gode delle propriet:
antiriflessiva, perch nessuna retta perpendicolare a se stessa;
simmetrica, perch se una retta r perpendicolare ad una retta s, allora la
retta s perpendicolare a r.
La relazione T non gode delle altre propriet sopra esaminate (riflessiva,
antisimmetrica, transitiva).

Segnaliamo infine che con il termine chiusura transitiva di una relazione A si
indica la pi piccola relazione transitiva tale che A. Si dimostra che per ogni
relazione A, la chiusura transitiva esiste ed unica.
La chiusura transitiva di una relazione A pu dunque essere intesa come
lintersezione di tutte le relazioni transitive che contengono A: cos facendo si otterr
ancora una relazione contenente A, transitiva e con la propriet di essere la pi
piccola possibile, appunto perch intersezione di tutte quelle soddisfacenti i requisiti.
Alternativamente, la chiusura transitiva di una relazione A pu essere costruita
considerando tutte le coppie (x, x) che sono estremi di catene (x, x
1
, x
2
, , x
n
, x)
di cui ogni coppia consecutiva (x, x
1
), (x
1
, x
2
), , (x
n
, x) appartiene ad A. Che tale
relazione sia transitiva chiaro: se (x, x) e (x, x) appartengono ad , allora
esister una successione (x, x
1
), (x
1
, x
2
), , (x
n
, x), , (x
m
, x) che ci consentir
di affermare che anche (x, x). Inoltre ogni relazione transitiva che contenga A
dovr contenere tutte le coppie estremi di catene finite come quelle descritte.

Esempio. Consideriamo linsieme X dei punti di una citt (il termine punto si
intenda, in questo caso, infomalmente, dunque pi in senso geografico che
geometrico). Sia A la relazione tra elementi di X individuata dalla propriet essere
collegati da un autobus. Lasciamo al lettore il compito di verificare che essa non
riflessiva e simmetrica. Inoltre la relazione A non transitiva in quanto pu accadere
che sia impossibile andare dal punto P al punto Q utilizzando un solo autobus.
Per costruire la chiusura transitiva , minima relazione transitiva contenente A,
dobbiamo ampliare A considerando in relazione anche punti di X raggiungibili tra di
loro mediante un certo numero (finito, anche se non fissato) di autobus da prendere
uno di seguito allaltro: e questa proprio loperazione che comunemente viene fatta
di chi utilzza i mezzi pubblici (da: Bellacicco & Labella, 1979, p. 72).


2.3. Relazioni di equivalenza e insieme quoziente

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Definizione. Una relazione RII si dice relazione di equivalenza se gode delle
propriet riflessiva, simmetrica e transitiva.

Esempio. Consideriamo, nellinsieme I delle rette del piano, la relazione:

R = {(r; s): r coincidente o parallela a s}

gi esaminata in un precedente esempio.
La relazione data una relazione di equivalenza in quanto gode delle propriet
riflessiva, simmetrica e transitiva.

Definizione. Si dice classe di equivalenza [a] dellelemento aI rispetto alla
relazione di equivalenza RII il sottoinsieme di I costituito dagli elementi x tali che
(a; x)R.

Si noti che le classi di equivalenza sono non vuote (per la propriet riflessiva delle
relazioni di equivalenza, alla classe [a] appartiene sempre lelemento a) e a due a due
disgiunte. Proviamo questultima affermazione.

Proposizione. Siano a, b, due elementi distinti di I e siano [a], [b] le classi di
equivalenza di a e di b rispetto alla relazione di equivalenza RII; allora [a] e [b]
sono disgiunte.

Dimostrazione. Mostreremo che se esiste un elemento xI tale che:

x[a] e x[b]

allora deve essere [a] = [b].
Infatti, per definizione, se x[a] significa che (a; x)R e se x[b] significa che
(b; x)R. Dunque, per la propriet transitiva della relazione di equivalenza R:

(a; x)R e (b; x)R (a; b)R [a] = [b]. n

Definizione. Si dice insieme quoziente dellinsieme I rispetto alla relazione R
linsieme I/R delle classi di equivalenza degli elementi di I rispetto alla relazione di
equivalenza R.

19
Linsieme quoziente costituisce una partizione di I in classi di equivalenza: con ci
intendiamo che tali classi, non vuote, sono a due a due disgiunte (come sopra
dimostrato) e che lunione di tutte le classi I.

Esempio. Consideriamo, nellinsieme I delle rette del piano, la relazione di
equivalenza:

R = {(r; s): r coincidente o parallela a s}

gi esaminata in precedenti esempi. Le classi di equivalenza rispetto a tale relazione
sono i sottoinsiemi di I del tipo:

[s] = {rI: r coincidente o parallela a s}

Ciascuno degli elementi dellinsieme quoziente I/R costituito da un insieme di
rette parallele: esso pu dunque essere identificato con la comune direzione di esse.


2.4. Relazioni dordine

Definizione. Una relazione RII si dice relazione dordine (o di ordine largo) se
gode delle propriet riflessiva, antisimmetrica e transitiva.

Definizione. Una relazione RII si dice relazione di ordine stretto se gode delle
propriet antiriflessiva e transitiva.

Esempio. Consideriamo nellinsieme J dei segmenti del piano la SJJ:

S = {(a; b): la lunghezza di a non minore di quella di b}

gi esaminata in un precedente esempio. La relazione data una relazione dordine
(o di ordine largo) in quanto gode delle propriet riflessiva, antisimmetrica e
transitiva.

Esempio. Consideriamo nellinsieme J dei segmenti del piano la UJJ:

U = {(a; b): la lunghezza di a maggiore di quella di b}

20
La relazione data gode delle propriet:
antiriflessiva, perch nessun segmento pu avere lunghezza maggiore della
propria stessa lunghezza;
transitiva, perch se un segmento a ha lunghezza maggiore di quella di un
segmento b ed il segmento b ha lunghezza maggiore di quella di un segmento c, allora
a ha lunghezza maggiore di c.
La relazione U non gode delle altre propriet esaminate nel paragrafo precedente;
una relazione dordine stretto.

Notiamo che se utilizziamo la rappresentazione di relazioni mediante grafico, una
relazione dordine largo comprende tutti gli elementi individuati dai punti individuati
dalla diagonale del quadrante considerato, come illustrato nellesempio seguente.

Esempio. Il grafico seguente rappresenta una relazione di ordine largo.

e

d

c

b

a

a b c d e

Invece una relazione dordine stretto non comprende tutti gli elementi individuati
dai punti individuati dalla diagonale del quadrante considerato, come illustrato
nellesempio seguente.

Esempio. Il grafico seguente rappresenta una relazione di ordine stretto.

e

d

c

21
b

a

a b c d e

Nel paragrafo seguente introdurremo unimportante distinzione tra relazioni
dordine (largo o stretto).


2.5. Relazioni dordine totale e dordine parziale

Le relazioni dordine (largo o stretto) definite tra gli elementi di un insieme I
consentono spesso di confrontare due elementi di I, stabilendo quale dei due
elementi in questione preceda laltro in una classifica basata sullordinamento
indotto dalla relazione. Ad esempio, occupiamoci della relazione dordine largo S
introdotta nellinsieme J delle lunghezze dei segmenti del piano: S = {(a; b): la
lunghezza a non minore di quella b}, gi precedentemente esaminata: in base ad
essa, possibile ordinare linsieme J delle lunghezze dei segmenti del piano:
se (a; b)S, allora a precede b nellordinamento
se (b; a)S, allora b precede a nellordinamento
In tale caso, qualsiasi siano gli elementi a, b scelti in J, si verifica sempre uno dei
due casi (a; b)S o (b; a)S (e per segmenti non aventi la stessa lunghezza tali
possibilit, chiaramente, si escludono a vicenda): infatti, assegnati due a, b, accade
sempre che:
la lunghezza a non minore di quella b
oppure:
la lunghezza b non minore di quella a
Ma accade sempre cos? In altri termini: assegnata in un qualsiasi insieme una
qualsiasi relazione dordine S, accade sempre che, detti a, b due qualsiasi elementi di
tale insieme, si verifichi una delle due possibilit (a; b)S o (b; a)S? Oppure pu
accadere che per almeno una coppia di elementi c, d dellinsieme esaminato risulti (c;
d)S ed anche (d; c)S?
Situazioni come quella descritta sono possibili: la distinzione ora presentata
collegata alla possibilit di confrontare tutte le coppie di elementi dellinsieme I in
base alla relazione dordine assegnata in I e da ci dipende la possibilit di ordinare
tutti gli elementi di I in base a quanto considerato nella relazione.
Una relazione dordine S definita in un insieme I e tale che, per ogni coppia di
elementi a, b di I si verifica sempre uno dei casi (a; b)S o (b; a)S (ovvero che
consenta il confronto di tutte le coppie di elementi di I) si dice relazione dordine
22
totale; una relazione dordine S che non per tutte le coppie consenta tale confronto,
ovvero tale che per almeno una coppia di elementi c, d dellinsieme considerato
accada che (c; d)S e che (d; c)S, si dice relazione dordine parziale.

Osservazione. Il problema, ora presentato nel caso di una relazione dordine largo,
si pu estendere alle relazioni dordine stretto, come la U presentata nellesempio
precedente. Le possibilit, in questultimo caso, non sono pi due, ma tre: alle (a; b)
U, (b; a)U, corrispondenti ai casi in cui la lunghezza di a maggiore di quella di b
e viceversa, deve essere aggiunto il caso in cui le lunghezze sono uguali.

Esempio. Sia I linsieme avente per elementi tutti i sottoinsiemi di R (cio linsieme
delle parti di R); definiamo la relazione SII:

S = {(A; B): AB}

Tale relazione una relazione dordine, in quanto gode delle propriet:
riflessiva, perch per ogni A : AA;
antisimmetrica, perch da (AB) e (BA) segue A = B;
transitiva, perch da (AB) e (BC) segue AC.
La S una relazione dordine parziale: infatti possibile trovare coppie di
sottoinsiemi C, D di R tali che (C; D)S e (D; C)S.
Ad esempio se C, D sono definiti da:

C = {xR: 0<x<2} D = {xR: 1<x<3}

non essendo CD n DC, risulta:

(C; D)S e (D; C)S



3. FUNZIONI


3.1. La definizione di funzione

Le funzioni o applicazioni sono relazioni tra gli elementi di un insieme D e di un
insieme B tali che ad ogni elemento dellinsieme D corrisponda esattamente un
elemento (ovvero: uno ed uno solo) di B. La corrispondenza tra gli elementi del
23
primo insieme D e quelli del secondo insieme B indotta da una funzione si realizza
quando:
ogni elemento di D ha un corrispondente in B;
nessun elemento di D ha pi di un corrispondente in B.

Definizione. Una relazione RDB si dice funzione (o applicazione) se per ogni a
D esiste uno ed un solo bB tale che: (a; b)R.

Osservazione. Se fDB una funzione e se b
1
B, b
2
B, b
1
b
2
, in base alla
definizione data risulta:

(x; b
1
)f (x; b
2
)f
(x; b
2
)f (x; b
1
)f

Possibile invece che esistano bB, x
1
D, x
2
D, x
1
x
2
tali che:

(x
1
; b)f e (x
2
; b)f

Una funzione si indica spesso con la lettera f; si scrive: fDB, o: f: DB; il
primo insieme, D, si dice dominio della funzione f. A ciascun elemento x del dominio
della f corrisponde un(unica) immagine, indicata da f(x)B, e si scrive: f: xf(x).
Analogamente, si dice che xD controimmagine di f(x)B.
Talvolta linsieme B si indica con il termine codominio.

Definizione. Data la funzione f: DB, linsieme CB costituito dalle immagini degli
elementi di D si dice insieme delle immagini della f.

Pertanto linsieme delle immagini della funzione f: DB quel sottoinsieme di B
costituito dagli elementi di B aventi (almeno) una controimmagine in D.

Esempio. Consideriamo le relazioni rappresentate da:

a b i j s t
e
c h q y
m x
d n r p z

A
R
1
B I
R
2
J S
R
3
T
24

La prima di esse una funzione, mentre le altre due non rispettano la definizione
di funzione.
Infatti, in R
1
AB, ad ogni elemento di A corrisponde una ed una sola immagine
in B; linsieme delle immagini della funzione R
1
C = {b; m}.
Nella relazione R
2
IJ, a qI non corrisponde alcun elemento in J, contro la
definizione di funzione. Nella relazione R
3
ST, allo stesso elemento xS
corrispondono i distinti elementi yT e zT, contro la definizione di funzione.

Esempio. Sia P linsieme dei punti del piano e sia Z linsieme delle circonferenze
tracciate nel piano. Consideriamo le relazioni RPZ e SZP:

R = {(p; z): il punto pP il centro della circonferenza zZ}
S = {(z; p): la circonferenza zZ ha per centro il punto pP}

Esaminiamo la R: in essa, ad ogni punto p del piano corrispondono infinite
circonferenze z, in quanto ogni punto pu essere centro di infinite circonferenze
(concentriche): la R non rispetta la definizione di funzione.
Nel caso della S, invece, ad ogni circonferenza z corrisponde (in qualit di centro)
uno ed un solo punto p: pertanto, la S una funzione.

Osservazione. La definizione di funzione richiede che, per assegnare una funzione f:
DB, siano assegnati un insieme D, detto dominio, un secondo insieme B al quale
apparterranno le immagini, e una legge che ad ogni xD fa corrispondere una ed una
sola f(x)B. Spesso, per, quando si considerano funzioni definite in un sottoinsieme
D di R ed aventi immagini reali, una funzione f viene assegnata indicando la legge che
ad ogni xD fa corrispondere la f(x)R, senza fissare esplicitamente il dominio;
anzi, frequentemente la determinazione del dominio viene lasciata come esercizio. In
questo caso, con il termine dominio si intende il pi grande DR tale che per ogni x
D sia possibile calcolare f(x)R.

Esempio. Se la funzione f viene indicata con la scrittura:

f: x x

allora il pi grande DR tale che per ogni xD sia possibile calcolare x R {x
R: x0}. Dunque si dice che il dominio della f: x x {xR: x0}.

25
Questo modo di procedere spesso accettato: per opportuno specificare
esplicitamente il dominio nei casi in cui possano sorgere malintesi.

(Contro)esempio. Consideriamo la funzione xf(x) espressa da:

f(x) =
x
x 1


Qual il dominio di questa funzione?
Se cerchiamo un dominio DR affinch il denominatore sia non nullo e la radice
quadrata sia reale, dobbiamo imporre la condizione: x>1.
Ma attenzione: a x = 0 (considerato come numero complesso) corrisponde f(0) =
0
0 1
= 0/i = 0 (dove i = 1, iC; il lettore ricorder dagli studi secondari che
lo 0 complesso diviso per un complesso non nullo d sempre come quoziente lo 0
complesso).
Abbiamo dunque visto che f(0) = 0 (lo zero in C), e ci potrebbe indurre a
considerare 0 come appartenente al dominio di f; ma non si dimentichi che per
eseguire il calcolo di f(0) necessario considerare lo 0 come elemento di C ed
estrarre quindi (sempre in C) la radice quadrata di 1: e tutto ci porta a non
considerare 0 come appartenente al dominio di f.
In situazioni come quella ora descritta evidentemente consigliabile precisare a
priori il dominio in cui definita la funzione, al fine di evitare ambiguit.


3.2. Funzioni iniettive, suriettive, biiettive

Nel paragrafo precedente abbiamo dato la definizione di funzione: abbiamo cio
precisato che una relazione tra due insiemi detta funzione quando ad ogni elemento
del primo insieme (dominio) corrisponde una ed un sola immagine nel secondo
insieme.
Riflettiamo ora su di una funzione gi esaminata precedentemente:

a b
e
c h
m
d n

26
A
R
1
B

Dal suo esame, appare evidente che la definizione di funzione:
non impone che due distinti elementi del dominio abbiano immagini distinte
(ricordiamo losservazione posta dopo la definizione di funzione);
non impone che tutti gli elementi del secondo insieme abbiano una
controimmagine nel dominio (ovvero che linsieme delle immagini della
funzione coincida con lintero secondo insieme).
Quelle (particolari) funzioni che rispettano una di queste due ulteriori condizioni
(oppure entrambe) vengono indicate con denominazioni specifiche.

Definizione. La funzione f: DB si dice iniettiva se per ogni x
1
D e per ogni x
2

D, con x
1
x
2
e con bB: (x
1
; b)f (x
2
; b)f.

Dunque una funzione f: DB si dice iniettiva se ad ogni coppia di elementi
distinti di D corrisponde una coppia di elementi distinti di B, ovvero se nessun
elemento di B dotato di pi di una controimmagine in D.

Definizione. La funzione f: DB si dice suriettiva se per ogni bB esiste (almeno)
un xD tale che: (x; b)f.

Dunque una funzione f: DB si dice suriettiva se ogni elemento dellinsieme B ha
(almeno) una controimmagine nel dominio ovvero se linsieme delle immagini di f
coincide con tutto linsieme B.

Definizione. La funzione f: DB si dice biiettiva se contemporaneamente
iniettiva e suriettiva.

Una funzione biiettiva viene talvolta indicata con i termini biiezione o
corrispondenza biunivoca.

Esempio. La funzione R
1
: AB introdotta in un precedente esempio non iniettiva,
in quanto ai due (distinti) elementi del dominio cA, dA corrisponde la stessa
immagine mB. Essa non suriettiva, in quanto gli elementi del secondo insieme e
B, hB, nB non hanno alcuna controimmagine nel dominio A (cio: linsieme delle
immagini della funzione, C = {b; m}, non coincide con tutto B). Non essendo
iniettiva n suriettiva, la funzione non certamente biiettiva.

27
Esempio. Consideriamo la funzione S introdotta in un esempio precedente. Sia P
linsieme dei punti del piano e sia Z linsieme delle circonferenze tracciate nel piano
stesso. La relazione SZP:

S = {(z; p): la circonferenza zZ ha per centro il punto pP}

rispetta la definizione di funzione; iniettiva, suriettiva, biiettiva?
Essa non iniettiva: esistono coppie di circonferenze distinte aventi lo stesso
centro (concentriche). suriettiva: ogni punto del piano centro di (almeno) una
circonferenza (di infinite circonferenze, ma la precisazione ininfluente per quanto
riguarda la suriettivit). Non biiettiva, non essendo iniettiva.

Esempio. Sia f: RR la funzione che ad ogni xR fa corrispondere il doppio di x,
2xR (si verifichi innanzitutto per esercizio che essa rispetta la definizione di
funzione). Si tratta di una funzione iniettiva. suriettiva, biiettiva?
La risposta a tutte le domande : s.
La funzione f iniettiva, in quanto ad ogni coppia di reali distinti corrispondono
coppie di doppi distinti: se le immagini 2a e 2b coincidessero, non potrebbero che
coincidere anche a e b. La funzione f inoltre suriettiva, in quanto ogni elemento del
secondo insieme ha una controimmagine nel dominio: ovvero ogni reale y il doppio
di un (opportuno) reale y/2. Essendo iniettiva e suriettiva, la funzione f biiettiva.



4. FUNZIONI COMPOSTE E FUNZIONI INVERSE


4.1. La funzione composta

Consideriamo tre insiemi A, B, C e le funzioni: f: AB, g: BC. La f fa
corrispondere ad ogni xA uno ed un solo bB; a tale elemento b, la g fa
corrispondere uno ed un solo cC. Possiamo riassumere quanto detto nello schema:

a
f
b
g
c

ovvero, con riferimento allelemento aA da cui trae origine la corrispondenza:

a
f
f(a)
g
g[f(a)]
28

possibile considerare una nuova funzione che faccia direttamente corrispondere
allelemento aA lelemento g[f(a)]C. Essa denominata funzione composta delle
due funzioni considerate e si indica con la scrittura:

gf oppure: gf

Attenzione: per convenzione, si indica per prima la funzione che opera per
ultima! Ci viene scelto per analogia con la scrittura g[f(a)] dellelemento
corrispondente di a nella funzione composta gf.

Definizione. Date le funzioni f: AB e g: BC, si dice funzione composta gf la
funzione che ad ogni elemento aA fa corrispondere lelemento g[f(a)]C.

Esempio. Siano date le funzioni f: RR e g: RR definite da:

f: x3x g: xx+2

Determiniamo le funzioni composte fg e gf. Ricordiamo che, nelle funzioni
composte, la funzione componente ad operare per prima quella scritta per
seconda. Iniziamo quindi con il ricavo dellespressione di fg:

fg: x
g
x+2
f
3(x+2)

Osserviamo che la f, che allelemento del dominio fa corrispondere il suo triplo,
non opera sulla x, bens sullelemento (x+2), gi trasformato dalla precedente azione
della funzione g. Per quanto riguarda la gf, otteniamo:

gf: x
f
3x
g
3x+2

Le due funzioni composte richieste sono quindi:

fg: x3x+6 gf: x3x+2

Confrontando le funzioni fg e gf: ricavate nellesempio precedente, possiamo
notare che la composizione di funzioni non gode della propriet commutativa. Si
verifica invece che la composizione di funzioni gode della propriet associativa;
ovvero, assegnate le tre funzioni f, g, h, risulta:
29

(fg)h = f(gh)


4.2. Lapplicazione della definizione di funzione composta

La definizione afferma che, date le funzioni f: AB e g: BC, si dice funzione
composta gf la funzione che ad ogni elemento aA fa corrispondere lelemento
g[f(a)]C. Talvolta lapplicabilit di tale definizione richiede cautela. Non sempre,
infatti, saremo chiamati a comporre due funzioni f: AB e g: BC, ovvero tali che
linsieme delle immagini di f (che essendo f: AB un sottoinsieme di B) sia incluso
nel dominio (linsieme B) di g.

(Contro)esempio. Siano date le funzioni f: RR e g: D
g
R, essendo D
g
= {x
R: x 1}:

f: xx g: x x 1

Vogliamo considerare la composta gf; teniamo per presente che linsieme delle
immagini di f: CD
f
= {xR: x0} non un sottoinsieme del dominio di g, D
g
= {x
R: x1}: lapplicazione della definizione richiede alcune precisazioni.

Quanto esposto nel precedente esempio conferma che lapplicabilit della
definizione pu richiedere qualche modifica della situazione proposta. Il problema
far s che linsieme delle immagini di f sia un sottoinsieme del dominio di g. A tale
scopo, dobbiamo effettuare la composizione non tra f: DR con insieme delle
immagini D e g: D
g
C, bens tra f
0
: D
0
R con insieme delle immagini CD
0
e g,
essendo f
0
una funzione definita dalla stessa legge che definisce la f, ma ristretta ad
un dominio D
0
D, in modo tale che linsieme delle immagini di f
0
sia un
sottoinsieme del dominio di g. Sceglieremo f
0
: D
0
R con insieme delle immagini
CD
0
in modo che D
0
sia il massimo dominio possibile tale che CD
0
D
g
.
La funzione f
0
: D
0
R si dice restrizione della funzione f: DR, con D
0
D.

Esempio. Siano date le funzioni f: RR, g: D
g
R, con D
g
= {xR: x 1}:

f: xx g: x x 1

come nellesempio precedente. Per definire gf, restringiamo prima la funzione:

30
f: xx f: RR, con insieme delle immagini: {xR: x0}

(che non un sottoinsieme di D
g
= {xR: x1}) alla funzione:

f
0
: xx
f
0
: {xR: x1 x1}R con insieme delle immagini: {xR: x1}

che un sottoinsieme (improprio) di D
g
= {xR: x1}.
La definizione ora applicabile e la funzione composta richiesta :

gf: x x
2
1

Il suo dominio : {xR: x1 o x1}.

Osservazione. Non sempre i passaggi indicati nel presente paragrafo (la restrizione
della prima funzione che opera in una composizione di funzioni) vengono
esplicitamente espressi in esercizi ed in applicazioni. Talvolta, cio, per trovare la
funzione composta gf date le f: xx e g: x x 1, ci si limita a scrivere:

gf: x x
2
1

sottintendendo che il dominio {xR: x1 o x1}.


4.3. Il dominio della funzione composta

Quanto notato nel paragrafo precedente (e nellosservazione conclusiva) indica che
necessario prestare attenzione alla determinazione del dominio di una funzione
composta, questione che, in alcuni casi, pu rivelarsi assai delicata.
Infatti, non sempre i domini (e gli insiemi delle immagini) di entrambe le funzioni
componenti vengono indicati esplicitamente. Ci potrebbe talvolta portare a
situazioni problematiche: come abbiamo rilevato nel precedente paragrafo, affinch
ad un elemento aA corrisponda un elemento g[f(a)] attraverso la funzione
composta, necessario che limmagine di a attraverso la funzione f, f(a), appartenga
al dominio della funzione g. Ebbene, se questo dominio indicato esplicitamente, il
controllo immediato; ma nellesempio seguente illustreremo un caso in cui
richiesta una qualche cautela.

31
(Contro)esempio. Siano date le funzioni f: DR (dove : DR) e g: RR
definite da:

f: x x g: x(1x)

Determiniamo (se possibile) la funzione composta fg.
Attenzione: il dominio della funzione f (che la funzione che, essendo scritta per
prima in fg, opera per seconda) :

D
f
= {xR: x0}

in quanto la radice quadrata non calcolabile reale per radicandi negativi.
Notiamo inoltre che linsieme delle immagini della g (che opera per prima) :

CD
g
= {xR: x1}

in quanto, per ogni xR, risulta:

1x 1

Concludendo: linsieme delle immagini della funzione che opera per prima
costituito dai reali non maggiori di 1; il dominio della funzione che opera per
seconda costituito dai reali non negativi. Pertanto tale dominio e tale insieme delle
immagini sono disgiunti, e nessun elemento x del dominio della g che opera per prima
avr immagine appartenente al dominio della f che opera per seconda: quindi nessun
elemento x avr immagine nella funzione composta fg.
Quanto affermato pu essere confermato dal ricavo (inutile) dellespressione
analitica della funzione composta fg:

fg: x
g
(1x)
f
x 1
2


Al lettore il semplice compito di verificare che il dominio di fg sarebbe
(nellambito dei numeri reali).

Generalizzando quanto osservato nellesempio precedente, possiamo ribadire che
affinch la funzione composta fg abbia dominio non vuoto necessario e sufficiente
che linsieme delle immagini di g, CD
g
, e il dominio di f, D
f
, non siano disgiunti,
ovvero che sia: D
f
CD
g
.

32

4.4. La funzione identit

Definizione. Dato un insieme I, si dice identit, e si indica con i, la funzione di II
che ad ogni elemento aI associa se stesso: i = {(a; a): aI}.

Lasciamo al lettore il compito di rendersi conto che la i cos introdotta una
funzione biiettiva. Considerata la funzione (qualsiasi) f: AB, si verifica che:

fi = if = f


4.5. La relazione inversa

Si consideri una relazione tra gli elementi degli insiemi A e B: RAB.
Consideriamo quindi una nuova relazione, che indicheremo con R
1
, tra gli
elementi degli insiemi B e A: R
-1
BA definita nel modo seguente:

(y; x)R
1
(x; y)R

Tale nuova relazione R
-1
denominata relazione inversa della relazione R, come
espresso dalla definizione seguente.

Definizione. Data la relazione RAB, si dice relazione inversa R
1
della R la
relazione R
1
BA tale che:

R
1
= {(b; a): (a; b)R}

Esempio. Sono dati gli insiemi A = {1; 2; 5}, B = {1; 3} e la relazione RAB:

R = {(a; b): ab} = {(1; 1); (1; 3); (2; 3)}

La relazione inversa R
1
la seguente:

R
1
= {(b; a): ba} = {(1; 1); (3; 1); (3; 2)}

33
Spesso richiesto di determinare la relazione inversa di una funzione espressa
nella forma: xf(x). Nellesempio seguente illustrato il procedimento per ricavare
lespressione della relazione inversa di una funzione data.

Esempio. Consideriamo la funzione f: RR definita da:

f: x2x3

Ricaviamo lespressione della relazione inversa.
Indichiamo con: y = 2x3 limmagine dellelemento x. La data relazione si indica
ora con la scrittura:

(x; y)f

Per ricavare la cercata espressione della relazione inversa, in base alla definizione,
dobbiamo ottenere una scrittura del tipo:

(y; x)f
1


ovvero scambiare le posizioni ed i ruoli di x e y. Nel passaggio dalla funzione data
alla sua relazione inversa, lespressione y = 2x3 diventer quindi x = 2y3, dalla
quale, esplicitando la y, ricaviamo:

y =
x + 3
2


che limmagine di x nella relazione inversa. Pertanto la relazione inversa della
funzione: f: x2x3 espressa dalla (nuova) funzione:

f
-1
: x
x + 3
2


Osservazione. Concludiamo notando che nel caso esaminato nellesempio
precedente la relazione inversa di una funzione unaltra funzione (cio una relazione
che rispetta la definizione di funzione). Ma non sempre accadr ci.

Abbiamo introdotto la relazione inversa di una relazione data. Sappiamo che
alcune relazioni (non tutte), in base alle loro caratteristiche, soddisfano anche la
definizione di funzione; in questo paragrafo ci occuperemo di una questione che si
34
riveler di notevole importanza: in base alla definizione di relazione inversa, linversa
di una funzione una relazione, ma addirittura una funzione?
In generale la risposta : no. Nei due esempi seguenti potremo esaminare due
diverse situazioni: nella prima, la relazione inversa di una funzione data sar ancora
una funzione; nella seconda, ci non accadr: la relazione inversa della funzione
proposta non rispetter la definizione di funzione.

Esempio. Si consideri la funzione f: RR definita da:

f: x2x

si ricavi lespressione della relazione inversa e si dica se tale relazione rispetta la
definizione di funzione.
La relazione inversa della funzione che ad ogni x fa corrispondere il suo doppio
quella che ad ogni x fa corrispondere la sua met. Ovvero:

f
1
: x x/2

Non difficile rendersi conto che questa relazione rispetta la definizione di
funzione: ad ogni x reale corrisponde infatti una ed una sola met x/2.

(Contro)esempio. Si consideri la funzione g: RR definita da:

g: xx

si ricavi lespressione della relazione inversa e si dica se tale relazione rispetta la
definizione di funzione.
In questo caso, la situazione pi delicata: infatti la relazione inversa associa ad
ogni elemento non negativo la sua radice quadrata, ma sia con il segno + che con
il segno . Insomma, se:

g = {(x; x): xR} g
1
= {(x; x): xR}

risulta: (9; 3)g
1
, ma anche: (9; 3)g
1
.
Possiamo concludere che questa relazione inversa non rispetta la definizione di
funzione. E ci per ben due ragioni: primo, non per tutti i numeri reali possibile
calcolare (reale) la radice quadrata (ma soltanto per i reali non negativi); in secondo
luogo, per ogni reale positivo x, esistono due reali (e non uno solo) che elevati al
quadrato danno come risultato x: essi sono + x e x .
35

Abbiamo constatato che in alcuni casi la relazione inversa di una funzione
ancora una funzione, mentre in alcuni casi non lo . Ebbene, perch accade ci?
Quali caratteristiche deve avere una funzione affinch anche la sua relazione inversa
rispetti la definizione di funzione?
Non difficile rispondere a questa domanda, se si tiene presente quanto richiesto
dalla stessa definizione di funzione: affinch una relazione tra due insiemi sia una
funzione bisogna che ogni elemento del primo insieme (dominio) abbia una ed una
sola immagine.
Ricordiamo che linversione di una relazione comporta lo scambio dei due insiemi:
il primo insieme diventa il secondo e viceversa. Quindi, per stabilire se la relazione
inversa rispetta la definizione di funzione dobbiamo esaminare:
se ogni elemento del primo insieme (nella relazione inversa) dotato di
almeno una immagine. Ovvero: se ogni elemento del secondo insieme (nella
relazione originaria) dotato di almeno una controimmagine. E pertanto: la
funzione originaria deve essere suriettiva.
se ogni elemento del primo insieme (nella relazione inversa) dotato di una
sola immagine. Ovvero: se ogni elemento del secondo insieme (nella
relazione originaria) dotato di una sola controimmagine. E pertanto: la
funzione originaria deve essere iniettiva.
Possiamo concludere che le condizioni affinch la relazione inversa di una funzione
f rispetti la definizione di funzione sono liniettivit e la suriettivit della funzione
originaria f: tale funzione, quindi, deve essere biiettiva.

Definizione. Una funzione si dice invertibile quando anche la sua relazione inversa
rispetta la definizione di funzione.

Proposizione. Una funzione invertibile se e soltanto se biiettiva.

Dunque si identifica una funzione biiettiva f: AB in una relazione che ad ogni
elemento di A fa corrispondere uno ed un solo elemento di B e viceversa.
Ricordando la definizione di identit e indicate una funzione invertibile e la propria
funzione inversa rispettivamente con f, f
1
, semplice ricavare:

ff
1
= f
1
f = i



5. CENNI SULLE ANTINOMIE DELLA TEORIA DEGLI INSIEMI
36


5.1. Le antinomie

Concludiamo la sezione dedicata alla teoria degli insiemi presentando alcune
importanti considerazioni storiche, dedicate ad uno degli argomenti pi affascinanti
della logica matematica: ci riferiamo alla questione delle antinomie, frasi
apparentemente ingannevoli, strane ma eleganti, nelle quali sembrano convivere
verit e falsit (la letteratura su antinomie e paradossi vastissima; ci limitiamo ad
indicare: Hamblin, 1970; Falletta, 1989).
Il termine antinomia deriva dal greco anti (contro) e nomos (legge, norma);
esso utilizzato per indicare il verificarsi di una contraddizione, ovvero, ad esempio,
la presenza di una particolare proposizione che al contempo risulta essere vera e
falsa, nellambito di una teoria. Limproponibile contrasto tra i valori di verit risulta
allora inevitabile, finendo cos per ledere la stessa validit del sistema logico nel quale
viene scoperta lantinomia in questione.
Verso la fine del XIX secolo, vengono proposte numerose antinomie sulla teoria
degli insiemi. Alcune di esse sono antinomie semantiche, ovvero collegate al
significato attribuito a particolari termini del linguaggio; altre invece sono antinomie
logiche, ovvero connesse alla struttura delle frasi in questione, come la celebre
antinomia di Russell, che esamineremo nel paragrafo seguente.

Lenunciato che segue falso.
Lenunciato che precede vero.
Congiuntamente questi enunciati danno lo stesso
risultato del paradosso di Epimenide. Eppure,
separatamente, sono enunciati innocui e perfino
potenzialmente utili.

Douglas R. Hofstaedter

Una delle pi celebri antinomie semantiche lantinomia del mentitore (o di
Epimenide), nota sino dallantichit (Koir, 1947; Rivetti Barb, 1964; Martin,
1970; Maracchia, 1990). Essa sintetizzata nella frase: Io sto mentendo.
Riflettendo su questa affermazione, ci rendiamo conto che:
se chi pronuncia tale frase dice la verit, allora egli sta effettivamente
mentendo, e questa una contraddizione;
se chi pronuncia tale frase mente, allora egli non sta mentendo e, di
conseguenza, sta dicendo la verit: anche questa una contraddizione.
Illustriamo unaltra semplice ed elegante antinomia semantica (detta di Berry-
Russell, ma la proposta originale di Richard).
37
noto che il numero delle sillabe dei nomi con i quali si indicano, nella lingua
inglese, i numeri interi positivi tende a crescere al crescere del numero nominato.
Pertanto, i nomi di alcuni numeri interi positivi devono essere costituiti da almeno
diciannove sillabe; fra questi, ne esister uno pi piccolo di tutti gli altri. Chiameremo
tale numero (che, in inglese, 111777) il pi piccolo intero non definibile con meno
di diciannove sillabe. Ma... il pi piccolo intero non definibile con meno di
diciannove sillabe (in inglese) una definizione costituita da diciotto sillabe!
La contraddizione appare evidente: il pi piccolo intero non definibile con meno
di diciannove sillabe stato definito con sole diciotto sillabe. Anche in questo caso,
per, le radici dellantinomia vanno ricercate nel significato attribuito ai termini
utilizzati, e segnatamente al valore assunto dal termine definire: anche lantinomia
ora proposta, quindi, unantinomia semantica.


5.2. Gottlob Frege e Bertrand Russell

Il progetto culturale di Gottlob Frege (1848-1925), uno dei massimi logici dellintera
storia della cultura, pu essere sintetizzato nel tentativo di ricondurre interamente la
matematica alla logica (attraverso la teoria degli insiemi). Nel 1902, proprio alla
vigilia della pubblicazione della seconda parte della grande opera logica fregeana
(Princpi dellAritmetica derivati ideograficamente), il trentenne Bertrand Russell
(1872-1970) rilev una contraddizione nel capolavoro del logico tedesco: essa
riassunta nella celebre antinomia di Russell o antinomia degli insiemi normali
(Garciadiego, 1992).
La formulazione originale dellantinomia di Russell basata sulla definizione di
insieme normale, che illustreremo. Lidea di insieme, come sappiamo, non
introdotta da una definizione, ma un concetto primitivo; non ci sono particolari
restrizioni al tipo di elementi che possono appartenere allinsieme dato. quindi
possibile (perch no?) richiedere che ad un certo insieme appartenga se stesso come
elemento.
Ecco dunque la definizione di Russell: un insieme I si definisce normale quando
ha la propriet di non contenere se stesso come elemento.

Esempio. Linsieme: I = {xN: x<5} = {0; 1; 2; 3; 4} un insieme normale, in
quanto non contiene I stesso come elemento: II.
Linsieme J = {0; 1; 2; 3; 4; J} non un insieme normale, in quanto contiene I
stesso come elemento: JJ.

38
Consideriamo ora linsieme N avente per elementi tutti e soltanto gli insiemi
normali: N contiene se stesso come elemento?
Una prima possibilit che N contenga se stesso come elemento. Ma N
linsieme formato da tutti e soltanto gli insiemi normali, ovvero da tutti e
soltanto quegli insiemi che non contengono se stesso come elemento;
perci dovremmo concludere che se N appartiene a N risulta che N non
pu contenere se stesso come elemento! La nostra prima risposta finisce
quindi per essere contraddittoria.
La rimanente possibilit che N non contenga se stesso come elemento.
Ma in tale caso N risulterebbe essere un insieme normale e, di
conseguenza, dovrebbe proprio appartenere a N. Ed anche questa
risposta contraddittoria.
In simboli, la definizione dellinsieme N : N = {I: II} e le due possibili ipotesi
sullappartenenza dellinsieme N a N stesso portano alle implicazioni:

NN NN NN NN

ovvero a uninevitabile contraddizione.

Osservazione. Per molti versi analoga allantinomia degli insiemi normali
lantinomia del barbiere (lo stesso Bertrand Russell la ricorda come pressoch
equivalente alla propria antinomia: si veda ad esempio: Aimonetto, 1975).
In un paese isolato, uno degli abitanti il barbiere e rade tutti (e soltanto) coloro
che non si radono da s. Domanda: in quel paese, chi rade il barbiere?
Ammettiamo che il barbiere si rada da s; ma allora proprio il barbiere che lo
rade, mentre avevamo affermato che il barbiere rade tutti e soltanto coloro che non si
radono da s! Questa prima risposta quindi contraddittoria.
Ammettiamo allora che il barbiere non si rada da s; ma in tale caso dovrebbe
essere proprio il barbiere a raderlo, in quanto avevamo affermato che il barbiere
rade tutti e soltanto coloro che non si radono da s: quindi egli si rade da s. Ed
anche questa seconda risposta si rivela contraddittoria.
39





La tavola di Lettres une princesse d'Allemagne (Lettere ad una
principessa d'Alemagna sopra diversi soggetti di fisica e di
filosofia: Napoli 1787) in cui Leonhard Euler ha introdotto la
rappresentazione, oggi diffusissima, per indicare gli insiemi



__________

39
II

Numeri naturali




6. LINSIEME DEI NUMERI NATURALI


6.1. I numeri naturali: approccio cardinale

Alla fine del XIX secolo, lintero mondo matematico venne impegnato nella
puntualizzazione rigorosa dei fondamenti della disciplina: le teorie di George Boole
(1815-1864) e di Georg Cantor (1845-1918) e le approfondite ricerche logico-
matematiche di Gottlob Frege sono testimonianze chiare dello spirito che pervase un
ampio settore della ricerca matematica di quel periodo.
Ci siamo gi occupati dellopera di Frege nella presentazione dellantinomia di
Russell; nel 1884, Frege pubblic Die Grundlagen der Arithmetik, lopera in cui si
trova la fondamentale definizione di numero. Egli introduce il numero zero
facendolo corrispondere al concetto di diverso da se stesso (ovvero ad una
condizione di impossibilit): potremmo dire che, per Frege, zero la quantit di
elementi che verificano una condizione impossibile.
A partire dallo zero, Frege introduce ricorsivamente ogni altro naturale, ciascuno
sulla base del precedente: cos il numero 1 associato al (solo) concetto di zero (si
tratta dunque di un concetto, considerato singolarmente), il numero 2 ai (due)
concetti di zero e di uno, il numero 3 ai (tre) concetti di zero, di uno e di
due, e cos via.
Illustreremo una costruzione di N sulla base della teoria degli insiemi.

Definizione. Due insiemi A, B si dicono equipotenti se sono in corrispondenza
biunivoca, cio quando esiste una funzione biiettiva di dominio A ed insieme delle
immagini B.

Esempio. Considerato un triangolo qualsiasi, linsieme A dei suoi lati e linsieme B
delle sue mediane sono equipotenti.
40
Per verificare tale affermazione sufficiente considerare la relazione RAB che
ad ogni lato aA fa corrispondere la mediana bB avente per estremi il vertice
opposto al lato a ed il punto medio dello stesso lato a.
La relazione R una funzione: infatti, ad ogni lato del triangolo corrisponde, nella
relazione introdotta, una ed una sola mediana. Questa funzione inoltre suriettiva,
giacch ogni mediana corrispondente, nella R, di un lato (quello avente come punto
medio lestremo della mediana non coincidente con un vertice del triangolo); inoltre
iniettiva, in quanto a due lati distinti corrispondono due distinte mediane (i loro
estremi non coincidenti con un vertice sono i punti medi di due lati distinti): R una
funzione biiettiva.
In base alla definizione concludiamo che A e B sono equipotenti.

(Contro)esempio. Linsieme I = {0; 1} e linsieme J = {10; 11; 12} non sono
equipotenti. Se consideriamo, ad esempio, la funzione f: IJ definita da:

xx+10

ci rendiamo conto che una funzione iniettiva ma non suriettiva (il suo insieme delle
immagini {10; 11} e non coincide con lintero J), quindi non biiettiva.
Non esiste alcuna funzione biiettiva IJ. Gli insiemi I e J non sono dunque
equipotenti.

Nel seguito considereremo gli insiemi di cui ci siamo finora occupati (ed altri
insiemi che possiamo immaginare) come elementi di un insieme U. Importanti
motivazioni ci impediscono per assolutamente di parlare di insieme costituito da
tutti gli insiemi: dunque, linsieme U dovr essere considerato soltanto un insieme al
quale appartengono, come elementi, altri insiemi, senza alcuna pretesa di totalit.

Osservazione. Tale questione merita sin dora un cenno di approfondimento.
Indichiamo con #I il cardinale di un insieme I che identificher linsieme degli insiemi J
equipotenti con I (torneremo pi avanti su questa importante nozione). Ad esempio,
se:

A = {3; 7} B = {; } C = {; }

possiamo scrivere:

#A = #B = #C

41
Se #D #E significa che D equipotente ad un sottoinsieme di E.
Ricordiamo che linsieme delle parti (I): linsieme costituito da tutti i
sottoinsiemi di I. Sussiste il teorema di Cantor, secondo il quale per ogni insieme I,
: #I < #(I).
Immaginiamo ora di poter parlare dellinsieme totale (insieme di tutti gli
insiemi) T; risulterebbe:

(T)T (infatti T linsieme totale!): #(T) #T

contro il teorema di Cantor, che porta invece a: #T < #(T).

Definiamo in U la relazione di equipotenza, precedentemente introdotta.
Verificheremo che essa una relazione di equivalenza, cio che riflessiva,
simmetrica e transitiva.

Proposizione. La relazione di equipotenza tra insiemi una relazione di equivalenza.

Dimostrazione. Verifichiamo direttamente le tre propriet della relazione di
equivalenza.
La relazione di equipotenza tra insiemi riflessiva. Infatti, ogni insieme IU
equipotente a se stesso: si consideri, a tale riguardo, lidentit, ovvero
quella relazione che ad ogni elemento di xI fa corrispondere x stesso.
semplice verificare che si tratta di una funzione biiettiva (il lettore pu farlo,
per esercizio): conseguentemente, in base alla definizione 1, ogni insieme I
risulta equipotente a se stesso.
La relazione di equipotenza tra insiemi simmetrica. Infatti, se IU
equipotente a JU, significa (per definizione) che esiste una funzione biiettiva
f: IJ; essendo f biiettiva, f risulta invertibile, e la funzione inversa f
1
: J
I, anchessa biiettiva (ad ogni elemento di J fa corrispondere uno ed un solo
elemento di I e viceversa). Pertanto, anche J equipotente ad I (per la
definizione).
La relazione di equipotenza tra insiemi transitiva. Infatti, se IU
equipotente a JU ed inoltre JU equipotente a LU, significa (per
definizione) che esistono due funzioni biiettive f: IJ e g: JL.
Consideriamo la funzione composta gf: IL: anchessa biiettiva (ad ogni
elemento di I fa corrispondere uno ed un solo elemento di L e viceversa).
Pertanto, anche I equipotente a L (per la definizione). n

42
Ripercorreremo, in questo paragrafo, la costruzione dellinsieme quoziente.
Dovremo inizialmente sviluppare tale procedimento nellambito degli insiemi finiti;
escluderemo quindi dalle nostre considerazioni, in questa prima fase, gli insiemi
infiniti, dei quali ci occuperemo specificamente in seguito.
Lintroduzione dei concetti di insieme finito e di insieme infinito si basa su di una
constatazione: in molti casi, un insieme non equipotente ad un suo sottoinsieme
proprio. Il lettore pu rendersi conto di ci verificando direttamente tale impossibilit:
ad esempio, non si pu definire alcuna funzione biiettiva f: AB, essendo A = {0;
1} e B il suo sottoinsieme proprio {1}.
Questo comportamento, per, non caratteristico di tutti gli insiemi: esistono
infatti insiemi che sono equipotenti ad alcuni loro sottoinsiemi propri.

(Contro)esempio. Consideriamo linsieme P = {0; 2; 4; 6; 8; ...} dei numeri naturali
pari (considerando pari anche lo zero) ed il suo sottoinsieme I = {2; 4; 6; 8; ...} dei
numeri naturali pari e diversi da zero. Mostreremo che, sebbene I sia un
sottoinsieme proprio di P, i due insiemi P e I sono equipotenti.
Consideriamo infatti la funzione f: PI cos definita:

f: xx+2

Tale funzione biiettiva: ad ogni xP corrisponde, infatti, attraverso la funzione f,
uno ed un solo x+2I; viceversa, ad ogni elemento di I corrisponde uno ed un solo
elemento di P attraverso la funzione inversa:

f
1
: xx2

Pertanto P ed I sono equipotenti (per definizione); sottolineiamo ancora che I un
sottoinsieme proprio di P: infatti :

P\I = {0}

Le definizioni di insieme finito e di insieme infinito si baseranno proprio sui due
diversi comportamenti ora illustrati: in particolare, diremo finito ogni insieme che si
comporter analogamente a {0; 1}, diremo infinito ogni insieme che si comporter
analogamente a P. Possiamo dunque formalizzare quanto sopra introdotto nella
seguente definizione.

43
Definizione. Un insieme si dice infinito se equipotente ad un suo sottoinsieme
proprio. Un insieme si dice finito se non equipotente ad alcun suo sottoinsieme
proprio.

Come sopra anticipato, concentriamo la nostra attenzione, in un primo momento,
sugli insiemi finiti. Se indichiamo, come gi sopra fatto, con U un insieme avente per
elementi insiemi (finiti ed infiniti), possiamo indicare con U
f
U un insieme avente per
elementi (soltanto) insiemi finiti. In U
f
consideriamo la relazione di equipotenza tra
insiemi: la dimostrazione della proposizione 1 (inizialmente formulata nel caso di
insiemi qualsiasi) assicura che tale relazione una relazione di equivalenza.
La cercata introduzione dellinsieme N ora assai semplice: consideriamo infatti
le classi di equivalenza determinate in U
f
dalla relazione di equipotenza; e
consideriamo, infine, linsieme quoziente avente tali classi di equivalenza come
elementi. Non difficile identificare ciascuna di tali classi di equivalenza con un
numero naturale n (intuitivamente: il numero n degli elementi appartenenti a ciascuno
degli insiemi della classe di equivalenza); si dice che ogni elemento appartenente alla
classe di equivalenza in questione ha potenza (o cardinalit) n. Linsieme quoziente
pu dunque essere interpretato come linsieme N dei numeri naturali.
Il naturale zero dunque identificabile con la classe di equivalenza avente quale
unico elemento linsieme vuoto; potremo dire che linsieme vuoto ha potenza 0.

Esempio. Il numero naturale 2 si identifica con la classe di equivalenza (riferita alla
relazione di equipotenza tra insiemi) alla quale appartiene linsieme I = {0; 1} e
pertanto anche tutti gli insiemi ad esso equipotenti (linsieme delle lenti di un comune
paio di occhiali, linsieme delle ruote di una bicicletta etc.).
Ogni insieme appartenente alla classe di equivalenza sopra indicata ha potenza 2.


6.2. I numeri naturali: approccio ordinale

Nel paragrafo precedente abbiamo descritto un possibile modo di introdurre
linsieme dei numeri naturali. Esso non per lunico: molto interessante, anche per
alcune implicazioni applicative, il seguente, che viene fatto risalire (1891) allopera
di Giuseppe Peano (1858-1932). Egli propose unintroduzione assiomatica
dellaritmetica, basata su tre concetti primitivi e su sei assiomi.
Nella teoria di Peano, cos come essa fu definitivamente enunciata in Aritmetica,
seconda parte del secondo volume di Formulaire de mathematiques (1898), i tre
concetti primitivi sono:

44
lo zero;
il numero;
il successivo.

Gli assiomi sono:

Assioma zero. I numeri formano una classe.
Assioma I. Lo zero un numero.
Assioma II. Se a un numero, il suo successivo a+ un numero.
Assioma III. Se s una classe contenente lo zero e, per ogni a, se a
appartiene a s, il successivo a+ appartiene a s, allora ogni numero naturale
in s (Peano chiama tale proposizione principio di induzione).
Assioma IV. Se a e b sono due numeri e se i loro successivi a+, b+ sono
uguali, allora a e b sono uguali.
Assioma V. Se a un numero, il suo successivo a+ non zero.

Osservazione. Sulla necessit dellAssioma zero notiamo che esso spiega che
alla classe dei numeri naturali possiamo applicare il calcolo delle classi che Peano
stesso aveva sviluppato precedentemente nel proprio libro.

La relazione introdotta da Peano dunque unapplicazione: aa+ avente per
dominio N e per codominio N\{0}; si pu facilmente dimostrare che essa una
biiezione. Dall'esame di tali assiomi, e segnatamente ricordando il concetto di
successivo, si pu dimostrare che Peano introduce in N un ordine stretto.
Applicando opportunamente i propri assiomi, ed approntando le necessarie
dimostrazioni, Peano giunse ad introdurre le operazioni aritmetiche con i numeri
naturali, nonch a descrivere ed a dimostrare le loro propriet formali.

Esempio. Sar interessante osservare che Peano introdusse una simbologia
originale. Gli assiomi sopra riportati, in tale simbologia, si scrivono:

0 N
0
Cls

1 0 N
0

2 a N
0
.. a+ N
0

3 s Cls . 0 s : a s .a. a+ s : . N
0
s Induct

4 a, b N
0
. a+ = b+ .. a = b

5 a N
0
.. a+ -= 0

45
Osservazione. Dal punto di vista storico, Campano, nella sua traduzione-edizione
degli Elementi di Euclide (risalente alla seconda met del XIII secolo) introdusse
uninteressante assiomatizzazione dei naturali. Nella definizione III del libro VII,
lAutore introduce come serie naturale dei numeri la successione numerica i cui
elementi si ottengono per addizione ripetuta dellunit (Naturalis series numerorum
dicitur, in qua secundum unitatis additionem fit computatio ipsorum) ed indica
alcune propriet dei naturali in quattro petitones (Labella, 2000).


6.3. La rappresentazione dei numeri naturali

La moderna rappresentazione dei numeri naturali, ottenibile mediante le dieci cifre 0,
1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, viene detta posizionale in base dieci. Ci significa che il
valore di ogni singola cifra che compone la rappresentazione di un numero n dipende
dalla posizione di tale cifra in quella rappresentazione; il valore (totale) n del naturale
rappresentato da una sequenza ordinata di cifre:

{a
m
, a
m1
, ..., a
2
, a
1
, a
0
}

calcolabile mediante lespressione:

n = a
m
10
m
+ a
m1
10
m1
+ ... + a
2
10
2
+ a
1
10
1
+ a
0
10
0


Esempio. Il valore del numero 35206 (scritto in notazione decimale, cio in base
dieci) dato dalla somma:

310
4
+ 510
3
+ 210
2
+ 010
1
+ 610
0
= 30000 + 5000 + 200 + 0 + 6

Osservazione. La storia della matematica registra, lungo il corso dei secoli, il
susseguirsi di metodi diversi per la rappresentazione dei naturali. Il sistema di scrittura
dei numeri nelle matematiche del mondo antico (con leccezione dellaritmetica
babilonese) non si avvale della notazione posizionale: il valore di un numero risulta
semplicemente dalla somma dei valori associati ai simboli che, indicati uno di seguito
allaltro, vengono a costituire il numero stesso; tali valori sono fissi, cio non
dipendono (a parte rare eccezioni) dalla posizione del simbolo nella scrittura del
numero. Una rappresentazione di questo genere per i naturali, detta additiva,
caratteristica dellaritmetica romana.

46
Esempio. Ricordando che il valore dei simboli romani M, C, L, X, V, I
rispettivamente 1000, 100, 50, 10, 5, 1, il numero romano scritto nella forma:

MCLXXVIII

dato, additivamente, da:

1000 + 100 + 50 + 10 + 10 + 5 + 1 + 1 + 1 = 1178

Prima di chiudere il presente paragrafo, doveroso riservare un accenno ai
sistemi di numerazione posizionale non decimale, ovvero che si avvalgono di basi
diverse da dieci. infatti possibile scegliere come base del sistema di numerazione,
un numero b diverso da dieci (importanti sono, ad esempio per le applicazioni al
calcolo automatico, le basi due e sedici). Ci significa che il valore n del naturale (in
base b) rappresentato da una sequenza ordinata di cifre:

{a
m
, a
m-1
, ..., a
2
, a
1
, a
0
}

calcolabile mediante la formula:

n = a
m
b
m
+ a
m1
b
m1
+ ... + a
2
b
2
+ a
1
b
1
+ a
0
b
0


Esempio. Il valore del numero 35206 scritto in notazione posizionale in base sette
dato dalla somma:

37
4
+ 57
3
+ 27
2
+ 07
1
+ 67
0


In base dieci, tale numero rappresentato da:

32401 + 5343 + 249 + 07 + 61 = 9022

Lasciamo al lettore il compito di verificare che in base due tale numero
rappresentato da:

10001100111110


6.4. Propriet di operazioni aritmetiche e insiemistiche: lalgebra di Boole

47
Un confronto tra le operazioni aritmetiche di addizione e di moltiplicazione e le
operazioni insiemistiche di unione e di intersezione ci consentir di evidenziare
analogie (e differenze) che potranno essere utilmente riprese in studi ulteriori.
Agli allievi ben noto, a partire dalle scuole primarie, che le operazioni
aritmetiche di addizione e di moltiplicazione godono delle propriet associativa e
commutativa; cio per ogni scelta dei numeri naturali a, b, c risulta:

(a+b)+c = a+(b+c) (propriet associativa delladdizione)
a+b = b+a (propriet commutativa delladdizione)
(ab)c = a(bc) (propriet associativa della moltiplicazione)
ab = ba (propriet commutativa della moltiplicazione)

Non sar inutile ribadire che anche le operazioni insiemistiche di unione e di
intersezione godono di analoghe propriet, come precedentemente visto:

(AB)C = A(BC) (propriet associativa dellunione)
AB = BA (propriet commutativa dellunione)
(AB)C = A(BC) (propriet associativa dellintersezione)
AB = BA (propriet commutativa dellintersezione)

Va segnalato che unanalogia tra le operazioni aritmetiche e insiemistiche deve
per tenere presente alcune differenze; ad esempio, ricordiamo le due seguenti
propriet che coinvolgono sia lunione che lintersezione:

A(BC) = (AB)(AC)
A(BC) = (AB)(AC)

solo la seconda ha un analogo in ambito aritmetico (detta distributiva):

a(b+c) = ab+ac

mentre ci non accade per la prima: infatti a+bc non (in generale) uguale a
(a+b)(a+c).
Quanto ora osservato ci d loccasione di introdurre le algebre di Boole (dal
nome di George Boole). Come primo esempio, introduttivo ma fondamentale,
consideriamo linsieme (I) delle parti di un insieme I.

Esempio. Sia ((I), ) linsieme delle parti di un insieme I, parzialmente ordinato
mediante la relazione di inclusione.
48
Dati due elementi di (I), A e B, possiamo costruire la loro intersezione, AB,
e la loro unione, AB.
Dal punto di vista dellinclusione, AB il pi grande sottoinsieme di I incluso sia
in A che in B; ci si esprime dicendo che AB lunico sottoinsieme di I che
soddisfa:

(1) ABA e ABB
(2) per ogni CA, CB si ha che CAB

Analogamente, AB il pi piccolo sottoinsieme di I in cui sono inclusi sia A che
B; ci si esprime dicendo che AB lunico sottoinsieme di I che soddisfa:

(1) ABA e ABB
(2) per ogni DA, DB si ha che DAB

Analoghe operazioni possono essere introdotte anche in altri insiemi ordinati: ad
esempio, nel caso di N e della relazione di divisibilit, le operazioni risultano essere il
massimo comune divisore e il minimo comune multiplo.

Generalizziamo ora quanto visto e consideriamo un insieme ordinato (X, ).

Definizione. In un insieme parzialmente ordinato (X, ) si dice massimo comune
minorante ab per una coppia di elementi (a; b) un elemento tale che: aba,
abb e per ogni ca, cb si ha che cab.
Si dice minimo comune maggiorante ab un elemento tale che: aba,
abb e per ogni da, db si ha che dab.

Naturalmente la precedente definizione non assicura lesistenza, allinterno di un
insieme parzialmente ordinato (X, ), di un massimo comune minorante e di un
minimo comune maggiorante per ogni coppia di elementi di X.

Definizione. Un reticolo (X, , , ) un insieme parzialmente ordinato nel quale
per ogni coppia di elementi (a; b) esistono un massimo comune minorante ab e un
minimo comune maggiorante ab.

Applicando le definizioni si verifica facilmente che in un reticolo (X, , , ) le
due operazioni binarie , godono delle seguenti propriet:

49
aa = a aa = a
ab = ba ab = ba
(ab)c = a(bc) (ab)c = a(bc)
a(ab) = a a(ab) = a

Le definizioni seguenti introducono importanti tipi particolari di reticoli.

Definizione. Un reticolo (X, , , ) si dice distributivo se per ogni a, b, cX:

(ab)c = (ac)(bc)
(ab)c = (ac)(bc)

Definizione. Un reticolo (X, , , ) si dice complementato se possiede un
minimo che indicheremo con 0, un massimo che indicheremo con 1 e se per ogni
aX esiste aX (detto complemento di a) tale che:

aa = 0 e aa = 1

Si dimostra (per assurdo) che in un reticolo distributivo con massimo e minimo il
complemento a di un elemento a, se esiste, unico.
Possiamo ora dare la definizione conclusiva.

Definizione. Si dice algebra di Boole un reticolo distributivo complementato.

Esempio. Linsieme (I) delle parti di I con le operazioni di intersezione e di
unione, presentato nel precedente esempio. unalgebra di Boole.

Esempio. Linsieme {0; 1} con le operazioni +, cos definite:

0+0 = 0 0+1 = 1+0 = 1 1+1 = 1
00 = 0 01 = 10 = 0 11 = 1

unalgebra di Boole.

Le stesse regole algebriche valgono per i connettivi logici dei quali tratteremo pi
avanti esplicitamente: infatti se, dato un insieme A consideriamo due suoi
sottoinsiemi, definiti mediante propriet, X={xA|P (x)} e Y={yA| Q(y)}, si avr:

50
XY = {zA| P(z) e Q(z)}
XY = {zA| P(z) o Q(z)}
complementare di X X = {zA| non P(z)}

Lo stesso comportamento si ha per le porte dei circuiti logici.
Una porta or opera nel modo seguente:

ingressi uscita

0 0 0
0 1 1
1 0 1
1 1 1

Una porta and opera nel modo seguente:

ingressi uscita

0 0 0
0 1 0
1 0 0
1 1 1

Una porta not opera nel modo seguente:

ingresso uscita

0 1
1 0

Nelle sezioni dedicate alla logica degli enunciati e alla logica dei predicati avremo
modo di riprendere queste osservazioni.



7. DIMOSTRAZIONI PER INDUZIONE


7.1. Proposizioni dipendenti da un numero naturale
51

Frequentemente, in aritmetica, definizioni, esercizi e teoremi dipendono da un numero
n variabile nellinsieme N dei naturali (o in un suo sottoinsieme). Ad esempio, una
celebre formula dellaritmetica quella che fornisce la somma di tutti i naturali non
maggiori di n, con n naturale fissato:

S
n
=
n n + ( ) 1
2


Nellespressione precedente sono riassunte infinite somme di naturali, una per
ciascun indice naturale n. Verifichiamo la formula proposta in alcuni casi:

S
0
=
0 0 1
2
+ ( )
= 0 essendo: S
0
= 0
S
1
=
1 1 1
2
+ ( )
= 1 essendo: S
1
= 0+1 = 1
S
2
=
2 2 1
2
+ ( )
= 3 essendo: S
2
= 0+1+2 = 3
S
3
=
3 3 1
2
+ ( )
= 6 essendo S
3
= 0+1+2+3 = 6

Le considerazioni precedenti provano che la formula proposta valida fino
allindice n = 3; ma appare evidentemente impossibile verificare direttamente tutte le
(infinite!) somme di naturali ottenibili. Una dimostrazione completa della formula
proposta dovrebbe per prendere in considerazione tutti i casi possibili: essa,
quindi, non pu essere tentata attraverso una verifica di ogni singolo caso,
corrispondente ad ogni indice naturale n.
La dimostrazione di tale risultato pu essere impostata direttamente,
considerando cio la formula generale, come illustrato nellesempio seguente.

Esempio. Sia n un numero naturale. Dimostriamo che la somma S
n
di tutti i numeri
naturali non maggiori di n data dalla formula:

S
n
=
n n + ( ) 1
2


Elenchiamo ordinatamente in una prima tabella di una riga tutti i naturali da 1 a n
(possiamo escludere lo 0, la cui addizione non modifica la somma):

1 2 3 4 ... (n2) (n1) n
52

In una seconda riga, elenchiamo i naturali considerati in ordine inverso:

1 2 3 4 ... (n2) (n1) n
n (n1) (n2) (n3) ... 3 2 1

Se sommiamo in colonna le due righe scritte, otteniamo:

(n+1) (n+1) (n+1) (n+1) ... (n+1) (n+1) (n+1)

ovvero: n volte il numero (n+1). La somma di questi n numeri, n(n+1), il doppio
della quantit S
n
cercata, essendo stata ottenuta addizionando due volte ciascun
naturale compreso tra 1 e n. Possiamo pertanto concludere che:

S
n
=
n n + ( ) 1
2


Il procedimento illustrato ricordato in relazione ad un aneddoto riguardante Carl
Friedrich Gauss (1777-1855) che, fanciullo, durante unesercitazione scolastica
calcol velocemente la somma dei naturali da 1 a 100 giungendo a:

S
100
= 5050
2
) 1 100 ( 100

+


Questa dimostrazione elementare non per lunica possibile per la formula data.


7.2. Dimostrazioni per induzione

La regolarit osservata nel precedente paragrafo delle infinite dimostrazioni che
servirebbero a provare una propriet (o delle infinite espressioni che servirebbero a
fornire una definizione) sui numeri naturali ha portato a formulare un principio
generale che va sotto il nome di Principio di induzione. In sostanza esso afferma
che se una propriet vale per il primo numero e, valendo per un certo numero, allora
vale anche per il successivo, allora vale per tutti i numeri (analogamente per le
definizioni). Usiamo un tale principio anche nella logica di tutti i giorni quando ci
riferiamo allinfinito come in frasi del tipo:

Il mio bambino sa contare
53
che vuol dire
Tutti i numeri naturali sono conosciuti dal mio bambino

Naturalmente ci non vuol dire che il mio bambino abbia effettivamente nominato
tutti i numeri naturali, e nemmeno li abbia pensati; ma egli in grado di cominciare la
serie e, se qualcuno gli nomina un numero, di dire il successivo. Conosce, cio, lo
schema che permette di nominare qualunque numero a partire dal precedente. La
permanenza dello schema al variare del numero considerato, permette di ridurre gli
infiniti passaggi necessarii a due soltanto.
Indichiamo dunque con il simbolo P(n) una proposizione che vogliamo provare,
sottolineando in tale modo che si tratta di unaffermazione dipendente dallindice n
N. Presenteremo ora la dimostrazione per induzione di P(n) in due fasi distinte,
entrambe indispensabili:
prima fase: si verifica direttamente la verit di P(0); nel caso in cui la
proposizione da dimostrare valga per nn
0
>0, si verifica che essa valga per
il minimo degli indici, n = n
0
;
seconda fase: si ammette la verit di P(n1) e, sulla base di ci, si dimostra
che la proposizione P vera anche per lindice n; ovvero: si prova che la
validit della proposizione per un indice (qualsiasi) comporta la validit per
lindice successivo.

Se possibile completare la verifica di entrambi i punti sopra illustrati, la
proposizione P(n) pu dirsi dimostrata (per tutti gli indici nN): la prima fase,
infatti, ci consente di affermare che la proposizione P(n) vera per n = 0; sulla base
di ci, la seconda fase ci assicura che P(n) vera anche per n = 1 (ovvero per il
successivo di 0). Appurato ci, possiamo affermare che P(n) vera anche per n = 2
(per il successivo di 1) e cos di seguito per tutti gli indici naturali.
Illustriamo il procedimento dimostrativo attraverso un esempio nel quale
proporremo una dimostrazione alternativa della formula sopra provata.

Esempio. Sia n un numero naturale. Dimostriamo che la somma S
n
di tutti i numeri
naturali non maggiori di n data dalla formula (gi proposta e dimostrata nel
precedente esempio):

S
n
=
n n + ( ) 1
2


Procediamo per induzione sullindice n.
54
Prima fase: mostriamo che la formula verificata per il naturale n = 0. Risulta, in
questo caso: S
0
= 0, e nella formula proposta: S
0
=
0 0 1
2
+ ( )
= 0.
Seconda fase: ammettiamo ora che la formula in questione sia verificata per
lindice (n1); ammettiamo cio che sia vera:

S
n-1
=
( ) n n 1
2


Dovremo, sulla base di ci, provare la validit della formula anche per lindice n.
Ricaviamo dunque S
n
(utilizzando quanto sopra ammesso):

S
n
= S
n-1
+ n =
( ) n n 1
2
+ n =
( ) n n n + 1 2
2
=
n n + ( ) 1
2


Pertanto la validit della formula per lindice (n1) comporta la validit della
formula per lindice n. Ci, unito alla provata validit della formula per n = 0,
completa la dimostrazione per induzione.

Nella sezione precedente abbiamo anticipato una propriet dellinsieme delle parti
di un insieme dato, propriet che riprendiamo nellesempio seguente.

Esempio. Sia I un insieme al quale appartengono n elementi (avente cardinalit n).
Dimostriamo che linsieme delle parti di I, (I), contiene 2
n
elementi (ha cardinalit
2
n
).
Per comodit di notazione, indichiamo con #(I) la cardinalit dell'insieme I;
procediamo per induzione su n.
Prima fase: se n = 0, allora : I = e dunque #((I)) = #({}) = 1 = 2
0
. La
tesi quindi valida per questo primo caso.
Seconda fase: Ammettiamo la validit della tesi da dimostrare qualora I sia
costituito da n1 elementi, dunque quando sia #(I) = n1; cio ammettiamo che sia
#((I)) = 2
n1
.
Sia ora aI; consideriamo quindi linsieme I{a} la cui cardinalit n. Qual la
cardinalit di (I{a})?
Ricordiamo che (I{a}) costituito da tutti i sottoinsiemi (propri e impropri)
di I{a}. Elenchiamo tali sottoinsiemi in una tabella nel modo seguente: nella prima
colonna scriviamo tutti i sottoinsiemi di I{a} ai quali non appartiene a (in pratica:
tutti e soltanto i sottoinsiemi di I): , B, C, D, ..., I; in una seconda colonna,
55
scriviamo i sottoinsiemi di I{a} ai quali appartiene a, con un criterio assai semplice:
uniamo a ciascun sottoinsieme della prima colonna l'insieme {a}. Otteniamo:

{a}
B B{a}
C C{a}
D D{a}
... ...
I I{a}

(2
n1
sottoinsiemi) (2
n1
sottoinsiemi)

Quanti sono, dunque, i sottoinsiemi di I{a}?
Nella prima colonna ne abbiamo elencati 2
n1
, in quanto abbiamo ammesso che
sia #((I)) = 2
n1
; nella seconda colonna ne troviamo altrettanti. I sottoinsiemi di I
{a} sono 22
n1
. Quindi:

#((I{a})) = 2
n


e ci completa la cercata dimostrazione per induzione su n.

Il lettore faccia attenzione allesempio seguente.

(Contro)esempio. Vogliamo dimostrare, per induzione, che per ogni numero
naturale n :

(n+1)
2
(n1)
2
= 4n

Ammettiamo che la formula sia valida per m = n1, ovvero che sia:

(m+1)
2
(m1)
2
= (n1+1)
2
(n11)
2
= n
2
(n2)
2
= 4(n1)

Risulta:

(nn+2)(n+n2) = 4n4 2(2n2) = 4n4
2(2n2)+4 = 4n 2(2n) = 4n

da cui infine:
56

[(n+1)(n1)][(n+1)+(n1)] = 4n (n+1)
2
(n1)
2
= 4n

che la formula che si doveva dimostrare.
La precedente dimostrazione ancora inaccettabile in quanto incompleta:
manca infatti lindispensabile verifica della formula da provare per n = 0.
Verifichiamo la formula proposta per n = 0:

(0+1)
2
(01)
2
= 11 = 0 = 40

La tesi dunque verificata in questo primo caso. A questultima verifica pu
essere fatto seguire quanto sopra stabilito: ci completa la dimostrazione per
induzione su n.

Osservazione. La formula proposta in questultimo esempio avrebbe potuto essere
dimostrata anche direttamente (e forse facendo meno fatica), senza ricorrere alla
dimostrazione per induzione: sarebbe stato infatti sufficiente sviluppare i quadrati al
primo membro.

Notiamo infine che se non fossimo ancora convinti che il principio di induzione ci
permette di raggiungere tutti i casi possibili, potremmo ragionare come segue:
supponiamo che esista un numero m per il quale, nonostante la dimostrazione per
induzione, P(m) non sia valida. Intanto m non pu essere lo 0, perch sappiamo che
P(0) vera per la prima condizione. Allora P(m) non sarebbe vera per un numero
pi grande di 0; ma allora non sarebbe vera nemmeno per il caso precedente,
diciamo P(m1), perch la seconda condizione ci assicura che la verit di P(m1)
implica la verit di P(m). Cos, a ritroso, dopo un numero finito di passi,
proveremmo la falsit di P(0).
Come si vede, il principio di induzione si fonda sul fatto che nei numeri naturali si
pu andare sempre avanti con la funzione successore, ma dato un numero, da questo
si torna allo 0 in un numero finito di passi.
Questa osservazione ci permette di formulare il principio in modo diversi, ma che
sottintendono sempre in realt la struttura dei numeri naturali.
Una prima apparente generalizzazione il seguente principio: Se vale P(0) e, se
per ogni n<m, la validit di P(n) implica la validit di P(m), allora vale P(k) per ogni
k.
In questo caso l'ipotesi pi debole perch il predecessore di n soltanto uno
dei numeri pi piccoli di n, perci evidente che questo principio implica il
57
precedente (la dimostrazione formale si potr fare come esercizio una volta studiato il
calcolo degli enunciati). In realt sui numeri naturali i due principi sono equivalenti.
Abbiamo un altro caso che utilizzeremo spesso in logica, che introdurremo con
lesempio seguente.

Esempio. Supponiamo di dover provare che ogni numero decomponibile in un
prodotto di fattori primi. In questo caso l'induzione non pu essere applicata
direttamente ai numeri in quanto tali, perch nel passaggio da un numero al
successore la situazione e la dimostrazione cambiano drasticamente. Dovremo allora
trattare i nostri numeri come oggetti ai quali assegnato un altro numero che deve
variare in modo da rendere parametrica la dimostrazione. Possiamo pensare di
associare ad ogni numero un albero di decomposizione, cio porre il numero alla
radice dell'albero e, se possibile, generare due figli, usando una possibile
decomposizione non banale del numero:

12
/ \
4 3

Abbiamo due possibilit: o il numero gi primo e ci fermiamo al primo nodo
(radice), o si pu decomporre in due fattori diversi da 1 e da lui stesso; a questo
punto il gioco si ripete per i due fattori e deve terminare prima o poi perch i fattori
ogni volta sono strettamente minori del numero dato e perci, prima o poi ci
fermeremo.

Abbiamo cos costruito in un numero finito di passi un albero binario con il
numero dato alla radice. Associamo allora al numero originario un altro numero,
l'altezza dell'albero, cio il numero massimo dei passi che occorrono per andare dalla
radice ad una foglia (nodo senza figli); proviamo allora che qualunque sia l'altezza
dell'albero, il numero dato il prodotto dei numeri primi che sono sulle foglie. Se
dunque lalbero associato al numero ha altezza 0 vuol dire che il numero dato era gi
primo e siamo arrivati; supponiamo che la propriet sia vera per numeri che hanno un
albero di decomposizione di altezza n e dimostriamolo per per numeri che hanno un
albero di decomposizione di altezza n+1. Per un tale numero n esistono due numeri
pi piccoli r ed s tali che n = rs ed essi hanno un albero di decomposizione di altezza
al pi n. Quindi per essi vale il fatto che sono decomponibili in numeri primi; ma
allora il prodotto delle due decomposizioni sar una decomposizione di n.
Questo modo di procedere si dice per induzione strutturale ed opera
sostanzialmente associando ad oggetti (non necessariamente numeri) che sono
58
decomponibili in oggetti pi semplici, un numero naturale che ne rappresenta la
complessit, in modo che le componenti abbiano un numero pi piccolo. La
dimostrazione avverr poi per induzione su questi indici di complessit. Talvolta,
quando la diminuzione della complessit sar evidente, si potr addirittura omettere
di specificare l'indice.



8. I NUMERI PRIMI


8.1. Divisibilit e numeri primi

In questa sezione presenteremo le principali nozioni collegate ai numeri primi ed
indicheremo alcune dimostrazioni; in particolare:
ci chiederemo innanzitutto: che cosa sono i numeri primi? Daremo la
definizione e illustreremo il crivello di Eratostene. Mostreremo lesistenza e
lunicit della scomposizione in fattori primi di un numero naturale.
inoltre, quanti sono i numeri primi? Come essi sono distribuiti nella sequenza
dei numeri naturali?
daremo quindi alcuni risultati: una condizione necessaria di primalit (teorema
di Fermat); una condizione necessaria e sufficiente di primalit (teorema di
Wilson).
presenteremo infine alcuni problemi aperti, come le congetture di Goldbach e
dei primi gemelli.
Iniziamo a presentare la nozione di divisibilit.

Definizione. Un naturale a si dice divisibile per un naturale b se esiste un
naturale c tale che a = bc. Si dice allora che b un divisore di a. Si scrive: ba.

Si tratta di una nozione elementare: su di essa si basano tecniche e concetti di
primaria importanza. La illustreremo con alcuni esempi.

Esempio. Dimostriamo che la somma di cinque numeri naturali consecutivi sempre
divisibile per 5.
Indicati infatti i numeri in questione con: a, a+1, a+2, a+3, a+4, la loro somma :

a+(a+1)+(a+2)+(a+3)+(a+4) = 5a+10 = 5(a+2)

59
e tale naturale, avendo 5 come fattore, divisibile per 5.

Esempio. Dati tre numeri naturali non nulli tali che la differenza tra il secondo ed il
primo e la differenza tra il terzo ed il secondo sia 2, dimostrare che uno di essi
divisibile per 3.
Siano n, n+2, n+4 i tre naturali in questione, con n 0.
La dimostrazione pu essere scritta sinteticamente utilizzando le congruenze
(ricordiamo che a b (mod n) significa che n divide ba):

se n 0 (mod 3), allora la tesi subito provata
se n 1 (mod 3), allora n+2 0 (mod 3)
se n 2 (mod 3), allora n+4 0 (mod 3)

Altrimenti necessario esprimere diversamente il ragionamento (la dimostrazione
pu apparire meno chiara): se n divisibile per 3, la tesi subito provata. Se n non
divisibile per 3, effettuando tale divisione avremo un resto non nullo che potr essere
r = 1 oppure r = 2. Se r = 1, allora n+2 divisibile per 3; se r = 2, allora n+4
divisibile per 3.

Esempio. Per alcuni naturali non nulli n, m, possibile che n sia divisore di m e
contemporaneamente m sia divisore di n: ci accade se (e solo se) n = m.
Se n divisore di m e m divisore di n scriviamo:

m = bn e n = am (1)

con a, b naturali (diversi da zero, essendo, per ipotesi, diversi da zero i naturali dati
n, m). Scriviamo allora:

nm = (am)(bn) = abmn ab = 1

Tale prodotto di naturali verificato solamente nel caso: a = b = 1. Possiamo
concludere allora, sostituendo nella formula (1), che: n = m.

Esempio. Siano a, b due naturali multipli del naturale n (n0): dimostriamo che ogni
naturale della forma a+b, con , naturali, anch'esso multiplo di n.
Se a e b sono multipli di n, esistono due naturali h, k tali che:

a = hn b = kn
60

e perci:

a+b = hn+kn = n(h+k)

Quindi il naturale a+b divisibile per n secondo il fattore h+k.

Definizione. Il naturale p si dice primo se maggiore di 1 ed divisibile soltanto
per 1 e per se stesso. Un naturale maggiore di 1 non primo si dice composto.

Unantica tecnica per individuare i numeri primi minori di un limite prefissato
illustrata nellesempio seguente.

Esempio. Crivello di Eratostene per trovare i primi minori di 50:

... 2 3 5 7 9
11 13 15 17 19
21 23 25 27 29
31 33 35 37 39
41 43 45 47 49

Iniziamo a prendere in considerazione il naturale 2 ed affermiamo che si tratta di
un primo. Ne segue che tutti i multipli di 2 saranno composti (li cancelliamo).
Il procedimento deve essere ripetuto considerando successivamente tutti i naturali
non maggiori della radice quadrata della limitazione assegnata, ovvero di 50
(perch? Il lettore invitato a rispondere per iscritto, per esercizio).

Esempio. I numeri primi tra i naturali: una tabella (a parte la prima riga, i primi sono
contenuti nella prima e nella quinta colonna: perch? Il lettore invitato a formulare la
semplice risposta):

(1) 2 3 (4) 5 (6)
7 (8) (9) (10) 11 (12)
13 (14) (15) (16) 17 (18)
19 (20) (21) (22) 23 (24)
(25) (26) (27) (28) 29 (30)
31 (32) (33) (34) (35) (36)
37 (38) (39) (40) 41 (42)
61
43 (44) (45) (46) 47 (48)
(49) (50) (51) (52) 53 (54)
(55) (56) (57) (58) 59 (60)
61 (62) (63) (64) (65) (66)
67 (68) (69) (70) 71 (72)
73 (74) (75) (76) (77) (78)
79 (80) (81) (82) 83 (84)


8.2. La scomposizione in fattori primi

Proposizione. Esistenza della scomposizione in fattori primi. Ogni numero
naturale maggiore di 1 un prodotto di numeri primi.

Dimostrazione. Sia n un numero naturale: o n un primo, nel qual caso la tesi
provata, oppure n ha divisori compresi tra 1 e n.
Se m il minimo di questi divisori, m primo in quanto, se m avesse un divisore
k compreso tra 1 e m stesso, k sarebbe divisore anche di n, contro la minimalit di
m.
Quindi: il naturale n primo oppure divisibile per un numero primo, che
chiameremo p
1
:

n = p
1
n
1


con 1<n
1
<n. Ripetiamo il ragionamento su n
1
: esso o primo o divisibile per un
primo p
2
<n
1
. Iterando il procedimento, otteniamo una sequenza decrescente di
numeri (non primi):

n, n
1
, n
2
, ..., n
k1


finch uno di loro sar primo, n
k
= p
k
. Scriveremo allora:

n = p
1
p
2
...p
k
n

Proposizione. Unicit della scomposizione in fattori primi. La scomposizione in
fattori primi di un numero naturale unica. A parte permutazioni di fattori, un
naturale pu essere espresso come prodotto di primi in un solo modo.

62
Dimostrazione (Lindemann). Chiamiamo numeri anormali i numeri che possono
essere fattorizzati in prodotti di primi in pi modi (a parte permutazioni). Sia n il
minimo numero anormale.
Lo stesso primo p non pu apparire in due diverse fattorizzazioni di n: se cos
fosse n/p sarebbe anormale e n/p < n, contro la minimalit di n. Allora:

n = p
1
p
2
p
3
= q
1
q
2
q
3


dove i p e i q sono primi, nessun p uguale a un q e nessun q uguale a un p.
Sia p
1
il minimo dei p; risulta: p
1
n.
Sia q
1
il minimo dei q; risulta: q
1
n.
Da ci, ricordando che p
1
q
1
: p
1
q
1
< n.
Se poniamo N = np
1
q
1
abbiamo che 0<N<n e dunque N non un numero
anormale.
Ora, p
1
|n e dunque p
1
|N. Inoltre q
1
|n e dunque q
1
|N. Ci significa che p
1
e q
1

appaiono entrambi nell(unica) fattorizzazione di N e che p
1
q
1
|N.
Da questo segue che p
1
q
1
|n e quindi che q
1
|n/p
1
. Ma n/p
1
minore di n e
dunque ammette lunica fattorizzazione p
2
p
3
Dato che q
1
non un p,
impossibile. Dunque non possono esistere numeri anormali. n

Esempio. Nel piano cartesiano chiamiamo punti primi i punti P(m, n) aventi
entrambe le coordinate appartenenti allinsieme dei numeri primi {2; 3; 5; 7; 11; }.
Si dimostra che nessuna retta passante per lorigine degli assi, ad eccezione della
bisettrice del primo quadrante, pu passare per pi un punto primo. Lasciamo al
lettore la stesura della dimostrazione.

Esempio. Dimostriamo che se un numero primo p divisore di un prodotto ab,
allora p deve dividere a o b.
Procediamo per assurdo, se p non dividesse a n b, il prodotto dei fattori primi di
a e di b porterebbe ad una scomposizione di ab Lasciamo al lettore di formulare
la semplice conclusione.


8.3. Quanti sono i numeri primi?

Proposizione (XX, Libro IX degli Elementi). I numeri primi sono sempre pi di
ogni assegnata quantit di primi.

63
Dimostrazione. Sia p
1
, p
2
, , p
r
unassegnata quantit di numeri primi.
Poniamo: P = p
1
p
2
... p
r
+1 e sia p un numero primo che divida P; allora p non pu
essere alcuno dei p
1
, p
2
, , p
r
, altrimenti p dividerebbe la differenza P p
1
p
2
... p
r
=
1 che impossibile. Dunque questo p un altro primo, e p
1
, p
2
, , p
r
non sono tutti
i numeri primi. n

Proposizione (Euler). La serie dei reciproci dei numeri primi diverge.

Ci permette di far seguire immediatamente il risultato euclideo: se linsieme dei
numeri primi fosse finito, tale sarebbe anche la somma dei reciproci di tutti i primi (la
dimostrazione di L. Euler che riporteremo nellappendice C si pu trovare in:
Tenenbaum & Mends France, 1997; per unelegante dimostrazione di P. Erds si
pu vedere: Aigner & Ziegler, 1998).
Un classico problema riguarda la distribuzione dei primi tra i numeri naturali. Per
ogni naturale n, sia A
n
il numero di primi non maggiori di n. Ad esempio:

A
1
= 0 (nessun primo minore o uguale a 1)
A
2
= 1 il primo considerato 2
A
3
= 2 i primi considerati sono 2, 3
A
4
= 2 i primi considerati sono 2, 3
A
5
= 3 i primi considerati sono 2, 3, 5 etc.

Consideriamo ad esempio la successione di n 10
3
, 10
6
, 10
9
, e la tabella:

n A
n
/n 1/logn (A
n
/n)/(1/logn)

10
3
0,168 0,145 1,159
10
6
0,078 0,062 1,084
10
9
0,050 0,048 1,053

Sulla base di una verifica empirica Gauss ipotizz che:

1
log
1
lim
+
n
n
A
n
n


La dimostrazione completa di ci venne data nel 1896 (da Hadamard e de la
Valle Poussin).

64

8.4. Condizioni di primalit

Enunciamo ora alcune classiche condizioni di primalit.
Una condizione necessaria affinch un numero naturale sia primo espressa dal
piccolo teorema di Fermat (dimostrato da Euler).

Proposizione. Se a un intero e p un numero primo: a
p
a 0 (mod p).

Dunque: se p un primo, a
p
a un multiplo di p. Una sua diversa formulazione:
se p un primo che non divide a, allora a
p1
1 un multiplo di p (il lettore invitato
a fare qualche verifica).
La precedente condizione necessaria, ma non sufficiente: dunque tutti i numeri
primi certamente soddisfano quanto espresso dal piccolo teorema di Fermat, ma non
tutti i numeri che soddisfano tale condizione sono primi.
Una condizione necessaria e sufficiente espressa dal teorema di Wilson
(risalente al 1770, poi dimostrato da Lagrange e da Euler):

Proposizione. (p1)!+1 0 (mod p) se e solo se p un numero primo.

Dunque: (p1)!+1 un multiplo di p se e soltanto se p un primo.
Pu essere interessante fare qualche verifica. Occupiamoci ad esempio del
numero primo 7: (71)!+1 = 721 un multiplo di 7 (7103); ma gi la verifica
relativa ai primi successivi (11, 13) appare difficoltosa per il calcolo del fattoriale (il
lettore provi a calcolare 10! e 12!). E nel caso di applicazione a primi pi grandi, il
calcolo del fattoriale si rivela un ostacolo molto serio.
Il teorema di Wilson quindi un risultato elegante e importante, ma praticamente
ben poco utile, in quanto non conosciamo alcun algoritmo in grado di calcolare
il fattoriale con sufficiente rapidit! Da ci segue che la velocit di un test di
primalit basato sul teorema di Wilson sarebbe minore di quella di un test basato sul
crivello di Eratostene.
Molte formule sono basate sul teorema di Wilson; ad esempio la formula di
Willans (1964) fornisce il numero primo n-esimo:

65

( )

1
1
1
1
1
1
]
1

,
_

1
]
1

+
+
n
k
n
k
j
n
j
j
n
p
2
1
1
1
2
1 ! 1
cos
1



ma le difficolt applicative precedentemente menzionate restano.
Ricordiamo che nella storia dellinformatica le verifiche di primalit sono stati i
primi procedimenti ad essere condotti su elaboratori. E tuttora sono considerati
validissimi test per valutare lefficienza di una macchina.



9. CONFRONTO DI INSIEMI INFINITI


9.1. La potenza del numerabile

Ricordiamo che due insiemi si dicono equipotenti se possono essere posti in
corrispondenza biunivoca. Il concetto di equipotenza ha consentito di formulare una
definizione di insieme infinito; finora, per, non sono stati trattati gli insiemi infiniti:
abbiamo introdotto N considerando le classi di equivalenza determinate, in un
insieme U
f
costituito da insiemi finiti, dalla relazione di equipotenza. Ora ci
occuperemo invece specificamente degli insiemi infiniti: dato che la relazione di
equipotenza definita anche per questi insiemi, spontaneo considerare il problema
dellestensione del concetto di potenza di un insieme anche agli insiemi infiniti. E la
potenza di tali insiemi, per quanto visto, non potr essere data da un numero naturale:
dovremo quindi introdurre ed utilizzare denominazioni nuove.
A tale riguardo si presenta una questione fondamentale: possiamo affermare che
tutti gli insiemi infiniti hanno la stessa potenza? Sarebbe corretto, ad esempio,
concludere che la potenza di insiemi come N, Z, Q, R indicabile con il termine
infinito, senza ulteriori specificazioni? Come vedremo, una delle massime conquiste
della teoria degli insiemi di Georg Cantor sar proprio identificabile in uninedita
possibilit di confrontare (di classificare) gli insiemi infiniti.
Dimostriamo innanzitutto che linsieme N dei numeri naturali un insieme infinito.
Per fare ci, proveremo che N equipotente ad un suo sottoinsieme proprio.

Proposizione. Linsieme PN dei numeri naturali pari equipotente a N.
66

Dimostrazione. Sia P linsieme dei numeri naturali pari:

P = {mN: m=2n e nN}

Per dimostrare che P, sottoinsieme proprio di N, equipotente a N, necessario
individuare una funzione biiettiva f: PN. Tale funzione :

f: xx/2

Mostriamo ora che f biiettiva (ovvero che gli insiemi P e N sono posti,
attraverso f, in corrispondenza biunivoca): rappresentiamo tale relazione nel modo
seguente:

0 2 4 6 8 10 12 14 ... (P)

f | | | | | | | | ...

0 1 2 3 4 5 6 7 ... (N)

Ad ogni elemento di P corrisponde dunque uno ed un solo elemento di N (e
viceversa): ci prova quanto affermato. n

Possiamo ora introdurre una specifica denominazione per la potenza di tutti quegli
insiemi che (come P) sono equipotenti a N.

Definizione. Un insieme equipotente a N si dice avente la potenza del numerabile.

Linsieme PN dei naturali pari ha dunque la potenza del numerabile. La
prossima proposizione dar un importante esempio di insieme equipotente a N.

Proposizione. Linsieme Z ha la potenza del numerabile.

Dimostrazione. Per dimostrare che Z ha la potenza del numerabile dobbiamo
dimostrare che Z equipotente a N, ovvero individuare una funzione biiettiva g: Z
N. Tale funzione cos rappresentata schematicamente:

0 1 1 2 2 3 3 4 ... (Z)

67
g | | | | | | | | ...

0 1 2 3 4 5 6 7 ... (N)

N Z

0 0
2n+1 n+1
2n n

Ad ogni elemento di Z corrisponde dunque uno ed un solo elemento di N (e
viceversa). n

Quanto stabilito da queste due proposizioni potrebbe apparire sorprendente:
uninterpretazione eccessivamente libera ed intuitiva del problema potrebbe infatti
suggerire conclusioni ben diverse sulla quantit di elementi appartenenti agli insiemi
esaminati. Ad esempio, linsieme dei numeri naturali pari potrebbe sembrare
costituito dalla met degli elementi appartenenti allinsieme N; analogamente,
linsieme Z potrebbe sembrare costituito dal doppio degli elementi appartenenti a
N. Invece queste ultime constatazioni, nonostante la loro apparente plausibilit, non
hanno alcun significato, in matematica. I tre insiemi N, linsieme P dei naturali pari, Z,
sono semplicemente equipotenti.

Occupiamoci ora dellinsieme Q dei razionali. Intuitivamente, se confrontato con
linsieme dei numeri interi, Q appare costituito da moltissimi elementi; potrebbe
sembrare, a prima vista, che i razionali siano molto pi numerosi dei naturali (e
degli interi): ad esempio tra due naturali stanno infiniti razionali!

Esempio. Proveremo che, dati due razionali a, b, con a<b, esiste sempre un
razionale q tale che a<q<b. Dallipotesi a<b possiamo trarre:

a+a < a+b e a+b < b+b
2a < a+b e a+b < 2b
2a < a+b < 2b

infine: a <
1
2
(a+b) < b

Pertanto la frazione
1
2
(a+b) il numero razionale cercato.

68
Le considerazioni sino ad ora esposte potrebbero intuitivamente far supporre che
linsieme Q sia molto pi numeroso dellinsieme N. Eppure...

Proposizione. Linsieme Q ha la potenza del numerabile.

Dimostrazione. Analogamente a quanto fatto nelle dimostrazioni precedenti,
dobbiamo allineare in ununica fila tutti gli elementi di Q: fatto ci, sar possibile
mettere in corrispondenza biunivoca gli elementi di Q e quelli di N.
Scriviamo gli elementi di Q
+
(le frazioni positive) nella tabella seguente:

1/1 1/2 1/3 1/4 1/5 1/6 ...
2/1 2/2 2/3 2/4 2/5 2/6 ...
3/1 3/2 3/3 3/4 3/5 3/6 ...
4/1 4/2 4/3 4/4 4/5 4/6 ...
5/1 5/2 5/3 5/4 5/5 5/6 ...
6/1 6/2 6/3 6/4 6/5 6/6 ...
... ... ... ... ... ... ...

Grazie a questa tabella, possiamo scrivere una fila di razionali:
scriviamo innanzitutto lelemento 0 (non compreso nella tabella), che sar il
primo elemento della fila;
partiamo dallelemento 1/1 (che si trova, nella tabella, in alto a sinistra);
percorriamo la tabella procedendo a zig-zag, ovvero secondo una
serpentina che, da 1/1, individua successivamente:

1/1 1/2 2/1 3/1 2/2 1/3 1/4 2/3 3/2 4/1...

consideriamo esclusivamente le frazioni, tra quelle cos individuate, che non
risultano equivalenti ad una frazione gi considerata; ad esempio, una volta
accettato lelemento 1/1, dobbiamo trascurare 2/2, 3/3, 4/4... (frazioni che
sono tutte equivalenti a 1/1);
nella fila di elementi di Q, dopo 0, per ciascuna delle frazioni m/n cos
individuate, scriviamo sia la frazione positiva, +m/n, che la frazione negativa,
ovvero m/n.
Otteniamo, pertanto, quanto inizialmente voluto: lintero insieme Q (il lettore si
render conto che tutti i razionali compaiono nella tabella sopra considerata!) risulta
ordinato nella fila precedente; Q pu quindi essere messo in corrispondenza
biunivoca con N mediante la funzione biiettiva h: QN rappresentata da:

69
0 +1/1 1/1 +1/2 1/2 +2/1 2/1 +3/1 ... (Q)

h | | | | | | | | ...

0 1 2 3 4 5 6 7 ... (N)

Ad ogni elemento di Q corrisponde dunque uno ed un solo elemento di N (e
viceversa). n

Ricapitoliamo: abbiamo verificato che N e tutti gli altri insiemi infiniti considerati
(linsieme dei naturali pari, Z e Q) hanno la potenza del numerabile.


9.2. La potenza del continuo

Quanto affermato nel paragrafo precedente propone una questione centrale: tutti gli
insiemi infiniti hanno la potenza del numerabile? La risposta : no.La proposizione
seguente, dovuta a Cantor, motiva questa risposta.

Proposizione. Linsieme R non ha la potenza del numerabile.

Dimostrazione. Ammettiamo, per assurdo, che R abbia la potenza del
numerabile: dovrebbe allora essere possibile, analogamente a quanto fatto nelle
dimostrazioni precedenti, allineare in ununica lista tutti gli elementi di R. Inizieremo
a scrivere questa fila elencando tutti i reali x con 0<x<1 scritti in forma decimale (per
evitare ogni malinteso, possiamo scegliere di non considerare successioni costituite,
da un certo punto in poi, da una fila illimitata di sole cifre 9: com noto, ad esempio,
0, 74999999 0,75 e in questultima rappresentazione, dopo la cifra 5, segue
unillimitata sequenza di cifre 0):

x
1
= 0,a
1
a
2
a
3
a
4
a
5
a
6
a
7
a
8
a
9
...
x
2
= 0,b
1
b
2
b
3
b
4
b
5
b
6
b
7
b
8
b
9
...
x
3
= 0,c
1
c
2
c
3
c
4
c
5
c
6
c
7
c
8
c
9
...
x
4
= 0,d
1
d
2
d
3
d
4
d
5
d
6
d
7
d
8
d
9
...
x
5
= 0,e
1
e
2
e
3
e
4
e
5
e
6
e
7
e
8
e
9
... etc.

Ogni allineamento decimale pu essere illimitato o limitato (nel qual caso, come
sopra accennato, pu essere considerato seguito da unillimitata fila di zeri).
Dimostreremo che una qualsiasi fila come quella sopra indicata non pu
70
contenere tutti i reali compresi tra 0 e 1. Infatti, consideriamo il reale :

= 0,
1

7
...

tale che sia:
1
a
1

2
b
2

3
c
3

4
d
4

5
e
5

6
f
6

7
g
7
...
Il reale non pu appartenere alla fila sopra introdotta; infatti:
x
1
perch ha la prima cifra decimale diversa;
x
2
perch ha la seconda cifra decimale diversa;
e, in generale:
diverso da x
n
perch ha la n-esima cifra decimale diversa.
Possiamo pertanto concludere che impossibile elencare in ununica fila tutti i
numeri reali compresi tra 0 e 1 e, di conseguenza, impossibile elencare in
ununica fila tutti gli elementi di R. Quindi R non pu essere messo in
corrispondenza biunivoca con N e non ha la potenza del numerabile. n

Osservazione. Il lettore noti che la dimostrazione precedente non funziona se si
considera Q al posto di R. Lo invitiamo a cercare di spiegarsi il perch di ci.

La proposizione ora dimostrata richiede evidentemente che la potenza di R venga
denominata con unespressione diversa da potenza del numerabile: la definizione
seguente stabilisce tale nuova denominazione.

Definizione. Un insieme equipotente a R si dice avente la potenza del continuo.

Abbiamo potuto constatare direttamente che non tutti gli insiemi infiniti hanno la
stessa potenza, in particolare che non tutti gli insiemi infiniti sono equipotenti a N: la
potenza dellinsieme R diversa dalla potenza del numerabile e viene detta potenza
del continuo. A questo punto, spontaneo porsi il problema: esistono insiemi infiniti
non equipotenti n a N n a R?
La matematica contemporanea ha dato risposta affermativa a questa domanda:
possibile costruire un numero qualsiasi di altri insiemi infiniti aventi potenze sempre
diverse (intuitivamente, sempre pi numerosi). Indichiamo con il simbolo
0

(Aleph con zero) la potenza del numerabile e con
1
(Aleph con uno) la potenza
del continuo: essi sono detti numeri transfiniti; possibile definire i transfiniti
0
,
1
,
2
...: linsieme dei transfiniti , a sua volta, infinito.
Ma esistono numeri transfiniti compresi tra
0
e
1
? Esiste cio un insieme
infinito IR che non abbia n la potenza del numerabile n la potenza del continuo?
Non stata data una risposta a questa domanda; in particolare, stata formulata la
seguente ipotesi: Ogni sottoinsieme infinito di R non avente la potenza del
71
numerabile ha la potenza del continuo. Essa, detta ipotesi del continuo, equivale
a negare lesistenza di transfiniti intermedi tra
0
e
1
. Nel 1962, Paul Joseph
Cohen (nato nel 1934) dimostr che lipotesi del continuo appartiene ad una
particolare classe di questioni, denominate indecidibili.
72





Il frontespizio di un'edizione di De Coelo e De Mundo
con i commenti di Averro stampata a Lione nel 1529



__________

71
III

Logica degli enunciati




10. ENUNCIATI, CONNETTIVI, VALORI DI VERIT


10.1. Verit

I matematici sono stati sempre persuasi di
dimostrare delle verit o delle proposizioni
vere. Evidentemente tale convinzione non
pu essere che di ordine sentimentale o
metafisico: non si pu certo giustificarla
ponendosi sul terreno della matematica.

Nicolas Bourbaki

La frase di Bourbaki che abbiamo scelto per introdurre la prima sezione
dedicata alla logica potr stupire il lettore: la logica appare infatti strettamente
collegata alla nozione di verit e la posizione espressa dal grande matematico
policefalo pu apparire eccessivamente prudente.
Ricordando le radici del pensiero matematico e logico, Anna Labella scrive:

Se andiamo a rileggere le dimostrazioni della geometria greca per
considerarle non rispetto alla loro impostazione tecnica, ma per il ruolo che
hanno nei confronti della tesi cui arrivano, ci troviamo sostanzialmente di
fronte a tre situazioni principali che la dicono lunga sul ruolo assegnato alla
dimostrazione: dimostrazioni di qualcosa che vero, ma sconosciuto e non
immediato (); dimostrazioni di qualcosa che evidente, ad esempio che
gli angoli alla base di un triangolo isoscele sono uguali; dimostrazioni di
qualcosa che contro lintuizione (Ben-Ari, 1998, p. x).

Dunque le dimostrazioni possono riguardare fatti pi o meno evidenti o
plausibili, ma riguardano comunque fatti veri. La logica di cui ci occupiamo
bivalente, cio prevede che le espressioni assumano uno ed uno solo dei due
valori di verit vero, V, o falso, F. Intuitivamente, con lattribuzione di uno
di questi due valori si indica che la verit (o la falsit) dellespressione in
questione pu essere stabilita senza dubbio, che evidente e oggettiva.
72
La logica contemporanea ha per evidenziato che il concetto di verit
delicato. Per introdurre la questione, proponiamo alcuni brani tratti da Verit e
dimostrazione di Alfred Tarski (Tarski, 1969; riprenderemo alcune
considerazioni da: Bagni, 1997) in cui si osserva che linterpretazione di tale
concetto ha radici antiche e pu basarsi su considerazioni filosofiche come
quelle espresse nel seguente passo, tratto dalla Metafisica di Aristotele:

Dire di ci che che non , o di ci che non che , falso, mentre dire di
ci che che o di ci che non che non , vero (Tarski, 1969).

Se considerassimo queste affermazioni alla stregua di una definizione,
dovremmo osservare che la formulazione sarebbe insufficiente dal punto di
vista formale: non infatti abbastanza generale, in quanto riferita soltanto a
proposizioni che affermano qualche cosa (che o che non ) di un
soggetto, ed sarebbe talvolta difficile far rientrare una proposizione qualsiasi in
questo schema senza modificarne il senso.
Nellarticolo citato lAutore si propone di ottenere una soddisfacente
spiegazione del concetto classico di verit, superando loriginale formulazione
aristotelica ma conservando di essa gli intenti principali. Per fare ci
innanzitutto indispensabile riferirsi ad un linguaggio: considereremo la lingua
italiana.
Seguiamo ancora Tarski ed esaminiamo la proposizione:

La neve bianca

Che cosa intendiamo dire quando affermiamo che essa vera o che falsa?
Accettando limpostazione di Aristotele potremmo scrivere (Tarski, 1969):

La neve bianca vera se e solo se la neve bianca
La neve bianca falsa se e solo se la neve non bianca

Queste frasi illustrano il significato dei termini vero e falso quando tali
termini sono riferiti alla proposizione la neve bianca e possono dunque
essere considerate definizioni (parziali) dei termini vero e falso, cio
definizioni di questi termini in relazione a una particolare proposizione: La
neve bianca. Generalizziamo allora quanto affermato per quella singola
proposizione; otteniamo (sempre seguendo: Tarski, 1969):

(1) p vera se e solo se p

Nella proposizione che verr sostituita a p, per, non dovr comparire la
parola vero, altrimenti la (1) verrebbe a costituire, ovviamente, un circolo
vizioso e non sarebbe accettabile come definizione (parziale) di verit.
73
Quando avremo precisato unequivalenza della forma (1) nella quale p sia
sostituita da unarbitraria proposizione italiana potremo dire che luso del
termine vero in riferimento alle proposizioni italiane conforme al concetto
classico di verit. Potremo allora affermare, nelle parole di Tarski, che luso
del termine vero adeguato (Tarski, 1969).
Ma possibile realizzare tutto ci? cio possibile fissare un uso adeguato
del termine vero per le proposizioni scritte nel linguaggio scelto (nella lingua
italiana)?
A questo punto necessario precisare lambito nel quale vogliamo definire
il concetto di verit: il procedimento sopra descritto non sarebbe ad esempio
applicabile considerando lintera lingua italiana. Innanzitutto linsieme delle
proposizioni italiane (potenzialmente) infinito; inoltre la parola vero
compare nella lingua italiana e ci impedisce di applicare il procedimento.
Ma si presentano anche altri e ben pi gravi problemi: se immaginassimo la
possibilit di determinare un uso adeguato del termine vero con riferimento a
proposizioni italiane del tutto arbitrarie, cadremmo inevitabilmente in una
contraddizione: ci ritroveremmo infatti di fronte alla preoccupante possibilit
di incontrare lantinomia del mentitore (della quale ci siamo occupati a lungo
nella sezione I). Seguiamo lesposizione di Tarski:

Il linguaggio comune universale, n deve essere altrimenti, giacch ci si
aspetta che esso fornisca i mezzi adeguati a esprimere ogni cosa che possa
essere espressa () Possiamo perfino costruire nel linguaggio ci che tal-
volta viene detta una proposizione autologa, cio una proposizione S che
esprime il fatto che S stessa vera o che falsa. Se S esprime la propria
falsit, si pu dimostrare con un semplice ragionamento che S
contemporaneamente vera e falsa, e cos ci ritroviamo di fronte lantinomia
(Tarski, 1969).

Un grave problema dunque determinato dalla potenza del linguaggio in cui
scegliamo di operare; ma linguaggi universali non sono, in generale,
assolutamente necessari per gli scopi della ricerca scientifica. allora possibile
dare una definizione del concetto di verit per linguaggi semanticamente
limitati?
Tarski risponde affermativamente, ma precisa alcune condizioni:
necessario che il vocabolario del linguaggio in questione sia completamente
determinato e che siano formulate esplicitamente delle precise regole
sintattiche sulle quali basare la formazione delle proposizioni. Tali regole
devono essere formali, dunque riferite esclusivamente alla forma esteriore delle
espressioni. I linguaggi che soddisfano a queste condizioni sono detti
formalizzati.
Si noti inoltre che il linguaggio che loggetto dello studio (per il quale
dunque si vuole costruire la definizione di verit) non coincide con il
74
linguaggio nel quale la definizione viene formulata; questultimo si dice
metalinguaggio, mentre il primo denominato linguaggio oggetto. Il
metalinguaggio deve contenere come parte propria il linguaggio oggetto; deve
inoltre contenere nomi per le espressioni del linguaggio oggetto e altri termini
necessari allo studio del linguaggio oggetto. Sottolineiamo che nel
procedimento di definizione del concetto di verit i termini semantici (ovvero
quelli che collegano le proposizioni del linguaggio oggetto e gli oggetti a cui
esse sono riferite) devono poter essere introdotti nel metalinguaggio mediante
opportune definizioni. Tutto ci conferma che il metalinguaggio deve essere
pi ricco del corrispondente linguaggio oggetto.
Considerate queste precisazioni possibile concludere:

Se tutte le precedenti condizioni sono soddisfatte, la costruzione della
desiderata definizione di verit non presenta difficolt essenziali.
Tecnicamente, tuttavia, essa troppo complicata per essere esposta qui in
dettaglio. Per ogni data proposizione del linguaggio oggetto si pu
facilmente formulare la corrispondente definizione parziale della forma (1)
(Tarski, 1969).

Si presenta infine unulteriore difficolt: linsieme costituito da tutte le
proposizioni del linguaggio oggetto infinito, mentre ogni proposizione del
metalinguaggio una sequenza finita di segni; pertanto non si pu pensare di
dare la desiderata definizione generale mediante un puro e semplice
accostamento di tutte le (infinite) definizioni parziali. Eppure, conclude Tarski
nel lavoro citato, la nostra definizione generale non poi molto diversa,
almeno intuitivamente, da quellaccostamento:

Molto approssimativamente, si procede come segue. Dapprima si
considerano le proposizioni pi semplici, che non contengono altre
proposizioni come parti; per queste proposizioni si trova il modo di definire
la verit direttamente (usando la stessa idea che conduce alle definizioni
parziali). Poi, mediante luso delle regole sintattiche che riguardano la
formazione di proposizioni pi complicate a partire da quelle pi semplici,
si estende la definizione a proposizioni composte arbitrarie; si applica qui il
metodo conosciuto in matematica come definizione per recursione.


10.2. Enunciati

Il paragrafo precedente mostra che il concetto di verit (o di falsit) di
unaffermazione certamente delicato e complesso. Unimpostazione rigorosa
della logica matematica potrebbe allora concentrarsi innanzitutto sulle
espressioni che possono essere scritte utilizzando (sintatticamente) un
75
assegnato alfabeto e solo successivamente occuparsi della semantica di tali
espressioni, ovvero dellattribuzione di un significato e dei conseguenti valori
di verit ad esse. Dunque anche lintroduzione del concetto di enunciato, che
come vedremo strettamente collegata allattribuzione dei valori di verit ad
unespressione, potrebbe essere rimandata (torneremo infatti sul concetto di
enunciato nella sezione seguente, seguendo un percorso analogo a quello ora
delineato, seppure in un ambito pi ampio).
Tuttavia, didatticamente, utile anticipare sin dora che diremo enunciato o
proposizione unaffermazione che assume uno ed un solo valore di verit, vero
oppure falso. E tale caratteristica tuttaltro che banale: infatti non tutte le
affermazioni assumono incontestabilmente uno ed un solo valore di verit.

(Contro)esempio. Laffermazione:

Esiste almeno un numero reale tale che il suo quadrato sia il reale z

non un enunciato: esso dipende dal particolare z che sar considerato; la
scelta di un valore z negativo o non negativo comporta un valore di verit
rispettivamente falso o vero per laffermazione data.
E laffermazione:

Tutti i naturali pari maggiori di 2 sono somme di due numeri primi

pu essere considerato un vero e proprio enunciato? Si tratta infatti della
celebre congettura di Goldbach, un problema che abbiamo presentato nella
sezione precedente; com noto, nessun matematico, sino ad oggi (2002),
stato in grado di dimostrare (oppure smentire) tale famosa affermazione. In
altri termini, non sappiamo se la frase sopra riportata sia vera o sia falsa; a
rigore, non potremmo neppure essere sicuri che sia possibile stabilire la sua
verit o la sua falsit!

Alcuni enunciati sono costituiti da una sola affermazione (come La neve
bianca citato da Tarski) e sono detti enunciati atomici. Sottolineiamo sin dora
che in questo primo capitolo dedicato alla logica degli enunciati prescinderemo
dalla struttura interna degli enunciati in questione: in effetti sarebbe
importante esaminare il tipo di affermazione di volta in volta considerata, che
spesso viene riferita ad un soggetto variabile (cio essa pu essere riferita ad
un singolo soggetto ma anche ad un insieme di soggetti). Questa nostra scelta
esclusivamente didattica e provvisoria: verr superata quando passeremo alla
considerazione della logica dei predicati.
Pur senza esaminare, in questa fase, la struttura degli enunciati, gli enunciati
atomici non saranno gli unici che prenderemo in considerazione. Enunciati pi
76
complicati sono costituiti da pi affermazioni, collegate da opportune parole
(connettivi) come o, e, se allora, se e solo se. I connettivi collegano gli
enunciati senza riguardo al significato che possono assumere quelli: lunica
caratteristica che viene indicata nella loro definizione quale valore di verit
abbia lenunciato composto a partire soltanto dai valori di verit assegnati agli
enunciati componenti.

(Contro)esempio. Intuitivamente:

A = il numero otto rappresentato ad una sola cifra
B = un triangolo ha tre lati

sono enunciati veri; per il buon senso ci porterebbe a dire che:

inevitabile che A

falso (possiamo infatti rappresentare otto in base 2, ottenendo 100); invece:

inevitabile che B

vero. Da ci potremmo concludere che loperatore inevitabile che non
agisce sugli enunciati come fanno i veri e propri connettivi logici, dunque
tenendo conto esclusivamente dei valori di verit.

Come vedremo nel paragrafo seguente, la definizione dei connettivi avviene
mediante le tavole di verit.


10.3. Connettivi e valori di verit

I connettivi formalizzano alcune parole e sono indicati da opportuni simboli:

A che formalizza non A
AB che formalizza A e B
AB che formalizza A o B
AB che formalizza se A allora B
AB che formalizza se A allora B e se B allora A

(talvolta non viene indicato come operatore e non come connettivo in
quanto, a differenza degli altri connettivi, non collega due enunciati ma opera
su di un solo enunciato).

77
(Contro)esempio. Non sar inutile osservare che lindicazione dei connettivi
mediante congiunzioni come non, e, o richiede una qualche prudenza.
Ad esempio, la scrittura AB, che come sopra detto formalizza A o B, deve
essere intesa in senso inclusivo (o A o B o entrambi), non in senso esclusivo
(o A o B ma non entrambi).
Uneffettiva definizione dei connettivi richiede la precisazione delle tavole
di verit, di cui ci occuperemo nel seguito del paragrafo.

Grazie ai connettivi possibile introdurre per induzione strutturale linsieme
degli enunciati: utilizzeremo un alfabeto costituito da lettere maiuscole (con le
quali rappresenteremo gli enunciati atomici, dai connettivi sopra introdotti e da
un insieme finito di segni come virgole o parentesi.
Possiamo allora procedere per induzione ed affermare che:

A, B, C, sono enunciati
se X, Y sono enunciati, allora X, XY, XY, XY, XY sono
enunciati

Nella tabella (tavola di verit) sono riassunte le definizioni dei connettivi:

A B A AB AB AB AB
V V F V V V V
V F F F V F F
F V V F V V F
F F V F F V V

Costruiremo le tavole di verit di alcuni enunciati composti (il metodo della
costruzione della tavola di verit stato introdotto da Ludwig Wittgentein).

Esempio. Tavola di verit dellenunciato composto: [(AB)(AB)]:

A B AB B AB (AB)(AB) [(AB)(AB)]
V V V F F V F
V F F V V V F
F V F F F F V
F F F V F F V

I valori di verit di [(AB)(AB)] corrispondono a quelli di A.
78

Esempio. Tavola di verit dellenunciato composto: (AB)(BA):

A B AB B A BA (AB)(BA)
V V V F F V V
V F F V F F V
F V V F V V V
F F V V V V V

Il valore di verit V per ogni scelta dei valori di verit di A e di B.

Prima di procedere osserveremo che lintroduzione di cinque connettivi
sovrabbondante: ad esempio, sarebbe stato molto pi sintetico introdurre
solamente (non) e (se allora). Avremmo allora ricondotto gli altri
connettivi a combinazioni di questi; si verifica infatti che:

AB ha la stessa tavola di verit di [A(B)]
AB ha la stessa tavola di verit di (A)B
AB ha la stessa tavola di verit di {(AB)[(BA)]}

Lasciamo al lettore la costruzione delle tavole di verit degli enunciati
composti presenti nella colonna a destra.

Esempio. Non difficile verificare (ed il lettore lo far facilmente) che gli
enunciati composti (AB) e (A)(B) hanno gli stessi valori di verit.
Questa osservazione (legge di De Morgan) ha delle conseguenze interessanti:
in particolare, riflettendo su di essa possiamo renderci conto che il corretto uso
della simbologia comunemente usata in matematica presuppone uneffettiva
conoscenza delle relazioni tra i connettivi logici.
Consideriamo ad esempio lequazione:

x
2
= 1

Le sue soluzioni si trovano spesso espresse compattamente nella forma:

x = t1

79
intendendo con ci che la x pu assumere sia il valore +1 che il valore 1.
Dunque, utilizzando i connettivi logici, la precedente scrittura pu essere
espressa, pi correttamente, dalla:

x = 1 x = 1

Consideriamo ora la scrittura:

x
2
1 che porta alla x t1

In questo caso, al simbolo t non direttamente legato un connettivo ;
ovvero, la precedente scrittura non deve essere tradotta nella:

x 1 x 1

in quanto questa richiederebbe il verificarsi di almeno una delle condizioni x
1, x 1 (quindi alla x potrebbe essere sostituito un qualsiasi numero reale!),
mentre x t1 richiede il contemporaneo verificarsi di entrambe tali condizioni.
Ricordiamo piuttosto che x
2
1 deve essere interpretata come la negazione
di x
2
= 1; dunque essa corrisponde a:

(x
2
= 1) cio (x = 1 x = 1) e infine (x = 1) (x = 1)


10.4. Interpretazioni, equivalenza logica, validit

Diremo interpretazione di un enunciato composto una funzione che assegna
uno dei due valori di verit V o F a ciascun enunciato atomico componente e
che quindi assegna un valore di verit allenunciato composto sulla base delle
tavole di verit.

Definizione. Due enunciati si dicono logicamente equivalenti se hanno lo
stesso valore di verit per ogni interpretazione.

Esempio. Le seguenti sono equivalenze logiche:

A equivale a A
A equivale a AA
A equivale a AA

AB equivale a BA
80
AB equivale a BA
AB equivale a BA
AB equivale a (B)(A)

A(BC) equivale a (AB)C
A(BC) equivale a (AB)C
A(BC) equivale a (AB)C

A(BC) equivale a (AB)(AC)
A(BC) equivale a (AB)(AC)
A(AB) equivale a A
A(AB) equivale a A

AB equivale a (AB)(BA)
AB equivale a (A)B
AB equivale a [A(B)]
AB equivale a [(A)(B)] (legge di De Morgan)
AB equivale a [(A)(B)] (legge di De Morgan)
AB equivale a [A(B)]
AB equivale a (A)B

AB equivale a A(AB)
AB equivale a B(AB)
AB equivale a (AB)(AB)
AB equivale a (AB)(AB)

Definizione. Un enunciato si dice soddisfacibile se assume il valore di verit V
per almeno uninterpretazione; in tale caso, questa interpretazione si dice
modello per lenunciato considerato.

Definizione. Un enunciato P che assume il valore di verit V per ogni
interpretazione si dice enunciato valido o tautologia.

Lenunciato (AB)(BA), di cui abbiamo costruito la tavola di
verit in un precedente esempio, una tautologia.
Se P un enunciato valido (tautologia), si scrive:

| P

81
Definizione. Un enunciato si dice insoddisfacibile se non assume il valore di
verit V per alcuna interpretazione, cio se in ogni interpretazione assume il
valore di verit F. Un enunciato falsificabile se assume il favore di verit F in
almeno uninterpretazione.

Dalle definizioni introdotte segue che un enunciato P valido ( una
tautologia) se e solo se P insoddisfacibile e che P soddisfacibile se e solo
se P falsificabile (invitiamo il lettore, per esercizio, a giustificare le
precedenti affermazioni).



11. IL METODO DEI TABLEAUX PROPOSIZIONALI


11.1. La confutazione di un enunciato composto

Il metodo dei tableaux proposizionali un procedimento per confutare un
enunciato composto. Esso pu risultare pi efficiente, dal punto di vista
esecutivo, del metodo delle tavole di verit.
Confutare un enunciato, cio provare che esso insoddisfacibile, significa
dimostrare che esso falso qualsiasi siano i valori di verit degli enunciati
componenti. Ad esempio, confutare A(A) immediato, in quanto tale
enunciato risulta sempre falso, sia che l(unico) componente A sia vero, sia che
A sia falso.
Ovviamente il metodo dei tableaux pu essere utilizzato anche per provare
che un enunciato composto una tautologia: ricordando quanto osservato alla
fine del paragrafo precedente, basta confutare la negazione dellenunciato in
esame. Confutare A (provare che A sempre falso) equivale a dimostrare
che A una tautologia (che A sempre vero). Osserviamo invece che non
possiamo servirci del metodo dei tableaux per esaminare i singoli valori di
verit assunti da enunciati composti (suscettibili di assumere entrambi i valori
di verit), al variare dei valori di verit assunti dagli enunciati componenti: per
condurre un simile esame, non possiamo che affidarci al metodo (spesso pi
complicato) delle tavole di verit.
I tableaux proposizionali sono grafi ad albero costituiti da una disposizione
piana di nodi, contenenti uno o pi enunciati; il primo contiene sempre
lenunciato in esame. A partire da questo viene costruita una tabella ramificata,
costituita da enunciati sempre meno complicati, spesso fino a giungere ai
singoli enunciati componenti: la costruzione ha termine quando tutti gli ultimi
nodi dei rami contengono solamente enunciati atomici. Ad un ramo possono
essere aggiunti nodi in base ad alcune regole, che presenteremo intuitivamente
82
(riprenderemo in termini pi precisi queste considerazioni informali nella
dimostrazione del teorema con il quale chiuderemo questa sezione).
Procederemo nel modo seguente: sappiamo che lenunciato A(A)
sempre falso; per rappresentare tale enunciato in un tableau, collocheremo i
suoi enunciati componenti (A e A) in uno stesso nodo; la presenza nello
stesso nodo di un enunciato e della sua negazione formalizza dunque
uninevitabile situazione di falsit. Quindi la contemporanea presenza di A e
A in uno stesso nodo rende inutile procedere nellanalisi e il ramo al quale il
nodo appartiene viene detto chiuso.
Consideriamo ora in generale i connettivi , e riflettiamo: in quale caso
possiamo dire che XY falso? Basta che (almeno) uno degli enunciati X e Y
sia falso. Ma in quale caso, invece, possiamo dire che XY falso? Se e solo
se X falso e contemporaneamente anche Y falso.
Dunque se nel caso di XY, analogamente a quanto sopra visto, possiamo
collocare gli enunciati componenti X, Y nello stesso nodo, nel caso di XY
dobbiamo creare una biforcazione del grafo: infatti non sufficiente che sia
falso uno solo tra X e Y per determinare la falsit di XY, ma necessario che
siano falsi entrambi. Anticipiamo che le regole che si riferiranno al connettivo
determineranno laggiunta di un (singolo) nodo al tableau e saranno dette -
regole; le regole che si riferiranno a determineranno la biforcazione del
tableau e dunque laggiunta di due nodi: saranno dette -regole.
Tali regole dovranno essere operativamente interpretate nel modo seguente:
se tra gli enunciati di un nodo c quello presente nella prima riga della regola
allora al ramo in questione si pu aggiungere un nodo (o una coppia di nodi,
nel caso delle biforcazioni previste) in cui lenunciato sia sostituito come
indicato nellultima riga della regola; per il resto del nodo, si procede alla sua
ricopiatura.

Ricapitolando: la presenza di un enunciato nel ramo in esame (lenunciato
scritto nella prima riga) ci consente di aggiungere al ramo stesso:
o un unico nodo, con uno o con due enunciati, la falsit di uno dei quali
comporta la falsit dellenunciato di partenza (regole di tipo );
o due nodi (quindi con una biforcazione), la falsit di entrambi i quali
comporta la falsit dellenunciato di partenza (regole di tipo ).
Pertanto, se allultimo nodo di un ramo appartengono contemporaneamente
un enunciato A e la sua negazione A, significa che sia la falsit di A che la
verit di A (quindi: la falsit di A) comportano la falsit dellenunciato del
primo nodo cio dellenunciato da confutare. Si dice allora che il ramo
chiuso; quando tutti i rami sono chiusi, il tableau chiuso e la confutazione
completata.


83
11.2. La costruzione di un tableau proposizionale

Ricaviamo dunque le regole per la costruzione di un tableau proposizionale (la
numerazione delle regole quella proposta in: Bell & Machover, 1977),
iniziando con levidenziare la corrispondenza dei connettivi coinvolti al
connettivo (ci porter a delle -regole) o al connettivo (ci porter a delle
-regole):

Prima regola () riguarda: (X) cio: X
Seconda regola () riguarda: (XY) cio: (X)Y
Terza regola () riguarda: (XY) cio: X(Y)
Quarta regola () riguarda: XY
Quinta regola () riguarda: (XY) cio: (X)(Y)
Sesta regola () riguarda: XY
Settima regola () riguarda: (XY) cio: (X)(Y)
Ottava regola () riguarda: XY cio: (XY)[(X)(Y)]
Nona regola () riguarda: (XY) cio: [X(Y)][(X)Y]

Prima regola ()

(X)

|
X
Seconda regola ()

XY

| |
X Y
Terza regola ()

(XY)

|
X
Y

Quarta regola ()

XY

|
X
Y

Quinta regola ()

(XY)

| |
X Y
Sesta regola ()

XY

| |
X Y
Settima regola ()

(XY)

|
X
Y
Ottava regola ()

XY

| |
X X
Y Y
Nona regola ()

(XY)

| |
X X
Y Y
84

opportuno contrassegnare (useremo: ) gli ultimi nodi dei rami chiusi.

Esempio. Confutiamo:

{[(AB)(BC)](AC)}

Applichiamo innanzitutto la terza regola; otteniamo:

{[(AB)(BC)](AC)}
|
(AB)(BC)
(AC)

Applichiamo la quarta regola al primo dei due enunciati ottenuti:

{[(AB)(BC)](AC)}
|
(AB)(BC)
(AC)
|
AB
BC
(AC)

e quindi la terza regola allenunciato (AC):

{[(AB)(BC)](AC)}
|
(AB)(BC)
(AC)
|
AB
BC
(AC)
|
AB
BC
A
C

85
Applichiamo la seconda regola al primo enunciato dellultimo nodo
(introducendo cos una biforcazione nel tableau):

{[(AB)(BC)](AC)}
|
(AB)(BC)
(AC)
|
AB
BC
(AC)
|
AB
BC
A
C
| |
BC BC
A A
C C
A B


Il ramo che termina con A (quello a sinistra) chiuso, in quanto
nellultimo nodo troviamo sia A che A; possiamo abbandonarne lesame e
proseguire la formazione del tableau con il solo ramo a destra. Applichiamo
ora la seconda regola a BC (e ci provoca unulteriore biforcazione):

{[(AB)(BC)](AC)}
|
(AB)(BC)
(AC)
|
AB
BC
(AC)
|
AB
BC
A
86
C
| |
BC BC
A A
C C
A B
| |
A A
C C
B B
B C


I rami formati sono chiusi: quello a sinistra per la presenza contemporanea
di B e B nellultimo nodo; quello a destra per la presenza contemporanea di C
e C nellultimo nodo. Tutti i rami del tableau risultano dunque chiusi:
lenunciato di partenza confutato e ci significa che la sua negazione:

[(AB)(BC)](AC)

una tautologia (talvolta detta legge del sillogismo ipotetico).

Esempio. Esaminiamo la formula:

P[(Q)(P)]

Proviamo a costruire il tableau della formula data (non negata):

P[(Q)(P)]
|
P
(Q)(P)
| |
P P
Q P


Non abbiamo ottenuto un tableau chiuso: il ramo a sinistra non chiuso.

Esempio. Proviamo allora a costruire il tableau della negazione della formula
esaminata nellesempio precedente:
87

{P[(Q)(P)]} o (P){[(Q)(P)]}

che pu essere dunque scritta: (P)(QP).
impossibile ottenere un tableau chiuso: dalla (P)(QP) ricaviamo:

(P)(QP)
| |
P QP

ed anche laggiunta di Q, P (considerando la formula QP nel nodo di destra)
non ci consentir di chiudere il tableau.


11.3. Correttezza e completezza

Il metodo dei tableaux proposizionali (che estenderemo, nella prossima
sezione, in modo da considerare anche formule predicative) consente di
stabilire se una formula valida.
Si pu provare innanzitutto che la costruzione di un tableau proposizionale,
condotta secondo il procedimento precedentemente descritto, termina dopo un
numero finito di passi e che su ogni foglia abbiamo soltanto enunciati atomici o
loro negazioni (detti anche letterali). Si prova inoltre che, detto T un tableau
completo per P, P insoddisfacibile se e soltanto se il tableau T chiuso.

Teorema. Correttezza e completezza del metodo dei tableaux. La formula P
valida ( una tautologia) se e solo se il tableau per P chiuso.

Dimostrazione. Correttezza. Dimostreremo che se un sottoalbero radicato
nel nodo n del tablau T chiuso, allora linsieme di formule U(n) in n
insoddisfacibile. La dimostrazione per induzione sullaltezza h del nodo n nel
tableau considerato.
Se h = 0 e il tableau T chiuso, allora il nodo contiene due enunciati che
sono uno la negazione dellaltro e pertanto U(n) insoddisfacibile.
Se h>0, allora stata utilizzata qualche regola di tipo per un connettivo
riconducibile a o di tipo per un connettivo riconducibile a .

U(n) = {P
1
P
2
}U
0




88
U(n) = {P
1
; P
2
}U
0


Nel caso delle regole , : U(n) = {P
1
P
2
}U
0
e U(n) = {P
1
; P
2
}U
0

(dove U
0
pu essere vuoto) e laltezza di n h1, dunque, per lipotesi
induttiva, U(n) insoddisfacibile. Quindi, se indichiamo con v una qualsiasi
interpretazione, deve essere v(P) = F per qualche PU(n). Abbiamo tre
possibilit: (1) per qualche P
0
U
0
v(P
0
) = F; ma P
0
U
0
U(n); (2) v(P
1
) =
F; allora v(P
1
P
2
) = F; (3) v(P
2
) = F; ancora v(P
1
P
2
) = F. Essendo, per qualche
PU(n), v(P) = F, U(n) insoddisfacibile.

U(n) = {P
1
P
2
}U
0




U(n) = {P
1
}U
0
U(n) = {P
2
}U
0


Nel caso delle regole , : U(n) = {P
1
P
2
}U
0
, U(n) = {P
1
}U
0
e U(n) =
{P
2
}U
0
; per lipotesi induttiva, sia U(n) che U(n) sono insoddisfacibili.
Quindi, se indicando ancora con v una qualsiasi interpretazione, abbiamo due
possibilit: (1) per qualche P
0
U
0
v(P
0
) = F; ma P
0
U
0
U(n); (2) se
invece v(P
0
) = V, affinch sia U(n) che U(n) siano insoddisfacibili deve
essere v(P
1
) = v(P
2
) = F, quindi v(P
1
P
2
) = F. Da ci possiamo nuovamente
concludere che U(n) insoddisfacibile (Ben-Ari, 1998, pp. 40-41).
Completezza. Per dimostrare che se P insoddisfacibile allora il tableau per
P chiuso, proveremo che se in tale tableau c un ramo aperto allora P
soddisfacibile. Procediamo ancora per induzione sullaltezza h del nodo n nel
tableau considerato.
Se h = 0 e il tableau T aperto, allora il nodo non contiene due letterali che
sono uno la negazione dellaltro e P soddisfacibile.
Se h>0, allora stata utilizzata qualche regola di tipo per un connettivo
riconducibile a o di tipo per un connettivo riconducibile a .
Nel caso delle regole , ragionando come precedentemente fatto nel caso
della correttezza, esiste uninterpretazione v tale che v(P) = V per ogni
PU(n) e U(n) soddisfacibile.
Nel caso delle regole , esiste uninterpretazione v tale che per ogni P
0
U
0

v(P
0
) = V e che almeno uno dei v(P
1
), v(P
2
) sia V, da ci segue che v(P
1
P
2
) =
V; dunque U(n) soddisfacibile. n

Nella sezione seguente riprenderemo questo risultato nel caso delle formule
predicative.

89


12. IL SISTEMA DI GENTZEN


12.1. Il sistema deduttivo di Gentzen

Il sistema di Gentzen (sistema G), che in questo paragrafo esamineremo nella
sua versione proposizionale, rende possibile la deduzione di una formula a
partire da alcuni assiomi operando mediante delle regole di inferenza. Un
assioma un insieme di formule U che contiene un enunciato e la sua
negazione (P e P).
Nel metodo dei tableaux proposizionali abbiamo considerato delle regole
e delle regole (la denominazione dipende da eventuali biforcazioni introdotte
nel tableau considerato). Faremo ora unanaloga distinzione, sebbene con
significato operativamente diverso, anche nel caso delle regole di inferenza per
un sistema di Gentzen.
Considereremo regole basate sulle tabelle seguenti:


1

2

P (P)
PQ P Q
(PQ) P Q
PQ P Q
(PQ) (PQ) (QP)


1

2

PQ P Q
(PQ) P Q
(PQ) P Q
PQ PQ P

Le regole di inferenza sono dei due tipi seguenti ( e ):

Regola di inferenza relativa alla tabella di tipo :

U {
1
,
2
}

U {}
90

Regola di inferenza relativa alla tabella di tipo :

U
1
{
1
} U
2
{
2
}

U
1
U
2
{}

Una dimostrazione nel sistema G una sequenza di insiemi di formule tale
che ciascun elemento o un assioma o pu essere inferito da elementi
precedenti.
Lultimo elemento P detto dimostrabile:

| P

Esempio. Dimostriamo nel sistema G il teorema:

| (AB)(BA)

La dimostrazione la seguente:

1. A, B, A Assioma
2. B, B, A Assioma
3. (AB), B, A
4. (AB), (BA)
5. (AB)(BA) (cvd)


12.2. Deduzione di Gentzen e tableau

Una deduzione nel sistema di Gentzen pu essere posta in forma di albero:
anticipiamo che tale possibilit si riveler interessante per il collegamento che
essa consentir con il metodo dei tableaux.

Esempio. La dimostrazione dellesempio precedente in forma di albero :

A, B, A B, B, A
| |
(AB), B, A
|
(AB), (BA)
|
91
(AB)(BA)

In essa risulta evidenziato il ruolo della regola di inferenza di tipo
(corrispondente alla biforcazione) e delle due regole di tipo , applicate
successivamente.

Al lettore non sfuggir lanalogia di tale disposizione di formule con il
tableau (graficamente capovolto) che potrebbe essere costruito per la
negazione della formula (AB) (BA). Nellesempio seguente costruiremo
tale tableau.

Esempio. Il tableau della negazione di (AB)(BA) :

[(AB)(BA)]
|
AB
(BA)
|
AB
B
A
| |
A B
B B
A A


Consideriamo la deduzione di Gentzen della formula (AB) (BA) che
abbiamo ricavato nellesempio precedente. In essa compaiono formule simili a
quelle che compaiono in questo tableau: in particolare, le formule del tableau
sono le negazioni delle formule che compaiono nellalbero che rappresenta la
deduzione di Gentzen.
In particolare, gli assiomi dai quali la precedente deduzione nel sistema di
Gentzen trae origine (A, B, A e B, B, A) possono essere ritrovati, a parte le
negazioni, nei nodi finali del tableau che consentono la chiusura dei rami:

A, B, A B, B, A (chiusura del ramo del tableau)
A, B, A B, B, A (assioma di Gentzen)

Esempio. Dimostriamo nel sistema G il teorema:

92
{(AB)[(A)(B)]}

La deduzione la seguente:

A, A, B B, A, B
| |
(AB), A, B
|
(AB), (A), (B)
|
(AB), [(A)(B)]
|
{(AB)[(A)(B)]}

Costruiamo ora il tableau della negazione di {(AB)[(A)(B)]},
ovvero il tableau di (AB)[(A)(B)]:

(AB)[(A)(B)]
|
AB
(A)(B)
|
AB
A
B
| |
A B
A A
B B


Analogamente a quanto fatto per il metodo dei tableaux proposizionali,
enunciamo il teorema di completezza e di correttezza.

Teorema. Correttezza e completezza del sistema di Gentzen. Una formula
valida se e solo se dimostrabile nel sistema di Gentzen.

La dimostrazione di ci ovvia in quanto si riconduce a quanto dimostrato
alla fine della precedente sezione per il metodo dei tableaux.


93

13. CENNI SUL SISTEMA DI HILBERT


13.1. Il sistema di Hilbert

Il sistema deduttivo di Hilbert, al quale dedicheremo il presente paragrafo,
precede il sistema di Gent zen, dal punto di vista storico. Esso formalizza il
ragionamento matematico e si basa su alcuni assiomi (schemi di assiomi) e su
di una regola di inferenza. Altre regole derivate saranno utili per lapplicazione
pratica.
Le seguenti formule sono assiomi in un sistema di Hilbert (sistema H):

| A(BA) Assioma 1
| [A(BC)][(AB)(AC)] Assioma 2
| [(B)(A)](AB) Assioma 3

(con il simbolo | esprimiamo, al solito, la dimostrabilit).
Osserviamo innanzitutto che ci sono infiniti assiomi perch A, B possono
essere a loro volta sostituite con qualsiasi formula (dunque le formule
precedenti devono essere considerate non come singoli assiomi bens come
schemi di assiomi).
La regola di inferenza nel sistema di Hilbert detta Modus Ponens (MP):

| A | (AB)

| B

Esempio. Dimostriamo nel sistema H il teorema:

| AA

La dimostrazione la seguente:

1. | {A[(AA)A]}{[A(AA)](AA)} Assioma 2
2. | A[(AA)A] Assioma 1
3. | [A(AA)](AA) MP 1, 2
4. | A(AA) Assioma 1
5. | AA MP3,4 (cvd)

Da questo esempio introduttivo si pu notare che una formula estremamente
semplice (la tesi era | AA) richiede gi una dimostrazione tecnicamente
94
piuttosto complicata. Ci suggerisce lopportunit di introdurre alcune regole
derivate per il sistema H, che siano pi potenti del solo MP. Con la scrittura:

U | A

indicheremo che le formule presenti in U sono ipotesi della dimostrazione di A.


13.2. Regole derivate del sistema di Hilbert

Come sopra anticipato, il sistema di Hilbert nella forma originale (avente il
Modus Ponens come unica regola di inferenza) appare di applicazione assai
ostica. Per agevolarne luso vengono pertanto introdotte, nel sistema H, le
seguenti regole derivate:

Regola di deduzione:

U {A} | B

U | AB

Proposizione. La regola di deduzione una regola derivata corretta.

Dimostrazione (Ben-Ari, 1998, pp. 53-54). Si procede per induzione sulla
lunghezza n della dimostrazione U {A} | B.
Se n = 1, B si dimostra in un passo, dunque B pu essere un elemento di U
oppure un assioma. Se B A, allora | AB in quanto | AA (si veda
lesempio precedente), dunque U | AB. Altrimenti una dimostrazione (in
cui non si usa la regola derivata) di U | AB :

1. U | B Ipotesi o Assioma
2. U | B(AB) Assioma 1
3. U | AB MP 1,2 (cvd)

Se n>1, lultimo passo nella dimostrazione di U {A} | B uninferenza
di un passo di B oppure uninferenza di B che usa il Modus Ponens. Nel primo
caso il risultato si ottiene dalla dimostrazione per n = 1. Se stato usato il
Modus Ponens, allora esiste una formula C tale che la i-esima formula nella
dimostrazione U {A} | C e la j-esima formula U {A} | CB,
essendo i<n e j<n. Mediante lipotesi induttiva, si ottiene una dimostrazione di
U | AC e di U | A(CB). Una dimostrazione di U | AB :
95

i. U | AC
j. U | A(CB)
j+1. U | (A(CB))((AC)(AB)) Assioma 2
j+2. U | (AC)(AB) MP j, j+1
j+3. U | AB MP i, j+2 (cvd)

Possiamo allora concludere che ogni dimostrazione che usa la regola di
deduzione pu essere trasformata in una dimostrazione che non la usa. n

Regola di contrapposizione:

| (B)(A)

| AB

Regola di transitivit:

U | AB U | BC

U | AC

Regola di scambio della premessa:

U | A(BC)

U | B(AC)

Regola della doppia negazione:

| [(A)]

| A

Negli esempi seguenti utilizzeremo alcune regole derivate.

Esempio. Dimostriamo nel sistema H il teorema:

| (AB)(BA)

La dimostrazione la seguente:
96

1. {AB, B} | AB Ipotesi
2. {AB, B} | BA Contrapposizione
3. {AB, B} | B Ipotesi
4. {AB, B} | A MP 2, 3
5. {AB, B} | A Doppia negazione 4
6. {AB} | BA Deduzione 5
7. | (AB)(BA) Deduzione 6
8. | (AB)(BA) Definizione di (cvd)

Esempio. Dimostriamo nel sistema H il teorema:

| (A)(AB)

La dimostrazione la seguente:

1. {A, A} | (A)[(B)(A)] Assioma 1
2. {A, A} | A Ipotesi
3. {A, A} | (B)(A) MP 1, 2
4. {A, A} | [(B)(A)](AB) Assioma 3
5. {A, A} | AB MP 3, 4
6. {A, A} | A Ipotesi
7. {A, A} | B MP 5, 5
8. {A} | AB Deduzione 7
9. {A, A} | (A)(AB) Deduzione 8 (cvd)

In base a questo teorema, se si potesse dimostrare una formula e la sua
negazione allora si potrebbe provare qualsiasi cosa.
Ci suggerisce qualche riflessione informale: il fatto che un sistema di
inferenza riesca a produrre sia un enunciato che il suo opposto sarebbe un fatto
molto grave; dunque in un sistema logico non possono convivere A e A a
meno che quel sistema non sia banale, ovvero dimostri tutto.

Analogamente a quanto fatto per il metodo dei tableaux proposizionali e per
il sistema di Gentzen, enunciamo il teorema di completezza e di correttezza.

Teorema. Correttezza e completezza del sistema di Hilbert. Una formula
valida se e solo se dimostrabile nel sistema di Hilbert.

La dimostrazione di correttezza si conduce notando che gli assiomi sono
validi in quanto possibile costruire i tableaux semantici per le loro negazioni
97
(il lettore pu farlo per esercizio); se la regola di inferenza (Modus Ponens)
non fosse corretta, potremmo trovare un insieme di formule {A, AB, B} tale
che siano valide A, AB, ma non B. Allora esisterebbe uninterpretazione v
tale che v(B) = F. Dalla validit di A e di AB segue v(A) = v(AB) = V per
ogni interpretazione; e da qui: v(B) = V, in contraddizione con quanto sopra
posto.
Per quanto riguarda la completezza del sistema di Hilbert, si pu dimostrare
che ogni dimostrazione nel sistema di Gentzen pu essere meccanicamente
trasformata in una dimostrazione nel sistema di Hilbert; e sappiamo inoltre che
ogni formula valida pu essere verificata nel sistema di Gentzen (per i dettagli
della dimostrazione rimandiamo a: Ben-Ari, 1998, pp. 61-64).
98





Il frontespizio di The differential and integral Calculus
(London, 1842) di Augustus De Morgan



__________

99
IV

Logica dei predicati




14. FORMULE PREDICATIVE E QUANTIFICATORI

Il simbolo (x).(x) [per ogni x, (x) vera]
denota una proposizione definita, e non c
alcuna differenza, quanto al significato, fra
(x).(x) e (y).(y) quando esse compaiono
nello stesso contesto. Cos, la x in (x).(x)
non una componente ambigua di nessuna
espressione in cui compaia (x).(x).

Bertrand Russell e Alfred North Whitehead

14.1. Dalla segnatura alle formule predicative

Come abbiamo precedentemente osservato, la logica che abbiamo finora
esposto, detta logica degli enunciati, si occupa dei singoli enunciati intesi come
blocchi unici, senza cio esaminare la loro struttura interna. In altre parole,
nellambito della logica degli enunciati le due frasi:

Parigi in Francia
Tutti i quadrati hanno quattro lati

non presentano alcuna differenza sostanziale. Si tratta infatti di due enunciati
(peraltro entrambi veri), e dicendo ci non si fa riferimento alla loro ben
diversa struttura: il primo di essi evidentemente riferito ad un singolo
soggetto (Parigi), al quale viene attribuita una certa propriet (quella di trovarsi
in Francia); la seconda frase, invece, coinvolge tutti i quadrati (quindi ha molti
soggetti) e ad essi (ovvero: a ciascun quadrato) riferisce la propriet di avere
quattro lati.
Condurremo ora unanalisi pi dettagliata di un enunciato: linsieme dei
concetti e dei procedimenti che dovremmo trattare viene detto logica dei
predicati (o calcolo dei predicati). Esso contiene come parte propria la logica
degli enunciati.
Riprendiamo lintroduzione che era stata proposta per la logica degli
enunciati; lalfabeto era costituito da lettere maiuscole per indicare enunciati,
100
da connettivi e da alcuni segni come le parentesi o la virgola. Tale alfabeto non
sufficiente nel caso della logica dei predicati: sar necessaria una pi ricca
segnatura predicativa, cio un insieme di simboli mediante i quali indicare
enunciati, relazioni, funzioni (Bellacicco & Labella, 1979, pp. 136-137).
Lalfabeto di una logica dei predicati si compone di simboli per variabili, x,
y, z (con indici), simboli per costanti, a, b, c (con indici) e di simboli funzionali
a 1, 2, posti (si dice: di ariet 1, 2, ), f, g, h (eventualmente con indici).
Osserviamo che i termini di una logica dei predicati possono gi essere
costruiti induttivamente: variabili e costanti sono termini; se t
1
, ..., t
n
sono
termini e f ha n posti, f(t
1
, ..., t
n
) un termine.
Lalfabeto di una logica dei predicati si compone inoltre di:

simboli predicativi a 1, 2, posti;
i connettivi: , (, , sono definiti di conseguenza).
il quantificatore universale ( sar definito di conseguenza);
parentesi e virgole.

Una formula unespressione cos costruibile induttivamente:

se A ha n posti e t
1
, ..., t
n
sono termini, A(t
1
, ..., t
n
) una formula;
se A, B sono formule, lo sono anche A, AB. Si assume che AB, A
B e AB siano definite come fatto nella logica degli enunciati;
se A una formula, lo anche xA dove x una variabile. Si assumer,
come vedremo, che xA sia unabbreviazione di (x(A)).

Spesso nella scrittura si omettono virgole e parentesi, quando ci non genera
confusione.


14.2. I quantificatori

Abbiamo sopra introdotto formalmente il simbolo ed abbiamo anticipato che
sulla base di esso sar introdotto il simbolo . Dedicheremo ora alcune
osservazioni a tali simboli fondamentali della logica dei predicati.
Nella logica dei predicati si utilizzano spesso frasi del tipo:

Esiste (almeno) un oggetto x che verifica la propriet P
Per ogni oggetto y verificata la propriet Q

La formalizzazione della prima frase sopra riportata necessita di un
quantificatore esistenziale che garantisca lesistenza di almeno un oggetto
101
tale da verificare una propriet data; la seconda, di un quantificatore universale
che garantisca il rispetto della propriet data da parte di tutti gli oggetti di
una considerata totalit.
Introduciamo tali simboli con le considerazioni seguenti: il simbolo x P
significa che esiste (almeno) un x che verifica la propriet P. denominato
quantificatore esistenziale. Il simbolo x P significa che per ogni x verificata
la propriet P. denominato quantificatore universale.
Come precedentemente anticipato, il quantificatore esistenziale pu essere
definito a partire dal quantificatore e dalloperatore di negazione ; dire che
esiste almeno un x per cui verificata la propriet P equivale a dire che non per
ogni x per la propriet P risulta non verificata. In simboli:

(x) P equivale a: ((x)(P))

Osserviamo che, analogamente, il quantificatore universale potrebbe
essere definito a partire dal quantificatore e dalloperatore di negazione ;
dire che per ogni x verificata la propriet P equivale infatti a dire che non
esiste alcun x per cui la propriet P risulta non verificata:

(x) P equivale a: ((x)(P))

Ad esempio, al posto degli enunciati:

Esiste (almeno) un quadrilatero equilatero
Ogni italiano europeo

possiamo scrivere:

Non ogni quadrilatero non equilatero
Non esiste alcun italiano che non sia europeo

Ci consente di precisare alcune importanti osservazioni riguardanti la
negazione di una frase quantificata, che riassumiamo cos (ricordiamo che
lenunciato (A) equivale ad A):

la negazione di: (x) P : (((x)(P)))
ovvero : (x)(P)

la negazione di: (x) P : (((x)(P)))
ovvero : (x)(P)

102
Esempio. Le negazioni dei due enunciati:

Esiste (almeno) un quadrilatero equilatero
Ogni italiano europeo

sono, rispettivamente, gli enunciati:

Ogni quadrilatero non equilatero
Esiste (almeno) un italiano che non europeo

Osservazione. Le frasi sopra scritte sono state ottenute combinando alcuni
termini che abbiamo introdotto in ambito logico; ma in italiano, ad esempio,
lespressione Ogni quadrilatero non equilatero non viene usata. Essa
sempre sostituita dalla frase (con lo stesso significato): Nessun quadrilatero
equilatero.

Esempio. Torniamo allantinomia di Epimenide, precedentemente ricordata
(Io sto mentendo: la denominazione tratta da Epimenide di Cnosso, VI sec.
a. C., citato nella I lettera di Paolo a Tito, 12), a volte espressa nella forma:

Epimenide (cretese) afferma: Tutti i Cretesi sono mentitori

Talvolta a questa frase si attribuisce il carattere di antinomia: vero?
Se indichiamo con Cx xC (insieme dei Cretesi) e con P(x; y) x
pronuncia la frase y, possiamo scrivere:

x{Cxy[P(x; y)(y(AA))]}

La sua negazione x{Cxy[P(x; y)(y(AA))]} :

x{Cxy[P(x; y)(y(AA))]}

dunque (la falsit di AB si ha se e solo se A vero e B falso):

x{Cxy[P(x; y)(y(AA))]}
x{Cxy [P(x; y)(y(AA))]}
x{Cxy[P(x; y)(y(AA))]}

La possibilit di soddisfare tale frase dipende dunque dalla disponibilit di
elementi di C diversi da Epimenide (che pronuncia la frase stessa!). Non si
tratta di un vera e propria antinomia: Epimenide potrebbe mentire e ci
comporterebbe soltanto la presenza di Cretesi veritieri (diversi da Epimenide).
103
Invece laffermazioneIo sto mentendo sarebbe assai pi grave (se chi
pronuncia tale frase dice la verit, allora egli sta effettivamente mentendo e
questa una contraddizione; se chi pronuncia tale frase mente, allora egli non
sta mentendo e, di conseguenza, sta dicendo la verit ed anche questa una
contraddizione). Tale situazione si riferisce alla falsit di una frase attualmente
pronunciata; una frase di tal genere potrebbe essere:

Questa frase falsa

La formalizzazione di tale situazione richiederebbe una sorta di
autoreferenzialit: indicando con la frase y(AA), avremmo che al
posto di y dovrebbe essere inserita la frase stessa; dunque indicheremmo con
la frase (AA). Non approfondiremo la questione.


14.3. Variabili vincolate e variabili libere

Definizione. Nella formula (x), si chiama mbito o campo dazione del
quantificatore ed analogamente diremo per . Nelle formule (x), (x) la
variabile x si dice vincolata (o quantificata).

Specifichiamo che unoccorrenza di una variabile x si dice vincolata quando
essa la variabile che segue un oppure nel campo dazione di un tale
quantificatore; lo stesso vale per . Unoccorrenza di una variabile non
vincolata si dice libera. Si noti dunque che allinterno di una formula possono
esserci sia occorrenze libere che occorrenze vincolate di x: tale ad esempio la
x nella formula: (x)(x)(x).
Spesso se una variabile z appare libera nella formula si scrive (z).
Linsieme delle variabili nel termine t si indica con: var(t). LInsieme delle
variabili libere della formula si indica con: free().
Diamo anche delle variabili libere una definizione induttiva. Siano un
connettivo binario e Q un quantificatore; allora:

le variabili libere di sono quelle di :

free() = free()

le variabili libere di sono quelle di unite a quelle di :

free() = free() free()

104
le variabili libere di Qx sono quelle di ad eccezione di x:

free(Qx) = free(){x}

La definizione di variabile vincolata ispirata alle notazioni con variabile
apparente in matematica:

la variabile x in: ) ( lim x f
c x
,
la variabile n in:
n
n
a
+
lim ,
la variabile x in: ( )

b
a
dx x f etc.

Ricordiamo che lespressione variabile apparente (che originariamente era
contrapposta a variabile reale) stata introdotta nel 1897 da Peano:

In queste spiegazioni diciamo che una lettera che compare in una formula
reale oppure apparente, a seconda che il valore della formula dipenda o non
dipenda dal nome di questa lettera. Cos, in

1
0
dx x
m
la lettera x apparente e
la lettera m reale. Tutte le lettere che compaiono in un teorema sono
apparenti, perch la sua verit indipendente dai nomi delle lettere (da: G.
Peano, Formulaire, 2, 1, 23).

Definizione. Il termine t si dice liberamente sostituibile a x nella formula (x)
se sostituendo t in tutte le occorrenze libere di x in (x) nessuna variabile di t
risulta quantificata dopo la sostituzione. In questo caso si scrive (t).

(Contro)esempio. Scrivendo:

y[(x = y)]

diciamo che esiste un y diverso da x: affermazione plausibile, ad esempio in un
insieme numerico costituito da pi elementi distinti. Ma il termine y non
liberamente sostituibile a x. Se sostituissimo y al posto di x otterremmo infatti:

y[(y = y)]

che un enunciato falso.
105

Ancora per via induttiva pu essere definita la complessit logica di una
formula , comp()N.
Siano un connettivo binario e Q un quantificatore:

per atomica, comp() = 0
comp() = max ({comp(); comp()})+1
comp(Qx) = comp() = comp()+1

Un -termine senza variabili si dice chiuso.
Siamo in grado, a questo punto, di riprendere rigorosamente il concetto di
enunciato sul quale abbiamo basato la sezione precedente: una -formula
predicativa senza variabili libere si dice -formula chiusa o -proposizione o
-enunciato.

Esempio. Sia x un numero naturale qualsiasi e scriviamo:

(x)(x>3)

Questa frase ha un ben definito valore di verit: falsa, in quanto esistono
naturali (0, 1, 2, 3) che non sono maggiori di 3. Si tratta quindi di un enunciato
(dotato di un valore di verit). Anche:

(x)(y)(x<y)

ha un valore di verit: vera (comunque si scelga x esiste y maggiore di x) e
dunque anchessa un enunciato. E ci pur non facendo essa riferimento a
numeri fissi, ma a variabili. Invece:

(x)(x = y)

non vera n falsa; vera quando y scelto nellinsieme dei quadrati perfetti
(0, 1, 4, 9, ; se y un naturale non quadrato, 2, 3, 5, , falsa). Non un
enunciato (talvolta si dice che aperta).

Osservazione. Non difficile rendersi conto che anche operando con la lingua
italiana certe sostituzioni possono risultare assai problematiche. Ad esempio,
la frase per ogni x esiste y tale che y padre di x plausibilmente vera e pu
essere (almeno in parte) formalizzata nella scrittura: (x)(y)(y padre di x). Il
lettore provi per a considerare per x e per y la stessa persona


106
14.4. Modelli e validit

Introduciamo il presente paragrafo, nel quale riprenderemo i concetti presentati
nel paragrafo 10.4, con un esempio.

Esempio. Consideriamo il seguente enunciato P:

(x)(y)(x+y = 0)

che afferma, dunque, che per ogni x esiste un y tale che x+y = 0.
Possiamo chiederci: P vero o falso?
Per rispondere a tale domanda indispensabile chiarire lambiente nel
quale lenunciato P deve essere interpretato: in particolare, che cosa viene
rappresentato da x e da y?
Se ad esempio x e y sono numeri naturali, P chiaramente falso.
Se invece x e y sono numeri interi (o razionali, o reali, o complessi) P
un enunciato vero.

Lesempio ora riportato evidenzia la necessit di definire il significato delle
proposizioni predicative in un qualche universo U: ci significa interpretare in
U tutti i simboli presenti nella proposizione e fare assumere in U i valori delle
variabili presenti; un modello M una struttura di dominio U.
Se lenunciato P vale nel modello M si scrive:

M | P

Analogamente, sia un insieme di enunciati (che talvolta viene detto
teoria); la scrittura:

M |

esprime la relazione di validit di tutti gli enunciati di in M.
Data una segnatura , sono impiegati i seguenti simboli (Manca, 2001):

Mod

per la classe di tutti i -modelli;


Mod

(P) per la classe di tutti i -modelli in cui vale P;


Mod

() per la classe di tutti i -modelli che soddisfano tutte le formule


di (contemporaneamente).

Lenunciato P conseguenza logica di quando P vale in tutti i modelli in
cui valgono tutte le formule di e dunque: Mod

() Mod

(P).
Ci si esprime scrivendo:
107

| P

e si dice soddisfacibile se Mod

() .
Se con il simbolo indichiamo un assurdo, Mod

() = , il fatto che
non sia soddisfacibile, si esprime scrivendo:

|

Esempio. Esprimiamo attraverso la simbologia introdotta il principio della
dimostrazione per assurdo:

| P se e solo se: , P |

Analogamente a quanto detto nel caso degli enunciati, P si dice logicamente
valido (o verit logica o tautologia) quando risulta valido in ogni -struttura.
Si scrive allora: | P.



15. IL METODO DEI TABLEAUX E IL CALCOLO DEI PREDICATI


15.1. Tableaux e quantificatori

La logica dei predicati si presenta come
unestensione dellalgebra delle proposizioni.
Essa comprende tutta lalgebra delle
proposizioni: cio le proposizioni elementari,
considerate come grandezze che assumono
uno dei due valori di verit V o F, tutte le
operazioni dellalgebra delle proposizioni e,
di conseguenza, tutte le sue formule. In pi,
per, la logica dei predicati introduce, nello
studio delle proposizioni, attributi di oggetti.
In tale logica le proposizioni vengono
analizzate in soggetto e predicato.

P. S. Novikov

La logica dei predicati si presenta come un affinamento della logica degli
enunciati; dunque costruiremo i tableaux di formule predicative applicando
innanzitutto, ma non solo, le regole introdotte per i tableaux proposizionali.
108
Introduciamo la questione occupandoci dellesempio seguente, in cui
costruiremo il tableau della negazione della formula predicativa valida
x[P(x)Q(x)][xP(x)xQ(x)]:

{x[P(x)Q(x)][xP(x)xQ(x)]}
|
x[P(x)Q(x)]
[xP(x)xQ(x)]
|
x[P(x)Q(x)]
xP(x)
xQ(x)

Il nostro lavoro non evidentemente finito: il tableau cos ottenuto non
chiuso. Esaminiamo lultima formula scritta:

xQ(x)

che sappiamo essere equivalente alla:

xQ(x)

La costruzione di un tableau, come sappiamo, formalizza la ricerca di un
controesempio; dunque a questo punto dobbiamo sostituire alla variabile x un
qualche elemento del dominio nel quale viene considerata la formula;
indichiamo con a tale elemento (istanza):

{x[P(x)Q(x)][xP(x)xQ(x)]}
|
x[P(x)Q(x)]
[xP(x)xQ(x)]
|
x[P(x)Q(x)]
xP(x)
xQ(x) cio: xQ(x)
|
x[P(x)Q(x)]
xP(x)
Q(a)

109
Per quanto riguarda i quantificatori universali, possiamo scrivere le due
formule x[P(x)Q(x)] e xP(x) facendo proprio riferimento allelemento a
considerato (sono riferite a tutti gli elementi!), dunque scrivendo:

P(a)Q(a) e P(a)

Otteniamo:

{x[P(x)Q(x)][xP(x)xQ(x)]}
|
x[P(x)Q(x)]
[xP(x)xQ(x)]
|
x[P(x)Q(x)]
xP(x)
xQ(x)
|
x[P(x)Q(x)]
xP(x)
Q(a)
|
P(a)Q(a)
P(a)
Q(a)

Anticipiamo che nel paragrafo successivo sar necessario sottolineare
unimportante osservazione su quanto abbiamo ora fatto, precisazione che, nel
caso ora in esame, non risulta indispensabile.
Lapplicazione della regola proposizionale per P(a)Q(a) porta a:

{x[P(x)Q(x)][xP(x)xQ(x)]}
|
x[P(x)Q(x)]
[xP(x)xQ(x)]
|
x[P(x)Q(x)]
xP(x)
xQ(x)
|
x[P(x)Q(x)]
xP(x)
110
Q(a)
|
P(a)Q(a)
P(a)
Q(a)
| |
P(a) Q(a)
P(a) P(a)
Q(a) Q(a)


Il tableau predicativo cos ottenuto chiuso.
Come accennato, il procedimento sopra esemplificato necessita per di
alcune precisazioni molto importanti: anticipiamo le due pi importanti:
la scelta di un elemento particolare nel caso di una formula con un
quantificatore universale deve poter essere ripetuta pi volte;
la scelta di un elemento particolare nel caso di pi formule con
quantificatori esistenziali deve portare a pi elementi diversi.
Il seguente esempio render pi chiara lultima precisazione sulle regole
predicative per la costruzione dei tableaux.

(Contro)esempio. Consideriamo le ipotesi del teorema di Cauchy:

[ ]
] [
[ ]
] [
] [
f continua in a b
f derivabile in a b
g continua in a b
g derivabile in a b
x a b g x
;
;
;
;
; , ' ( )

'

0


In tale situazione, le ipotesi del teorema di Lagrange sono rispettate sia dalla
funzione f che dalla g; potremmo quindi scrivere:

c]a; b[:
f c
f b f a
b a
' ( )
( ) ( )


c]a; b[: g c
g b g a
b a
' ( )
( ) ( )



e, dividendo membro a membro, finiremmo con lottenere:

111
c]a; b[:
) ( ) (
) ( ) (
) ( '
) ( '
a g b g
a f b f
c g
c f



cio la tesi del teorema di Cauchy! La dimostrazione riportata non sarebbe
per accettabile: la scrittura corretta di quanto ottenuto applicando due distinte
volte il teorema di Lagrange dovrebbe essere, per quanto riguarda lazione dei
due quantificatori esistenziali:

c]a; b[: f c
f b f a
b a
' ( )
( ) ( )


d]a; b[:
a b
a g b g
d g

) ( ) (
) ( '

(con c e d non necessariamente uguali) e da ci non pu direttamente essere
ottenuta la tesi del teorema di Cauchy (che afferma lesistenza di un (singolo)
punto c dellintervallo ]a; b[ tale che...).
Il prossimo esempio riprender la situazione ora rilevata.


15.2. Regole per la costruzione di un tableau predicativo

Come sopra osservato, tutte le regole introdotte nella sezione precedente con
riferimento ai tableaux proposizionali possono essere nuovamente applicate per
la costruzione di tableaux predicativi. Ad esse vanno aggiunte le nuove regole:

se una formula di un ramo di un tableau del tipo xA(x) oppure
xB(x), aggiungiamo un nuovo nodo:

xA(x) xB(x)

| |
xA(x) xB(x)
A(a) B(a)

se una formula di un ramo di un tableau del tipo xA(x) oppure
xB(x), aggiungiamo un nuovo nodo:

xA(x) xB(x)

| |
A(a) B(a)
112

A differenza dalla seconda (talvolta detta -regola) e da quelle relative ai
tableaux proposizionali, la prima regola (detta -regola) aggiunge una formula
pi semplice ma mantiene anche la formula quantificata (nellesempio del
paragrafo precedente non abbiamo fatto ci, ma in tale caso, come sopra
segnalato, questa omissione non stata tale da pregiudicare la chiusura del
tableau). Ci accade per sottolineare lessenziale possibilit di ripetere
lapplicazione della formula quantificata (universalmente) anche a nuove
costanti che vengano introdotte successivamente.
Questa osservazione ha unimportante conseguenza: mentre nellambito
della logica degli enunciati il metodo dei tableaux di tipo decisionale (il
tableau comunque finito, chiuso o non chiuso, e quindi fornisce una risposta
sul fatto che la negazione della formula esaminata sia o non sia una tautologia),
in ambito predicativo esso pu portare a tableaux infiniti (e quindi pu non
portare a tale risposta: riprenderemo questa considerazione nel paragrafo 15.4).
Inoltre ripetiamo ancora quanto anticipato a proposito della presenza di pi
formule quantificate esistenzialmente: la scelta di un elemento particolare in
tale caso deve portare a pi elementi diversi. Illustriamo questa osservazione
con il seguente esempio.

(Contro)esempio. Consideriamo il seguente tableau, riferito ad una formula
con due quantificatori esistenziali:

[xP(x)]{x[P(x)]}
|
xP(x)
x[P(x)]
|
P(a)
P(a)

Potremmo essere tentati di affermare la chiusura di tale tableau, ma sarebbe
una conclusione errata: lesistenza di una x per cui P(x) e di una x per cui
P(x) non implica che tali x siano lo stesso elemento (a meno che alla x non sia
imposto di variare in un dominio costituito da un solo elemento). Pertanto
lultimo nodo avrebbe dovuto essere:

|
P(a)
P(b)

e in questo caso il tableau non pu essere considerato chiuso.
113

Consideriamo alcuni esempi di tableau predicativi.

Esempio. Costruiamo il tableau predicativo per la negazione della formula
[xP(x)xQ(x)]x[P(x)Q(x)]:

{[xP(x)xQ(x)]x[P(x)Q(x)]}
|
xP(x)xQ(x)
{x[P(x)Q(x)]}
| |
xP(x) xQ(x)
{x[P(x)Q(x)]} {x[P(x)Q(x)]}
| |
xP(x) xQ(x)
[P(a)Q(a)] [P(a)Q(a)]
| |
xP(x) xQ(x)
P(a) P(a)
Q(a) Q(a)
| |
P(a) Q(a)
xP(x) xQ(x)
P(a) P(a)
Q(a) Q(a)


(Si osservi che sono state riscritte le formule del tipo xR(x) e xR(x),
come previsto dalle -regole applicate).
Il tableau predicativo cos ottenuto chiuso.
Dunque la formula:

[xP(x)xQ(x)]x[P(x)Q(x)]

valida.


15.3. Esempi di formule valide nel calcolo dei predicati

Le formule seguenti sono valide nel calcolo dei predicati e possono essere
verificate, per esercizio, con il metodo dei tableaux predicativi:
114

xP(x) xP(x)
xP(x) xP(x)
xP(x) xP(x)

xyP(x; y) yxP(x; y)
xyP(x; y) yxP(x; y)
xyP(x; y) yxP(x; y)

x[P(x)Q(x)] [xP(x)xQ(x)]
x[P(x)Q(x)] [xP(x)xQ(x)]

[xP(x)xQ(x)] x[P(x)Q(x)]
x[P(x)Q(x)] [xP(x)xQ(x)]

x[P(x)Q(x)] [xP(x)xQ(x)]
x[P(x)Q(x)] [xP(x)xQ(x)]

[xP(x)Q] x[P(x)Q]
[xP(x)Q] x[P(x)Q]
[xP(x)Q] x[P(x)Q]
[xP(x)Q] x[P(x)Q]

x[PQ(x)] [PxQ(x)]
x[P(x)Q] [xP(x)Q]

x[P(x)Q(x)] [xP(x)xQ(x)]
[xP(x)xQ(x)] x[P(x)Q(x)]

x[P(x)Q(x)] [xP(x)xQ(x)]
x[P(x)Q(x)] [xP(x)xQ(x)]
x[P(x)Q(x)] [xP(x)xQ(x)]

Esempio. Costruiamo il tableau predicativo per la negazione della formula
x[P(x)Q(x)] [xP(x)xQ(x)]:

{x[P(x)Q(x)] [xP(x)xQ(x)]}
|
x[P(x)Q(x)]
[xP(x)xQ(x)]
| |
115
x[P(x)Q(x)] x[P(x)Q(x)]
xP(x) xP(x)
xQ(x) xQ(x)
| |
x[P(x)Q(x)] x[P(x)Q(x)]
xQ(x) xP(x)
Q(a) P(a)
| |
x[P(x)Q(x)] x[P(x)Q(x)]
P(a)Q(a) P(a)Q(a)
xQ(x) xP(x)
Q(a) P(a)
| | | |
x[P(x)Q(x)] x[P(x)Q(x)] x[P(x)Q(x)] x[P(x)Q(x)]
P(a) P(a) P(a) P(a)
Q(a) Q(a) Q(a) Q(a)
xQ(x) xP(x) xQ(x) xP(x)
Q(a) P(a) Q(a) P(a)
| |
x[P(x)Q(x)] x[P(x)Q(x)]
P(a) P(a)
Q(a) Q(a)
xP(x) xP(x)
P(a) P(a)
P(a) Q(a)


(Si osservi che sono state riscritte le formule del tipo xR(x) e xR(x),
come previsto dalle -regole applicate). Il tableau predicativo cos ottenuto
chiuso. Ci ci consente di concludere che la formula:

x[P(x)Q(x)] [xP(x)xQ(x)]

valida.


15.4. Correttezza e completezza del metodo dei tableaux

Si dice che da una teoria si deduce la formula F col metodo dei tableaux
quando esiste un tableau chiuso per (F). Si scrive allora:
116

|
T
F

oppure (se non ci sono pericoli di ambiguit):

| F

Dimostriamo innanzitutto il risultato seguente:

Teorema della correttezza del metodo deduttivo dei tableaux.

|
T
F | F

Dimostrazione. Se esiste un -tableau chiuso, insoddisfacibile; quindi
se |
T
F significa che (F) insoddisfacibile e dunque | F. n

Una teoria viene detta tableau-consistente se non esistono -tableaux
chiusi.
Molto importante infine il risultato seguente, grazie al quale possibile
identificare la relazione di conseguenza logica e quella di tableau-deducibilit.
Prima di enunciare il teorema dobbiamo per fare una precisazione: quanto
diremo dovr essere riferito ad una particolare costruzione dei tableaux, che si
dice costruzione sistematica. Infatti abbiamo precedentemente anticipato che la
costruzione di un tableau non sempre un procedimento con una conclusione.
Per evitare questo inconveniente stato messo a punto un procedimento che
assicura unapplicazione sistematica delle regole e la conclusione della
costruzione del tableau, che risulter o chiuso o non chiuso (non riteniamo di
illustrare dettagliatamente le caratteristiche di tale procedimento di costruzione;
rimandiamo a: Ben-Ari, 1998, p. 115).

Teorema della completezza del metodo deduttivo dei tableaux. Ogni teoria
che sia tableau-consistente soddisfacibile, cio:

| F |
T
F

dove ci riferiamo alla costruzione sistematica dei tableaux.

e dunque, considerando i due ultimi risultati, possiamo scrivere:

| F |
T
F

117
(dove il riferimento ancora alla costruzione sistematica dei tableaux).



16. I SISTEMI DI GENTZEN E DI HILBERT
E IL CALCOLO DEI PREDICATI


16.1. Sistema di Gentzen per il calcolo dei predicati

La deduzione nel sistema di Gentzen, che nella sezione precedente era stata
introdotta con riferimento ai soli enunciati, pu essere estesa al calcolo dei
predicati. Alle regole proposizionali si aggiungono le nuove regole per i
quantificatori esistenziali e universali (quelle della prima riga possono essere
denominate -regole, quelle della seconda -regole):

U {xA(x), A(a)} U {xA(x), A(a)}

U {xA(x)} U {xA(x)}

U {A(a)} U {A(a)}

U {xA(x)} U {xA(x)}

Osserviamo che le -regole possono essere applicate solamente a condizione
che la costante a non appaia in U (ci richiesto per non imporre restrizioni
sullinterpretazione della costante a).
Illustriamo lapplicazione del metodo mediante lesempio seguente (che
riprendiamo da: Ben-Ari, 1998, p. 121).

Esempio. Deduciamo: xyP(x, y) yxP(x, y).

yP(a, y), P(a, b), P(a, a), xP(x, b), P(a, b)
|
yP(a, y), P(a, a), xP(x, b), P(a, b)
|
yP(a, y), xP(x, b), P(a, b)
|
yP(a, y), xP(x, b)
|
yP(a, y), yxP(x, y)
118
|
xyP(x, y), yxP(x, y)
|
xyP(x, y) yxP(x, y)


16.2. Correttezza e completezza del sistema di Gentzen

Esiste una dimostrazione di Gentzen di U se e solo se ottenibile un tableau
semantico chiuso per linsieme dei complementi delle formule di U. Si pu
dunque dimostrare che U valida se e solo se c una sua dimostrazione nel
sistema di Gentzen (possiamo ad esempio esprimere ci scrivendo: |
G
U); ci
significa che il sistema di Gentzen corretto e completo:

Teorema della correttezza del metodo deduttivo di Gentzen.

|
G
U | U

Teorema della completezza del metodo deduttivo di Gentzen.

| U |
G
U

e dunque, considerando contemporaneamente i due ultimi risultati:

| U |
G
U


16.3. Cenni sul sistema di Hilbert per il calcolo dei predicati

Anche il sistema di Hilbert, che nella sezione precedente era stato introdotto
con riferimento ai soli enunciati non quantificati, pu essere esteso al calcolo
dei predicati. Ci limiteremo a sviluppare la questione facendo riferimento al
quantificatore universale; per quanto riguarda il quantificatore esistenziale
infatti sufficiente ricordare che: xA(x) xA(x).
I nuovi assiomi (o schemi di assiomi) sono:

| xA(x)A(a) Assioma 4
| x[AB(x)][AxB(x)]
con x che non compare libera in A Assioma 5

(con il simbolo | esprimiamo come al solito la dimostrabilit).
119
La nuova regola di inferenza detta di generalizzazione:

| A(a)

| xA(x)

Introduciamo la nuova regola di deduzione: per un insieme di formule U ed
una coppia di formule A, B:

U {A} | B

U | AB

purch nella dimostrazione di U {A} | B non sia applicata la regola di
generalizzazione ad una costante che appare in A.
Si prova (teorema di deduzione) che la regola di deduzione una regola
derivata corretta, sempre nellipotesi che nella dimostrazione di U {A} | B
non sia applicata la regola di generalizzazione ad una costante che appare in A.
Illustriamo lapplicazione del metodo mediante lesempio seguente (che
riprendiamo da: Ben-Ari, 1998, p. 124).

Esempio. Deduciamo: | x[P(x)Q(x)] [xP(x)xQ(x)].

1. x[P(x)Q(x)], xP(x) | xP(x) Ipotesi
2. x[P(x)Q(x)], xP(x) | P(a) Assioma 4
3. x[P(x)Q(x)], xP(x) | x[P(x)Q(x)] Ipotesi
4. x[P(x)Q(x)], xP(x) | P(a)Q(x) Assioma 4

A questo punto possiamo applicare il metodo in ambito proposizionale ed
ottenere 5 (lasciamo al lettore il compito di esplicitare il procedimento per
esercizio):

5. x[P(x)Q(x)], xP(x) | Q(a) (da 2 e da 4)

La deduzione si conclude nei passi seguenti:

6. x[P(x)Q(x)], xP(x) | xQ(x) Generalizzazione 5
7. x[P(x)Q(x)] | xP(x)xQ(x) Deduzione
8. | x[P(x)Q(x)] [xP(x)xQ(x)] Deduzione

120
Si noti che quanto provato nellesempio precedente costituisce una nuova
tecnica (spesso denominata ancora generalizzazione) che riassumiamo nella
regola seguente:

| A(x)B(x)

| xA(x)xB(x)


16.4. Correttezza e completezza del sistema di Hilbert

Si pu dimostrare che A valida se e solo se c una sua dimostrazione nel
sistema di Hilbert (possiamo ad esempio esprimere ci scrivendo: |
H
A); ci
significa che il sistema di Hilbert corretto e completo, come esprimono i
teoremi seguenti:

Teorema della correttezza del metodo deduttivo di Hilbert.

|
H
A | A

Teorema della completezza del metodo deduttivo di Hilbert.

| A |
H
A

e dunque, considerando contemporaneamente i due ultimi risultati:

| A |
H
A


121
V

Procedimenti di risoluzione




17. FORME NORMALI CONGIUNTIVE E RISOLUZIONE


17.1. Forme normali congiuntive

Lo sviluppo di mezzi automatici di elaborazione di dati ha indicato lopportunit di
mettere a punto procedure di meccanizzazione della logica (ci baseremo su quanto
proposto da J. A. Robinson nel 1965 e seguiremo: Ben-Ari, 1998). Svilupperemo la
questione facendo riferimento al calcolo degli enunciati.
Inizieremo con il rilevare che ogni formula del calcolo degli enunciati pu essere
trasformata in una formula equivalente in una forma particolare, detta forma normale
congiuntiva, che risulter molto utile per limpostazione di un procedimento risolutivo.

Definizione. Una formula in forma normale congiuntiva se costituita da una
congiunzione di disgiunzioni di enunciati atomici (eventualmente negati).

Esempio. La formula:

[PQ(Q)][(P)(Q)R]

in forma normale congiuntiva.

(Contro)esempio. La formula:

P[Q(PR)]

non in forma normale congiuntiva. Essa pu per essere trasformata in una formula
in forma normale congiuntiva ricordando che:

A(BC) equivale a (AB)(AC)
122
AB equivale a (A)B

Dunque la formula data pu essere cos riscritta:

(PQ)[P(PR)]
(PQ)[P(P)R]

e questultima formula in forma normale congiuntiva.

Osservazione. Si pu dimostrare che un enunciato in forma normale congiuntiva
una tautologia se e solo se in ogni blocco di disgiunzioni presente (almeno) un
enunciato con la sua negazione. A volte possono essere considerati anche enunciati
in forma normale disgiuntiva, costituiti da una disgiunzione di congiunzioni di
enunciati atomici (eventualmente negati). Si pu dimostrare che un enunciato in forma
normale disgiuntiva insoddisfacibile se e solo se in ogni blocco di disgiunzioni
presente (almeno) un enunciato con la sua negazione. Nel presente capitolo ci
occuperemo per solamente di enunciati in forma normale congiuntiva.

Sar essenziale, per rendere possibile lapplicazione del metodo che illustreremo,
che le formule di volta in volta considerate siano poste in forma normale congiuntiva.
Ci possibile applicando la procedura seguente:

si scriva innanzitutto la formula data eliminando i connettivi presenti a parte
, , (si utilizzino le equivalenze indicate nel paragrafo 10.4);
si spostino tutte le negazioni che operano su parentesi allinterno di tali
parentesi utilizzando le leggi di De Morgan;
eliminare le eventuali doppie negazioni;
eliminare infine eventuali congiunzioni presenti allinterno delle parentesi
ricordando che:

A(BC) equivale a (AB)(AC)
(AB)C equivale a (AC)(BC) (leggi distributive)

eliminare eventuali membri doppi ricordando che:

AA equivale a A
AA equivale a A

123
Indicheremo con il termine clausola un insieme di letterali; una clausola costituita
da un solo letterale si dice unitaria una formula (in forma normale congiuntiva) in
forma clausale scritta come un insieme di clausole.
I letterali (enunciati atomici) di una clausola si scrivono successivamente, senza
alcun simbolo, e le negazioni si indicano sottolineando il letterale, come nellesempio
seguente.

Esempio. La formula in forma normale congiuntiva:

[PQ(Q)][(P)(Q)R]

pu esprimersi in forma clausale S nel modo seguente:

S = {PQQ, PQR}

Se l un letterale, indichiamo con l
c
il suo complemento (quindi se l P, l
c
P e
viceversa).


17.2. Risoluzione

Considerati le due formule in forma clausale S e T, scriveremo S T quando S
soddisfacibile se e soltanto se T soddisfacibile.
Assegnata una formula in forma clausale, procederemo ora a modificarla senza
alterare la sua soddisfacibilit. In particolare, si dimostra che valgono i risultati
seguenti:

se un letterale l appare in S e l
c
non appare in S, allora detta T la formula in
forma clausale ottenuta da S cancellando ogni clausola che contiene l, risulta
S T.

Esempio. Nel caso seguente risulta S T:

S = {RQ, PQR, QR}
T = {RQ, QR}

Si noti infatti che la S contiene P ma non P.

124
se {l} una clausola unitaria di S, allora detta T la formula in forma clausale
ottenuta da S cancellando ogni clausola che contiene l e inoltre cancellando l
c

allinterno di ogni clausola rimanente, risulta S T.

Esempio. Nel caso seguente risulta S T:

S = {RQ, PQR, PQ, R}
T = {Q, PQ, PQ}

se ad una stessa clausola C appartengono sia l che l
c
, allora detta T la
formula in forma clausale ottenuta da S cancellando C, risulta S T.

Esempio. Nel caso seguente risulta S T:

S = {RP, RPPQ, QR}
T = {RP, QR}

se le clausole C e D appartengono a S e CD, allora detta T la formula in
forma clausale ottenuta da S cancellando D, risulta S T (cio in questo
caso possiamo cancellare la clausola pi grande).

Esempio. Nel caso seguente risulta S T:

S = {PQ, PQR, PR}
T = {PQ, PR }

Possiamo ora descrivere la procedura di risoluzione.
Data la formula in forma clausale S, siano C, D due sue clausole tali che lC e
l
c
D (esse vengono dette clausole contrastanti sui letterali complementari l e l
c
);
allora diremo risolvente di C, D la clausola:

Res(C, D) = (C{l})(C{l
c
})

C e D sono talvolta dette genitrici di Res(C, D).
Si dimostra che la risolvente Res(C, D) soddisfacibile se e solo se le genitrici C
e D sono soddisfacibili.

125
Procedura risolutiva. Sia S una data formula in forma clausale. Dovremo costruire
una sequenza S(n) di formule in forma clausale, partendo da S(0) = S, costruendo
ripetutamente la risolvente di due clausole contrastanti.
Consideriamo la formula S(i); scegliamo due clausole contrastanti C e D di S(i) e
consideriamo la risolvente Res(C, D). Costruiamo allora:

S(i+1) = S(i) Res(C, D)

Se Res(C, D) la clausola vuota, che indicheremo con {}, allora la procedura
termina e S insoddisfacibile.
Se S(i+1) = S(i) per ogni scelta di clausole contrastanti, allora la procedura
termina e S soddisfacibile.

Osserviamo che la procedura risolutiva ora presentata , propriamente, una
procedura di refutazione: essa pu infatti essere applicata per dimostrare che una
formula A una tautologia grazie al fatto che linsoddisfacibilit di A corrisponde
alla validit di A. Applichiamo il metodo allesempio seguente (tratto da: Ben-Ari,
1998):

Esempio. Costruiamo la risoluzione di:

S = {P, PQ, R, PQR}

Indichiamo con: C(1) = {P}
C(2) = {PQ}
C(3) = {R}
C(4) = {PQR}

Le clausole C(3) e C(4) sono contrastanti sui letterali complementari R e R. La
loro risolvente :

Res[C(3), C(4)] = {PQ}

Questultima clausola, che possiamo indicare con C(5), contrastante con C(2)
sui letterali complementari Q e Q. La loro risolvente :

Res[C(2), C(5)] = {P}

126
Infine questultima clausola, che possiamo indicare con C(6), contrastante con
C(1) sui letterali complementari P e P.
La loro risolvente :

Res[C(1), C(6)] = {}

Possiamo concludere che lassegnata S = {P, PQ, R, PQR} insoddisfacibile (ci
limitiamo a segnalare che la S ora considerata la forma clausale di A dove A il
secondo assioma dei sistemi di Hilbert).


17.3. Correttezza e completezza della risoluzione

Anche la procedura ora presentata corretta e completa. Si possono infatti
dimostrare i teoremi seguenti:

Teorema. Correttezza della risoluzione. Se dalla formula in forma clausale S
viene derivata mediante la procedura di risoluzione la clausola insoddisfacibile {},
allora S insoddisfacibile.

Teorema. Completezza della risoluzione. Se la formula in forma clausale S
insoddisfacibile, allora la clausola insoddisfacibile {} viene derivata mediante la
procedura di risoluzione.

La procedura sopra presentata nel caso di formule proposizionali pu essere
estesa a formule predicative. Tale estensione risulta praticamente utile in quanto altri
metodi applicabili al calcolo dei predicati, come ad esempio il metodo dei tableaux
semantici, risultano di scarsa efficienza.
Una presentazione del problema della risoluzione nel caso di formule predicative
esula per dagli scopi di questi appunti (per un approfondimento rinviamo a: Ben-
Ari, 1998, pp. 131-135).


17.4. Quali prospettive?

Concludiamo riportando unannotazione di A. Labella:

127
Quali prospettive? Quale lattuale posizione della logica matematica?
Naturalmente il problema estremamente dibattuto ed in questo testo se ne vede
soprattutto il ruolo che riguarda la teoria della dimostrazione automatica.
Sicuramente non lunico caso di applicazione della logica matematica
allinformatica.
Forse il legame pi profondo tra la logica, la matematica e linformatica sta
proprio nel concetto di calcolo, cio di manipolazione simbolica. Nel calcolo sono
da distinguersi diversi aspetti: la ricerca del simbolismo adatto, le regole e la
velocit di esecuzione. ()
Un simbolismo sbagliato pu portare costi enormi, lelevata complessit oltre
certi limiti impedisce del tutto la soluzione. La logica usa un linguaggio altamente
simbolico ed in buona parte ragionamento su linguaggi simbolici, quindi molto
sensibile al problema della scelta del simbolismo.
Un discorso simile, se non ancora pi stringente, riguarda le regole del calcolo.
() La logica si presenta oggi come un sistema di regole, anzi, come diversi
sistemi di regole, a seconda della particolare logica che consideriamo: quanto pu
ancora questo paradigma essere cambiato in modo significativo adattandosi alle
esigenze di problemi diversi senza snaturarsi? Certamente in questi cambiamenti
qualche invariante deve essere mantenuto: nel caso della logica si tratta del
riferimento al ragionamento umano, in ossequio alle origini, oppure abbiamo una
caratterizzazione puramente algebrico-matematica proprio per il fatto che si tratta
di un calcolo, o altro ancora?
Nellultimo aspetto, quello della velocit, non solo ha grossa rilevanza la
tecnologia, ma esso pu influire sulla parte teorica in modo significativo perch
pu spostare il confine tra ci che effettivamente calcolabile e ci che non lo ,
ma anche suggerire congetture su teoremi da dimostrare, potendo permettere di
controllare anche esempi abbastanza complessi. Perci luso di particolari
strumenti di calcolo pu portare addirittura a modifiche di prospettiva teorica
(Ben-Ari, 1998, pp. XIV-XV).

128





Il frontespizio della seconda edizione (Bruxelles,
1734) di Essais de Theodice di G.W. Leibniz



__________


129
Appendice A

Il sistema assiomatico di Zermelo
per la teoria degli insiemi




Ernest Zermelo (1871-1953) rilev che la presenza delle antinomie poteva essere
collegata ad uninsufficiente definizione del concetto di insieme (ricordiamo che
Cantor non richiedeva alcuna particolare restrizione: un insieme era semplicemente
una qualsiasi collezione di enti del nostro pensiero). Per comprendere la proposta di
assiomatizzazione di Zermelo opportuno ritornare brevemente alla situazione della
nozione di insieme alla fine del XIX secolo. Citiamo in proposito E. Casari:

Pi di mezzo secolo di discussioni e sviluppi della teoria cantoriana ci permettono
di indicare come caratteristiche del concetto cantoriano di insieme le seguenti
propriet:
1) La sua esistenza in corrispondenza ad ogni molteplicit di enti distinti
caratterizzabili da una condizione.
2) La sua determinazione completa da parte degli elementi della molteplicit
corrispondente.
3) La sua sostanzialit nel duplice aspetto di:
a) individualit e cio capacit al pari di ogni altra sostanza individuale a godere
di attributi, ad essere, cio, elemento di molteplicit;
b) assolutezza e cio indipendenza dal linguaggio nel senso che un insieme e le
sue propriet sono indipendenti da ogni nostra possibilit linguistico-teoretica di
caratterizzarli (Casari, 1964, p. 21).

Una simile concezione di insieme non poteva essere considerata sufficiente a
causa del possibile sorgere di antinomie logiche; era pertanto necessario procedere
ad una sua correzione, ovvero ad una pi dettagliata specificazione del concetto di
insieme.
Negli anni tra il 1910 e il 1913 Bertrand Russell e Alfred North Whitehead
(1861-1947) pubblicarono i tre volumi dei Principia Mathematica, lopera che
molti studiosi considerano il naturale proseguimento ed il perfezionamento dei lavori
di Gottlob Frege: per comprendere limportanza dei Principia Mathematica basti
130
pensare che le nozioni ed i simboli introdotti da Russell e da Whitehead non sono
molto dissimili da quanto compare nei testi di matematica pubblicati ai giorni nostri
1
.
Per evitare il sorgere delle antinomie, Russell e Whitehead suggerirono una
suddivisione gerarchica degli enti logico-matematici in tipi ed imposero che
lappartenenza di un ente (considerato come elemento) ad un altro (considerato
come insieme) possa essere proposta soltanto per enti appartenenti a tipi successivi.
Per evitare, dunque, che un elemento la cui definizione implica la totalit degli
elementi di un insieme possa appartenere a tale insieme (situazione che
provocherebbe, come abbiamo visto, limmediato sorgere dellantinomia degli
insiemi normali), Russell e Whitehead chiamarono:
enti di tipo 0 gli elementi;
enti di tipo 1 gli insiemi di enti di tipo 0, ovvero gli insiemi di elementi;
enti di tipo 2 gli insiemi di enti di tipo 1, ovvero gli insiemi di insiemi;
e cos via.
Evidentemente tale nuova impostazione escludeva la possibilit di verificarsi di
situazioni analoghe a quella descritta nellantinomia di Russell (si veda il paragrafo
5.2): tutti gli insiemi, non potendo pi contenere se stesso come elemento, dovranno
essere normali.
A questa suddivisione gerarchica in tipi, Russell e Whitehead affiancarono
unulteriore suddivisione in ordini, con lintento di evitare eventuali definizioni di un
ente matematico basate su circoli viziosi, ovvero su situazioni dipendenti dallo stesso
ente da definire (con la conseguente possibilit di nuove antinomie).
La profonda impostazione dei Principia Mathematica si rivel purtroppo
complicata e quindi scarsamente utilizzabile. Alcuni tentativi degli stessi Russell e
Whitehead per migliorarne lapplicabilit pratica si sono rivelati poco efficaci (tra il
1921 ed il 1926, Cwistek e Ramsey misero a punto una nuova teoria, detta dei tipi
semplici, in cui avrebbero dovuto convergere, grazie ad un delicato sistema di
assiomi, le esigenze di rigore e di applicabilit emerse dalle ricerche logiche elaborate
tra la fine del XIX secolo ed i primi decenni del XX).

1
Un confronto tra alcune simbologie proposto nella tabella seguente:

Hugh McColl (1837-1909) A' + : =
Bertrand Russell p .
Jan Lukasiewicz (1878-1956) Np A K C E

(ad esempio: Cpq indica: pq; ricordiamo che Lukasiewicz studi alcune logiche con pi di due
valori di verit; per una presentazione indichiamo ad esempio DAmore & Matteuzzi, 1975, pp.
199-207). Giuseppe Peano (1858-1932) utilizzava i segni , , , rispettivamente per la
negazione, per la disgiunzione e per la congiunzione; David Hilbert (1862-1943) indicava con &
la congiunzione e con l'implicazione.
131
Come abbiamo visto, Russell era dellopinione che la limitazione debba
riguardare la natura delle sostanze che intervengono come elementi nella
molteplicit e che si debba ammettere lesistenza degli insiemi solo in
corrispondenza a molteplicit i cui elementi siano omogenei dal punto di vista di una
gerarchia delle sostanze (Casari, 1964, p. 32).
La scelta di Zermelo ben diversa: egli ritiene invece che la limitazione debba
riguardare la natura delle molteplicit (non quella dei suoi elementi) e che cio si
debbano ammettere solo gli insiemi corrispondenti a certe molteplicit particolari
costituite attraverso lapplicazione di certi ben determinati processi (Casari, 1964,
p. 32). M. Kline nota che il programma di Zermelo prevedeva di ammettere nella
teoria degli insiemi solo quelle classi che con meno probabilit avrebbero generato
contraddizioni. Perci la classe nulla [vuota], ogni classe finita e la classe dei numeri
interi sembravano sicure. Data una classe sicura, certe classi formate da essa, come
ogni sottoclasse, lunione delle classi sicure e la classe di tutti i sottoinsiemi di una
classe sicura dovrebbero essere classi sicure. Tuttavia egli evitava la
complementazione perch, mentre x pu essere una classe sicura, il suo
complemento potrebbe non essere sicuro in qualche universo di oggetti (Kline,
1991, II, p. 1381).
Presenteremo la traduzione degli assiomi della teoria degli insiemi di Zermelo,
risalenti al 1908 (seguiremo: DAmore & Matteuzzi, 1975, p. 96):

Assioma I. Bestimmtheit o Assioma della determinazione. Se ogni elemento
di un insieme M anche un elemento di N, e viceversa, allora M = N: pertanto
ogni insieme determinato dai propri elementi.

Assioma II. Elementarmengen o Assioma degli insiemi elementari. Esiste
un insieme improprio, linsieme vuoto, che non contiene alcun elemento. Se a un
oggetto del dominio [per Zermelo, sinonimo di insieme], esiste linsieme {a} che
contiene soltanto a come elemento. Se a e b sono oggetti del dominio, allora esiste
linsieme {a, b} che contiene come elementi a, b e soltanto essi.

Assioma III. Aussonderung o Assioma di separazione. Se un predicato F(x)
definito per tutti gli elementi di un insieme M, allora M ha un sottoinsieme M
F
che
contiene come elementi tutti gli elementi x di M per i quali il predicato F(x) vero.

Assioma IV. Potenzmenge o Assioma dellinsieme potenza. Ad ogni insieme
T corrisponde un insieme P(T) che contiene come elementi tutti e soltanto i
sottoinsiemi di T.

132
Assioma V. Vereinigung o Assioma dellunione. Ad ogni insieme T
corrisponde un insieme S(T) che contiene come elementi tutti e soltanto i sottoinsiemi
di T che contengono un solo elemento.

Il nome di Zermelo legato inoltre allassioma della scelta (Rubin & Rubin,
1963; Monk, 1972, pp. 151-165); secondo tale assioma, dato un insieme qualsiasi
di insiemi non vuoti e disgiunti, possibile scegliere un elemento in ciascuno di tali
insiemi in modo che questi elementi costituiscano un (nuovo) insieme (Lassioma di
scelta ha applicazioni importanti in quasi tutti i settori della matematica; in particolare,
nella stessa teoria degli insiemi e in algebra, analisi e topologia: Rogers, 1978, p.
154). La sua formulazione originale la seguente:

Assioma VI. Auswahlt o Assioma della scelta. Se T un insieme, del quale gli
elementi sono insiemi non vuoti a due a due disgiunti, allora linsieme unione S(T)
contiene almeno un sottoinsieme S
1
avente uno ed un solo elemento in comune con
ciascun elemento di T.

Assioma VII. Axiom des Unendlichen o Assioma dellinfinito. Il dominio
contiene almeno un insieme Z contenente a sua volta linsieme vuoto come elemento
ed costituito in modo tale che a ciascun suo elemento a corrisponda un ulteriore
elemento {a}.

Si ottiene linsieme infinito costituito da: 0, {0}, {{0}}, ...
Abraham A. Fraenkel (1891-1965) riprese i risultati di Zermelo e nel 1922 li
formul nel linguaggio del calcolo dei predicati: il sistema assiomatico per la teoria
degli insiemi che venne messo a punto noto come sistema di Zermelo-Fraenkel,
identificato dalla sigla ZF, una teoria del primo ordine con uguaglianza (si veda: Lolli,
1974, pp. 15-18; Rogers, 1978, pp. 137-156; per una sua presentazione informale
ma corretta si veda: Crossley, 1976, pp. 93-121). Anche per sottolineare la
differenza formale rispetto agli assiomi sopra riportati, richiamiamo la moderna
espressione degli assiomi di ZF:

A1. Assioma di estensionalit

(x)(y)(z(zx zy) x = y)

Questo assioma decisivo per il superamento delle antinomie logiche: Zermelo
dimostr infatti che ogni insieme ha almeno un sottoinsieme che non suo
133
elemento... Questo risultato elimina evidentemente lantinomia di Russell (Casari,
1964, p. 44).

Definiamo ora xy con:

(z)(zx zy).

A2. Assioma dellinsieme vuoto

(x)(y)(yx)

Si noti che A2 afferma lesistenza dellinsieme vuoto (unico per A1).

A3. Assioma della coppia (non ordinata)

(x)(y)(z)(w)(wz (w = x w = y))

A4. Assioma dellinsieme somma (o dellunione)

(x)(y)(z)(zy (t)(zt tx))

Definiamo z = xy con: (t)(tz (tx ty)).

A5. Assioma dellinfinito

(x)(x (y)(yx y{y}x))

Allinsieme infinito che si pu costruire per A5 appartengono i termini della:

, {}, {, {}}, {, {, {}}}, ...

A6
n
. Schema di assiomi di rimpiazzamento

(t
1
)...(t
k
)((x)(!y)A
n
(x, y, t
1
, ..., t
k
) (u)(v)B(u, v)),
dove B(u, v) significa (r)(rv (s)(su A
n
(s, r, t
1
, ..., t
k
)))

Ogni assioma di tale schema corrisponde ad una A
n
.

A7. Assioma dellinsieme potenza
134

(x)(y)(z)(zy zx)

A8. Assioma di scelta

se esiste una funzione A: A

che ad ogni x fa corrispondere A


(x dominio di A), allora esiste almeno una funzione f: f() definita per
ogni x (x dominio di f) tale che f()A



A9. Assioma di regolarit

(x)(y)(x (yx (z)(zx (zy))))

Un altro sistema di assiomi fu ideato da John von Neumann (1903-1957), che
introdusse una distinzione tra insieme e classe. Citiamo ancora E. Casari:

La caratteristica fondamentale di questo impianto della teoria degli insiemi
costituita dallidea che non tanto lesistenza degli insiemi in corrispondenza ad
ogni molteplicit quella che d origine alle contraddizioni, quanto invece
lassunzione che ogni insieme possa entrare a far parte di altri insiemi (Casari,
1964, p. 56).

Von Neumann ritenne dunque opportuno individuare due diversi tipi di
aggregati: gli insiemi, che possono essere membri di una classe, e le classi, che non
possono, a loro volta, appartenere ad una classe (n ovviamente ad un insieme). Le
ricerche di Von Neumann (1925) furono riprese nel 1940 da Kurt Gdel (1906-
1978) e tra il 1937 ed il 1958 da Paul Bernays (1888-1979); dalle loro iniziali il
sistema viene indicato con la sigla NGB (Mendelson, 1972; sul ruolo di NGB
rispetto a ZF: Casari, 1964 e Lolli, 1985).

135
Appendice B

Teorie aritmetiche e modelli




In questa appendice riprenderemo alcune osservazioni sulle teorie (ci riferiremo in
particolare alle teorie per laritmetica) e sui modelli.
1

La teoria pi nota per laritmetica (i numeri naturali con le usuali operazioni)
laritmetica di Peano, PA (si veda ad esempio: Mendelson, 1972, p. 128); una teoria
pi debole la teoria Q di Robinson (Mendelson, 1972, p. 187). Q si ottiene da PA
togliendo il principio di induzione:

(0)(y)((y)(S(y)))(y)(y)

(dove S la funzione unaria successore) ed aggiungendo lassioma:

(y)(y 0(z)(y = S(z)))

che un teorema di PA (lasciamo al lettore la facile dimostrazione per induzione).
Dal punto di vista formale il principio di induzione uno schema di assiomi perch
porta ad un assioma per ogni formula con una variabile libera: pertanto mentre Q
ha un numero finito di assiomi, PA ha infiniti assiomi.
Una teoria, in genere, ha pi modelli: linsieme N dei numeri naturali con
laddizione e la moltiplicazione il modello standard di PA; la costruzione di modelli
di PA non isomorfi a N complicata e non pu essere proposta a livello di scuola
secondaria. Invece semplice trovare modelli di Q non isomorfi a N: ad esempio, nel
presente lavoro indicheremo con Z*[x] linsieme costituito dal polinomio nullo e dai
polinomi a coefficienti interi con il coefficiente direttivo positivo: Z*[x] un modello
di Q (Mendelson, 1972, p. 188).
Ogni enunciato dimostrabile in Q dimostrabile anche in PA; ci sono per
enunciati dimostrabili in PA che non sono dimostrabili in Q; tuttavia un enunciato
dimostrabile in PA non mai confutabile in Q.
2


1
Ci collegheremo a Bagni, 2002, da cui riportiamo alcuni risultati.
2
Infatti se un enunciato fosse dimostrabile in PA e confutabile in Q, essendo PA
unestensione di Q, allora PA sarebbe inconsistente.
136
Uno dei pi celebri problemi della storia della Matematica lUltimo Teorema di
Fermat, che afferma che non esistono una terna di naturali non nulli (a; b; c) ed un
naturale n3 tali che a
n
+b
n
= c
n
. Passiamo ora a considerare per via elementare
lanaloga propriet polinomiale.

Proposizione. In Z*[x] non esistono una terna di polinomi (A(x); B(x); C(x)),
ciascuno dei quali non identicamente nullo, ed un naturale n3 tali che:
[A(x)]
n
+[B(x)]
n
= [C(x)]
n
.

Dimostrazione. Ammettiamo per assurdo che in Z*[x] esistano una terna di
polinomi (A(x); B(x); C(x)), ciascuno dei quali non identicamente nullo, e un naturale
n3 tali che [A(x)]
n
+[B(x)]
n
= [C(x)]
n
.
Se i polinomi considerati sono costanti, contraddetto lUltimo Teorema di
Fermat (che, com noto, stato dimostrato da Andrew Wiles nel 1993-1994).
Considerando polinomi non costanti, possibile sostituire un naturale alla x in modo
che A(x), B(x), C(x) siano contemporaneamente positivi (per la positivit dei
coefficienti direttivi
+ x
lim A(x) =
+ x
lim B(x) =
+ x
lim C(x) = +) e otteniamo ancora
unuguaglianza tale da contraddire lUltimo Teorema di Fermat. n

Abbiamo dunque constatato che lUltimo Teorema di Fermat mantiene la propria
validit passando dallambiente numerico a quello polinomiale; esaminando altre
propriet vedremo per che ci sono alcune differenze tra quanto accade in ambiente
numerico e quanto accade nellinsieme Z*[x].
Il confronto tra N e Z*[x] non si basa solo sulla considerazione di esempi e
controesempi. Sottolineiamo innanzitutto che <Z*[x], +, , s, 0> non un modello di
PA; ad esempio:

(y)(z)(z+z = y z+z = y+1)

che pu essere dimostrato per induzione, non in Z*[x] (ogni polinomio non
costante di Z*[x], B(x) = a
n
x
n
+a
n1
x
n1
+...+a
1
x+a
0
I cui coefficienti a
n
, a
n1
, ...a
1

non siano tutti pari pu essere considerato come controesempio). Troveremo
proposizioni vere in <Z*[x], +, , s, 0> che saranno false se riferite a <N, +, , s, 0>
(Chang & Keisler, 1973, p. 32). Nella figura seguente Th(M) indica linsieme degli
enunciati veri in M:



137
Th(<Z*[x], +, , s, 0>) Th(<N, +, , s, 0>)



Si dimostra che Th(<N, +, , s, 0>)Th(<Z*[x], +, , s, 0>) (tale
intersezione comprende Q
+
, detto chiusura deduttiva di Q, linsieme di tutti gli
enunciati deducibili da Q).
Abbiamo sopra osservato che un elemento di Th(<N, +, , s, 0>)Th(<Z*[x], +,
, s, 0>) : (y)(z)(z+z = y z+z = y+1). Cercheremo ora anche un elemento di
Th(<Z*[x], +, , s, 0>)Th(<N, +, , s, 0>): a tale proposito, potremmo ad esempio
occuparci dellordine in Z*[x].
Secondo un assioma di Q, lordine definito in Z*[x] nel modo seguente:

f(x) g(x) (def.) g(x)f(x)Z*[x]
f(x) < g(x) (def.) 0 g(x)f(x)Z*[x]

Evidentemente se f(x), g(x), h(x) sono elementi di Z*[x]:

f(x) g(x) f(x)+h(x) g(x)+h(x)
f(x) < g(x) f(x)h(x) < g(x)h(x)
f(x) g(x) f(x)+h(x) g(x)+h(x)
f(x) < g(x) f(x)h(x) < g(x)h(x) (con h(x) 0)

Se f(x), g(x), h(x), h(x)f(x), h(x)g(x) sono elementi di Z*[x]:

f(x) g(x) h(x)g(x) h(x)f(x)
f(x) < g(x) h(x)g(x) < h(x)f(x)

Per quanto riguarda il minimo elemento di Z*[x], per ogni f(x)Z*[x] risulta: 0
f(x) (le propriet ora ricordate valgono in Z*[x] essendo dimostrabili in Q: la loro
verifica diretta in Z*[x], partendo dalle definizioni date, pu essere didatticamente
interessante).
Dimostriamo ancora alcuni semplici risultati:

Proposizione. Se f(x), g(x) Z*[x], allora f(x) g(x) o g(x) f(x).

Dimostrazione. Se f(x) g(x) falso, allora g(x)f(x)Z*[x], quindi il
coefficiente direttore di g(x)f(x) negativo. Da ci segue che il coefficiente
direttore di f(x)g(x) positivo, dunque f(x)g(x)Z*[x] e g(x) f(x). n
138

Proposizione. Se f(x), g(x) Z*[x] e f(x) < g(x) f(x)+1, allora g(x) = f(x)+1.

Dimostrazione. Dallipotesi si ha che: f(x)+1g(x) < f(x)+1f(x) = 1. Quindi:
f(x)+1g(x) = 0 e g(x) = f(x)+1. n

Proposizione. Se f(x)Z*[x], g(x) un elemento non costante di Z*[x], f(x) < g(x)
e g(x)f(x) non costante, per ogni n, k numeri naturali : f(x)+n < g(x)k.

Dimostrazione. Se f(x) < g(x) allora 0 g(x)f(x)Z*[x]; quindi: 0 g(x)
f(x)knZ*[x] e da 0 g(x)k[f(x)+n]Z*[x] si conclude: f(x)+n < g(x)k. n

Questa propriet interessante: abbiamo infinite coppie di elementi f, g di Z*[x]
tali che f<g e infinite coppie di elementi n, kZ*[x] tali che f+n<gk. Tale propriet
vale in Z*[x], ma non vale in N. Abbiamo quindi trovato un elemento di Th(<Z*[x],
+, , s, 0>)Th(<N, +, , s, 0>)? Il problema lespressione formale della propriet
in questione: I quantificatori logici sono infatti finitari, cio non possiamo utilizzare un
infinito numero di quantificatori esistenziali nello stesso enunciato
3
.
Per proporre linterpretazione di congetture aritmetiche in Z*[x] utile operare
una distinzione. Notiamo che N un sottomodello di Z*[x]: dunque ogni enunciato
con un solo quantificatore esistenziale vero in N vero anche in Z*[x] ed ogni
enunciato con un solo quantificatore universale vero in Z*[x] vero anche in N.
Ci occuperemo di alcune congetture riguardanti i primi. Un elemento non nullo p
di Z*[x] sar detto primo se diverso da 0 e da 1 e se non esistono due elementi di
Z*[x] entrambi diversi da 1 il cui prodotto p; dunque un polinomio primo se e
solo se irriducibile ed primitivo (cio il massimo comune divisore dei suoi
coefficienti 1).
Possiamo quindi esprimere Pr(y) (y primo) con:

y 0 y 1 ((a)(b)(a 1 b 1 ab = y))

Alcune differenze rispetto a quanto accade per i numeri primi sono
immediatamente evidenti: ad esempio, in Z*[x] esistono infiniti elementi primi x+k
con k intero qualsiasi, mentre se un numero naturale n>2 primo, il suo successore
composto in quanto divisibile per 2. Ci molto interessante; infatti se scriviamo:

3
Per quanto riguarda i soli numeri naturali, se vogliamo esprimere la validit della propriet
P(n) per infiniti n, possiamo ad esempio scrivere: (m)(n)(m<n P(n)), ma una simile
espressione non in grado di esprimere in Z*[x] la propriet in questione.
139

(y)(y 2 Pr(y) Pr(y+1))

abbiamo trovato un elemento di Th(<Z*[x], +, , s, 0>)Th(<N, +, , s, 0>).
Linterpretazione e la dimostrazione di alcuni enunciati aritmetici in Z*[x]
elementare (alcune congetture sono presentate in: Guy, 1994).
Consideriamo innanzitutto la questione della presenza di primi in una progressione
aritmetica (un celebre risultato dimostrato da Dirichlet nel 1837 afferma che se h>1 e
a 0 sono interi coprimi allora la progressione: a, a+h, a+2h, a+3h, contiene
infiniti numeri primi: Ribenboim, 1989, p. 205). Nel caso dei polinomi semplice
trovare progressioni aritmetiche costituite interamente da primi; ad esempio, se h
un intero non nullo, la progressione x, x+h, x+2h, x+3h, completamente
costituita da polinomi primi. Immediata conseguenza di tale considerazione la
versione polinomiale della Congettura dei Primi Gemelli
4
(in Z*[x] esistono infinite
coppie (P(x); Q(x)) di elementi primi tali che Q(x) = P(x)+2: si considerino P(x) =
x+k e Q(x) = x+k+2, per ogni kZ) o dellinfinit dei primi della forma n
2
+1 (si
consideri P(x) = x+k per ogni kZ. Risulta: [P(x)]
2
+1 = x
2
+2kx+k
2
+1, primo in
quanto il suo discriminante : (k) = 4<0).
Alcuni problemi aperti della Teoria dei Numeri fanno riferimento ai Numeri di
Fermat F
n
= 1 2
) 2 (
+
n
e ai Numeri di Mersenne, M
q
= 1 2
q
, con q primo
(Ribenboim, 1989, pp. 71-81): non sappiamo se F
n
primo per infiniti valori di n, se
F
n
composto per infiniti valori di n, se F
n
privo di fattori quadrati per ogni n; le
stesse domande per M
q
sono ancora (2002) senza risposta. Osserviamo che la
considerazione in ambito polinomiale di questi problemi non sarebbe significativa in
Z*[x]; infatti linsieme dei numeri naturali chiuso rispetto allesponenziazione, ma
ci non accade per Z*[x]: in generale, elevando un polinomio ad un esponente
polinomiale non si ottiene un polinomio (potrebbe essere interessante esaminare i
problemi che si ottengono mantenendo solo gli esponenti numerici).
Per considerare la Congettura di Goldbach in Z*[x] dobbiamo tenere presente
che si tratta di una congettura in cui presente un quantificatore universale
5
: ci
occuperemo dunque del solo caso di polinomi non costanti.

4
A proposito della Congettura dei Primi Gemelli, notiamo che i quantificatori logici sono
finitari e tale congettura si riferisce allesistenza di infinite coppie di primi gemelli; dovrebbe
essere quindi espressa nella forma: (n)(p)[Pr(p)Pr(p+2)(p>n)] (dove Pr(m) significa m
primo).
5
A rigore, la congettura di Goldbach non contiene solamente un quantificatore universale,
in quanto afferma che per ogni naturale pari n, maggiore di 2, esiste una coppia di primi (p, q) tali
che p+q = n e dunque contiene anche due quantificatori esistenziali: tuttavia se n un naturale
anche p e q lo sono.
140

Proposizione. Per ogni polinomio non costante e non primitivo Q(x) di Z*[x]
esistono due polinomi primi in Z*[x] tali che la loro somma sia Q(x).

Dimostrazione. Consideriamo un polinomio non costante e non primitivo di
Z*[x] (dove pq il massimo comune divisore dei suoi coefficienti e p primo):

Q(x) = pqa
n
x
n
+pqa
n1
x
n1
+...+pqa
1
x+pqa
0


Sia tZ; consideriamo i polinomi di Z*[x]:

Q
1
(x) = x
n
+pqa
n1
x
n1
+...+pqa
1
xp(pt+1)
Q
2
(x) = (pqa
n
1)x
n
+p(qa
0
+pt+1)

la cui somma Q(x) per ogni valore di t. Proveremo che possibile scegliere t in
modo che entrambi i polinomi Q
1
(x) e Q
2
(x) siano primi.
Per ogni valore di t, Q
1
(x) irriducibile per il criterio di Eisenstein in quanto il
primo p ne divide tutti i coefficienti ad eccezione del coefficiente direttivo e p
2
non ne
divide il termine noto (Piacentini Cattaneo, 1996, pp. 126-127); Q
1
(x) monico,
dunque primitivo ed primo.
Se non qa
0
1 (mod p) allora qa
0
+pt+1 non un multiplo di p e il criterio di
Eisenstein pu essere applicato anche a Q
2
(x) che dunque irriducibile per ogni t.
Verifichiamo la primitivit di Q
2
(x) per opportuni valori di t: (qa
0
+1)+pt assume
valori primi per infiniti valori di t in base al teorema di Dirichlet (qa
0
+1 e p sono
coprimi) e t pu essere scelto in modo che qa
0
+pt+1 sia primo e maggiore di
pqa
n
1.
Se invece qa
0
1 (mod p), dunque qa
0
= kp1 con k intero, risulta:

Q
2
(x) = (pqa
n
1)x
n
+p
2
(k+t)

Esistono infiniti valori di t in modo che k+t sia primo e maggiore di pqa
n
1: allora
possibile scegliere t in modo che Q
2
(x) sia irriducibile per il criterio di Eisenstein (il
primo k+t non divide pqa
n
1, divide p
2
(k+t) e (k+t)
2
non divide p
2
(k+t)) e
primitivo. n

Dalla proposizione precedente per p = 2 segue che se la Congettura di Goldbach
fosse verificata nellinsieme dei naturali, essa sarebbe anche verificata in Z*[x], ove si
intenda per polinomio pari un polinomio il cui contenuto (il massimo comune divisore
141
dei coefficienti) pari; ribadiamo che la proposizione precedente non prova la
Congettura di Goldbach in tutto linsieme Z*[x]
6
.

6
A proposito della teoria additiva dei numeri, segnaliamo che in Z*[x] possibile provare il
teorema di Shrinelman (Nathanson, 1996, p. 177) nella forma seguente: ogni elemento di Z*[x]
diverso da 0 e da 1 pu essere espresso come la somma di una quantit limitata di primi di Z*[x].
141
Appendice C

Complementi sui numeri naturali




Nel paragrafo 8.3 abbiamo riportato una dimostrazione del celebre teorema euclideo
sullinfinit dei numeri primi. Occupiamoci ora della dimostrazione del teorema
seguente, dovuto a Euler (Tenenbaum & Mends France, 1997).

Proposizione. La serie dei reciproci dei numeri primi diverge.

Dimostrazione (Euler). Consideriamo innanzitutto che ogni intero positivo n pu
essere scritto in forma unica nome prodotto di un numero q privo di fattori quadrati e
di un numero m
2
. Indicando con q un numero privo di fattori quadrati, possiamo
scrivere:

,
_

,
_

x q m x q q x m x n
m q m q n
1
2
/
2
1 1 1 1 1


(la prima uguaglianza potrebbe non apparire subito evidente: suggeriamo al lettore di
prendere confidenza con essa facendo qualche prova; ad esempio con x = 20). La
seguente minorazione non richiede particolari commenti:

( )
2
1
1
1
1
1
1
1
1
2 2 1
2

,
_

+

+

+
m m m
m m m m m


(la serie
( )
1
1
1
1
1
1
2 2

,
_

+
m m
m m m m
, detta telescopica) da cui:


x q x n
q n
1
2
1


Consideriamo ora la

x q
q
1
e indichiamo con p un primo:
142

'

,
_

+

x p x p x q
p p q
1
exp
1
1
1


La prima minorazione si ottiene sviluppando

,
_

+
x p
p
1
1 ; la seconda notando che :
1+a e
a
(tale disequazione pu essere un utile esercizio) e ponendo quindi in questa
formula: a = 1/p. Possiamo dunque scrivere:

'


x p x n
p n
1
exp 2
1

Occupiamoci del primo membro della disuguaglianza. Da

1
1
n
n
t
dt
n
, risulta:
x
t
dt
n
x n
n
n
x n
log
1
1



e ci ci permette di scrivere:

'



x p x n
p n
x
1
exp 2
1
log
2 log log log
1

x
p
x p


Considerando che +
+
x
x
log lim possiamo affermare che la serie dei reciproci
dei numeri primi diverge. n

Di questo stesso risultato proponiamo unaltra affascinante dimostrazione,
pubblicata nel 1938 da Paul Erds (1913-1997; Aigner & Ziegler, 1998).

Dimostrazione (Erds). Siano p
1
= 2 < p
2
= 3 < p
3
< i numeri primi (in
ordine crescente).
Ammettiamo per assurdo che la serie dei reciproci dei primi sia convergente:
allora esisterebbe un indice naturale k tale che:

143
2
1 1
1
<

+ k i i
p


Chiameremo i numeri p
1
, , p
k
primi piccoli ed i numeri p
k+1
, p
k+2
primi
grandi. Per un numero positivo arbitrario N scriveremo:

2
1
N
p
N
k i i
<

+
(1)

Sia ora N
b
il numero degli interi positivi nN divisibili per almeno un primo grande
e sia N
s
il numero degli interi positivi nN divisibili soltanto per dei primi piccoli.
Vogliamo dimostrare che per un qualche N N
b
+N
s
< N, e questa sar la cercata
contraddizione: per definizione N
b
+N
s
dovrebbe essere uguale a N.
Per valutare N
b
ricordiamo che
1
]
1

i
p
N
il numero degli interi positivi nN che
sono multipli di p
i
. Quindi, dalla precedente disuguaglianza (1) otteniamo:

+
<
1
]
1

1
2
k i i
b
N
p
N
N (2)

Occupiamoci ora della valutazione di N
s
; abbiamo gi sopra ricordato (nel corso
della dimostrazione euleriana) che ogni intero positivo n pu essere scritto in forma
unica come prodotto di un numero privo di fattori quadrati e di un quadrato;
scriviamo pertanto ogni nN che ha soltanto divisori primi piccoli nella forma n =
a
n
b
n
2
, dove a
n
una parte priva di fattori quadrati. Ogni a
n
perci un prodotto di
primi piccoli diversi, e grazie a tale osservazione possiamo affermare che esistono
esattamente 2
k
diverse parti prive di fattori quadrati. Inoltre, essendo
N n b
n
, notiamo che ci sono al pi N valori ammissibili per b
n
, da cui:

N N
k
s
2

Dato che la (2) valida per ogni N, per ottenere la contraddizione sopra
anticipata ci resta da trovare un numero N tale che
2
2
N
N
k
ovvero tale che
N N
k

+1
2 ; un tale numero N = 2
2k+2
e dunque per esso verrebbe ad essere
N
b
+N
s
< N: ci completa la dimostrazione per assurdo. n

144
Concludiamo questa appendice ricordando alcuni importanti problemi aperti della
teoria dei numeri: uno dei pi celebri di essi la congettura di Goldbach, suggerita
(ma non provata) in uno scambio di lettere tra Christian Goldbach (1690-1764) e
Leonhard Euler (1707-1783) nel giugno 1742, secondo la quale tutti i naturali pari
maggiori di 2 sono somme di due numeri primi (non necessariamente distinti).

Esempio. La congettura di Goldbach facilmente verificabile per alcuni pari:

4 = 2+2
6 = 3+3
8 = 3+5
10 = 3+7 = 5+5 etc.

Ma ci vale per tutti i numeri pari? Nessuno finora (2002) stato capace di
dimostrarlo n di trovare un naturale pari maggiore di 2 che non sia esprimibile come
somma di due numeri primi.
La teoria additiva dei numeri si sviluppata a partire dalla fine del XVIII secolo.
Risultato fondamentale per tale teoria il teorema seguente:

Proposizione (Lagrange). Ogni naturale la somma di quattro quadrati.

Un insieme B di naturali detto base di ordine h se ogni naturale pu essere
scritto come somma di h elementi di B (non necessariamente distinti). Ad esempio, il
teorema di Lagrange stabilisce che l'insieme {nN: n = x e xN} una base di
ordine 4.
Il problema fondamentale della teoria additiva dei numeri stabilire se un
assegnato sottoinsieme di N una base di ordine finito.
La congettura di Goldbach esprime il problema analogo applicato ai naturali pari
maggiori di 2, con la base di ordine due costituita dallinsieme dei primi.

Proposizione (1919-1920, Brun). Ogni intero non negativo pari abbastanza
grande la somma di due numeri aventi ciascuno non pi di nove fattori primi.

Proposizione (1930, Shrinelman). Ogni intero maggiore di 1 la somma di un
limitato numero di primi.

Proposizione (1937, Vinogradov). Ogni intero dispari abbastanza grande o
primo o la somma di tre primi.
145

Proposizione (1966-1978, Chen). Ogni intero pari abbastanza grande pu essere
scritto come somma di un primo dispari e di un numero che o primo o il prodotto
di due primi.

Unaltra celebre congettura a tuttoggi non provata detta dei primi gemelli.
Alcune coppie di numeri primi sono costituite da p e da p+2 (primi gemelli):

3, 5 11, 13 17, 19 etc.

Ebbene, esistono infinite coppie di primi gemelli? Ancora una volta il problema
aperto (2002).

Osservazione. La presenza di questi e di altri problemi aperti riguardanti i primi
(anche apparentemente semplici: esistono infiniti primi della forma n
2
+1?) induce a
qualche riflessione. C una forte asimmetria tra laddizione e la moltiplicazione.
Rispetto alla moltiplicazione (elemento neutro 1), infatti, esistono infiniti elementi
atomici: i primi. La scomposizione di un naturale in un prodotto di naturali atomici
rispetto alla moltiplicazione interessante, semplifica la trattazione del numero
dato. Invece rispetto alladdizione (elemento neutro 0) esiste un solo elemento
atomico: 1. La scomposizione di un naturale in un prodotto di naturali atomici
rispetto alladdizione banale (1+1+ +1) e non semplifica la trattazione del
numero dato.
146





Il frontespizio degli Elementi euclidei
con il commento di Cristoforo Clavio (Roma, 1603)



__________

147
Riferimenti bibliografici


Oltre allindicazione dei lavori citati nei capitoli e nelle appendici, riportiamo, senza
alcuna pretesa di completezza, alcuni suggerimenti che potranno essere utili al lettore
per letture ed approfondimenti:

Aigner, M. & Ziegler, G.M. (1998), Proofs from The Book, Springer, Berlin.
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Il frontespizio di unedizione dell'Organon aristotelico
con i commenti di Severino Boezio stampata a Venezia nel 1559



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