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FRANCO CREVATIN

L ETIMOLOGIA
COME PROCESSO
DI INDAGINE CULTURALE
NAPOLI
2002
ISTITUTO UNIVERSITARIO ORIENTALE
DIPARTIMENTO DI STUDI DEL MONDO CLASSICO
E DEL MEDITERRANEO ANTICO
QUADERNI DI AIWN
NUOVA SERIE - 5
COLLANA DI STUDI
DIRETTA DA
DOMENICO SILVESTRI
Indice
Premessa
Incipit
La ricerca del vero: la riflessione sulla lingua
Letimologia come processo di indagine culturale
I pericoli del passato
Uno, nessuno, cento mila
Etimologia e cultura materiale
Il contributo dellantropologia
Etimologia e ricostruzione
Etimologia e sostrato linguistico
Storie di frontiera
Questioni particolari e note bibliografiche
7
9
29
53
67
85
91
101
113
129
153
179
PREMESSA
Questo libro nato da un corso universitario, e ci spiega perch
spesso si sono fornite spiegazioni che lo specialista giudicher inutili e
si mantenuto un tono discorsivo ed amicale nei confronti del Lettore.
Ritengo tuttavia che chi non specialista delle lingue qui utilizzate
come materia etymologica potr trovare qualche utilite spunto di ri-
flessione e lo specialista apprezzer, se lo riterr opportuno, le novit
etimologiche qui presentate.
Il titolo di questo libro riassume il convincimento di fondo del suo
autore, ossia che letimologia un processo di indagine culturale basa-
to su una tecnica linguistica. Alla tecnica non si prestata qui atten-
zione, e non certo per un atteggiamento riduttivo, quanto perch essa
avrebbe richiesto da sola un volume a parte. sin troppo vero che molti
tentativi etimologici nascono morti proprio perch chi li ha proposti ha
sottovalutato le tecniche etimologiche formali. E purtuttavia altret-
tanto vero che che un etimo basato esclusivamente su una tecnica cor-
retta un etimo muto se esso non ha un decisivo sostegno culturale.
Il vero etimologo devessere, come Odisseo, v`u .,.
Lunghi e piacevolissimi anni di collaborazione al Lessico Etimolo-
gico Italiano, diretto dallAmico Max Pfister (Saarbrcken), mi hanno
insegnato spero - che tra le doti delletimologo vanno annoverate la
pazienza ed il senso della misura. Le migliaia di etimi dialettali italiani
rivisti, corretti, proposti, discussi, con una manciata di altri Amici e
Colleghi sono state allo stesso tempo palestra e cenobio.
Nel momento stesso stesso in cui scrivo queste righe, il libro cessa
di essere solo mio ed avr un destino suo proprio. Non posso staccar-
mene, tuttavia, senza ricordare con gratitudine gli Amici che in vario
modo mi hanno aiutato: Giorgio Banti, Yaqob Beyene, Paola e Filippo
Cssola, Sergio Daris, Stefano De Martino, Felice Israel, Elie Kallas,
Tiziana Lippiello, Ugo Marazzi, Giovanni Pettinato, Luciano Rocchi,
Gennaro Tedeschi. Ad essi associo doverosamente coloro che hanno let-
to la prima stesura di questo lavoro. Un grazie tutto particolare va
Franco Crevatin 8
allAmico Domenico Silvestri, per aver impavidamente accettato il ri-
schio di ospitarmi nella sua prestigiosa collana.
Questo libro dedicato, con immutato affetto, alla memoria dei miei
Maestri Vittore Pisani e Marcello Durante.
F.C.
Letimologia come processo di indagine culturale 9
INCIPIT
Etimologia , per definizione, ricerca del vero, della reale ori-
gine di una parola o di unespressione (: u). Essa dunque
attivit umana per eccellenza, prima ancora che scientifica: ricer-
ca di ci che vero, non mera apparenza, che ci si sforza di
riconoscere attraverso le deformazioni apportate dal succedersi
degli eventi umani e dal procedere della Storia. Errava il gover-
natore Ponzio Pilato, quando con lamaro e sbrigativo cinismo di
chi crede di aver cose pi importanti da fare che discutere con
un fastidioso Nazareno, sbott in Quid est verum? (Joh. 18, 38).
Aveva torto (e si pent, se vogliamo credere al M. Bulgakov del
Maestro e Margherita), poich lUomo ha sempre, in ogni caso
bisogno del vero: pu talora rassegnarsi ad ignorare, ma disprez-
za lignoranza. Ignorante un insulto sanguinoso, e non solo
nelle nostre culture: gli Egiziani che si ribellarono contro Tolomeo
IV Philopator ed occuparono una parte dellAlto Egitto, inter-
rompendo i lavori di costruzione del grande tempio di Horus ad
Edfu, vennero definiti ignoranti, jxmw, dalla reazione lealista
(Edfu 7, 6, 7), una condanna senza appello.
Letimologia dunque uno strumento della ricerca storica; di
pi, nel momento stesso in cui la linguistica vuole essere filologia
storico comparativa, essa non pu fare a meno delletimologia.
Ci si potrebbe dunque attendere non solo che letimologia sia
praticata in misura ragionevolmente estesa, ma altres che su di
essa si sia ampiamente riflettuto. Ora, non sarebbe corretto dire
che tutto ci non sia avvenuto, tuttavia non pare dubbio che
larte delletimologia abbia oggi perduto molti cultori. Molte imprese
etimologiche di base, quanto meno nellambito delle lingue indoeuro-
pee, sono state largamente compiute e spesso si mormora che gli
etimi buoni ormai sono gi stati trovati, per cui letimologia
passa talora per un arguto passatempo da pomeriggi piovosi. Per
un lungo periodo le cose non sono andate cos. Sino alla met di
questo secolo la linguistica storica e comparata stata, bene o
male, la linguistica -i: ed ha costituito un modello di
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affidabilit e rigore disciplinari. Nuove idee ed attenzioni si sono
gradualmente imposte, talora in maniera non indolore; daltra
parte era quanto ci si doveva attendere, poich tutto ci che
realmente vivo evolve (e la linguistica non fa eccezione) tramite
il mutamento e larricchimento dei paradigmi scientifici. Se dun-
que si prescinde da periodiche rivelazioni messianiche e da san-
guinose ma al fondo ridicole guerre accademiche, si pu dire
che levoluzione disciplinare ha portato molti frutti anche alla
stessa arte etimologica. Ma, appunto, sulle nuove dimensioni
delletimologia si poco riflettuto.
Inizieremo dunque impostando, dallinterno delletimologia stessa,
i problemi di base; partiremo da alcuni esempi semplici.
Vicino a Dignano, in Istria, c una localit campestre detta
Pidiga. Essendo un toponimo neolatino, possibile risalire sulla
base delle leggi fonistoriche delle parlate della zona ad un agget-
tivo latino pblca. LIstria meridionale romana fu largamente sfruttata
dal punto di vista agricolo: gli agri dei centri romani maggiori
vennero divisi in parcelle (praedia) che ancor oggi conservano il
nome del loro primo proprietario e la risultante centuriazione
venne delimitata da confini interni ed esterni basati su strade e
viottoli. Una traccia resta nel significato della voce dignanese
ljmido sentiero, che risale a lmtem limite, confine, e nel nostro
toponimo, che evidentemente segnalava una (parte del percorso
di una) via pubblica.
Sempre nellIstria, attestato sin dallepoca romana il nome
di un borgo collinare, Piquentum. Il nome, per, non latino ed
evidentemente stato attribuito dagli Istri, la popolazione origi-
naria della penisola, ad una delle loro tante rocche fortificate
oggid definite castellieri. Stante il fatto che gli Istri parlavano
una lingua, appartenente alla famiglia indoeuropea, affine al venetico,
possibile analizzare il nome secondo le regole formative ed i
lessemi propri, appunto, di tale famiglia. Possiamo dunque rico-
noscere un suffisso derivazionale *-wento-, che si aggiungeva
Letimologia come processo di indagine culturale 11
generalmente a basi nominali per indicare una relazione di ap-
partenenza o una qualit
1
. Il lessema di partenza identificabile
in un *puko- col significato di pino, confrontabile col greco v:u -,
col lituano pus ed altre parole ancora. Sulla base di questa com-
parazione ci si rende conto che il toponimo istro doveva suonare
originariamente *puk(o)wentom, forma andata soggetta a dissimila-
zione (*Puquentum > Piquentum). Il significato originario del nome
era dunque (colle) dei pini, il che congruente con le caratte-
ristiche geografiche della zona.
Se seguiamo la storia medievale di questo toponimo ci attendono
altre istruttive sorprese. Le genti slave cominciarono ad insediarsi
in Istria a partire dallVIII sec. d.C. e recepirono di conseguenza
molti nomi locali dalle genti neolatine: uno di questi fu appunto
il nome che abbiamo indagato, che compare sia in sloveno che in
croato nella forma Buzet. Per quanto sconcertante possa apparire,
esso la resa slava di un *Bilgent(o) che nullaltro se non una
forma dialettale neolatina, evolutasi secondo la seguente trafila
Piquento- > *Bigento > *Bingento > *Bilgento. Se guardiamo allusua-
le forma neolatina del toponimo, ossia Pinguente, ci rendiamo conto
che alcuni dei fenomeni ora visti non sono condivisi, e lo stesso
vale per la forma darchivio (XI sec.) Puviendo, falsa restituzione
scritta di un parlato *Puvint. Che dire? Innanzi tutto che abbiamo
diverse forme derivate dalla forma latina, ossia *Pinguent
2
, *Puvient
e *Bilgent(o), tutte forme caratterizzate da fenomeni fonetici ben
documentati nei dialetti neolatini istriani: esse mostrano inequi-
vocamente che la divisione dialettale neolatina dellIstria inizia-
ta molto per tempo. In unarea geografica piccola e non densa-
mente popolata la differenziazione delle parlate neolatine dun-
que iniziata molto presto, e questa non informazione da poco
per lo studioso dei processi sociali e culturali alto medioevali.
1
Un confronto tra i tanti costituito dalla celebre espressione formulare della
poesia orale a noi giunta sotto il nome di Omero : v:i v: :i, le alate
parole, le parole che vanno diritte al bersaglio come frecce guidate dalle piume
poste vicino alla cocca.
2
Alla base della forma neolatina odierna.
Franco Crevatin 12
I casi sopra discussi presuppongono il rispetto di regole evolutive
precise di carattere fonetico; presuppongono, a titolo diverso, con-
tinuit linguistica ininterrotta dallet preromana e romana sino
ai giorni nostri; presuppongono un sapere extra-linguistico che
adeguatamente conforta in re gli etimi individuati.
Nel caso dei toponimi spesso siamo di fronte allincommensu-
rabilit dellipotesi emessa, perch il nome di luogo in quanto tale
non ha significato e frequentemente la sua motivazione linguistica
sincronica inaccessibile: insomma, un nome come Montebello
trasparente, Sorsole (prov. Bergamo) non lo
3
. Non mancano per
casi nei quali la motivazione ci resa nota, ed in tal caso, pur con
la dovuta prudenza, lesegesi etimologica viene resa possibile. Plinio,
il grande studioso latino morto per studiare pi dappresso la ter-
ribile eruzione del Vesuvio che seppell Ercolano e Pompei, raccol-
se nella sua Naturalis Historia una copiosissima messe di notizie
derivanti dallinsieme dellerudizione antica. Tra le tante informa-
zioni topografiche riguardanti le regioni e le genti dellIndia, egli
ci parla di una catena di contrafforti montuosi il cui nome sarebbe
stato Imaus, del quale ci viene detto che incolarum lingua nivosum
significante (N.H. 6, 64), ossia che nella lingua del posto significava
nevoso. Nel citare le fonti del suo sesto libro, Plinio ricorda il
geografo greco Megasthenes ed Alessandro Magno, intendendo
con questultimo le relazioni etno-geografiche fatte dagli studiosi
al sguito della vittoriosa marcia del Macedone. Il nome attesta-
to anche in Arriano (2, 3, 2; 6, 4, 2), in Strabone (2, 5, 31; 11, 8, 1,
etc.) ed altri, nella forma li . ,, dalla quale proviene con tutta
evidenza la forma latina. Deve dunque trattarsi di parola indiana:
se si tiene conto del significato che la fonte attribuisce al nome,
facile concludere che si tratta di un derivato di hima, m., neve,
ghiaccio, freddo, come il sanscrito himya- nevoso; nel nostro
caso, la spirante glottale iniziale non stata recepita dai parlanti
greci oppure si perduta nella tradizione manoscritta.
3
Per chi avesse tale curiosit, preciseremo che il nome un derivato dallagget-
tivo latino slceus siliceo, per la natura rocciosa della zona.
Letimologia come processo di indagine culturale 13
Un altro caso, ancora pi chiaro. Lo stesso Plinio (N.H. 6, 158,
8) ci tramanda un toponimo dellArabia che nella tradizione te-
stuale compare nella forma Aenuscabales: esso significherebbe la
fonte dei cammelli. facilissimo riconoscere i lessemi aain oc-
chio; fonte e gamal cammello
4
. La b- interna trova giustifica-
zione nel fatto che in molte lingue semitiche esisteva ed un
fatto fonetico molto comune unoscillazione b / w / m. Un pic-
colo problema , semmai, il fatto che ci si attenderebbe un plu-
rale (cammelli), plurale che in arabo avrebbe dovuto avere una
forma completamene diversa (nellarabo classico si trova jiml ed
ajml), ma la soluzione semplice: Plinio ha preso il toponimo
da una fonte, scritta od orale, greca, nella quale il nome di luogo
era stato grammaticalizzato secondo le regole della lingua greca,
ossia `A. , |i ` o sim.
Abbiamo toccato indirettamente un punto molto delicato, os-
sia la questione delle fonti, e di fatto esistono fonti di affidabilit
molto diversa.
Anche quando si raccolga materiale da lingue viventi, ci che
ci viene detto pu essere oggetto di dubbio, perch linformatore
tuttaltro che neutro e le risposte alle nostre domande ricadono
nella pragmatica linguistica dei rapporti tra intervistatore ed intervi-
stato. Chi risponde pu esser tentato di ricorrere ad un registro
espressivo colto, meno locale; pu temere di sembrare poco in-
formato, per cui abborraccia le risposte; pu risentire di influssi
derivanti dalla sua storia personale, utilizzare forme specifiche
della sua classe det o del suo sesso; pu infine essere o no
specialista o buon conoscitore di uno ma non di altri ambiti spe-
cifici. Resta per il fatto che la sua risposta, linformazione che
essa ci fornisce, pu essere lunico elemento esistente in nostro
4
La j- iniziale dellarabo classico uninnovazione, peraltro non condivisa, nep-
pure anticamente, da tutte le variet dialettali; la velare iniziale compare in tutte
le lingue semitiche e nei prestiti da esse irradiati (cfr. la glossa esichiana ii `
-i `, vii \i`oi. ,), come ad es. il latino camelus o legiz. (demotico)
gmwl, copto *kamoul, qamoul.
Franco Crevatin 14
possesso. Si tratta di cose note ma spesso dimenticate e ne forni-
sco un esempio personale.
Il p. V. Guerry un benedettino che per lungo tempo stato
in Costa dAvorio a contatto con la lingua e la cultura bawl.
Durante il suo apostolato raccolse uno splendido frasario france-
se-bawl basato sulle tante conversazioni da lui avute nei villag-
gi vicino a Bouak. Nel suo frasario manoscritto egli si sforzato
di fornire lequivalente bawl di molte espressioni emotive, psi-
cologiche, situazionali tipiche della cultura linguistica francese,
che egli ben sapeva erano difficili da tradurre in una lingua ed
una cultura tanto diverse. Tra le tante una mi rimase a lungo
incomprensibile: O ti klNgl nu un fatto mistico, letter. nel
k.. Potr sembrare cosa ovvia, ma bisogna riflettere sul fatto che
per un religioso (e per dei catechisti) laggettivo mistico ha notevole
rilevanza teorica e pratica. Quando stavo ormai per rinunciare
ad ogni esegesi (e dunque stavo per per avallare la scelta di p.
Guerry), trovai quasi casualmente la soluzione dellenigma. I Bawl
credono nellesistenza di stregoni (baefwE) che nottetempo fanno
uscire lanima dal corpo e si incontrano tra di loro per decidere
quale anima (wawE ) divorare. La dimensione misteriosa, non
percepibile dai comuni mortali ma riconoscibile facilmente dai
veggenti, nella quale si muovono ed agiscono gli stregoni in for-
ma di anime disincarnate appunto detta klNgl. A questo pun-
to diventa facile capire come lequivoco, nellinformazione o nella
traduzione, possa essere insorto. Se tanto pu capitare a specia-
listi, a maggior ragione si pu sospettare che capiti a dei non
specialisti.
Ci che vale per la fonte orale vale a maggior ragione per la
fonte scritta, che oltre tutto non possiamo interrogare. La tipologia
dei problemi che le fonti suscitano sterminata; possiamo limi-
tarci per ora a rilevare che qualunque testo scritto ha, per defi-
nizione, un suo fine ed una coerente funzione, in rapporto con
altri testi ed stato progettato e redatto per i suoi potenziali
fruitori. dunque chiaro e questo, purtroppo, lo sappiamo bene
che pu essere stato scritto per ingannare, o essere inadeguato
Letimologia come processo di indagine culturale 15
al proprio fine, oppure ancora disuguale nellinformazione, fatto
questo comunissimo. E tutto ci va visto sulla trama della tradi-
zione scrittoria del testo stesso, tradizione che pu vantare secoli
di storia, di errori e di fraintendimenti.
Vediamo un caso curioso. La seconda met del XIX secolo ed
i primi decenni del XX sono stati una grandissima stagione per
la lessicografia dialettale italiana. Grandi vocabolari come quello
di Cherubini per il milanese, di Di SantAlbino per il piemontese
e tanti altri ci hanno lasciato in eredit un patrimonio di fatti
ormai scomparsi dalla memoria. Tra queste grandi opere ce n
tuttavia una curiosa, il Vocabolario vernacolo-italiano pei distretti
roveretano e trentino di G.B. Azzolini: redatta prima del 1853, lopera
fu compendiata (!) e curata per la stampa da G. Bertanza (Vene-
zia 1856). Cosha di curioso tale vocabolario? Il fatto che spesso
solo a fatica si capisce il senso delle parole trentine, poich lau-
tore nellesporne il significato toscaneggia in maniera caricaturale,
quasi il suo fosse un esercizio di come si possano dire meglio le
cose in fiorentino illustre di quanto si possano dire nel vernacolo,
il che francamente buffo se pensiamo di avere tra le mani sem-
plicemente un vocabolario dialettale. Se noi leggiamo il Vocabo-
lario come un documento del dialetto e sul dialetto non possiamo
che rimanerne delusi, ma il fatto che lintera stagione vocabolaristica
dialettale italiana stata consapevolmente mirata a colmare il
divario tra i dialetti e litaliano, la lingua di una nazione e di uno
stato che si stavano costituendo. Al di l dellamore per il natio
loco, pur percepibile nelle opere migliori, lo scopo di fondo dei
vocabolari era didattico, non tanto quello di illustrare il dialetto
a chi non lo sapeva o ai linguisti (!) basti dire che sino alla met
del XX secolo i dialettofoni in italia sono stati larghissima mag-
gioranza bens insegnare litaliano a partire dal dialetto. Era
dunque logico, per lAzzolini, toscaneggiare.
Capire una fonte significa capire le motivazioni che le stan-
no alla base. Buon criterio filologico, almeno per quanto riguar-
da le fonti antiche, dar fiducia a quanto ci viene detto: linfor-
Franco Crevatin 16
mazione pu di fatto essere imprecisa o sbagliata, ma anche in
tal caso utile sforzarsi di capirla. Un buon esempio ci viene
offerto da alcune delle informazioni che Macrobio, un letterato
latino della seconda met del IV sec. d.C., ci fornisce, quasi
occasionalmente
5
, sullEgitto antico. Il Nostro non conosceva
direttamente lEgitto, per cui si servito di pi antiche fonti
qualificate: quando egli ci parla (7, 13) delle teorie fisiologiche
egiziane sul dito anulare (sulle quali ritorneremo) o del fatto
che il geroglifico della vacca indicava la terra (1, 19), egli di-
pende dagli studi rispettivamente di Apione e del sacerdote-
filosofo Chairemone, ed ambedue le notizie sono di buona qua-
lit. Non sappiamo da chi dipenda la notizia delle immagini
alate del sole (solis simulacra pennata; 1, 19), che evidentemente
si riferisce al comune emblema decorativo e scrittorio , n la
descrizione del dio adorato ad Eliopoli (1, 23). Secondo Macrobio,
si tratterebbe di Giove in quanto sole, ma noi sappiamo che non
cos: un dio in posizione eretta, con la mano destra alzata che
stringe una frusta (come un auriga), non pu essere che il dio
Min. Stranamente scomparso il particolare dellitifallia, e per
contro si dice che nella mano sinistra il dio stringe delle spighe
di grano ed il fulmine: questi particolari non hanno nulla di
iconografico, per quanto noi ne sappiamo, tuttavia possiamo
facilmente supporre che ci sia stato un fraintendimento proprio
nella fonte di Macrobio. Le spighe di grano hanno infatti gran-
de importanza nella festivit del dio ed inoltre il geroglifico
con il quale si scriveva il nome di Min, , era casualmente
identico alle forme convenzionali che il fulmine assumeva
nelliconografia greca e romana. Il fraintendimento pi curioso
quello riferito in 1, 21: Macrobio dice che gli Egiziani raffigu-
ravano le immagini del sole col capo rasato solo a sinistra, perch
a destra la chioma restava intatta. Non cos: o meglio, il rife-
rimento alla ciocca di capelli

che veniva lasciata intatta


5
La sua opera maggiore, i Saturnali, dedicata prevalentemente a problemi let-
terari.
Letimologia come processo di indagine culturale 17
sullla testa rasata dei bambini: e bambino veniva raffigurato il
Sole che emergeva dal fiore di loto sbocciato nellAbisso pri-
mordiale.
Se questo accade con le tradizioni culturali, facile immagi-
nare quanti problemi possano confrontarci quando delle fonti
antiche ci tramandano parole in lingue esotiche o comunque
sconosciute al redattore del testo: agli errori suoi, ahim sem-
pre possibili
6
, si assommano gli errori della tradizione mano-
scritta, dovuti ai copisti.
Come facile intuire, gli esempi adducibili sono numerosissimi.
Qui ne riporter qualcuno, avendo scelto casi di facile o co-
munque di ragionevole leggibilit etimologica. Esichio (v.
sotto) attribuisce ai Persiani
7
la parola i .), aquila, parola
che corrisponde allavestico rzifya-: per difficile che i
Greci abbiano reso con la -ks- la -z- iranica, per cui possi-
bile che la forma indizi piuttosto una voce dialettale orien-
tale pi vicina al corrispondente sanscrito pjipya-: altrettanto
possibile per una confusione del copista greco tardo tra
e . Sempre in Esichio troviamo un interessante A:.i ,
glossato A.o, aldil: voce che dipende dallideologia
religiosa zarathustriana,: il nome dello spirito supremo del
male, aNr mayniu (Arimane), evidentemente pensato come
signore del mondo dei morti dannati
8
. Per contro, la voce
o. i cielo difficilmente di mbito zarathustriano, per-
siana, sogdiana o meda, perch in queste lingue il nome del
cielo asman- ed ha sostituito i derivati, pi antichi, della
radice indoeuropea *dei- brillare. Dobbiamo dunque con-
cludere che sotto letichetta Persiani, la fonte di Esichio
abbia inteso far riferimento ad una gente sottomessa allim-
pero persiano e probabilmente di lingua iranica, ma di tipo
6
Sino a non troppo tempo fa non esistevano strumenti per trascrivere, se non
impressionisticamente, le lingue altre dalla propria.
7
Desumendole da opere, a noi non pervenute e di data non precisabile, di autori
Greci sullImpero persiano.
8
La precisazione indispensabile, perch nello zarathustrismo laldil non un
concetto negativo: i giusti (si veda la stessa glossa di Esichio i i. . eroi, un
derivato dal nome dellOrdine e Giustizia cosmici, pta-, avestico aa-) possono
legittimamente aspirare ad un destino di felicit.
Franco Crevatin 18
culturale e linguistico molto conservatore
9
. Sempre in Esichio
troviamo qualche parola indiana: talora essa trasparente,
come i. grande = mah

(femm.!), talaltra pone problemi


irritanti; esempi di questultima categoria sono 3i.c , ac-
campamento militare, composto il cui secondo termine
quasi certamente sen esercito ma il primo ignoto, e |i oi,
dalle corna di toro, che pare indubitabilmente rinvenire a
Gandharva-, nome di una categoria di esseri divini pensati s
con fattezze animali (precisamente, di cavallo: induismo vedico
e classico) ma non taurine.
Citiamo ora un caso che esemplifica bene unaltro dei pericoli
sempre sottesi alla pratica etimologica, ossia lassonanza.
Nel VI sec. d.C. un professore greco di grammatica di Ales-
sandria dEgitto di nome Esichio, del quale nullaltro sappiamo,
redasse unimponente raccolta alfabetica di parole difficili o rare,
significative per la loro coloritura dialettale, semantica o per lambito
letterario dorigine: la celebre ui (Raccolta), giuntaci
in un solo codice. Il materiale che essa contiene molto impor-
tante, poich lautore ha spogliato e rifuso una quantit di lessici
specialistici della filologia alessandrina, per cui ogni sua affer-
9
Ritengo che il tipo asman- cielo sia uninnovazione lessicale in parte almeno
imputabile allo zoroastrismo: lo zoroastrismo infatti aveva posto in assoluto primo
piano la figura di Ahura Mazda, il Signore Saggezza, con la conseguenza che
gli asura nel loro complesso erano considerati dei beneficenti, mentre i daeva
erano diventati i demoni. Insomma, quasi una posizione opposta a quella del
vedismo, dove deva il dio positivo ed asura il dio ambiguo e spesso negativo.
La situazione originaria della religione indo-iranica prevedeva degli dei della
Prima Volta, per cos dire, ossia deit legate al mondo primigenio (gli asura), e
le divinit creatrici, della Storia (i *daiva-). In India il massimo dio degli asura era
Varua, il dio delle Acque Primordiali che risiedeva nella rocciosa Montagna Cosmica.
Cosmologicamente tale montagna, nella quale scendeva il sole dopo il tramonto,
equivaleva al cielo notturno, immaginato in posizione speculare sopra la terra,
dimodoch cera unequivalenza culturale e cosmologica tra il cielo (notturno) e la
roccia. Orbene, Ahura Mazda fondamentalmente una rielaborazione di Varua
ed etimologicamente asman- cielo vale roccia. Come si vede, i conti sembrano
tornare. probabile che Zarathustra abbia spinto semplicemente alle estreme
conseguenze una distinzione religiosa che comunque gi esisteva tra le genti
iraniche ed indiane, distinzione che per non era binaria: in alcune lingue scitiche
(ad esempio nellosseto moderno, che continua una di tali lingue), lantico *daiva-
conserva valori positivi.
Letimologia come processo di indagine culturale 19
mazione va presa sul serio. vero, molte glosse suscitano pro-
blemi che spesso non siamo in grado di risolvere, talora possono
essere revocate in dubbio per la forma in cui ci sono giunte, ma
non possono essere sottovalutate a priori. Una glossa di primo
acchito davvero sorprendente: essa recita ` |ii , u .c,
): , Ramas: il sommo dio. Balza immediata alla coscienza la
connessione con lindiano Rma, eroe del Rmyaa (il poema epico
attribuito a Vlmki), considerato unincarnazione del sommo dio
Viu. In se stessa la cosa sarebbe tuttaltro che impossibile, poi-
ch la conquista di Alessandro Magno apr contatti diretti tra
India e Mediterraneo. Gi il grande Macedone si fece accompa-
gnare nella sua spedizione da una pattuglia di studiosi e dopo di
lui parecchi storici ed etnografi, nutriti di tante informazioni fornite
da mercanti e marinai, scrissero sullIndia e sulle sue genti: era
ad esempio noto che sacerdoti ed asceti indiani venivano detti
3ii :, brahmani (voce presente anche in Esichio) e, proba-
bilmente tramite Megasthenes, Plinio (N.H. 7, 22) riferisce, pur
senza comprenderle, le loro pratiche yoga. Palladio (de gentibus
Indiae 2, 39) mostra di conoscere il teonimo Brahma (nella forma
3ii ) ed era in generale nota, anche se spesso fraintesa, la
divisione castale. Se volessimo poi citare fatti culturali pi gene-
rali il nostro elenco si farebbe molto lungo
10
. Dunque, che ci
sarebbe di strano nel trovare citato anche il teonimo Rma?
Nonostante lequivalenza fonica, il significato congruente e la
credibilit del quadro dinsieme, linterpretazione indiana sa-
rebbe clamorosamente errata.
Teniamo conto che lopera di Esichio ci giunta, come si det-
to, in un unico esemplare manoscritto e dunque sempre bene
accertare, nel limite del possibile, se la glossa sia o no corrotta. Il
modo di lavorare di Esichio consisteva nellestrarre il lemma, con
lavoro proprio o basandosi su altri lessicografi, da un locus classicus,
ossia un passo tratto da un testo specifico. Nella raccolta troviamo
anche la glossa ii u ` (ram: lelevata) che presenta trop-
10
Oltre parleremo del celebre Periplo del Mar Rosso.
Franco Crevatin 20
pe analogie con la nostra perch il rapporto tra di esse sia casuale,
anche se non si fa alcuna menzione di un dio. Abbiamo dunque
motivi di ritenere che il locus classicus possa essere individuato nel
grammatico Stefano di Bisanzio, il quale (Ethnika 411, 7) ci racconta
una storia che fa andare a posto tutti gli elementi: la citt siriana
di Laodicea era chiamata anche ii )i, perch col un pastore,
sfiorato da un fulmine, aveva detto ramnthas, ossia Stefano si
premura di aggiungere il dio dallalto, poich nella lingua lo-
cale ramas vuol dire laltezza ed athas il dio. In effetti in aramaico
rm (< *rwm) vuol dire alto, ma la situazione abbastanza
complessa. In primo luogo la divinit alla quale ci si riferisce il
dio Hadad, dio del fulmine e della tempesta, il cui nome locale era
Rammn: nellespressione del pastore va dunque riconosciuta une-
spressione del tipo Rammn + at
h
, ossia Tu sei Ramman!, espres-
sione congruente con lepifania del dio stesso. Lathas signore di
Stefano di Bisanzio non dunque una voce autonomamente esi-
stente, ma una reinterpretazione del pronome personale aramaico
e la connessione semantica con laltezza certo secondaria.
chiaro adesso che la glossa dalla quale siamo partiti si
costituita per conflazione e sovrapposizione di informazioni e
non affatto escluso che il responsabile dellerrore sia stato il
frettoloso copista del testo. Svanisce comunque il miraggio in-
diano e si profila il Vicino Oriente.
Letimo ha carattere fattuale. Esso altrettanto concreto quan-
to un reperto archeologico o un documento darchivio: sottova-
lutarlo, per disistima nella linguistica o nei linguisti, per i quali
notoriamente le vocali non contano nulla e le consonanti molto
poco, operazione ingenua e pericolosa. Riconoscere allorigine
del latino marra tipo di zappa a lama larga
11
una voce vicino-
orientale antica
12
significa ammettere, vista la povert tecnologi-
11
Continuatosi in alcune variet romanze, REW 5370: la voce forse passata al
greco i Esichio.
12
Sir., arab. marr(), accadico marru(m), egiziano mr (P. Tanis 14, 4 come signifi-
cato dellideogramma
M
zappa), tutti dal sumerico mar con lo stesso senso.
Letimologia come processo di indagine culturale 21
ca dellartefatto, unantichissimo prestito legato allespansione
dellagricoltura. Naturalmente, le cose non si presentano sempre
con tale evidenza o incidenza storica. Un ulteriore esempio aiu-
ter a capire meglio ci che qui intendiamo.
In moltissime lingue indoeuropee si trovano designazioni del
cavallo che presumono unidentica parola originaria, ossia *ekwos:
il sanscrito ava, il latino equus, il greco . vv, (ma . --, in
et micenea), irlandese ant. ech, tocario B yakwe, ecc. Ci mostra
che molte genti di lingua indoeuropea gi nella loro preistoria
hanno conosciuto lanimale in questione. Conosciuto, certo; ma
utilizzato per che cosa? Letimo in se stesso non lo pu chiarire.
Due designazioni slave ci forniscono materiale istruttivo per
la riflessione, da una parte lo slavo ecclesiastico antico velbo d
cammello, prestito dal gotico ulbandus, a sua volta dal greco
: `: )i, elefante, e dallaltra lo slavo comune slon() elefan-
te. Esse ci mostrano che i nomi di animali possono esser oggetto
di prestito ed adattamento e che anche concordanze vaste come
quella relativa a slon() possono essere ingannevoli, poich ov-
viamente gli Slavi non hanno mai conosciuto nel loro ambiente
geografico lelefante (e non a caso pare che la voce sia di origine
turca ed indicasse originariamente il leone asiatico). Per tornare
al cavallo, potremmo dire che la sua presenza e rilevanza nel
mondo indoeuropeo antico ci garantita dalletimo, ma ci potr
esser davvero precisata solo dalle tradizioni storiche e soprattut-
to religiose delle genti in questione
13
.
Un altro caso istruttivo fornito dalla terminologia tardo la-
tina ed alto medievale dellaratro. Lagricoltura romana della
repubblica e del primo impero era s intensiva, ma il suo appa-
13
Non possiamo seguire qui questa complessa vicenda in tutti i suoi dettagli.
Limitiamoci a ricordare che il cavallo era animale prezioso, non destinato al la-
voro. La sua posizione eccezionale (spesso lo si riteneva di discendenza divina),
lo rendeva adatto per sacrifici particolarmente importanti. Non veniva cavalcato,
almeno di norma, ma dallet del bronzo in poi veniva utilizzato per il cocchio
da guerra.
Franco Crevatin 22
rato strumentale non era n forse poteva essere troppo avan-
zato. Laratro era lo strumento principale, era di tipo leggero e
scassava il suolo quasi solo in superficie: gli aratri tradizionali
della Sardegna interna dei primi decenni del secolo mostrano
chiaramente lestrema primitivit dello strumento: un solo pezzo
di legno, con lungo timone ed una punta ricurva, talora rinfor-
zata da un puntale metallico. Il tipo linguistico aratrum rimasto
solido nel mondo romanzo, sostituito talora da termini che de-
nunciano limportanza che laratro aveva agli occhi del contadi-
no (*organium in Istria, *orgna in Friuli: lattrezzo per eccellenza;
*apparamentum nel latino regionale documentato dallalbanese
parmnd). Talora laratro prende nome metonimicamente da una
delle sue parti costitutive, versrium (ad es. nel ven. versr) dal
nome del vomere che riversa le zolle, quadriga (in parte delle
cosiddette aree ladine) o carrus per la parte anteriore, talora con
ruote, dello strumento. In alcune aree dellItalia settentrionale
entr invece un tipo concorrente di origine langobarda, latinizzato
nella forma plovum (e dunque affine al ted. Pflug e sim.), tipo che
ebbe fortuna anche in una parte del mondo slavo meridionale.
Perch ci sia avvenuto presto detto: le genti germaniche intro-
dussero nel mondo dellex Impero Romano doccidente non solo
il collare per cavallo fondamentale miglioria per laggiogatura
del cavallo da lavoro
14
ma altres laratro pesante, che scassava
in profondit il terreno, uno strumento adatto ai duri e spesso
gelati terreni settentrionali ma che si rivelava estremamente vantag-
gioso anche in quelli dellEuropa meridionale.
Credo che non occorra insistere oltre sulla fattualit delletimo.
Da pi di un punto di vista letimologia rassomiglia alla divi-
nazione. Anche nella divinazione, che, come noto, riguarda tra-
dizionalmente molto pi spesso il presente ignoto ed il passato
14
I Romani aggiogavano il cavallo alla maniera dei buoi, il che affatica notevol-
mente lanimale. [recentissime ricerche sembrano tuttavia far ritenere che i Ro-
mani, pur senza conoscere il collare, conoscessero e praticassero un'aggiogatura
equina appropriata].
Letimologia come processo di indagine culturale 23
piuttosto che il futuro, c uno specialista che non pu mancare
di una certa capacit intuitiva. Essa non una qualit misteriosa,
poich lindovino conosce la societ nella quale vive ed opera,
conosce i problemi che pi comunemente si incontrano ed il quadro
in cui si collocano. Lo stesso fa letimologo, il quale riconosce
per consolidato mestiere la tipologia dei problemi che incontra:
come lindovino, egli prima ancora di porsi un problema etimologico
analizza il contesto nel quale si colloca loggetto della sua ri-
cerca. Qui, quasi casualmente, tocchiamo un fattore delicato, quello
dellincommensurabilit. Ebbene, un etimo, preso isolatamente,
talora difficilmente giudicabile in termini di accettabilit, ma
per contro facilmente valutabile per le procedure ed i contesti
sulla base dei quali stato proposto. Nel greco moderno esiste
una voce, )i i, che significa discendenza, stirpe, razza; corpo-
razione. Orbene, se noi dovessimo giudicare quale sia letimo
corretto, se il langobardo fara discendenza, lignaggio; gruppo
familiare in spedizione oppure lalbanese far seme, progenie,
gruppo, razza, non potremmo decidere sulla base dei soli dati
linguistici, perch ambedue gli etimi sono formalmente possibili.
Di fatto essi non sono altrettanto accettabili, poich mentre sap-
piamo che in Grecia sin dal Medio Evo esistita una notevole
presenza albanese e possiamo documentare numerose parole passa-
te dallalbanese ai dialetti greci, lunico punto di incontro tra grecit
ed ambiente langobardo stata lItalia meridionale durante lepoca
del ducato di Benevento e non abbiamo ragioni documentarie per
credere che in quel breve lasso di tempo una siffatta, isolata voce
germanica abbia potuto prender stabilmente dimora nel lessico bi-
zantino. Dunque la prima ipotesi pi economica della seconda.
Analogamente agisce lindovino: se un uomo attaccato da
qualche sconosciuto con mezzi di stregoneria, pu ben essere che
il colpevole sia il tal dei tali con il quale il paziente a suo tempo
ha litigato, ma pi economico pensare che laggressore sia una
persona della stessa famiglia dellaggredito: fin troppe possono
essere le ragioni dinteresse e troppo potenzialmente pericolosa
la quotidianit per essere sottovalutate.
Franco Crevatin 24
Anche lindovino ha delle regole precise dalle quali non pu
prescindere, cos come letimologo deve fare i conti con le leggi
fonistoriche. Sulla base di tali procedure si giunge al responso ed
alletimo. Ma quali possono essere le caratteristiche di tale punto
darrivo? In genere lindovino ha ben chiaro che il responso al
quale giunge, per inequivoco che possa a tutta prima parere, pu
esser compreso appieno solo dal consultante: anzi, la consulta-
zione governata da una lunga interazione tra specialista e cliente
ed il responso determinato dallinterazione stessa. Ci accade
anche per tecniche divinatorie che a tutta prima sembrerebbero
basate su regole ineludibili e per cos dire oggettive. Il geomante
somalo (faaliye), la cui scienza di origine araba pur se in parte
riformulata, traccia sulla sabbia, con procedure tali da rispettare
il caso, quattro figure (case) delle 16 possibili: ognuna di esse
costituita dalla successione di quattro piani verticali nei quali
compaiono uno o due trattini / punti (versetti), ha un nome ed
una serie di possibili significati. Ad es.


la casa di nome bayaad < arabo bay bianco e pu in-
dicare, oltre al colore che essa denota, un fatto negativo in caso
di malattia (bianco il colore della morte) o di animali perduti,
ma un fatto positivo quando la consultazione avvenga a propo-
sito di donne o ragazze. Tracciate le 4 figure, il geomante le legge
in orizzontale da destra a sinistra, disponendo i segni dallalto
verso il basso ed ottenendo cos quattro nuove figure. A questo
punto le due di destra indicano il passato del fatto indagato e
quelle di sinistra il proseguimento temporale del fatto stesso.
Ulteriori trasformazioni sono possibili e le possibilit esegetiche
si ampliano considerevolmente (ad es. la riduzione 4 > 2 > 1, la
somma totale dei trattini ed altro ancora), per cui il faaliye ha
molti possibili responsi tra i quali teoricamente scegliere. Di fat-
Letimologia come processo di indagine culturale 25
to, egli sceglie assieme al consultante e si potrebbe tranquillamen-
te dire che lindovino uno strumento che per agire abbisogna
dellindirizzo e delle scelte di chi lo usa. Basti dire che se alla
fine delle trasformazioni egli dovessere ottenere il segno jamaac
(formato da due versi su ciascuno dei quattro piani) il responso
sarebbe, coerentemente con il nome di palese origine araba, una
riunione di persone, senza che per questo si possa sapere se si
tratta di una riunione festiva (ad es. un matrimonio), luttuosa
(un funerale), unassemblea religiosa o una battaglia. Insomma,
quanto diceva gi Seneca il Giovane a proposito dei portenti
divinatori rivelati, secondo la disciplina etrusca, dai fulmini (Natur.
Quaest. 2, 32, 6: Auspicium observantis est un auspicio tale per
coloro che lo colgono).
Ci sono problemi etimologici che letimologo pu risolvere
senza mediazioni, ossia con gli strumenti che gli sono professio-
nalmente propri, e responsi che lindovino pu ricavare senza
interventi esegetici speciali. Una volta che letimologo abbia ben
chiare le regole fonistoriche dei dialetti istriani meridionali e sappia
altres che in tali dialetti (e non solo in essi) il suffisso diminuitivo
latino -llu(s) spesso si presenta ampliato nella forma -llione(m)
pu agevolmente comprendere che il rovignese sin uccell(in)o
risale al latino aucellus tramite *auclline-. Analogamente qua-
lunque Guro (gente della Costa dAvorio centrale) pu consulta-
re con successo loracolo del topo.
Sul fondo di un orcio si dispone ordinatamente una barretta
orizzontale di legno alla quale sono fissati dieci bastoncini
mobili, ognuno dei quali identifica un referente particolare
secondo questo schema:
A B
persona viva persona morta o essere della boscaglia
1A 2A 3A 4A 5A 1B 2B 3B 4B 5B
1A bambino o bambina 1B vecchio
2A adulto 2B vecchia
3A ragazza non sposata 3B portatore di sventura
4A donna con molti figli 4B sacrificio
5A vecchio 5B stregoneria, pericolo
Franco Crevatin 26
Sopra ed attorno a tale congegno si sistema del cibo, si libera
un topolino vivo e poi si copre il recipiente. Dopo un giorno
si accerta quali bastoncini si siano sovrapposti vicendevol-
mente a causa dei movimenti del topo e si legge il responso.
Ad esempio se 5A e 1B sono sopra 5B vuol dire che un vec-
chio vivo (5A) viene portato nel mondo dei morti (B) da un
vecchio antenato (1B) e quindi in pericolo di morte (5B).
Situazioni di questo genere, passabilmente meccaniche, sono
molto meno frequenti di quanto saremmo disposti a credere, sia
nella divinazione che nelletimologia. Partiamo pure da un etimo
molto banale, quello dellitaliano settentrionale ca(d)rega se-
dia. Non c chi non veda che letimo il latino cathdra passato
gi nel latino parlato det imperiale a cathdra (> cadre(d)a e
sim.). Laspetto formale non esaurisce letimo nella sua storia,
perch la sedia non una cattedra. Il fatto che la cattedra
non era un arredo domestico n in et tardo antica n in et alto-
medievale, quando per sedersi ci si serviva di semplici sgabelli.
Sopravvissuta in ambiente ecclesiastico, la cattedra si connotata
fattualmente per la presenza dello schienale e solo in un secondo
momento, in questa nuova veste, stata accolta nella dimensione
privata. Potremmo dire che letimologo si pu trovare di fronte
ad imbarazzanti problemi ogniqualvolta egli si trova ad indagare
su una parola che abbia una qualche dimensione culturale. Ecco,
dunque, il fatto nel quale lanalogia tra divinazione ed etimologia
pi precisa, ossia letimologo, come lindovino, ha bisogno di
poter contare su un sapere che esubera quello a lui proprio come
specialista, un sapere che d misura e concretezza alla sua ipo-
tesi semantica. Vedremo in sguito quali possano essere i saperi
ai quali conviene far ricorso; per ora limitiamoci a rilevare che
ben difficile stabilire a priori quale parte del lessico di una lingua
possa essere culturalmente connotata: se si indaga etimologica-
mente la storia linguistica di una cultura ben conosciuta, come
ad esempio la sequenza latino > tardo latino > lingue romanze
medievali, ci si pu attendere di incontrare problemi forse diffi-
cili ma almeno commisurabili su conoscenze comprovabili. Se
indaghiamo invece storie di parlanti culturalmente poco noti o
Letimologia come processo di indagine culturale 27
molto antichi oppure pratichiamo letimologia su vasta scala compa-
rativa (linsieme della famiglia indoeuropea, poniamo) i proble-
mi assumono caratteri molto complessi.
* * *
Da quanto sin qui detto possiamo trarre una conclusione pre-
liminare che ci servir oltre come prospettiva di metodo. Leti-
mologia un importante strumento della ricerca storica lingui-
stica e culturale: essa si configura come un dominio complesso
che, pur basandosi sulla linguistica come disciplina fondante, implica
a pieno titolo linterazione di altri mbiti disciplinari, primi tra i
quali lantropologia come scienza della cultura e lo studio della
cognizione.
Dobbiamo ora indagare pi da vicino i temi sopra accennati.
Franco Crevatin 28
Letimologia come processo di indagine culturale 29
LA RICERCA DEL VERO: LA RIFLESSIONE SULLA LINGUA
Abbiamo detto che proprio degli esseri umani ricercare il
vero: possono, purtroppo, essere occasionalmente economi nei
confronti della verit, possono oltraggiarla, disconoscerla, ma non
possono ignorarla. Conosciamo tutti, purtroppo, lesistenza di verit
ufficiali, ideologicamente costruite, o di verit per cos dire individuali
(quante volte ci siamo sentiti dire Ti dico la verit,... il che
significa semplicemente Ti dico chiaramente quanto penso, e
nelle quali il vero in quanto tale o pu essere un misero acces-
sorio), ma di ci non ci occupiamo qui.
Una delle culture che pi chiaramente ha sottolineato il ruolo
della Verit stata quella egiziana antica. In essa la verit coin-
cideva con la giustizia e con lordine cosmico ed era personifica-
ta in una figura divina, mAat (copto sah. me, boh. mhi). La dea
Maat, rappresentata con una piuma di struzzo sul capo e talora
sostituita dal simbolo (vii c, BGU 5, 1, 9, 195 ed Horapoll.
2, 118) della sola piuma

, era lelemento fondante della realt e


lofferta di una sua immagine agli dei demiurghi era un atto
rituale essenziale nella liturgia templare. (Negli inventari templari
di et tolemaica viene definita, correttamente, A.-i.cu Giu-
stizia; P. David 1 r. 1,1,1,2,11). Il suo contrario, jsft, era la falsit,
il disordine, lingiustizia, un fatto non solo esiziale per lindivi-
duo bens per lintero cosmo. E potremmo facilmente moltiplica-
re gli esempi: nella lingua bororo (Brasile) r ki non solo la
verit ma anche leccellenza; nella lingua dogon na na sia il
vero che il giusto; nel somalo run (f.) la verit e la realt; nella
lingua ndogo (Sudan) du significa vero, reale e giusto; e cos via.
La ricerca e la scelta del vero costitutiva dellordine sociale e
talora dellintero equilibrio cosmico: opinioni tipologicamente
simili a quelle egiziane erano alla base del mondo spirituale delle
genti Arie, le antiche genti della Persia e dellIndia. ta e mi
limito alla cultura vedica lordine del cosmo, il valore essen-
ziale su cui esso si fonda, ed valore morale perch la voce
indica altres ci che vero e giusto: Varua, il sommo iddio, era
Franco Crevatin 30
il pastore di ta (Rtasya gop), linflessibile custode della sacert
del giuramento e delle Acque primordiali.
Perch la ricerca del vero possa essere trasferita a livello del
linguaggio umano in se stessa la procedura non sarebbe affatto
obbligata devono sussistere alcune premesse interrelate, ossia
che nella cultura data ci sia interesse per la lingua come fenome-
no del reale e che su di essa si sia in qualche modo formata una
teoria, esplicita od implicita.
Lessere umano un animale sociale neurologicamente e psi-
cologicamente capace, vorremmo dire costretto, a costruire for-
me potenzialmente sempre nuove di cultura: per antichissima
norma imposta dalla realt altres un soggetto, sia come in-
dividuo che come gruppo, plurilingue. Egli dunque sa bene che
esistono, anche a pochi passi da s, da quello che considera il
centro del (suo) mondo, gruppi che non condividono il suo lin-
guaggio e con i quali la comunicazione difficoltosa oppure
addirittura impossibile. stata lideologia filosofica romantica e
conseguente pratica politica e sociale che ci hanno portato a cre-
dere alla naturalezza delle Nazioni (e del supposto loro Spirito)
e degli stati nazionali.
Anche quando, con pressoch inevitabile etnocentrismo lingui-
stico e culturale, le genti hanno attribuito al proprio uso valore di
normalit umana assoluta, di norma sulla quale misurare la devianza
altrui, essi sapevano bene che gli altri, i barbari, vivevano in un
universo altrettanto comunicante. Anche se ci non ha portato sempre
e dovunque ad interesse o curiosit per le lingue degli altri, ha
indubbiamente stimolato a riflettere sulla propria stessa lingua.
Ambedue questi fatti costituiscono i presupposti per il sorge-
re delletimologia e dovremo adesso considerarli pi da vicino.
La curiosit per le altre lingue nasce dal bisogno; quanto meno
tanto ci spingono a credere i documenti pi antichi e non pare un
caso che la lessicografia sia nata in ambiente accadico sin dagli
inizi del III millennio. Le genti semitiche della Mesopotamia, ed in
seguito della Siria, non solo vivevano in un ambiente dove molte
Letimologia come processo di indagine culturale 31
erano le lingue in uso, ma dipesero largamente dalla precedente
cultura sumerica, linguisticamente non semitica. Opportunamente
la situazione stata definita di bilinguismo culturale. I Sumeri,
che probabilmente non erano neppure autoctoni della regione e la
cui lingua o tale sembra a noi completamente isolata ge-
neticamente, imposero i propri modelli non solo sulle genti semi-
tiche della Mesopotamia e della Siria, ma altres su tutte le genti
vicine. Linfluenza fu cos forte che gli Accadi, pur parlando una
lingua profondamente dissimile da quella sumerica, non esitavano
a ritenere che la loro lingua fosse tamlu immagine dellammirato
modello, cio perfettamente corrispondente. Eppure non mancaro-
no mai di guardare alle lingue delle genti che ritenevano cultural-
mente pi povere con stupore malamente velato di disprezzo: lin-
gue di cani, basate su espressioni non solo incomprensibili ma
addirittura non trascrivibili. Nab, il dio che tra laltro presiedeva
alla scrittura, era detto sniq mitxurti il controllore dellequivalenza,
della traduzione, ma lequivalenza era valida solo per le lingue di
cultura. Si talora sostenuto che gli Accadi sembrano aver co-
nosciuto il mito di unorigine comune delle lingue umane, che
solo nel tempo si sarebbero differenziate e degradate, ma gli Accadi,
pi che insistere su unorigine linguistica, paiono essersi riferiti
ad unoriginaria comunanza culturale. Comunque sia, il bilinguismo
culturale e lassunzione del complesso sistema grafico sumerico
pose rapidamente il problema della formazione degli scribi: per
comprendere correttamente e ritrasmettere il ricco sapere, anche
religioso, sumerico bisognava saper leggere e scrivere i documenti.
Questa esigenza si reific in una forma testuale specifica, la lista
di parole: fosse essa mono- o bilingue (sumerico, sumerico-accadico)
essa raccoglieva, spesso con unordine acrografico (ossia basato
sul primo segno della parola) voci complesse, rare, comunque im-
portanti di un determinato mbito del sapere. Esistevano liste diverse,
largamente standardizzate, che venivano utilizzate in tutte le scuole
templari scribali del Vicino Oriente. Ad Ebla, dove probabilmente
almeno una parte dei maestri pare essere stata accadica, situazio-
ne che doveva essere alquanto diffusa in tutto il Vicino Oriente
Franco Crevatin 32
antico, abbiamo liste nelle quali la lingua darrivo era il dialetto
semitico locale e talora in esse stata registrata la pronuncia della
parola sumerica. Il titolo di una delle pi importanti liste, -bar
unken lista della riunione dove per riunione par di dover in-
tendere linsieme che aspira ad essere totalit, significativo dello
spirito nel quale le liste in quanto onomastika sono state concepite:
il mondo descrivibile con una serie di etichette linguistiche. Non
un fatto isolato, poich la stessa idea soggiace agli onomastika
egiziani antichi ed un atteggiamento che pu esser riassunto
nellaffermazione la lingua una nomenclatura. Alla fin fine,
non quanto implicitamente affermano molti miti di creazione
basati sulla Parola del Demiurgo? Pi sottile, invero, il discorso
biblico: Dio nomina, ma anche lUomo su mandato di Dio
nomina ed i nomi che impone sono destinati a durare. Tuttavia,
alla fin fine, anche il dettato biblico presuppone la nomenclatura.
Vedremo nel corso di questo libro che unipotesi teoretica di que-
sto genere pericolosa e scientificamente infondata. Non si tratta,
infatti, di etichettare semplicemente oggetti del reale, bens pro-
dotti culturali che, in quanto tali, sono sempre determinati; e tutto
ci ha un riflesso sulla pratica etimologica. Per ora basti un solo
esempio. Nellegiziano antico la parola Hm valeva in genere ser-
vo; schiavo, ad es. Hm-nTr servo del dio, ossia sacerdote (v) ,
nella traduzione della cancelleria tolemaica), copto xont. Tutta-
via tale parola, accompagnata dal pronome poss. suffisso di 3 pers.
sing., poteva essere applicata alla sacra persona del Faraone: sia-
mo usi tradurre lespressione con la Maest Sua. Se prendiamo
atto che nella lingua classica, quando ci si riferiva al Faraone, si
utilizzava di norma limpersonale (Si era a Memfi), un modo
evidente per segnalare la distanza che separava il Faraone dai
comuni mortali, e che era impensabile applicare al re una parola
che avesse la bench minima connotazione negativa, dobbiamo
concludere che Hm indicava lindividualit non marcata: valesse
persona o qualcosa di simile a corpo, come stato proposto,
resta il fatto che nelle nostre lingue non abbiamo equivalenti semantici
per tale concetto.
Letimologia come processo di indagine culturale 33
Ma ritorniamo alle liste. Quanto abbiamo detto per la situa-
zione accadica ed eblaita vale anche per Ugarit, la citt mercan-
tile siriana crocevia di importanti influssi e presenze culturali.
Qui, nel pieno secondo millennio accanto al venerando sumerico
ed allinternazionale accadico, era stata inserita la lingua semiti-
ca locale e talora il hurrico, lingua che per un discreto lasso di
tempo aveva avuto diffusione politica e culturale nella regione.
Sarebbe stato breve il passo tra la lista bi- / plurilingue di
tradizione accadica ed il vocabolario cos come noi lo intendia-
mo: possiamo dirci moralmente certi che esso sia stato fatto, tuttavia
i documenti di questo tipo a noi giunti sono davvero pochissimi.
Uno di questi (il frammento di) un vocabolario egiziano accadico,
che trovava la sua ragion dessere nel fatto che la cancelleria dei
Faraoni della fine della XVIII dinastia corrispondeva con le po-
tenze regionali dellepoca in accadico. Durante la fine della XVIII
dinastia la cancelleria faraonica pare esser stata in grado di com-
prendere anche il hurrico, il che in se stesso naturale, visto che
Amenofi III aveva preso come sposa secondaria una delle figlie
del re di Mitanni (e certo nel suo ricco corteo di accopagnamento
accanto a serve personali e dame di compagnia [le fonti egiziane
parlano di un totale di 317 donne] cerano anche scribi e persone
colte) e persino la lingua degli Ittiti, con la cui potenza militare
lEgitto doveva cominciare a fare i conti. Due lettere al re di
Arzawa (EA 31-32), regno collocabile grosso modo nella Cilicia, ci
mostrano una situazione interessante. Il re di Arzawa pone alla
fine della propria lettera un poscritto, nel quale dopo aver invo-
cato le benedizioni del dio Nab sullo scriba egiziano addetto al
protocollo della corrispondenza, aggiunge : Tu, scriba, scrivimi
bene e metti inoltre per iscritto il tuo nome. Le tavolette che
vengono portate qui [cio alla cancelleria regale di Arzawa] scrivi(le)
sempre in ittito!. Il poscritto potrebbe esser giustificato con la
constatazione che la lettera alla quale rispondeva era stata scritta
in un ittito alquanto incerto. I rapporti con gli Ittiti durarono
abbastanza a lungo e sotto il regno di Ramesse II, dopo duri
confronti militari, si trov un modus vivendi siglato anche da
Franco Crevatin 34
matrimoni tra le case regnanti, furono stipulati trattati di pace
identici nei contenuti ma ciascuno nella lingua nazionale e si
intrattenne una considerevole corrispondenza, prevalentemente
in accadico ed anche in ittito. Ci ci fa capire che la cancelleria
egiziana doveva aver avuto a disposizione liste lessicali, voca-
bolari su base accadica e liste sumero-accadiche-ittite ci sono
state conservate per estendere le proprie competenze.
Comunque la lista o le liste, per numerose e ricche che fossero
e sulla base dei documenti a noi giunti possiamo davvero dire
che erano davvero numerose e ricche , non spinsero oltre la
nomenclatura linteresse per la lingua.
Dobbiamo soffermarci ora sullaspetto della creazione verba-
le del Demiurgo, poich essa spesso presuppone unidea teoretica
gravida di conseguenze. In sintesi: se dare nome e creare sono
due aspetti del medesimo atto, ci significa che tra il segno lin-
guistico e la realt designata intercorre un legame profondo, di
essenza. Insomma non n un fatto neutro n un accadimento
casuale che la TERRA si chiami terra o che il Tal dei Tali si chiami
nel modo dato. Nella cultura egiziana antica tali idee hanno
importanza sistematica.
Il Demiurgo non ha creato il mondo dal nulla, bens rendendo
differenziato e attuale tutto ci che esisteva nellAbisso Cosmico
originario confuso ed in potenza. Secondo il testo della cosiddet-
ta Teologia Memfita, il Creatore ag tramite il cuore e la lingua,
ossia tramite lideazione estrinsecata in parole. Per quanto se-
condo altre scuole teologiche il processo fosse stato parzialmente
diverso, tutte condividevano lopinione sullimportanza della parola.
Nella teologia latopolitana, conservataci dai testi templari di Esna,
gli dei sono stati creati non solo dallarticolazione consapevole
del loro nome da parte della dea Neith, ma forme divine indivi-
duali scaturirono da frasi da essa stessa proferite (DAjsw). La parola
autorevole, insomma, ha una forza che pu agire anche senza
lesplicita volont divina. C un testo del Nuovo Regno, il libro
della Vacca del Cielo, nel quale il sommo dio del sole, Ra, crea
Letimologia come processo di indagine culturale 35
una quantit di elementi del reale tramite quelli che noi defini-
remmo volentieri giochi di parole, ma che giochi non erano affat-
to per gli Egiziani, bens dimostrazioni inequivoche del potere
della parola. E c di pi. Quando si sostiene, ad esempio, che gli
esseri umani (rmT, copto rwme) sono nati dalle lacrime del Cre-
atore (rmj piangere, copto rime) si ammette unidentit essen-
ziale ( .uc. i) che include la paretimologia senza bisogno di
articolazioni linguistiche specifiche.
Gli Egiziani spinsero ancora pi in avanti la loro ricerca, giun-
gendo alla conclusione che la loro scrittura geroglifica che non
a caso definivano mdw nTr parola di dio fosse un altro modo
di identificare lessenza della realt. Per brevit faccio qui un
solo esempio. Alcune scuole teologiche ritenevano che il Demiurgo
fosse stato androgino, parte maschile e parte femminile e ritene-
vano che ci ricevesse una conferma dal fatto che il nome della
dea Neith creatore nella teologia latopolitana potesse esser
scritto con i due segni

e
d
che potevano esser impiegati
per scrivere le parole padre e madre
15
.
Prescindendo dallaspetto demiurgico, che resta un caso spe-
cifico pur se diffuso, il fenomeno generale noto e studiato. Idee
e pratiche molto comuni come la magia aggressiva esercitata sul
nome proprio, lesistenza di nomi segreti, la ricerca dei nomi di
Dio e tabu articolatori connessi, il potere della parola nel rito e
quanto altro ancora sono tutte manifestazioni della supposta .uc. i
tra segno linguistico ed elemento del reale. Sono davvero poche
le culture antiche o primitive che si siano sottratte a tale reali-
smo concettuale (per usare la terminologia di J. Piaget) e che
quindi non abbiano praticato, anche solo occasionalmente, la
(par)etimologia per fini euristici o interpretativi. Sono giustamente
note, per limitarci ad una citazione, le complesse costruzioni teoriche
sviluppate dai Dogon e dai Bambara dellAfrica occidentale sulla
lingua e sul suo uso, e potremmo facilmente moltiplicare gli esempi.
15
In realt i due segni erano innanzi tutto motivati dal fatto che nella grafia
geroglifica tarda essi notavano le consonanti n e t.
Franco Crevatin 36
I Bawl della Costa dAvorio, che pure non hanno una teoria
linguistica esplicita, hanno usato la paretimologia come impor-
tante strumento per lautodefinizione. Popolazione costituitasi in
unepoca piuttosto recente (prima met del XVIII sec.) grazie
allassimilazione di gruppi di lingua e cultura prevalentemente
Guro da parte di piccole minoranze Asante provenienti dal Ghana,
i Bawl hanno basato la propria identit su un mito di fondazio-
ne, quello della regina Abla Poku che con un piccolo seguito
avrebbe condotto da Kumasi tutte le genti akan che oggi si tro-
vano in Costa dAvorio (sic!). Lassunzione del nome etnico Bawl,
un nome che ci attestato prima del XVIII secolo sulle carte ge-
ografiche europee e che verosimilmente un nome geografico
(verosimilmente un idronimo), stato rideterminato dalla paretimolo-
gia: il nome significherebbe ba wuli il bambino morto e si
riferirebbe al momento in cui la regina, davanti ai propri segua-
ci, avrebbe dovuto sacrificare il figlioletto alla divinit del fiume
Como per poterlo guadare e cos mettersi in salvo dagli insegui-
tori. Sulle stesse basi ideologiche sono stati reinterpretati i nomi
delle sezioni locali bawl: gli Aali sarebbero coloro che sarebbero
rimasti indietro (O wali), gli Atu coloro che disboscavano (o spen-
navano i polli; tu) per conto della regina e cos via.
Fu la cultura filosofica greca ad affermare che i segni lingui-
stici si collegano al referente per convenzione sociale e non per
natura, ma la presa di posizione impieg molto tempo per domi-
nare il campo della riflessione: essa comunque costitu la base
cognitiva delletimologia cos come oggi la intendiamo perch
rese il segno linguistico un oggetto manipolabile senza dover
far ricorso ad ideologie soggiacenti di carattere religioso ed estranee
al segno stesso. Certo, il bisogno di recuperare trasparenza e mo-
tivazione non ha mai neppure oggi annullato la pressione al
ricorso esegetico paretimologico, ma gradualmente lo ha staccato
dalla : linguistica proprie dicta.
Il pi antico e coerente testo a noi giunto sulla natura del
segno linguistico il Kratylos di Platone, un dialogo che si imma-
Letimologia come processo di indagine culturale 37
gina avvenuto sul tema in questione tra Cratilo, Ermogene e Socrate.
Di primo acchito il dialogo sconcerta, perch, come spesso avvie-
ne, Socrate insiste, domanda, corregge, definisce, tormenta con la
sua dialettica gli interlocutori, ma non conclude, non d alla fine
una risposta chiara e definitiva agli interrogativi suscitati: tutto
viene rimandato ad unaltra occasione ed a Cratilo non resta che
augurarsi che Socrate continui a riflettere su questi temi. La
strutturazione , come si detto, comune nei dialoghi socratici e
vien fatto di sospettare che tali opere servissero s ad esporre il
metodo di indagine di Socrate e del suo allievo Platone, ma aves-
sero anche una funzione per cos dire di propaganda culturale.
Platone, ormai riconosciuto e venerato caposcuola, mostrava ai
filosofi potenzialmente interessati temi e metodi, riservandosi di
fornire solo agli iscritti ai corsi le soluzioni, pur se in itinere, ai
problemi posti.
Il Kratylos ha caratteri in s particolari: Socrate sembra prende-
re terribilmente sul serio il legame di necessit intercorrente tra
segno linguistico e referente, lo argomenta con apparenti seriet e
dottrina, fornendo decine di esempi etimologici, alcuni dei quali
palesemente assurdi, per poi arrestarsi bruscamente e fare una
conversione decisiva. Insomma, pare palese, anche dallinusuale e
ripetuta affermazione della propria dottrina e da talune espressio-
ni, che Socrate / Platone sta facendo dellironia: ad un certo punto
della discussione Socrate si spinge a dire, circa unidea che affer-
ma essergli appena balzata in capo e che propone agli amici, o-
: . u -i- , i:u :c)i.credo proprio di non vaticinare
male, con ci stesso tradendo, con unespressione che contraddi-
ce clamorosamente tutta la maieutica socratica (e le idiosincrasie
di Socrate, che notoriamente non tollerava la mantica), latroce
presa in giro.
Ma chi e che cosa Socrate sta deridendo? difficile fare nomi,
ormai per noi sepolti nella storia culturale della Grecia, ma pos-
siamo precisare le idee che egli criticava e che evidentemente
avevano largo corso nelle scuole filosofiche del V sec. Per capirlo
forniamo una sintesi dei problemi posti nel dialogo. Socrate di-
Franco Crevatin 38
scute dunque con Ermogene, seguace delle teorie di Parmenide,
e con Cratilo, seguace di Eraclito. Ci attendiamo dunque che i
due allievi non pensassero su questi temi in modo troppo dissi-
mile da quello dei loro capi-scuola, anche se ben poco possiamo
dire su quali fossero state le opinioni sul linguaggio dei due grandi
filosofi. Verosimilmente Parmenide, il cui pensiero era centrato
fermamente sullEssere, il quale solo vero ma allo stesso tempo
non afferrabile e dunque opposto drasticamente alla o i (opi-
nione, ed ingannevole apparenza) degli uomini, ben poco si sar
curato delle etimologie: anche ammesso che esse fossero state
vere, le verit da esse trasmesse sarebbero state comunque inaf-
ferrabili ed indimostrabili per gli uomini. In effetti Ermogene nel
dialogo platonico parte da una posizione molto decisa: tutto
convenzione, dunque uno che, poniamo, chiami cavallo luomo e
viceversa non sbaglia, o quanto meno legittimato a farlo. Nep-
pure Eraclito pare aver dedicato molto spazio alla riflessione sul
linguaggio, a differenza di Democrito (fr. B 26 Diehls) prima e dei
sofisti poi. In effetti se diamo credito ad una sintetica annotazione
di Proclo nel suo commento al Kratylos (16 p. 5, 25) la posizione di
Cratilo era quella di Pitagora ed Epicuro, mentre Democrito ed
Aristotele (ossia la scuola platonica) erano schierati sulle tesi di
Ermogene. Linformazione avrebbe il pregio di confermarci che i
convincimenti reali di Socrate erano ben altri rispetto allalluvione
etimologica che egli ammannisce ai suoi interlocutori nel dialogo.
In effetti la temperie culturale ateniese del V secolo favoriva, se
non determinava, anche le opinioni filosofiche sul linguaggio: il
tema centrale era lopposizione tra , e )u c.,, tra legge e
natura, ossia tra quanto lUomo afferma, definisce, produce e
tra la realt e rispettiva essenza. Il tema ebbe implicazioni, anche
letterarie, molto ampie, non solo in quanto opponeva apparenza a
realt, ma anche perch veniva a saldarsi con la riflessione sofisti-
ca sul contratto sociale: esso, come la lingua, era il risultato neces-
sario della convenzione (cu) -) e dellaccordo ( `. i) ed
era, appunto, un prodotto, non un prius insondabile o un riflesso
sostanziale della natura.
Letimologia come processo di indagine culturale 39
Torniamo al Kratylos. Alla secca presa di posizione di Ermogene
Socrate fa notare, dopo una serie di osservazioni preliminari che
non a caso riguardano lantinomia essenza vs. apparenza o con-
venzione, che le parole non possono esser state create a caso,
irriflessivamente, bens che devono esser state create da un
onomaturgo, un facitore di parole che si configura come ): ,,
un legislatore, davvero il pi raro degli artigiani che lavorano
per la comunit. Si noter che il confronto implica ancora una
volta il concetto di legge, ,, che per lappunto lequiva-
lente di o i e che si oppone allessenza, )u c.,. La conclusione
inevitabile (390 D-E): E cosa rischiosa, Ermogene, e non dappoco
come tu pensi lattribuzione (): c.,) di un nome, non cosa di
persone inesperte n di chi capita capita. E Cratilo dice il vero
quando afferma che i nomi sono adatti per natura ()u c:.) alle
cose e che non ciascuno pu essere artefice di nomi ma solo quello
che tiene ben in vista il nome che appartiene per natura a ciascu-
na cosa e che capace di porre la sua forma in lettere e sillabe.
Ermogene si dichiara battuto ma non vinto n convinto: gli di-
mostri dunque Socrate quale debba essere la naturale corret-
tezza ( )u c:. ) i) dei nomi. Socrate prima si schermisce,
affermando che i sofisti insegnano a pagamento tali cose, e dun-
que ci si pu rivolgere a loro per gli opportuni chiarimenti, e poi
rinvia Ermogene allinsegnamento dei grandi poeti del passato,
in primis ad Omero. Socrate fa notare allinterlocutore che indiret-
tamente Omero prende posizione sulla correttezza dei nomi e porta
come esempio il nome del figlioletto di Ettore, Astianatte: non
forse corretto che il figlio di Ettore, il principe in cui Troia confida,
principe il cui nome significa colui che detiene, possiede (: -),
valga signore (i i) della citt (i cu)? Da questo caso Socrate
prende le mosse per discutere un certo numero di antroponimi
dellepica e da questi passa ai teonimi. Qui tocchiamo il primo
approdo sicuro, poich sappiamo per certo che i primi ad occu-
parsi di esegesi (par)etimologica dei nomi propri furono proprio
i rapsodi (ed il caso pi noto il nome di Odisseo, accostato al
verbo ou cci. sono odiato) ed i poeti antichi: nel VI sec.
Franco Crevatin 40
a.C. molte voci dellepica erano desuete ed incomprensibili ed
molto probabile che poeti e prosatori abbiano tentato di riflettere
sui significati, tentando accostamenti basati su somiglianze fone-
tiche pi o meno marcate della dizione epica. Sappiamo ad esem-
pio che Ferecide deriv il nome del dio Kronos da quello del
tempo ( ,) e che Ecateo di Mileto (ad es. in Athen. II 35
AB) utilizz il riferimento (par)etimologico di nomi propri nelle
sue Genealogie per riscoprire o per inverare rapporti storici. Il
fenomeno in se stesso tuttaltro che raro: in culture dove si
riconosce il valore paideutico, formativo, di riferimento sociale
etico o religioso a testi orali tradizionali, nel momento in cui la
dizione epica (o religiosa o altro) perde la sua completa traspa-
renza comunicativa, sono proprio coloro che esercitano da epi-
goni o ripetitori larte del dire che diventano i primi esegeti.
Mi pare utile fare qui una digressione che consentir di com-
prendere meglio lo sviluppo del pensiero linguistico greco. La
cultura indiana det vedica aveva parecchi specialisti ai quali la
societ riconosceva il compito, sommamente importante, di pro-
duttori di testi: i testi di maggior valore nellideologia religiosa
erano gli inni rivolti agli dei. Gli Indiani vedici, come peraltro le
genti iraniche antiche, ritenevano che la sessione sacrificale fosse
sostanzialmente un banchetto al quale partecipava la divinit: ad
essa si riservava un posto con un cuscino di erba morbida ed il
canto innico aveva il compito di intrattenere lospite sovrumano
con la celebrazione della di lui grandezza e potenza. facile
vedere che tale rito era modellato su celebrazioni umane, il ban-
chetto come occasione sociale di misura, conferma e celebrazione
dello status sociale del o degli ospiti, reificata dalla distribuzione
di beni, dalla disuguaglianza delle parti del cibo offerto e dal
canto encomiastico. dunque conseguente che i poeti religiosi
fossero originariamente scelti in gruppi di discendenza che ap-
punto erano specialisti dellarte del dire e che il poeta (e la sua
famiglia) fosse proprietaria del canto prodotto. La dizione innica
vedica era elaborata e complessa, caratterizzata da metrica e da
Letimologia come processo di indagine culturale 41
melismi, spesso resa oscura da espressioni inusuali e da ardite
quanto profonde immagini speculative: insomma, quanto av-
viene dovunque ci sia una classe di specialisti del dire, come ad
esempio nel ricchissimo mondo culturale dei griot dellAfrica occiden-
tale.
Se c elaborazione e complessit, facile attendersi che solo
una parte delluditorio sia capace di cogliere completamente il
messaggio del cantore, una parte destinata con il passar del tem-
po a ridursi sempre di pi; nel caso che i testi in questione, trditi
per lungo tempo oralmente, siano visti come testo di cultura,
ossia come paradigmatici, essenziali strumenti dellautoidentificazio-
ne culturale, portatori di valori non transeunti, diventa molto
importante assicurare la loro tutela e comprensione. Le scuole
teologiche brahmaniche si trovarono contemporaneamente di fronte
a due problemi: il primo era quello di riconoscere esattamente le
singole parole che componevano il verso innico; il secondo era
legato allattribuzione di un significato morfologico o lessicale
alle parole riconosciute. Il primo problema non era da poco e
basta pensare a quanto possa esser ancor oggi difficile lautoanalisi
linguistica del parlato per persone di bassa scolarizzazione o il-
letterate: non ovvio riconoscere in [aps] il tedesco Ich habe es
e potrei facilmente moltiplicare gli esempi. Il primo passo fu
dunque quello di riconoscere che, una volta astrattamente annul-
late le regole di incontro tra le parole (sa dhi) il verso
rv apr marty nivto devyudvta"
La dea immortale ha compenetrato lampio spazio, gli
abissi e le sommit
va inteso
ur apr marty ni-vta dev ut-vta
Tale versione, detta pdap6ha, costitu la base, pur con incoe-
renze ed errori, sulla quale le diverse scuole costituirono ulterio-
ri opere, i prtis khya, dedicate alle norme del sa dhi, alla lun-
ghezza vocalica, agli accenti e a poche questioni grammaticali.
Lassenza di interessi semantici non affatto segno che questi
Franco Crevatin 42
primi filologi comprendevano appieno il testo trdito, bens di
una specializzazione finalizzata: al lessico ed alla semantica era-
no riservati dei glossari (nigha>6u), a mio parere scritti e destinati
alla formazione orale. In essi gruppi di parole venivano riuniti in
sezioni distinte che pretendevano di essere semanticamente coese:
di fatto il nigha>6u a noi giunto e commentato da Yaska (v. oltre)
pieno di fraintendimenti ed errori ed semmai un documento
di estremo interesse per quella che allepoca della redazione era
linterpretazione, molto impoverita nella reale comprensione ma
per contro molto ideologica, del testo vedico.
Il Nighau stato commentato da Yaska, un grammatico che
usualmente ma la cronologia letteraria indiana antica pi
questione di gusti personali e di buon senso che prodotto di
fatti inequivoci si data al 500 a.C.: il titolo della sua prezio-
sa opera Nirukta, ossia spiegazione. In essa egli prepone
alletimologia (nirvacanam esposizione, spiegazione) alcune
posizioni di principio argomentate, ossia letimologia una
scienza a se stante, pur essendo parte dello studio grammati-
cale: ha una funzione pratica, essendo lo strumento pi affi-
dabile per ricostruire unaffidabile versione pdap6ha del te-
sto vedico, ed una funzione ermeneutica, consentendo una
reale comprensione degli inni sacri ormai semanticamente opachi
e dunque portando allindividuazione sicura delle singole divinit
onorate negli inni e non citate per nome. Di per se stesse tali
posizioni potrebbero apparire poco appariscenti, ma se si
guardano alla luce del riconoscimento da parte dellautore
del concetto di radice (per lo pi verbale, ma non solo) dalla
quale far discendere famiglie di parole, allora esse acquistano
spessore e solidit ignote, per fare un esempio, alla cultura
linguistica greca anteriore allet imperiale romana. Natural-
mente Yaska commette errori e spesso pone sullo stesso piano
ipotesi credibili ed ipotesi che noi sappiamo essere errate, ma
dobbiamo riconoscere che il Nostro era spesso profondamente
condizionato nelle sue scelte dalla cultura religiosa della sua
epoca, la quale, ormai distante da quella che aveva prodotto
gli inni, non comprendeva pi allusioni ai desueti sistemi mitici
e cosmologici. Un solo esempio baster a far capire la situa-
zione. Nella cultura vedica pi antica il dio Indra aveva dato
inizio alla storia ed alla vita del mondo, pur senza esserne il
Letimologia come processo di indagine culturale 43
demiurgo, compiendo due imprese cosmogoniche, da un lato
uccidendo il dragone Vtra che teneva imprigionate le acque
allinterno della rocciosa montagna cosmica, intesa come axis
mundi, e dallaltro spezzando con la sua possente arma (il
cuneo del fulmine, vajra") le acque, le vacche e le aurore (spesso
definite esse stesse vacche) imprigionate nel recinto roccio-
so, vala", della montagna; verosimile che i due miti siano in
realt due aspetti del medesimo pensiero religioso: Indra ha
liberato con la sua forza immensa i beni che rendono possibi-
le la vita e che erano racchiusi al centro del mondo non an-
cora costituitosi come storia, come quella realt che conoscia-
mo. Gi il Nighau nellenumerare i sinonimi vedici per il
concetto di nuvola mostra che gli antichi miti erano stati per
cos dire evemerizzati: la montagna cosmica, la roccia o il
nascosto recinto delle vacche non sono pi intesi come tali,
bens come immagini della nube; Indra con il suo fulmine
avrebbe appunto squarciato le nubi, fatto scendere la pioggia
ed alla fine avrebbe fatto risplendere il sole. Quando dunque
Yaska commenta la sezione in questione del Nighau (2, 17) e
si trova davanti al termine ahi", da una parte non pu ignorare
il comune significato del termine, ossia serpente (ed in for-
ma di dragone era pensato Vtra, il potere di Resistenza che
tratteneva le Acque), ma dallaltra deve accogliere il senso
ermeneutico di nuvola, per cui ne consegue che Yaska propone
due etimi diversi, il primo secondo la radice hi- muoversi (per-
ch la nube si muove nellatmosfera) e laltro secondo la radice
han- attaccare, perch il serpente attacca
16
. E altrettanto Yaska
fa con il nome del dragone Vtra, che, come abbiamo detto,
personificazione della resistenza (vptram) che si oppone alla
libera fuoriuscita delle acque, e che Yaska deriva ragionevol-
mente dalla radice che vale coprire posta in alternativa tut-
tavia alle radici per indicare la crescita e larrotolarsi.
Yaska non era il primo ad occuparsi di etimologia, tant che
spesso cita autorit precedenti. Tra questi vale la pena di
ricordare almeno Kautsa, del quale purtroppo sappiamo molto
poco. Doveva trattarsi di un ingegno brillante, che negava
autorevolezza al Veda (o piuttosto allermeneutica dellepoca
sua?) e che rilevava nel dettato degli inni contraddizioni,
16
Letimo reale del vedico ahi" serpente lo stesso del latino anguis, dellantico
prussiano angis e di altre voci indoeuropee.
Franco Crevatin 44
storture tali da fargli ammettere che il Veda non aveva sen-
so.
Accanto ad eccellenti intuizioni dovute al fermo riconosci-
mento di una radice e di una (peraltro non altrettanto siste-
matica) visione morfologica, dunque, Yaska persegue unarte
etimologica spesso migliore o quanto meno non dissimile a
quella che sar letimologia greca stoica e ci senza compro-
mettersi con ragionamenti filosofici sullessenza dei nomi
dati alle cose.
Come si vede, naturale che i tardi rapsodi greci siano stati
i primi esegeti e filologi della dizione epica, e Socrate li sferza
sarcasticamente per la loro pretesa esegesi etimologica dei nomi
propri. Ma dopo aver sondato i nomi propri, Socrate propone
una serie di etimi di parole comuni, per la maggior parte delle
quali propone una motivazione. Ad esempio ) c.,, la capa-
cit di riflettere saggiamente, detta cos perch la percezione
intellettuale ( c.,) o il beneficio ( c.,) del movimento ()i ,)
e dello scorrere ( u ). In questo processo letimologia ricerca
della motivazione sostanziale, cos come per Ecateo di Mileto (v.
sopra) poteva essere strumento per il recupero di conoscenze storiche.
Su chi ironizzi Socrate quando produce queste ispirate etimolo-
gie difficile dire: nel Kratylos si ricorda esplicitamente che il
sofista Prodico teneva costosi corsi su questo argomento (384 B),
ma molto probabile che altri sofisti facessero altrettanto: chi
come Protagora e Prodico era interessato alla corretta scelta delle
parole ( ):v. i) o allorigine del linguaggio (come lo stesso
Protagora) poteva facilmente passare, anche occasionalmente, al-
letimologia. E, a ben vedere, lintera discussione socratica nel
Kratylos sottintende il discorso sulle origini perch letimologia
secondo natura ()u c:.) parte appunto dallidea che chi ha dato
il nome avesse ben chiara la motivazione essenziale che si con-
faceva al referente. Tuttavia e qui finalmente Socrate compie la
piroetta decisiva chi e cosa ci garantisce che il ): , sa-
pesse davvero bene quel che faceva? E dopo una serie di stringa-
ti ragionamenti si conclude che sarebbe insensato affidarsi alla
guida etimologica delle parole per capire il mondo.
Letimologia come processo di indagine culturale 45
Il grande allievo di Platone, Aristotele, fu ancor pi deciso e
spos appieno la tesi di Ermogene, pur senza trascurare affatto
la ricerca glossografica relativa allepos (Poet. 1459 A 9); in parte
almeno era inevitabile, perch la corrente che unisce Socrate a
Platone ed ad Aristotele in definitiva ammette francamente che
gli strumenti per affrontare lo studio della lingua erano insuffi-
cienti: la loro creazione fu opera congiunta di una nuova corren-
te filosofica, lo stoicismo, e della costituzione della filologia nel
regno tolemaico dEgitto.
Tolomeo I, ottenuta la sovranit del paese, si ripropose di fare
di Alessandria una delle pi avanzate citt greche del Mediterra-
neo sia da un punto di vista economico che culturale. La fonda-
zione della Biblioteca ed il suo progressivo arricchimento, talvol-
ta portato avanti con mezzi che assomigliavano preoccupantemente
alla pirateria, era uno dei pilastri di tale politica: raccogliere in
un solo punto tutti i testi della cultura, non solo letteraria, greca,
renderli accessibili allo studio ed alla comparazione, trasformarli
in basi per sempre nuove imprese di approfondimento scientifico
e culturale. Ma avere i testi non era in se stesso bastevole: le
copie della singola opera potevano differire nella loro qualit
testuale, potevano esser interpolate o corrotte, disseminate di errori
anche banali di scrittura, per cui bisognava operare un confronto
accurato tra le copie possedute e sforzarsi di sanare il testo, ri-
portandolo cos il pi vicino possibile alloriginale scritto dal-
lautore. Parecchi filologi, talora essi stessi poeti, si successero
alla guida della Biblioteca e del Museo, Filita, Zenodoto, Callimaco,
Apollonio, Eratostene, per giungere al grande Aristofane di Bisanzio
(II sec. a.C.) ed i risultati, invero altissimi, non mancarono. I
poemi omerici furono i testi studiati per primi e pi frequente-
mente e di conseguenza vennero prodotti molti lavori lessicogra-
fici che raccoglievano il sapere sulle voci rare e desuete dellepos;
contemporaneamente era per necessario approfondire lo studio
della lingua greca e dei suoi dialetti letterari, approntare cio
strumenti generali di analisi per descrivere i fatti linguistici a
prescindere dai valori letterari.
Franco Crevatin 46
Se Alessandria ha fatto nascere la filologia intesa in senso mo-
derno e quel tanto di linguistica che era ad essa funzionale, furono
gli Stoici a dedicare molti loro sforzi intellettuali alla linguistica in
quanto tale. Delle loro opere in definitiva conosciamo poco e per di
pi esse ci sono note per tradizione indiretta. Possiamo qui pre-
scindere dai loro importanti progressi nella descrizione grammati-
cale, non senza peraltro rilevare che ad essi si deve limpostazione
di quella che fu la grammatica nel periodo ellenistico e romano, e
concentrarci invece sulla loro ricerca etimologica. Per gli Stoici il
rapporto tra parola e cosa era un rapporto di natura e come tale
andava indagato per raggiungere la vera essenza ed il reale signi-
ficato di una parola. Tutto sommato, la migliore illustrazione del
loro metodo sono i libri sopravvissuti sino a noi dellopera De Lin-
gua Latina di Marco Terenzio Varrone. Varrone era un uomo poli-
tico ed uno studioso: nato nel 116 a.C. a Rieti, in territorio sabino,
si schier nella guerra civile dalla parte di Pompeo, ma ottenne in
sguito il perdono da Cesare e fu fatto bibliotecario della grande
raccolta libraria che il Dittatore stava promovendo. Proscritto da
Antonio, fu riabilitato da Ottaviano e pass il resto della sua vita
scrivendo in tutta tranquillit, morendo nel 27 a.C. Uomo di grandi
letture e notevole erudito, scrisse di antichit romane religiose e
profane, essendo stato allievo di filosofi e grammatici di impronta
stoica. In quellepoca il mondo degli studiosi si divideva, con varie
sfumature, tra due tendenze: da una parte, gli Stoici, che sostene-
vano lazione fondamentale dellanomalia nei fatti di lingua e dallaltra
gli Alessandrini, sostenitori dellanalogia. difficile riassumere in
breve tutto quello che tali concetti implicano: potremmo dire, ap-
prossimando, che si voleva decidere se avesse maggiore incidenza
luso che della lingua si fa o la regola che in essa si riconosce
operante. Posta in questi termini, tuttavia, la questione sembra sin
troppo banale, poich chiaro e ci non sfugg a moltissimi filo-
logi e filosofi che lanomalia presume lanalogia e viceversa, anche
se le cose si complicano quando si passi dallesame del linguaggio
quotidiano allanalisi della lingua letteraria e si debbano prendere
decisioni filologiche (ad esempio la correzione di un testo trdito).
Letimologia come processo di indagine culturale 47
Ne consegu che in molti ritennero di dover smussare le spigolosit
delluna e dellaltra tesi cercando una ragionevole via di mezzo; ed
quanto appunto tent Varrone. Ma, come si diceva, le tesi
anomalistiche erano pi complesse. Il filosofo stoico Zenone aveva
posto allinterno della dialettica una distinzione fondamentale, quella
tra significanti (ci. i), ossia linsieme di meri suoni che
costituiscono, poniamo, la parola cane, e significati, quanto cio
significato (ci. :i) da cane, e ci senza prendere in
considerazione il cane in quanto tale che, come oggetto del mondo,
non pu far parte della dialettica. I ci. :i non hanno alcu-
na consistenza reale, sono qualcosa che vien detto (`:- ) e dun-
que nella lingua che essi hanno ragion dessere. Daltra parte,
quanto lingua proviene dalla voce () , nel senso sia letterale
che di espressione fonica) ed in prima istanza dal pensiero, dal
` ,, e dunque la lingua struttura ed articola i diversi modi del
pensiero in base ad una precisa conoscenza: i nomi delle cose sono
stati imposti dagli uomini consapevolmente, guidati dal ` , e
dallessenza naturale ()u c.,) dello stesso essere. Questa la ragio-
ne che rende tanto importante letimologia: questultima altro non
, quando praticata con dottrina, che riscoperta del pensiero e
dellessenza. Ciononpertanto e ritorniamo allanomalia non pa-
reva dubbio agli Stoici che la coerenza e loriginale purezza razio-
nale del linguaggio fossero spesso andate perdute nel passare delle
generazioni e che molte parole fossero ormai ambigue o non pi
trasparenti. Essi avevano notato la naturale tendenza della lingua
greca a ripartire il sesso e la capacit di azione secondo il genere
grammaticale
17
: luomo di sesso e genere maschile, mentre la
donna femminile, il cielo che attivamente feconda la terra con la
pioggia maschile mentre la terra che passivamente viene fecon-
data femminile, e cos via. Eppure, notavano gli Stoici, il ragaz-
zetto, vi.o. , pur essendo di sesso maschile era connotato dal
genere neutro.
17
Si ricordi che il greco antico aveva, come parecchie altre lingue indoeuropee,
tre generi, maschile, femminile e neutro.
Franco Crevatin 48
Gli Stoici non avevano strumenti per risolvere problemi di
questo tipo. Il fatto fondamentale che il genere uno stru-
mento grammaticale che pu, ma non di necessit deve con
coerenza, acquistare valore semantico e dunque segnalare il
sesso. Il caso che aveva suscitato lattenzione degli Stoici
abbastanza diffuso: nel tedesco Kind ragazzetto , come Mdchen
ragazza, di genere neutro; il bambino in tenera et, baby,
implica in inglese una referenza pronominale neutra; nel Logbara
(Uganda), lingua peraltro nella quale non esiste un genere
grammaticale, esistono nomi per gli esseri umani che hanno
intrinseca una marca di sesso, marca assente nei nomi del
bambino / bambina (O dE kolE ) e dellinfante (mva ); ecc. Esso
potrebbe effettivamente avere una ragione semantica, ossia il
ragazzo e la ragazza sessualmente immaturi sono socialmente
neutri. Anche lopposizione maschile = attivo, forte, valido /
femminile = passivo, debole tipologicamente nota ad esem-
pio nella lingua Maasai. In altre lingue lopposizione di gene-
re pu essere usata per opporre dimensioni diverse (maschile
= grande / femminile = piccolo) come nellitaliano donna /
donnone o nellegiziano antico HfA serpente / HfA.t verme;
in molte lingue cuscitiche (Africa orientale) il cambiamento
di genere, con o senza suffissi particolari, contribuisce ad opporre
singolare a plurale. Come si vede, il quadro tipologico no-
tevolmente ricco e vario.
Varrone scrisse il suo De lingua latina in 25 libri, dei quali ci
restano solo i libri 5-10, in condizioni testuali spesso infelici. Lopera
non unitaria, per cui non si pu parlare di una metodologia
etimologica varroniana se non a certe condizioni: allievo del
celebre grammatico L. Elio Stilone, Varrone si forza di praticare
letimologia da grammatico che vuole collocarsi in posizione
intermedia tra anomalisti ed analogisti. Recepisce, com ovvio
18
,
limpronta stoica, ma non sembra condividere le preoccupazioni
di ricerca mirate al rapporto tra essenza, logos ed etimologia. Se
da una parte nelle sue etimologie si possono rilevare diversit di
fonti di ispirazione, dallaltra Varrone lerede naturale della
tradizione grammaticale romana, generosamente protesa a dare a
18
Non solo il suo maestro era stato molto esposto allo stoicismo, ma tutta la
grammatica romana antica dipende direttamente o indirettamente dalla Sto.
Letimologia come processo di indagine culturale 49
Roma strumenti e mezzi che permettessero di valorizzare la tra-
dizione letteraria locale. Per Varrone letimologia il mezzo pi
opportuno per riscoprire e riutilizzare correttamente parole anti-
che, per ricordare ai propri concittadini la ricchezza delle tradi-
zioni avite e per incoraggiare la fierezza del parlare latino.
quel che diceva nello stesso periodo Cicerone, sostenendo che
ormai (de nat. deorum 1, 4) era possibile fare filosofia in latino,
confrontandosi alla pari con i grandi pensatori greci: quo in gene-
re tantum profecisse videmur ut a Graecis ne verborum quidem copia
vinceremur.
Varrone, che dichiara di aver studiato alla luce sia della lan-
terna di Aristofane di Bisanzio (v. sopra) che di quella di Cleante
(allievo e successore dello stoico Zenone), chiarisce quelli che a
suo parere sono i quattro gradi di interpretazione etimologica di
una parola (5, 7-8). Il primo quello proprio di qualunque par-
lante nativo il quale in grado di riconoscere facilmente gli ele-
menti formativi di una parola. Il secondo quello dei gramma-
tici che studiano la lingua dei poeti e quindi analizzano le loro
creazioni linguistiche. Il terzo di impronta filosofica e si ripropone
di studiare lorigine essenziale delle parole, anche di quelle
pi comuni (tale gradus un omaggio alla scuola stoica). Il quar-
to quello pi complesso ed anche la formulazione di esso
asciutta e riassuntiva: Quartus, ubi est adytum et initia regis. In
questi termini il testo sembrerebbe affermare che il quarto grado
coincide con il sacello pi sacro, non avvicinabile dai profani, e
con i misteri iniziatici del re. Ma che vorrebbe dire tutto questo?
In realt pare che si debba emendare il testo in aditum ad, il
che significa che il quarto grado quello in cui consentito lac-
cesso (aditum) a quelli che furono i periodi iniziali (initia) della
storia romana pi antica, quella dei re: nella tradizione romana
si sosteneva che proprio durante il periodo dei 7 re si erano costituite
le realt caratterizzanti di Roma ed ad esse i re avevano dato
nome. Varrone ribadisce dunque quello che per lui il massimo
dei risultati possibili, riconoscere nella storia lidentit culturale,
e dunque anche linguistica, romana.
Franco Crevatin 50
Non necessario soffermarsi troppo a lungo sugli etimi varroniani;
oltretutto una rassegna anche cursoria rischierebbe di essere fuor-
viante: il dover correggere i tanti etimi errati ci farebbe fatalmen-
te sottovalutare il frequente buon senso dispiegato e gli etimi
esatti proposti. Qualche esempio sar comunque utile.
Cos egli tratta la voce cilliba (5, 118). Chiamavano cilliba la
tavola sulla quale si mangia; era quadrata come a tuttoggi
negli accampamenti militari. Cilliba viene cos detta dal cibus (cibo).
In sguito fu resa rotonda e per il fatto che per noi in mezzo
(media) e per i Greci : ci (mediana) pu essere detta mensa,
ammenoch non sia per il fatto che vi si ponevano cose, tra le
vivande, che erano misurate (mensa). La seconda parte del ra-
gionamento presuppone il fatto fonetico della debolezza di -n-
davanti a sibilante e la frequente affricazione avanti vocale del
gruppo -dj-, per cui effettivamente le tre parole avevano una pro-
nuncia molto simile. Varrone non si accorge che il latino cilliba
semplicemente un prestito dal greco -.``. 3i, tavolino a tre gambe,
il che alquanto strano non solo perch il greco lui lo conosceva
ma altres perch lo utilizzava come fonte etimologica di prestiti
a proposito ed a sproposito, come ad es. nelle Ant.Hum. 3.1.1
dove il nome dei Sabini viene derivato dal verbo greco c: 3i.
venerare perch secondo lui, Sabino di stirpe erano una
gente molto devota. In 5, 121 per cil<l>iba, definita una tavola
rotonda per appoggiarvi i recipienti di vino, viene tratta dal greco
-u`.-:. con significato equivalente. Ma quello che pi stupisce
in un antiquario come Varrone che egli abbia trascurato il fatto
che la mnsa era anticamente una focaccia quadripartita offerta
agli dei, come si pu desumere dal celebre episodio delle profe-
zia di Celeno nellEneide (3, 255 ss.) e da vari glossatori e scoliasti
(ad es. CGL 5, 222, 20).
Per contro Varrone molto onestamente informato sulluso
antico: citando un verso del poeta Ennio, egli precisa che la voce
perduelles vale hostes, cio nemici, ma sa altres che il significato
antico di questultima voce era originariamente quello di peregrinum
qui suis legibus uteretur uno straniero che si serva di leggi pro-
Letimologia come processo di indagine culturale 51
prie, diverse cio da quelle dei Romani: la voce infatti etimo-
logicamente identica al tedesco Gast ospite.
I meriti di Varrone sono dunque notevolissimi; ad essi ne ag-
giungiamo un ultimo: egli uno degli studiosi antichi di etimo-
logia pi fermi nel considerare che la vetustas, lantichit delle
parole non solo un elemento che complica la ricerca cosa
infatti si sottrae al trascorrere del tempo? , ma, una volta in
possesso di documentazione affidabile, essa aiuta a capire la sto-
ria di una parola ed a coglierne il mutamento di significato. Varrone
fa nascere con decisione la dimensione della storia linguistica e
culturale finalizzate alletimologia.
Circa un secolo dopo, Varrone fu duramente criticato da
Quintiliano (Instit. Horat. 1, 6, 28 ss.) e preso come paradigma
della pretesa scienza etimologica: gli etimologi, egli dice, ripor-
tano ad veritatem le parole che a loro avviso si sono mutate nel
corso del tempo e lo fanno aut adiectis aut detractis, aut permutatis
litteris syllabisve. Inde pravis ingeniis ad foedissima usque ludibria
labuntur aggiungendo, togliendo, o cambiando suoni e sillabe:
di qui vengono spinti dalla loro fantasia malata alle pi ripu-
gnanti ridicolaggini. Possiamo capire, anche se non condivide-
re.
La ricerca del vero, dicevamo, spesso ispirata dalla convinzio-
ne della centralit della lingua stessa nellesperienza umana: nella
nostra lingua sarebbero riposti molti dei segreti di noi stessi e
del mondo. Quintiliano non ci credeva, e noi neppure. E tuttavia
nessuno di noi dubiterebbe che nella lingua che usiamo ogni giorno
ci sono tante cicatrici prodotte dalla nostra storia culturale:
questo vero, talora pi umile, che letimologia si sforza di affer-
rare. Una metodologia linguistica per studiare la cultura.
Franco Crevatin 52
Letimologia come processo di indagine culturale 53
LETIMOLOGIA COME PROCESSO DI INDAGINE CULTURALE
Sin qui abbiamo visto come linteresse per la lingua, visto
come fatto tipicamente umano, si sia sviluppato a partire dal-
lanalisi della propria tradizione linguistica e letteraria. Sar il
Romanticismo tedesco ad aprire nuovi e sterminati orizzonti alla
linguistica ed alletimologia: come ben noto, tutto ebbe origine
da un opuscolo di F. von Schlegel, ber die Sprache und Weisheit
der Inder, datato al 1809. In una temperie che non guardava pi
alla classicit bens al Medioevo come fonte di ispirazione poeti-
ca, alla cultura popolare ed allOriente, il libretto attir latten-
zione di tutti sulle straordinarie somiglianze tra il sanscrito, lan-
tica lingua dellIndia, e le lingue europee. Schlegel era stato pre-
ceduto di parecchi secoli in questa constatazione da altri viaggia-
tori ed eruditi, ma solo lentusiasmo romantico poteva fornire
lhumus per attenzioni e prospettive culturali che avevano il sa-
pore della assoluta novit ed il fascino del mistero. Come anda-
rono poi le cose fatto noto, da altri illustrato meglio di quanto
potrei fare qui. In sostanza si riconobbe che esisteva una paren-
tela genetica tra un gruppo di lingue documentate dallantichit
ai giorni nostri, per cui, cos come si sapeva che le lingue roman-
ze derivano tutte dal latino, si suppose lesistenza di una lingua
madre (lIndoeuropeo), parlata da un popolo nella remota prei-
storia, dalla quale erano discese le varie lingue figlie. Si lavor
duramente per recuperare tradizioni linguistiche perdute o estin-
te, per riscoprire leggi fonetiche che permettessero di giustificare
i mutamenti dallo stato pi antico alle fasi linguistiche pi recen-
ti e consentissero altres di comparare tra di loro le diverse lin-
gue figlie; si volle ricostruire la cultura di quellantichissimo insieme
di genti e la loro collocazione nello spazio; si tent di chiarire i
rapporti che lindoeuropeo in quanto tale intratteneva con altre
famiglie linguistiche, quella semitica, alcune famiglie caucasiche
ed altre ancora.
Per quanto oggi si tenda a dimenticarlo, la filologia indoeuropea
fond la linguistica storica e comparata ed essa fu per lungo
Franco Crevatin 54
tempo la linguistica -i: . Tutto ci, bene o male, si fon-
dava sulletimologia.
Il cammino che qui ci accingiamo a fare verso i grandi proble-
mi della comparazione e della ricostruzione linguistica alquan-
to lungo e tormentato. In questo capitolo discorreremo della
percezione delletimo come fatto intrinsecamente culturale.
Uno specialista in genere si accorge prontamente della bont
di una proposta etimologica: ma da cosa data la bont di un
etimo, una volta fatta salva la correttezza del riconoscimento
dellevoluzione fonetica? Gi, perch questo il punto: anche
quando si sia individuato un etimo formale (ad esempio, il fatto
che il greco . vv,, il latino equus, il sanscrito as va" derivano da
una forma indoeuropea ricostruibile come *ekwos cavallo) non
si per ci stesso capito ci che letimo stesso implica (come si
detto, qual il ruolo di tale animale nelleconomia e nella societ?).
Questo vale spesso anche per derivati romanzi di parole latine,
ossia nel caso di trafile formali nelle quali il punto di partenza
attestato e noto: potremmo limitarci a dire che litaliano famiglia
deriva dal latino familia senza prendere in considerazione lenor-
me evoluzione che il concetto ha subito?
Il primo elemento, dunque, che garantisce la bont di un etimo
la congruenza culturale con quanto sappiamo o possiamo ragio-
nevolmente presumere. Un esempio chiarir meglio quanto intendo.
Plinio (N.H. 7, 2, 19) ci riferisce quanto segue: Non lontano
dalla citt di Roma, nel territorio dei Falisci vive un ridotto numero
di gruppi familiari di nome Hirpi. Costoro, nellannuale sacrifi-
cio ad Apollo che ha luogo presso il monte Soratte, camminano
sopra un mucchio di legna ridotta a brace e non si bruciano;
appunto per questo motivo hanno ottenuto, sulla base di un decreto
perpetuo del senato, lesenzione dal servizio militare e da tutti
gli altri inerenti doveri
19
. Credo che tutti conoscano identiche,
19
La notizia di fonte varroniana (Ant.Hum. I, cfr. Serv. A. 1, 787, 1, 5). Letnico
Hirpini.
Letimologia come processo di indagine culturale 55
a noi contemporanee, esibizioni dello stesso tipo, ma, in assenza
di ulteriori elementi, lidentit non basta a supporre rapporti di
dipendenza storica: si tratta dunque di identit solo tipologica.
Poco prima (7, 2, 15) Plinio aveva parlato di varie popolazioni
(nellEllesponto ed in Libia) immuni dal veleno dei serpenti e
capaci di guarire chi fosse stato morso; aveva anche aggiunto che
una stirpe con lo stesso potere si trovava in Italia ed era quella
dei Marsi
20
. Anche in questo caso siamo di fronte ad una tipologia
ben diffusa, nota anche etnograficamente, ma c un particolare
a noi contemporaneo che richiama lattenzione, ossia la festa dei
serpari in onore di San Domenico nel paesino di Cucullo nella
Marsica (Abruzzo). I serpari sono appunto persone di quella spe-
cifica regione che sanno trattare i serpenti velenosi, al cui morso
sarebbero immuni: credo sia abbastanza nota limmagine della
statua del patrono sulla quale sono avvinte decine di serpi. Con-
tinuit geografica e fattuale di referenza di una tradizione
cristianizzata, ma che allorigine Cristiana non , inducono il forte
sospetto di trovarsi di fronte ad una sopravvivenza antica.
La congruenza pu essere accompagnata da qualcosa di molto
importante, ossia, sulla base di quanto sappiamo, letimo ci rive-
la dimensioni nuove ed inaspettate, ci apporta nuove conoscen-
ze. Come prima abbiamo detto, letimo ha sempre un valore fattuale.
Ci si potrebbe obbiettare che posizioni di questo tipo privile-
giano di fatto solo alcune categorie di etimi, quelle appunto che
hanno una dimensione culturale intrinseca ed evidente, tralasciando
i tanti casi che pure fanno parte del lavoro quotidiano delletimologo
nei quali la riscoperta linguistica parrebbe bastare a se stessa.
In tre lingue della Costa dAvorio meridionale (Eotile, Mbatto,
Nzema) lago viene detto rispettivamente a gbu ja , a gu ja e a gbu ja
ed facile vedere che si tratta di prestiti dal portoghese agulha:
i Portoghesi infatti sono stati i primi europei che hanno aperto
sedi mercantili su quella costa: ci sono nelle lingue locali altri
20
lecito sospettare che anche in questo caso la fonte sia Varrone.
Franco Crevatin 56
prestiti dalla medesima lingua (ad es. Bawl kpau) pane
21
). Lago
il prodotto di una tecnica metallurgica avanzata e ricordiamo
che anche nella lingua dei Tuaregh il nome dellago (per tappeti)
un prestito, in questo caso dal latino, ta-sugla, ta-subla
22
< sbla.
Ma che ci sarebbe di culturale nel fatto che litaliano sasso deriva
dal latino saxum?
Lobbiezione sarebbe mal posta, poich se vero che ogni
problema pu essere tecnicamente affrontato per se stesso, al-
trettanto vero che non esiste parola che nel lessico non sia parte
di classificazioni o di campi lessico-semantici per definizione culturali:
essa isolabile solo per fini operatori (nostri!) contingenti. Per
tornare allesempio ora citato, il latino saxum indica un macigno,
una rupe, e dunque va visto nei suoi rapporti con petra e lapis e
dunque ha una collocazione lessicale diversa da quella che il
derivato ha in italiano. Ora mostreremo che quando si dice che
litaliano rosso deriva dal latino rssus si racconta solo una parte
di una storia complessa.
Tutti gli esseri umani hanno unidentica percezione del colore,
ma hanno una diversa cognizione del colore stesso: le culture
delimitano in maniera diversa lo spettro della luce e applicano
quindi etichette linguistiche che possono sembrare, ma non sono,
uguali o simili. Il bianco ed il nero latini, ad esempio, erano
diversi dai nostri: per i Romani infatti un fattore distintivo era la
luminosit per cui si distingueva il bianco luminoso (candidus)
da quello non luminoso (albus), il nero che riflette la luce (niger)
da quello che non la riflette (ater). Viridis era s il color verde,
quello della vegetazione fresca, ma ricopriva anche una fascia
del giallo pallido come del resto il greco ` ,. Sulle varie
sfumature del rosso ci informa una pagina di Aulo Gellio (Noctes
Att. 2, 26) che conviene citare nella sua interezza.
21
Il pane non esiste nellalimentazione tradizionale dellarea.
22
Ta- il formante del femminile.
Letimologia come processo di indagine culturale 57
Ci sono pi distinzioni nel senso della vista che distinzioni
di parole o termini. In effetti, pur lasciando da parte le altre
incoerenze, questi semplici colori del rosso (rufus) e del verde
(viridis) hanno appunto queste semplici denominazioni, ma
sono (essi stessi) di molte specie differenti. E tale povert lessicale
la trovo piuttosto nella lingua latina che in quella greca. Poi-
ch il color rosso (rufus) viene cos detto dal suo esser rosso
(a rubore), tuttavia altro il modo di esser rosso (rubere) del
fuoco, altro quello del sangue o della porpora, del fiore del
croco, delloro, e la lingua latina non identifica con singoli
vocaboli appropriati queste specifiche variet di rosso, bens
le definisce con lunica designazione di rossezza (rubor), tranne
nei casi in cui mutua i termini di colore dalle stesse cose designate
e dice che qualcosa igneus (proprio del fuoco), flammeus (proprio
della fiamma), sanguigno, del colore del croco, purpureo ed
aureo. I termini per indicare il rosso, russus e ruber, sono derivati
da rufus
23
e non precisano tutte le propriet ad esso pertinen-
ti.; invece i) , (giallo carico, biondo), : u) , (rosso), vu ,
(rosso fuoco
24
), -. , (arancio, color cuoio), ). . paiono
comprendere alcune distinzioni nel color rosso, rendendolo
pi o meno intenso o segnalandone la sua mistura (con altre
tonalit). Allora Frontone rispose a Favorino
25
: Non nego che
la lingua greca, che mi pare tu abbia scelto, sia pi ricca e
dettagliata della nostra, tuttavia nel denominare i colori che
hai ora citato non siamo tanto poveri come a te sembriamo.
Per indicare il color rosso (rufus) non ci sono solo le parole da
te ricordate, russus e ruber, ma ne abbiamo altre e pi nume-
rose di quelle greche da te dette. E infatti fulvus, flavus, rubidus,
poeniceus, rutilus, luteus, spadix sono designazioni del color
rosso e che lo rendono o pi vivo, quasi incendiandolo, o lo
scuriscono mescolandolo col verde o col nero, o lo rendono
luminoso con una aggiunta di bianco splendente. Infatti poeniceus
la nostra designazione per il ). .-i che hai detto in greco
23
Effettivamente ruber e rufus sono corradicali, ma non russus.
24
Tale lopinione corrente dei moderni, ma si potrebbe legittimamente dubitare
sia del tratto semantico della luminosit (< vu fuoco, come vorrebbe la vulgata
etimologica), poich la voce presente come prestito popolare nel latino, burrus,
dove pare aver avuto il significato di rufus (P.-Festo 28, 9), ma la forma col-
laterale birrus come nome di mantello pare indicare un color bruno (cfr. anche
ital. birro e il tipo *brius dal quale viene lital. buio).
25
Il filosofo che ha appena parlato.
Franco Crevatin 58
e rutilus e spadix (sinonimo di poeniceus che abbiamo preso
dal greco) indicano la ricchezza
26
e la luminosit del rossore
quali sono i frutti della palma non ancora fatti maturare dal
sole, dal quale fatto prendono il nome di spadix e di poeniceus:
nel dialetto dorico si dice cvi o.-i un ramo di palma levato
dallalbero assieme al suo frutto. Fulvus sembra essere invece
una mistura di rosso e di verde, in alcuni casi con pi verde
in altri con pi rosso. E cos il poeta (i.e. Virgilio) che stato
il pi attento nella scelta delle parole ha detto fulva dellaqui-
la, del diaspro, ha detto fulvi i berretti di pelo, loro, la sabbia
ed il leone, cos come Ennio negli Annales aveva detto fulva
laria. Per contro flavus sembra essere composto da rosso, verde
e bianco
27
; cos le chiome bionde (flaventes) e, cosa che vedo
stupire taluno, flavae vengono dette da Virgilio le fronde del-
lolivo, cos come molto tempo prima Pacuvio aveva detto
flava lacqua e fulva la polvere. Voglio ricordare i suoi versi
perch sono piacevolissimi
Porgimi il piede, affinch con flavae acque la polvere fulva
io lavi via con queste mani,
con le quali spesso ho massaggiato Ulisse,
perch con la morbidezza delle mani
diminuisca la stanchezza (tua).
Rubidus inoltre un rosso (rufus) pi scuro (e non luminoso,
ater) e scurito da una maggiore nerezza; luteus per contro un
rosso (rufus) meno saturo (dilutior) e pare proprio che prenda
il suo nome dal suo esser diluito.
Come si vede, anche preso atto che la discussione in parte
falsata dalla disuguaglianza del registro linguistico esaminato,
evidente che nella terminologia latina il tratto della luminosit
era distintivo e che dunque lintera strutturazione del campo
semantico era diversa dalla nostra.
Probabilmente il carattere culturale della ricerca etimologica
si rivela con immediatezza quando letimo raggiungibile un
prestito, sia esso un prestito di necessit (la nuova parola nella
lingua ricevente identifica una realt prima ignota) o si riveli
legato a modelli (e mode) sociali.
26
Exuberantia; probabilmente indica qui i diversi gradi di saturazione cromatica.
27
Evidentemente ci si riferisce alla luminosit.
Letimologia come processo di indagine culturale 59
Nelle iscrizioni egiziane della XXII dinastia compare un titolo
proprio delle comunit libiche residenti in Egitto, ms, il quale
palesemente identifica un capo, verosimilmente militare. La pa-
rola certamente berbera, perch ricompare in molte variet nella
forma mass capo (tuaregh mess padrone), ed il segno della
reiterata pressione libica sullEgitto occidentale. Ma se nella val-
le del Nilo le genti berbere trovavano uno stato organizzato pronto
a bloccarli (e che peraltro non sempre riusc a farlo), in altre
regioni dellAfrica settentrionale le genti berbere riuscirono ad
espandersi grazie al controllo delle vie carovaniere. In et
protostorica li troviamo insediati nella Nubia settentrionale, dove
hanno lasciato inequivocabili tracce della loro lingua, e sin
dallepoca preromana le vie trans-sahariane erano saldamente
nelle loro mani: su di esse viaggiava verso sud il prezioso sale
ed i prodotti delle culture mediterranee in cambio di oro. Non
stupisce dunque ritrovare nelle lingue mande dellAfrica occi-
dentale la parola msa(-ke) nel senso di re, che ci mostra che
i punti darrivo carovanieri (Timbuctu tra questi) irradiavano
non solo ricchezza ma anche modelli politici e culturali. Anche
nello yulu, lingua del Sudan meridionale, attestata la voce
mass capo, re che, se non si tratta di una coincidenza, potreb-
be essere un relitto dovuto alle vie carovaniere sahariane tra-
sversali verso il Dar Fur e la Nubia.
Come si detto, i Portoghesi furono i primi europei ad aprire
scali commerciali nella parte settentrionale del golfo di Guinea,
seguiti in un secondo tempo dagli Inglesi e poi dai Francesi:
oltre ai prestiti ricordati (ed avremmo potuto ricordare anche dei
toponimi, ad es. Sassandra [Costa dAvorio) < S. Andrea) ne cito
due che mi sembrano molto significativi. Nella lingua bawl il
piccolo gruzzolo doro che si passa in eredit e che di norma non
viene toccato si dice d na u : esso viene comunemente interpretato
dai parlanti come un monito lo usi ed allora muori, che
corrisponderebbe ad un a d na) a wu , una bella reinterpretazione
di una voce del tipo dineru o sim. Inglese invece lorigine del
Franco Crevatin 60
bawl pO nu , nome dellelemento base del valore, a base quinaria,
del computo tradizionale del denaro, < pound.
Non occorre insistere oltre: senza scambio culturale non pos-
sono esistere prestiti.
Ma ritorniamo alla culturalit del recupero etimologico ed alle
obbiezioni che esso potrebbe suscitare. Lesempio sopra ricorda-
to circa la terminologia del colore in latino parte da unaccezione
larga dellimmediatezza della rilevanza culturale: la lingua per
definizione attributo ed istituzione culturale. Tuttavia, sarebbe
esagerato voler mettere sullo stesso piano i problemi che pone
linterpretazione di referenti naturali la geomorfologia, ad esempio,
o la partonimia del corpo umano e quella relativa a prodotti
della cultura materiale o spirituale. Insomma, possiamo ammet-
tere che di massima i problemi sono diversi se si affronta letimo
di una parola che ha come referente montagna o quello di a-
nima o principe.
Sia pure, dunque. Ma la distinzione tra referente naturale e
prodotto culturale tuttaltro che semplice ed ovvia: se fosse
tale, si dovrebbe ammettere che la naturalezza esista come fatto
oggettivo, sempre uguale a se stesso, da tutti e sempre percepita
e (ri)conosciuta. Le cose per non stanno davvero cos. Esistono
tendenze universali e tratti che paiono essere veri e propri primordial
characters che la cultura e la singola lingua possono rispettare
come trasgredire; per quanto oggi sappiamo, il modo in cui le
lingue e le culture organizzano i dati naturali non facilmente
prevedibile e ci che davvero prevedibile (che so, nessuna lin-
gua distingue con etichette lessicali diverse locchio destro da
quello sinistro) non ci utile. Un esempio chiarir meglio la questione.
Le dita della mano sono distinte da caratteristiche intrinseche:
il pollice il dito pi grosso, il mignolo quello pi piccolo, il
medio quello pi lungo, lindice quello pi usato per toccare,
grattare, esperire, mostrare. In questa classificazione elementare,
il dito anulare fuori sistema, per cui in parecchie lingue non ha
unetichettatura linguistica: curiosamente (ma coerentemente!) nel
bawl il suo nome be-si-a-dum non se ne sa il nome. Noi
Letimologia come processo di indagine culturale 61
invece, per tradizione dotta latina fatta propria anche dalla Chie-
sa, lo chiamiamo dito dellanello (anularis). Il perch ci viene
spiegato da Aulo Gellio (Noct. Att. 10, 10): gli Egiziani avevano
scoperto anatomicamente che un nervo sottilissimo collegava tale
dito al cuore, per cui era pi che sensato collocarvi un anello
(propterea non inscitum uisum esse eum potissimum digitum tali honore
decorandum, qui continens et quasi conexus esse cum principatu cordis
uideretur.), fosse esso simbolo di posizione sociale o di fatto reli-
gioso e si pensi alla fede matrimoniale. Effettivamente la noti-
zia, che Gellio ricava dallo scrittore egiziano Apione, di buona
qualit, anche se anatomicamente assurda: gli Egiziani antichi
credevano in effetti che ciascuna delle dita della mano fosse col-
legata ad una viscera diversa.
Insomma, non si pu a priori decidere quanto sia naturale e
quanto, pur non essendo un artefatto materiale o spirituale uma-
no, sia culturalmente determinato. Credo che la conclusione non
possa stupire: qualunque designazione pu essere determinata
non dalle caratteristiche fisiche del referente naturale bens da
fatti culturali, cosa questa molto comune nei nomi di piante. Nei
dialetti sloveni diffusa la designazione netrsk per il Semper-
vivum tectorum, una crassulacea simile al carciofo. Letimo tra-
sparente, ossia la pianta che protegge dal colpo del fulmine (trsk)
e la designazione dovuta alla tradizione molto diffusa nellEu-
ropa medievale che la pianta proteggesse, appunto, dal fulmine:
Carlo Magno nel suo Capitulare de villis aveva prescritto che essa
dovesse essere largamente piantata nei villaggi per le sue capa-
cit protettive. E, a dire il vero, lorigine ultima della credenza
va cercata nel mondo romano, dove la pianta veniva detta, ap-
punto per questo motivo, oculus Jovis (nellalto Medioevo compa-
re il tipo barba Jovis) ed era creduta efficace anche per allontanare
dalle case, sul tetto delle quali veniva piantata, il male derivato
dallodio: era pianta, insomma, che proteggeva e che induceva
allamore (Ps.-Apul. CXXIV e Diosc. IV, 88).
Ulteriori esempi ci sono forniti dalle etichettature delle tassonomie
animali. Il nome della tartaruga in diverse parlate romanze pre-
Franco Crevatin 62
suppone un tartarca, derivato dal greco 1iiu , inferna-
le. Non vi nulla nella tradizione culturale greca e latina in
senso proprio che giustifichi tale infamante designazione n la
parola nota in questo significato nelle fonti a nostra disposizio-
ne. La tartaruga ha evidentemente assunto tale (dis)valore cultu-
rale nella lingua e nella pratica della magia e dellesorcismo, quando
nei primi secoli dopo Cristo in quel particolare sapere specialisti-
co greco confluirono correnti culturali vicino orientali: nella cul-
tura religiosa egiziana, che tanto ha contribuito alla magia greco
romana, la tartaruga uno dei simboli delle forze delle tenebre
e del male contro le quali combatte il dio del Sole (Che viva Ra
e muoia la tartaruga! recita apoditticamente il Libro dei Morti al
capitolo 161). In questa prospettiva significativo che nei musaici
cristiani aquileiesi di et teodosiana compaiano due scene di lotta
tra il gallo, simbolo della luce e del risveglio alla fede, e la tar-
taruga, soprattutto se si tiene conto della tradizione che lega la
fondazione della chiesa aquileiese ad Alessandria dEgitto.
Limpronta culturale pu dunque essere determinante in ogni
settore del lessico per una ragione profonda: lUomo non sem-
plicemente un animale sociale, condizionato neuro-fisiologicamente
a vivere in societ ed a produrre comunicazione sociale, bens
programmato nellevoluzione a creare cultura socialmente distri-
buita via comunicazione orale. Molti mammiferi sono animali
sociali, ma non per questo producono cultura ed alcuni mammi-
feri superiori possono produrre limitate variet culturali senza
per comunicazione orale. Insomma, luso linguistico in quanto
tale presupposto dalla continua creazione, innovazione,
risistrutturazione culturale. Nella Storia, come ovvio che sia, il
processo non parte mai dal livello zero, per cui linnovazione o
ladattamento possono essere espressi con segni linguistici che di
fatto erano adeguati alla situazione precedente (io scrivo con la
penna, che per non la penna (doca)), per cui tra passato
linguistico e culturale e presente, tra tradizione ed innovazione,
c una costante dialettica: lequilibrio raggiunto sempre preca-
Letimologia come processo di indagine culturale 63
rio, lequilibrio di chi cammina e non di chi sta fermo, perch
linnovazione non pu superare la soglia che renderebbe disage-
vole la comunicazione sociale e la conservazione non pu occul-
tare il cambiamento pena lambiguit.
Dobbiamo fare alcune altre osservazioni. La prima riguarda
letimologia come aspetto specifico della storia globale di una
lingua: il recupero di un etimo coincide con il recupero, il pi
possibile su base documentaria e / o fondandosi su regole (fone-
tica e morfologia storica), dellultimo stadio evolutivo nel quale
la parola analizzabile. Ci significa che lanalisi riguarda sia la
storia della lingua data che la storia della stessa in quanto parte
di una famiglia linguistica; e non si tratta di mere ovviet. Ri-
salire nel tempo con forme analizzabili significa ammettere che
oltre lanalisi non esiste semplicemente lincertezza, bens
lincommensurabilit. Il che non implica a priori la falsit delletimo,
ma solo, nel caso migliore, la nostra incapacit di coglierlo in
tutte le sue dimensioni significative. Un esempio, tra i tanti pos-
sibili: molte forme dialettali italiane settentrionali (prevalente-
mente piemontesi e lombarde) ci portano a ricostruire un *toma
(tipo di) formaggio. facile prendere atto che non si tratta di
voce latina n di voce del superstrato germanico, per cui dobbia-
mo concludere che si tratta di una voce appartenente al vocabo-
lario delleconomia alpina preromana. Di fatto essa sopravvis-
suta perch stata recepita dalle parlate latine provinciali del-
lItalia settentrionale, altrimenti mai sarebbe giunta sino a noi,
ma una volta ammesse origine e trafila siamo impotenti ad anda-
re oltre. Discuteremo oltre i problemi posti dalle voci definibili
di sostrato, per ora basti rilevare che la situazione di impoten-
za dovuta a carenza documentaria linguistica e culturale
molto pi frequente di quanto non vorremmo. Daltronde si trat-
ta di una situazione comprensibile, perch molti dei documenti
essenziali dei quali facciamo uso ci sono stati selezionati dal caso:
gli insetti non hanno mangiato quel papiro, quel documento dar-
chivio non andato disperso, quellepigrafe non stata riutilizzata
come blocco da costruzione, e cos via. Ed anche nella storia
Franco Crevatin 64
documentaria comparativamente pi ricca ci sono dolorose la-
cune.
Sto sostenendo, come conseguenza a mio parere inevitabile,
che il nostro sapere culturale (ovvero il nostro non sapere) con-
dizionano la nostra pratica etimologica ed i risultati ai quali ten-
diamo. In mbito veneto ed istriano documentato il nome zenso
persona omonima, evidentemente da un *gentius, forma non
attestata, ma possibile e corretta, che deriva da gens. Nel latino
repubblicano gens aveva due significati, quello di clan, ossia
gruppo di persone che si supponevano discendenti da un unico
antenato, talora mitico, ma che non erano in grado di ricostruire
rapporti di parentela al loro interno, e quello di gruppo umano,
popolo. Questo secondo significato si continuato durante tutta
la latinit, pur se con la concorrenza di populus. Il riferimento al
clan era fondamentale nel sistema romano classico del nome di
persona: il sistema prevedeva luso del prenome, che era antica-
mente il nome individuale, del gentilizio (nome condiviso da tutti
gli appartenenti ad una gens), la filiazione (citazione del prenome
del padre), lappartenenza ad una tribus, ed il cognomen, ossia
quello che potremmo definire il soprannome dellindividuo. Un
esempio: Lucius + Furius + Luci filius + Oufentin trib + Crassipes.
Tale sistema cominci ad entrare in crisi gi durante il primo
impero ed a livello popolare era ampiamente dissolto nel IV sec.
Ne consegue che *gentius di formazione anteriore a questa data.
La ricchezza e la specificit delletimo deriva dal sapere epigrafico
ed istituzionale gi acquisito e nel quale esso si colloca.
Certo, la storia non si fa con i se, e non possiamo fingere, per
amor dargomentazione, di immaginare quella che sarebbe stata la
nostra ricostruzione se non avessimo avuta piena consapevolezza
del sistema onomastico romano: mi basti dire che il nostro sapere
non frequentemente di questo livello e che pi povero esso ,
tanto pi povero di articolazioni sar letimo che proporremo.
Guardando indietro, possiamo dire che sono stati fissati alcu-
ni fatti molto importanti la fattualit delletimo, la sua intrin-
Letimologia come processo di indagine culturale 65
seca dimensione culturale, la sua correlazione a saperi extra-lin-
guistici. Le difficolt presentate dalletimologia, oltre a quelle
specificamente linguistiche, sono quelle presenti in qualsiasi ri-
cerca di carattere storico problemi di fonti, di commensurabilit
dellipotesi emessa, di economia interpretativa. Possiamo conclu-
dere con unultima esemplificazione.
In qualche singola localit istriana (Buie dIstria) lagionimo
(Eu)fmia si presenta nella forma Foma, con un accento sorpren-
dente. Da un punto di vista strettamente linguistico si pu dire
che tale accento non giustificato dallevoluzione neolatina, men-
tre perfettamente accettabile se supponiamo che esso, beninteso
assieme al nome, sia un prestito dal greco bizantino. In sede sto-
rica siamo confortati dal fatto che lIstria, da prima della caduta
dellImpero romano dOccidente sino almeno allVIII secolo, sta-
ta politicamente e militarmente dipendente da Bisanzio, anche se
talora la dipendenza era poco pi che nominale. Diventa dunque
legittimo chiedersi se nei dialetti istriani siano reperibili altri
bizantinismi; nonostante le ovvie difficolt della questione
28
, esi-
ste qualche voce sospettabile di tale origine. Vediamole. Nel dia-
letto di Cittanova del XV secolo esisteva il tipo dmanda settima-
na = greco : 3o ioi (accusativo), ma bisogna riconoscere che la
voce greca, nella forma hbdmda, era entrata in alcune variet
del latino parlato (REW 4090) ed documentabile anche in aree
italiane che mai hanno visto una presenza greca. Ben pi affidabi-
le la voce marasa (Dignano) finocchio < i i), poich il tipo
completamente isolato dal punto di vista neolatino: il trattamen-
to della -th- greca quello che ci aspetteremmo (si veda ad esem-
pio i ), guancia = veneto gansa). Nulla per ci garantisce
anche se la cosa pare francamente improbabile che non si tratti
di un prestito tardo antico. Lo stesso si potrebbe dire, pur con lo
stesso sforzo, per la parola gombro corbezzolo attestata a Dignano,
28
La presenza bizantina stata di qualche importanza soprattutto durante lepo-
ca del confronto con i Longobardi, dunque un periodo temporale piuttosto ri-
stretto perch il greco abbia potuto esercitare davvero la superiorit del modello
culturale tramite esso irradiato.
Franco Crevatin 66
anchessa completamente isolata nel lessico neolatino e la cui ori-
gine va ravvisata nel greco - i , id. (> com(b)ro). Siamo dun-
que costretti allafasia, nonostante si debba prendere atto sia della
ragionevolezza delle ipotesi linguistiche sia aggiungo del fatto
che la localizzazione delle due voci pi significative Dignano,
paesetto a 9 chilometri da Pola, porto e base militare del generale
bizantino Belisario?
Ebbene no: ci soccorre infatti una pia tradizione. Santa Eufemia
la patrona di Rovigno e la leggenda vuole che il sarcofago con
le sue spoglie mortali sia stato spinto miracolosamente a riva
proprio a Rovigno, dove venne trovato, fu edificato un luogo di
culto e la martire fu eletta a Patrona. Dietro la tradizione leg-
gibile in controluce un fatto indiscutibile, ossia che il culto di
Santa Eufemia stato importato in Istria. Riscopriamo cos la ratio
del prestito del nome e del suo accento ed ogni residuo dubbio
pu cadere anche circa la grecit delle due voci dignanesi.
Letimologia come processo di indagine culturale 67
I PERICOLI DEL PASSATO
In questo capitolo sosterr una tesi che nulla ha di parados-
sale e che anzi, a ben vedere, molti giudicherebbero ovvia: il
passato quel luogo dove si facevano altre cose ed anche quelle
che sembrano (e non detto che lo siano davvero) simili alle
nostre si facevano in modo diverso. Tenter inoltre di mostrare
che nelle nostre escursioni nel passato si rischia spesso di dare
per implicito molto che invece va, se possibile, dimostrato, dalle
classificazioni alla continuit, linguistica o culturale che sia.
Uno dei pi comuni errori di ingenuit guardare alle culture
diverse dalla nostra con gli occhiali fornitici dalle nostre tradi-
zioni ed abitudini, come lastigmatico guarda e ci si trova bene
con una lente cilindrica. Davanti a parole che sono in rapporto
di continuit storica e che hanno significati a tutta prima simili
o meglio, la cui parafrasi simile possiamo esser portati a
credere che letimo, formalmente evidente, non ponga problemi
particolari. Ma perch mai dovrebbe essere cos, essendo che noi
stessi percepiamo talora un divario di due o tre generazioni come
stupefacente? Non si tratta di accelerazione tipicamente con-
temporanea, se Varrone poteva tranquillamente parlare di antiquitates
e di vetustas per espressioni linguistiche e culturali che lo prece-
devano di non molti secoli in un ambiente che era ancora larga-
mente legato alle tradizioni avite.
Lattenzione per il contesto culturale delletimo comune da
almeno ottantanni, se fissiamo come punto di maturazione la
comparsa del Reallexicon der indogermanischen Altertumskunde (Berlin
1917-1929) di O. Schrader ed A. Nehring. In questa ricca opera
larcheologia la referenza principale della ricerca etimologica.
Se non il punto di arrivo, quanto meno una tappa altrettanto
importante stato Le vocabulaire des institutions indo-europennes
di E. Benveniste (Parigi 1969), nel quale la ricerca etimologica
legata a straordinarie finezze di ricostruzione semantica su base
testuale. Non pi larcheologia, dunque, ma una filologia testua-
le comparata costituisce il referente dello sforzo etimologico. Strano,
Franco Crevatin 68
invero, che lantropologia non abbia avuto che una parte piutto-
sto limitata nella ricerca
29
: come scienza della cultura avrebbe
potuto contribuire non poco ad una visione laica di molti proble-
mi.
Qual dunque si potrebbe chiedere loggetto del conten-
dere, se tutti concordano nellammettere che letimo ha dimen-
sione culturale? Ebbene, innanzi tutto la complessit del proces-
so, quella che travalica il rapporto tra un etimo ed un fatto, pro-
spettiva questa che stata a lungo privilegiata dalla referenza
archeologica. Essa viene alla luce quando letimo coglie aspetti
poco o punto noti e sui quali necessario emettere ipotesi il pi
possibile economiche. Un esempio, molto noto: il latino vcus aveva
due significati, quello di fila di case, strada, quartiere e quello
di insediamento; ambedue i significati si continuano nel mon-
do romanzo (vco(lo) rispetto ai tanti toponimi del tipo Vico o
Vigo). Qual dunque il fattore unificante? Evidentemente labita-
re vicino (vcnus un derivato da vcus) di un gruppo di perso-
ne, un abitare assieme che pu essere urbano o rurale (vlla).
Tuttavia nel momento in cui prendiamo atto che formalmente la
parola vcus equivale perfettamente al greco . -, casa, grup-
po familiare ci rendiamo conto che il soggetto logico soggiacente
alla comparazione originariamente un fatto di parentela con
una proiezione abitativa: persone che sono o ritengono di essere
parenti tra di loro abitano assieme. Se poi procediamo ad una
pi ampia comparazione indoeuropeistica troviamo conferme
allassunto, poich liranico vs- ed il sanscrito vs - indicano appunto
il lignaggio. Letimo ha un valore aggiunto, ossia ci garantisce
che linsediamento latino pi antico era ancora concepito in ter-
mini di parentela.
Lesempio, per banale che sia, ci mostra che non sempre
ovvio nei nostri termini culturali ci che va chiesto alletimo. Ho
detto nel capitolo precedente che scrivo con una penna che
per non una penna (doca) ed adesso aggiungo che letimo ci
29
Essa ha avuto qualche fortuna nella produzione di linguisti statunitensi.
Letimologia come processo di indagine culturale 69
si presenta sempre come il prodotto di successive cristallizzazio-
ni semantiche e culturali. Contrariamente a quello che possiamo
dire sul piano formale delletimo stesso, non possiamo affermare
che il livello, cronologico e ricostruttivo da noi raggiunto, sia
semplicemente quello dellultima cristallizzazione. Ci dovrebbe
essere chiaro se prendiamo in considerazione esempi a noi con-
temporanei e dunque ragionevolmente chiari. Nel sardo
30
il cam-
po incolto destinato a pascolo pu esser definito in vari modi: il
referente fisicamente lo stesso, ma la terminologia varia a se-
conda della referenza culturale. Altro il terreno destinato esclu-
sivamente a pascolo, altro il terreno non coltivato (ma che po-
trebbe esserlo), altro ancora il campo che non coltivato perch
lasciato a maggese nel sistema della rotazione dei campi. La ro-
tazione rigidamente prevista per le intere terre di un comune:
i gruppi sociali dividono tutte le loro terre in due gruppi, quelle
destinate pro tempore alla coltivazione
31
(nuor. biDaTone, ecc.) e
quelle destinate al pascolo (nuor. paperile, ecc.). Letimo della prima
parola il latino habitatio, che sottolinea loriginario aspetto
insediativo rurale, mentre quello della seconda voce il latino
pauper povero. Tale terra di poveri per originariamente nulla
aveva a che fare con il sistema rotativo n con una sua presunta
povert rispetto alle terre produttive, bens va visto nella logica
terriera feudale: si trattava infatti della terra riservata ai poveri
perch la sfruttassero come pascolo.
Ho usato il termine cristallizzazione desumendolo dallam-
bito degli studi sul mito perch mi sembrato adattarsi bene
anche ai problemi etimologici: sinch una parola si continua, i
suoi rapporti con il resto del lessico subiscono continui, graduali
e mutevoli assestamenti in relazione alla cultura dei parlanti,
arrivando talora e senza che i parlanti stessi ne percepiscano
con chiarezza la fastidiosa ambiguit ad indicazioni semantiche
che sono lesatto contrario della situazione originale. Un buon-
30
Uso il presente etnografico.
31
Nella quale la parte incolta pu esser destinata a pascolo.
Franco Crevatin 70
gustaio rifiuterebbe con orrore lidea che il vino piemontese Dolcetto
sia dolce e sino a poco tempo fa ognuno di noi avrebbe evitato
accuratamente di prendere un (treno) accelerato, sapendo bene
che era il pi lento dei treni sulla rete. Letimo delle due parole
ci dice per, senza scampo, che il Dolcetto era dolce e che lacce-
lerato era pi rapido dei treni normali, ma letimo non ci direbbe
altro se non avessimo la possibilit di confrontarlo con altri saperi.
Un altro caso, sul quale siamo fortunatamente abbastanza
informati, quello delle designazioni romanze occidentali della
persona ricca: esso ci consente di veder ancora meglio quanto
i fatti linguistici e culturali possano essere non ovvii. In tutta
larea italiana documentata la voce ricco, che viene forse
32
da
un longobardo rikhi ed ha, apparentemente, lo stesso significato;
in area galloromanza (francese riche) il prestito ha seguito altre
vie (dal francone antico rki), ma letimo lo stesso, pur con il
senso talora di potente, e tanto vale anche per liberoromanzo
(spagnolo rico), che rinviene al gotico reiks: in questultimo caso
rileveremo che nelle prime attestazioni della parola (Cantar del
mio Cid) la voce vale anche eccellente, prezioso, caro, con
connotazioni emotive non ignote nel castigliano contemporaneo.
En passant, notiamo che germanica antica pure lorigine del
finnico rikas ricco. Possiamo tranquillamente escludere che si
trattasse di un prestito di necessit, visto che le genti germaniche
guardavano allImpero romano dOccidente come al paese di tutte
le ricchezze e proprio per questo motivo lo aggredirono sino a
farlo cadere. Dovremmo resistere anche alla banalizzante idea
che, dopo la conquista, erano i popoli germanici i nuovi ricchi ed
i Romani i poveri per cui la mutata situazione avrebbe condizio-
nato il prestito: successo anche questo, naturalmente, ma non
il fattore fondamentale. Guardiamo innanzi tutto al senso della
parola germanica. Il tipo *rkaz contiene due indicazioni semantiche,
quella della ricchezza e quella del potere (tedesco Reich). La
32
Cos la vulgata, ma personalmente credo che la parola sia entrata dal gotico in
epoca gi tardo antica.
Letimologia come processo di indagine culturale 71
concezione germanica della ricchezza era legata alla struttura sociale
ed economica di tali genti. Sino al volgere dellera volgare non
esistevano significative differenze di livello economico tra ap-
partenenti allo stesso gruppo ed inoltre la struttura politica era
sostanzialmente acefala. Il prolungato rapporto con lImpero ro-
mano, limportazione di generi di prestigio e di lusso (vasi, monili,
lo stesso vino) port a graduali ed importanti mutamenti nellas-
setto sociale, spingendo verso la differenziazione censuale; inol-
tre si consolid una struttura, gi prima blandamente esistente,
di potere politico: il singolo guerriero, il cui valore e capacit
erano largamente riconosciuti per tali dallopinione pubblica, poteva
raccogliere attorno a s altri guerrieri che lo riconoscevano come
capo, lo sostenevano in guerra e nelle assemblee; in cambio egli
elargiva con molta generosit ai suoi seguaci beni economici e di
prestigio. Insomma, il capo poteva di fatto esser ricco, ma la
sua ricchezza veniva sempre largamente redistribuita. NellAlto
medioevo, quando pure si erano ulteriormente approfondite le
disuguaglianze economiche, il capo germanico continu ad esse-
re un grande redistributore di ricchezza, al punto da arrivare
talora alla distruzione di propri beni: la ricchezza andava esibita,
regalata, usata come strumento di confronto con altri capi e con
lintero gruppo, quasi come unarma di impatto sociale per supe-
rare il potenziale avversario in generosit redistributiva. Per fare
questo, per, i grandi redistributori avevano bisogno di poter
contare su seguaci sempre disponibili. Si cre cos, o meglio si
perfezion, un sistema che poneva il lavoro, in primis quello agricolo,
come un disvalore, poich il capo o il guerriero combatte ed altri
devono lavorare per lui.
Questa fu dunque la situazione culturale nella quale avvenne
parte considerevole del contatto tardo antico e alto medievale tra
mondo germanico e mondo romanzo, e difficilmente si potevano
immaginare distanze maggiori (e prescindo dalle differenze reli-
giose). La cultura tardo latina e Cristiana predicava la povert,
lumilt ed il lavoro (pur se come penitenza umana dovuta al
peccato originale, non come valore in s; il motto ora et labora
Franco Crevatin 72
riflette proprio tali concezioni) in una tradizione economica agri-
cola per eccellenza e si trovava a confrontarsi con la cultura dei
nuovi signori che a tutto questo era estranea: la percezione della
distanza era molto forte ed anche la differenziazione alimentare
non era da essa sottostimata: il capo germanico aveva nella carne
il suo status symbol alimentare, ma la Chiesa vedeva proprio nella
frequente rinucia al consumo della carne un segno forte di
contrapposizione.
Il ricco, insomma, non era pi il dives latino (conservato pro-
babilmente solo nel sardo antico, che difatti non stato esposto
alle migrazioni germaniche), ormai un ricordo dei tempi econo-
mici passati, ma qualcosa di sconcertante e di diverso da tutto
quello che era culturalmente ragionevole dal punto di vista dei
Latini. Il prestito fin per essere quasi un fatto di necessit.
Quanto sinora abbiamo detto (e visto negli esempi) facil-
mente riassumibile nelle due constatazioni che levoluzione non
lascia tracce omologhe di un rapporto di 1 : 1 tra fatti linguistici
e fatti culturali ed, inoltre, che la continuit della forma lingui-
stica tende ad occultare ai nostri occhi levoluzione della cultura.
Possiamo essere in grado di cogliere delle cristallizzazioni semantiche
e culturali, ma quando siamo ridotti a ragionare sulla mera for-
ma, operando con radici lessicali e privi di altri saperi culturali,
poco possiamo andare al di l della mera presa datto, quando
beninteso essa non sia in se stessa indizio di fatti storicamente
apprezzabili. Ne consegue che ogni viaggio nel passato rischioso
e che il rischio aumenta in diretta proporzione con la lunghezza
del viaggio stesso.
Affrontiamo adesso due altre insidie del passato, ossia linsi-
dia classificatoria e quella della continuit. Mi riferisco, alquanto
paradossalmente, a due fattori di ordine linguistico che pure
costituiscono uno dei presupposti fondamentali della corretta ricerca
e spiegazione etimologica. Quando sosteniamo che litaliano sciatto
viene dal latino exaptus inadatto, ammettiamo che a) c conti-
Letimologia come processo di indagine culturale 73
nuit di forma tra il punto di partenza ed i punti di arrivo e b)
che sempre chiaro quali siano i punti in questione, ossia che
quella parola latina lorigine identificabile ed identificata delle
citate forme romanze e di altre ancora. Alla base, poniamo,
dellistriano (Buie) tenr rifare il filo alla falce fienaia suppor-
remo, non senza buoni motivi, un latino regionale non attestato
dalle fonti scritte *aptnre rendere adatto senza pericoli per la
credibilit della trafila. Tuttavia, come ben si pu immaginare, le
cose non sono sempre cos ovvie. Innanzi tutto in molti casi c
continuit di forma ma non continuit di referente: ad esempio il
vino veneto Prosecco deve il suo nome al fatto di essere di sapore
asciutto (latino persccus), ma n il vino in quanto tale ed
ovvio n il nome che identifica il suo gusto possono essere
latini (sarebbe stato detto austerus). Altrettanto spesso c conti-
nuit di referente ma non continuit di forma: caso esemplare
il corpetto tradizionale sardo, che molto probabilmente risale ad
epoca preromana ed il cui nome originario pare esser stato mastruca
(Quintil. Inst. Orat. 1, 5, 8 e Cic. Prov. 15, 8 e Pro Scauro 45h 2),
ma che si dice oggi besteBi (letter.: veste di pelle); anche nel
basco ci sono casi di nomi riferiti a realt culturali antiche che
per non sono etimologicamente baschi bens prestiti latini.
Quello della continuit un punto delicatissimo, perch per
continuit si intende di massima sempre un fatto complessivo.
Possiamo ad esempio tranquillamente dire che in Egitto da unepoca
preistorica imprecisata sino al XVI secolo circa della nostra era
c stata continuit: la lingua dei costruttori delle piramidi si
evoluta successivamente in quella dei Faraoni conquistatori, dei
sudditi dei sovrani macedoni e dei monaci copti Cristiani. Ancor
oggi nelle chiese copte, nelle quali il dialetto bohairico viene usato
come lingua liturgica, sentiamo echeggiare le parole dei Faraoni:
cos recita il primo versetto del Pater noster
peniwt et
q qq qq
en nivhoui
Padre nostro che (sei) nei cieli
e che perfettamente ritraducibile nel neo-egiziano, anche se, a
dire il vero, suonerebbe un po strano il plurale della parola cielo.
Franco Crevatin 74

!
C

g:

L
C
C
U
!

pAy-n jt nty mXnw n nA p.wt


Ma tale continuit complessiva deve tener conto del fatto che
nel copto i grecismi sono presenti in ogni testo, anche nello stes-
so Padre nostro ora citato; e sono una quantit impressionante.
Niente di strano, si dir, considerato che il copto si vuole conno-
tare come lingua Cristiana e dunque non di rado censura parole
egiziane troppo legate al passato religioso pagano: oltre tutto,
per secoli lEgitto stato parte del mondo di lingua greca. Sia
pure, ma va preso atto che anche il lessico sardo, il lessico cio
di una parlata che giustamente si considera molto conservativa,
composto per circa il 50% da prestiti.
In effetti, oltre al naturale rinnovamento del lessico, sono molto
comuni i prestiti, tratti sia dallesterno sia dalla propria stessa
tradizione culturale i dottismi. Ricordo solo un caso stupefa-
cente da me raccolto in Istria: nella parlata di Buie, ora vene-
ziana coloniale ma anticamente di dialetto romanzo italiano nord-
orientale non veneto, per indicare il sole sfolgorante si diceva
fbo, che altro non se non lepiteto del dio Apollo, Phoebus Apollo.
Il dio greco romano ricomparso nella parlata di poveri con-
tadini laboriosi che non avevano alcuna consuetudine con il
Musagete.
Certo, linglese resta una lingua germanica nonostante
lelevatissima presenza di romanismi nel suo lessico, cos come il
sardo resta il sardo, e siccome lingue miste sono nella realt
difficilmente immaginabili, potremmo esser tentati di credere che
nel fenomeno del prestito, pi o meno grammaticalizzato e dun-
que pi o meno riconoscibile, si esaurisca la storia problematica.
Non cos.
I contatti tra le lingue sono a tutti gli effetti contatti tra parlanti
portatori di culture e lincontro culturale, pur nel dare e nel rice-
vere, si configura come una dinamica nella quale un modello de-
finisce laltro rispetto a se stesso, talora accettandolo o coordinan-
Letimologia come processo di indagine culturale 75
dolo al proprio, talaltra subordinandolo o respingendolo: fatuo
pensare allincontro culturale come ad uno scambio equilibrato tra
pari
33
. Siccome la dinamica riguarda gruppi sociali, non di rado
possiamo trovare tracce areali della dinamica in questione. Consi-
deriamo un solo aspetto, quello delle anfizone. Un centro, dotato
di riconosciuto prestigio culturale e linguistico, irradia il proprio
modello nelle zone circostanti: le aree periferiche, quando non sono
assorbite
34
, si comportano da anfizone, recepiscono cio il modello
ed adattano il loro sviluppo aggiornandolo e commisurando la
propria identit su di esso. Basti far riferimento, tra i tanti casi
possibili, alla posizione del veneziano nellItalia nord-orientale:
esso non solo ha assimilato aree dialettali originariamente diverse,
ma ha altres guidato e modellato lo sviluppo di dialetti che, bene
o male, hanno conservato la loro indipendenza. Faccio lesempio
dellIstria: una parte dei dialetti neolatini autoctoni sono stati
venezianizzati: in essi la situazione originaria si percepisce in misura
differente al di sotto del veneziano coloniale sia nella fonetica che
nel lessico; inoltre, a seconda della diversa profondit dei legami
con Venezia, si sono diversamente aggiornati sul dialetto della
Dominante. NellIstria meridionale i dialetti autoctoni hanno con-
servato una loro identit, rifacendola per continuamente sul modello
offerto dal veneziano.
In casi come questo che, ripeto, sono decisamente comuni
la continuit non valutabile se non come fatto complessivo e
possiamo trovarci nella curiosa situazione di poterla dare per
certa solo quando il singolo tipo si discosta da quello del model-
lo dominante. per questo motivo che, ad esempio, possiamo
riconoscere tra gli altri come encorico nellIstria meridionale
il tipo mazdo umile, sottomesso, addomesticato, da mansutus
(conservato anche nel sardo log. mazeDu addomesticato).
33
Ammetterlo segno, a mio parere, di nobilt di sentimenti nei confronti della
dignit umana, ma altres di indigenza antropologica.
34
Le modalit possono essere diverse e si va da unassimilazione totale a forme
linguistiche e culturali di tipo coloniale nelle quali lantica identit lascia profon-
de cicatrici.
Franco Crevatin 76
Orbene, dobbiamo concludere che sintantoch la nostra escur-
sione nel passato ha una profondit cronologica limitata ed attra-
versa periodi ragionevolmente documentati le nostre analisi eti-
mologiche possono essere solide, ma se cos non i problemi
possono farsi molto difficili; e si badi, non tanto in discussione
la giustezza delletimo, ma la comprensione storica di esso.
Sopra si detto che il passato un luogo dove regna lalterit,
talora pericolosamente camuffata da somiglianza: ora forniremo
un esempio di questa constatazione, il passaggio dal tardo
paganesimo al Cristianesimo visto dal punto di vista della lin-
gua. Il problema, come noto, di grande complessit, forse non
sempre circoscrivibile allosservazione pur vera che molti culti
e riti tardoantichi si sono conservati via un pi o meno somma-
rio camuffamento Cristiano (come nel caso sopra ricordato di S.
Domenico dei serpari; p. 53). Ebbene, se guardiamo alle continua-
zioni linguistiche il quadro non n molto ricco n troppo signi-
ficativo. Qualche teonimo si conservato: Diana (sardo jana fata,
strega, toscano ant. iana, albanese [di origine tardolatina] zn
esseri potenti che vivono in zone deserte, romeno zna fata),
le Hrae (< greco), personificazioni del germogliare e maturare
della natura nelle sue stagioni (albanese ore spirito tutelare e
benefico di una persona, famiglia, trib, romeno ori), Orcus aldil
(ital. orco), Silvanus divinit dei campi e delle greggi, rusticorum
deus (Isid. Etym. 8, 11, 81 (veneto sett., trent. salvanl). Talvolta il
teonimo compare inserito nel lessico dellastrologia (i tipi luna-
tico, gioviale, saturno nel senso di taciturno, triste, lessico
che ha lasciato tracce riconoscibili (basti ricordare litaliano disa-
stro) accanto al vocabolario della magia (il lat. carmen nel senso
di formula magica alla base del francese charme, come alla
base dellitaliano incantare c il canto delle formule magiche).
Il malocchio viene direttamente dal mondo antico come la personifi-
cazione in quanto rapace notturno di spiriti malevoli (strga <
greco, ital. strega) e la personificazione del potere del destino
(fata da fatum). Probabilmente antico il tipo *aquna ninfa delle
Letimologia come processo di indagine culturale 77
acque, attestato dialettalmente nellItalia settentrionale (gana e
sim.). Potremmo dire che non molto altro rimasto di linguisti-
camente pertinente al mondo religioso tradizionale: Christianus
ormai in molte parlate assume anche il senso di essere umano
e paganus connota realt negative, e questa potrebbe sembrare la
fine della storia. E, ancora una volta, non cos.
Infatti se guardiamo alle sopravvivenze culturali non tardia-
mo ad accorgerci che anche dal punto di vista religioso, pur
nellavvenuta e consolidata accettazione del Cristianesimo, lAl-
to medioevo continua, rivivendola, la realt tardoantica. E lo fa
in un modo particolare, gerarchizzando i diversi saperi religiosi:
il sacrum generale e sovraordinato Cristiano, il sacrum specifi-
co, locale e limitato resta, con un adattamento anche estrema-
mente sommario, quello tradizionale, che la Chiesa bolla come
pericolosa superstizione. Questultimo il sacrum, positivo o negativo
perch il sacro ha spesso natura ambigua, dellincultum: lalbe-
ro antico ritenuto sede di spiriti protettori, la fonte o il laghetto
popolato da esseri misteriosi, la foresta che assedia da vicino il
villaggio ed i suoi campi coltivati e nella quale si muove libera
e pericolosa Diana o Silvanus. Non solo: il sacrum del rito tra-
dizionale, destinato a proteggere, guarire, donare fertilit o ag-
gredire magicamente. La situazione nota quasi ovunque una
religione nuova sia prevalsa su una fede pi antica: nota nel-
lEgitto copto come nel sud est asiatico buddhista e dovunque
almeno cos a me parrebbe la nuova religione ha improntato di
s il vocabolario, spesso censurando il lessico ideologico, per cos
dire, del passato. Cito un solo ed importante caso di conser-
vazione: in Sardegna attestata lusanza di portare in chiesa il
giorno di Gioved Santo un recipiente con del grano fatto germo-
gliare al buio che si pone presso il sepolcro di Cristo (su nnniri).
Tali germinazioni venivano preparate anche in altre occasioni (ad
esempio alla festa di S. Giovanni) ed i recipienti venivano poi
gettati nei campi dove contribuivano alla fecondit del suolo ed
alla crescita delle messi. In tal caso nei recipienti era messa a suo
tempo una figurina fallica in pasta di pane. comunemente ri-
Franco Crevatin 78
conosciuto che tale usanza riflette lantico rito vicino orientale
dei giardini dAdone
35
(Ao .o, - v.), noto anche nellEgitto
antico, e ci si pu chiedere se in Sardegna essa sia il frutto di un
influsso tardo antico o se addirittura non sia una sopravvivenza
dellantica occupazione punica di parte della Sardegna (ma questa
ipotesi mi pare meno verosimile per ragioni areali). E ciononpertanto
il nome nulla ha a che fare con tali precedenti culturali, ma si
connette allaggettivo nnneru stentato, tardo, con riferimento
allaspetto pallido e stento dei germogli di grano.
Per contro nellItalia settentrionale sono percepibili netti in-
flussi germanici. La figura della Befana pu a ben diritto stupir-
ci, una benevola vecchina di infame bruttezza. Come sanare la
contraddizione tra la bont e la laidezza? Ce lo insegna il suo
nome, attestato in dialetti veneti, trentini ed istriani, Redsega,
Diddisa e simili. Il nome deriva da un incrocio
36
tra Herodias
(Erodiade, la perfida madre della corruttrice e corrotta Salom)
ed il numerale dodici e ne vedremo subito la ragione: ci che
chiaro sin dora che allorigine la bruttezza fisica della Befana
era altres segno della malvagit di animo. Dunque, la festa della
Manifestazione di Ges (: v.)i. i) aveva, in forma foneticamen-
te corrotta, dato nome a qualcosa di precedente che era manife-
stazione di male: ne cogliamo il passaggio, perch tale temibile
presenza era comunque stata rinominata, secondo linsegnamen-
to scritturale, Erodiade. Il numero dodici allude ai 12 giorni che
vanno da Natale al 5 gennaio spesso definiti popolarmente le
calende, un periodo fortemente ominoso nel quale si traevano
auspici per lanno entrante; ed altres un periodo pericoloso, perch
in esso si manifestavano le forze del male. Questa, appunto,
unidea ben radicata nella tradizione religiosa precristiana delle
35
Rito di fertilit e di rinascita centrato sulla preparazione di piccole figure,
spesso antropomorfe, nelle quali venivano seminati e vegetare cereali o altre
piante.
36
Lincrocio limmissione in una base di un elemento lessicale di origine diver-
sa, attratto in genere da solidariet semantica, come litaliano vagamondo < vaga-
bondo mondo oppure lantico musorno triste, mesto, dove sulla base msus
muso, broncio stato attratto il suffisso di tacit-urnus.
Letimologia come processo di indagine culturale 79
genti germaniche: la fine dellanno la fine del tempo, quando le
forze del male e del disordine si liberano nel mondo e Wotan
cavalca nella notte con la schiera dei suoi cavalieri morti (la caccia
selvaggia). Tali forze dovevano essere in qualche modo respinte
perch il mondo potesse continuare la propria storia; tra di esse
compariva la spaventosa figura di colei che fu definita lErodiade
dei 12 giorni, la Befana orrenda che solo dopo molto tempo, pur
restando brutta, divenne la vecchina buona che porta i regali.
Il passato, dunque, come luogo della diversit e dellalterit,
talora rumorosa e talora ingannevolmente sottile; e non neces-
sario pensare a secoli di distanza tra punto di partenza e punto
darrivo per rendersene conto, come mostra questultimo esem-
pio. Gli Egiziani cristianizzati distinsero anche lessicalmente il
sacerdote pagano dal prete Cristiano: il primo era xont, < Hm-
nTr il servitore di dio, tradotto gi dalla cancelleria tolemaica
con v) ,, mentre il secondo era detto ouhhb. Ambedue i
termini risalivano alla pi antica tradizione religiosa, ma mentre
il primo era formalmente opaco, il secondo era trasparente, poi-
ch qualunque parlante poteva riconoscerlo come forma qualitativa
del verbo ouop, ouaab essere puro. La trasparenza era rin-
forzata dalluso della forma ouhhb per indicare tutto ci che
puro, innocente, santo e pneuma Nouhhb il nome dello Spirito
Santo. A buon diritto gli antichi Egiziani avevano definito puro
(wab ) il loro sacerdote, poich per prestare servizio nel tempio
alla presenza fisica del dio egli doveva sottostare a complessi e
spesso quotidiani riti di purificazione (rasatura, depilazione,
masticazione di pallottole di soda, abluzioni, oltre a prescrizioni
particolari per evitare contatti inquinanti), condizioni che si cer-
cherebbero invano nella figura del prete Cristiano. Era passato
pochissimo tempo, anzi per un periodo non breve Cristianesimo
e paganesimo avevano convissuto lottando a turno per la so-
pravvivenza, ma le distanze si erano ormai fatte molto forti.
Abbiamo iniziato questo capitolo attirando lattenzione sulla
problematicit dei concetti di continuit e di classificazione: ora
Franco Crevatin 80
passiamo allesame della seconda questione. In parole molto semplici
il problema il seguente: quando emettiamo unipotesi etimolo-
gica fissiamo dei punti di partenza e di arrivo che sono di ordine
linguistico classificatorio. Diciamo infatti che la parola, poniamo,
italiana X viene dal latino Y o continua litaliano antico Z. Ci pre-
sume che noi si abbia sempre ragionevolmente chiaro il concetto
di latino, di italiano e cos via. Tuttavia, ragionevolmente chia-
ro non sinonimo di chiarezza assoluta, poich questultima
dipende in larga parte dallabbondanza delle nostre fonti di in-
formazione.
Penso si possa dire, senza esagerare troppo, che ogni nuovo
documento che ci proviene dal passato ci costringe a ripensare i
nostri convincimenti classificatorii, anche se non di necessit a
mutarli. C un aspetto in questa problematica che potremmo
definire di superficie ed un aspetto noto: quanto sappiamo, ad
esempio, del latino? Posta in questi termini la risposta univoca:
conosciamo in maniera notevole il latino letterario, quel modello
che in tarda et repubblicana e nel primo Impero ha informato di
s larga parte delle nostre fonti. Conosciamo molto meno il lati-
no di impronta non retorica (quello, per intenderci, della lingua
di professionisti che scrivevano del proprio lavoro, medici come
Scribonio Largo, architetti come Vitruvio, botanici, ecc.); ancor
meno siamo in grado di dire con qualche coerenza non episodica
cosa fosse il latino regionale e quello parlato. Cito due casi, tratti
dalle fonti letterarie, che mostrano quanto indiretta possa talora
essere linformazione a noi pervenuta. Aulo Gellio (N.A. 17, 7)
discute unespressione della antica legge Atinia Quod subruptum
erit, eius rei aeterna auctoritas esto, ossia Ci che sar stato ru-
bato, il diritto di disporne (cio da parte del possessore origina-
rio) sia eterno. Basandosi su fonti grammaticali, Gellio rifiuta
lipotesi che la forma subruptum erit sia interpretabile come for-
ma analitica (ossia sar + sottratto) e giustamente la ritiene una
forma verbale unica
37
; questa discussione, tuttavia, non avrebbe
37
Si tratta infatti di un futuro anteriore passivo.
Letimologia come processo di indagine culturale 81
avuto alcun senso se nel parlato ormai non fosse stata comune la
forma analitica, legata al progressivo degrado delle diatesi pas-
siva e deponente, copula + participio passato di tipo romanzo (
[nella condizione di chi ] amato), una forma che invero aveva
cominciato a far capolino gi in Plauto.
Ateneo (Deipnosoph. 8, 63) mette in bocca ad uno dei perso-
naggi colti del suo dialogo a banchetto (dialogo che veniva con-
dotto in lingua greca) una frase spiritosa: colpito alluso della
parola 3i``.c , ballo, danza, Ulpiano dice che questa paro-
la non greca, ma stata comperata nella Suburra, il quartiere
pi popolare e straccione di Roma. Non ci interessa tanto la ri-
sposta (effettivamente si tratta di voce autenticamente greca), quanto
linformazione che il tipo latino ballare, attestato dalle nostre fonti
appena in S. Agostino, era popolare ben prima ed era parola del
volgo. Siccome lorigine greca della parola va vista nei dialetti
sicelioti, verosimile che la voce fosse entrata a Roma gi duran-
te la Repubblica. Molto di pi potremmo dire se possedessimo il
libro di P. Lavinio intitolato promettentemente de verbis sordidis.
Ma questi, per quanto sgradevoli, sono fatti di superficie, come
si diceva. Altra la questione del taxon etnico e linguistico, ossia
di quanto noi classifichiamo e dunque identifichiamo come lati-
no (o greco, o bongobongo). La nostra classificazione non iden-
tifica unessenza, una monade chiusa in se stessa, bens un pro-
dotto della storia e ci che nella storia per definizione mute-
vole. Scendendo su un piano concreto, quello che noi oggi defi-
niamo lombardo, ieri poteva essere cosa di diversa estensione,
diversa articolazione e con caratteri almeno in parte diversi da
quelli odierni; si tratta in fondo di una cosa ovvia, poich unarea
linguistica si costituisce sulla base di una rete di comunicazioni
privilegiate e di modelli condivisi: un tipo linguistico non vive
nellempireo dei nostri manuali, ma nella polvere agitata della
quotidianit areale. Non difficile rispondere a domande del
tipo Quando morta la lingua X?, perch evidentemente essa
morta assieme ai suoi ultimi parlanti, mentre dovrebbe essere
chiaro che domande come Quando si smesso di parlare lati-
Franco Crevatin 82
no? o Quando si iniziato a parlare francese? sono mal poste
e dunque senza risposta. Nella Romnia non si mai smesso di
parlare latino, semplicemente lo si chiamato in un altro modo
38
.
Alcuni problemi della classificazione per essenze, se cos mi
posso esprimere, hanno portato a polemiche asperrime ed a con-
seguenze curiose, e mi riferisco soprattutto alla cosiddetta que-
stione ladina. Ebbene la tesi ladina si pu facilmente riassume-
re: i dialetti svizzeri dei Grigioni, alcuni dialetti atesini ed alto-
veneti ed i dialetti friulani condividono una serie di fenomeni
linguistici, per cui si sostenuto che essi sono i frammenti signi-
ficativi di ununit pi antica, definita appunto ladina, resto della
romanizzazione, avvenuta in condizioni ed in un ambiente par-
ticolari, della zona alpina. La tesi non tiene conto di una serie di
fatti linguistici inequivocabili, ossia che tutti i fenomeni presi in
considerazione per classificare in positivo larea ladina doggi
erano anticamente ben diffusi nellItalia settentrionale e dunque
si tratta di conservazione in area marginale di quanto il centro,
innovando, ha perduto; non solo, ma la comparazione lessicale a
tappeto delle tre arree ladine mostra che non esistono rapporti
particolari tra di esse, meno che mai rapporti in senso orizzon-
tale che escludano la Cisalpina nel suo complesso. Laspetto cu-
rioso che si voluta identificare unarea autonoma, dandole
carattere storico anche in assenza totale di qualsivoglia referente
collocabile davvero nella storia: insomma la lingua proverebbe
lesistenza di qualcosa che storicamente non mai esistito.
Se dobbiamo esser prudenti davanti ad eventi linguistici che
si collocano in periodi confortati da una pi che discreta docu-
mentazione, il pericolo diviene decisamente alto quando letimo-
logia si spinge, tramite la ricostruzione, a livelli cronologici molto
antichi. Non sto sostenendo surrettiziamente che lidentit di un
tipo linguistico si annulla quanto pi si risale nel tempo, bens
che lidentit esiste e si evolve come tale in una rete di rapporti:
38
Altro sarebbe chiedere Quando si smesso di capire il latino ciceroniano?,
domanda che avrebbe una risposta precisa, pur se articolata; la questione qui
per non ci interessa da vicino.
Letimologia come processo di indagine culturale 83
se non siamo in grado di riconoscere questi ultimi, la percezione
che abbiamo dellidentit stessa si impoverisce e si riduce. In
questi casi il ricorso ad etichettature di tipo etnico-linguistico,
pur mitigate, rischiano di ingenerare equivoci, anche se questa
prassi comune in molta linguistica comparata. Designazioni come
Proto-Greci sono intrinsecamente contraddittorie e basti chie-
dersi, per capirlo, chi mai siano i Proto-Italiani che possono
essere tollerate come scelta espressiva, ma che non hanno spes-
sore storico.
In questo capitolo abbiamo incontrato alcuni dei nemici pi
pericolosi della ricerca etimologica, la presunzione spensierata
di continuit e lermeneutica inconsapevolmente etnocentrica. Contro
questo insidioso nemico nessuno davvero al riparo, perch, come
hanno notato alcuni sensibili antropologi, la nostra cultura non
solo produce le nostre aspettative, ma ha forgiato e condiziona i
nostri stessi metodi di indagine: se vero che la linguistica sto-
rica stricto sensu ne resta, tutto sommato, immune, lo stesso non
vale per le dimensioni culturali implicite nelletimologia. Con-
frontati con concetti per noi abituali, reagiamo, appunto, in ma-
niera culturalmente determinata: se, poniamo, si parla di anima,
in noi riaffiora il platonismo che oppone spirito a materia e dunque
anima a corpo (v. oltre p. 102), se il tema il sacro
39
, rischiamo
di attribuire al sacro stesso solo valori benefici e positivi, se stu-
diamo fatti politici, rischiamo di essere incapaci di capire societ
decentralizzate. La consapevolezza del pericolo il primo rime-
dio; fortunatamente, ce ne sono anche altri.
39
Un esempio: si usi tradurre con sacro la parola egiziana antica Dsr, tuttavia
essa vale in realt ci che messo a parte, distinto (PYR 1778), ci che non deve
essere accessibile ai mortali: la parola sopravvive nel copto tasr col senso di
protezione, recinto o sim. Quando i Copti dovettero tradurre il concetto greco
di sacro fecero ricorso alla parola che valeva puro.
Franco Crevatin 84
Letimologia come processo di indagine culturale 85
UNO, NESSUNO, CENTO MILA
In questo breve capitolo affronteremo una questione molto
semplice ed altrettanto delicata, ossia se larte etimologica sia
unica o se essa sia unempiria che muta con il mutare delle con-
dizioni duso.
Il buon senso metodologico invita a scegliere la prima delle
due prospettive: che tipo di scienza sarebbe mai quella che non
ammette lunicit coerente dei propri metodi? Beninteso potran-
no variare le condizioni duso dei metodi, perch altro occu-
parsi di etimologia romanza, confortati da una documentazione
imponente, ed altro di etimologia afro-asiatica, dove poche sono
le lingue con documentazione antica e molte quelle con descri-
zioni solo moderne, spesso incomplete. Ma la variazione in que-
stione subita e comunque non tale da intaccare il principio
dellunit disciplinare.
Ho esposto considerazioni che condivido solo in parte, in quanto
ci che accade nel mondo qualcosa di meno filosofico e pi pratico:
alla nostalgia per lunit metodologica corrispondono pratiche molto
diverse, le quali a loro volta creano soglie di accettabilit rispetto
alletimo proposto (ed ai metodi che hanno portato alla proposta
stessa) molto diverse. Ci ben riassunto da una maligna battuta
alquanto comune in mbito romanistico: etimo da indoeuropeista
definito quelletimo che, pur non palesemente infondato, preve-
de elaborate ricostruzioni al limite dellartificiosit; etimo chimi-
co lo definiva tagliente Vittore Pisani. Non si tratta di eccesso di
severit, ma di abitudini e di soglie di accettabilit diverse.
La pratica etimologica parte sempre da una ipotesi ragionevol-
mente posta e da una divinatio; la parola X potrebbe ragionevol-
mente essere di origine N: se cos, allora stando alle regole fone-
tiche e morfologiche della lingua dorigine la forma dorigine potrebbe
essere Y. La divinatio tiene conto anche della verosimiglianza semantica
e di quanto in generale potrebbe opporsi allipotesi emessa. Alla
divinatio segue la probatio, ossia quel processo in cui si vuole di-
mostrare che lipotesi non solo possibile, bens probabile o cer-
Franco Crevatin 86
ta
40
. Dal modo in cui ho formulato la questione si evince facil-
mente che la probatio non di necessit equivale ad una dimostra-
zione: il mostrare essere vero possibile solo in condizioni par-
ticolari che non sono frequentissime nella storia linguistica in
prima istanza, la presenza di forme realmente documentate e processi
morfologici assolutamente prevedibili , altrimenti la probatio
indicazione di probabilit. Di massima, si dovrebbe concordare
sul fatto che la probabilit consiste principalmente nelleconomia
dellipotesi, ossia nella minimizzazione degli assunti
41
, ma anche
in questo caso si dovr convenire che ognuno pu avere la pro-
pria idea di quanto sia realmente economico e di quanto non lo
sia. C dunque il rischio che divinatio e probatio diventino perico-
losamente contigue e dunque poco distinguibili vicendevolmente.
Letimologia allinterno di fasi diverse di una stessa lingua o in
famiglie linguistiche di piccole dimensioni per le quali ci soccorre
una ragionevole documentazione diacronica (le lingue germaniche,
o slave, o semitiche per esempio) crea da se stessa gli anticorpi
per contenere il rischio di cui abbiamo detto: allinterno della
famiglia romanza siamo addirittura nelle condizioni di conoscere,
pur con delle limitazioni, il capostipite genealogico il latino: che
dire per del lavoro etimologico svolto in famiglie estese come
quella indoeuropea o per le quali ci manca documentazione diacronica,
come avviene in molti casi africani ed americani? Per tornare alla
maliziosa battuta sopra ricordata, comprensibile che letimologo
che lavora con parole e morfemi documentati provi sospetto per
la tipologia del lavoro di chi opera perlopi con radici lessicali e
con morfemi ricostruiti: da questo punto di vista dunque sin
troppo vero che la soglia di accettabilit di un etimo pu essere
diversa a seconda dellmbito di lavoro
42
.
40
Uso la terminologia processuale romana.
41
Unipotesi ha il costo del numero e della qualit degli atti di fede ai quali essa
costringe.
42
E non sar inutile ricordare anche che il romanista o il germanista pu e deve
far uso della filologia, strumento che non a disposizione di chi studia lingue di
esclusiva tradizione orale.
Letimologia come processo di indagine culturale 87
Guardiamo brevemente a dei casi metodologici a loro modo
esemplari. Il primo luso di comparazione di massa o basato su
una lista standard di concetti. Tali metodi hanno trovato largo
seguito tra gli studiosi di lingue di esclusiva o prevalente tradi-
zione orale. Nel primo caso vengono comparate decine di lingue
diverse in aree molto vaste e ne vengono segnalate le convergenze
lessicali: in tal modo si tenta di definire lesistenza delle famiglie
linguistiche presenti sul territorio. Nel secondo caso si analizzano
le forme linguistiche di concetti basici, presumibilmente non
condizionati dallevoluzione culturale, in un gruppo di lingue
per le quali c il ragionevole sospetto (o la probabilit) di paren-
tela e si tenta di cogliere larticolazione del gruppo. In ambedue
i casi esiste un lavoro conoscitivo preliminare sulla struttura delle
lingue poste a confronto.
Credo sia chiaro che in queste empirie etimologiche divinatio
e probatio sono contigue, in quanto lassonanza tra parole a
costituire sia la base euristica che lipotesi stessa: c assonanza
e lassonanza significativa. Non vorrei sembrare troppo severo,
quanto meno rispetto ai risultati raggiunti. Tuttavia il fatto che
essi siano spesso credibili in se stessi
43
dipende per molto pi
dalla sensibilit e dal mestiere del singolo ricercatore, che ha
selezionato quelle (e non altre) assonanze ed ancor di pi ne ha
scartate, che non dalla bont del metodo in quanto tale. Mi si
permetta di citare un caso abbastanza significativo. Recentemen-
te stato ripreso il tema dei rapporti tra lingue indoeuropee e
cinese e si sono istituite ampie comparazioni tra radici lessicali
delle prime e parole, nella loro forma fonetica pi antica rag-
giungibile, dellaltro: si sono cos isolate una notevole quantit
di assonanze spesso davvero sorprendenti per vicinanza fonica e
semantica. Ne talora scaturita lipotesi che un filone indoeuropeo
43
Lelemento statistico, spesso invocato a sostegno della procedura, invece
irrilevante poich esso non costruito secondo le norme condivise dellanalisi
statistica scientificamente condivisa. Desidero sia chiaro che non sto affatto cri-
ticando la ricerca di assonanze in se stessa: essa la necessaria infanzia della
filologia etimologica.
Franco Crevatin 88
abbia contribuito alla costituzione dellidentit linguistica cine-
se. Personalmente dissento sul metodo e sono scettico sulle con-
clusioni raggiunte: in primo luogo trovo curioso comparare radici
con parole, poich le prime sono per lo pi delle astrazioni men-
tre le seconde dei fatti reali; in secondo luogo la divinatio appare
priva di argomentazione
44
. Eppure, ripeto, le assonanze ci sono,
anche se non sappiamo che farcene
45
.
Abbiamo detto che un metodo frequentemente utilizzato quello
della ricerca di assonanze nel caso pi fortunato, di tipi lessicali
allinterno di unassodata parentela linguistica tra lingue di
una medesima area o tra lingue che si presumono imparentate in
base a liste di concetti legati al vocabolario basico. In questo caso
la divinatio assume prospettive leggermente diverse. Letimologia
cumulativa presuppone il fatto che il vocabolario basico evolva
con molta pi lentezza di quello legato alla cultura materiale o
spirituale, il che di massima pu sembrare ragionevole, e dun-
que possa mostrare con maggiore facilit solidariet etimologiche.
Sulla base, dunque, di tali concordanze si tenta di delineare un
albero genealogico che graficamente illustri le successive tappe
della graduale differenziazione ed autonomizzazione delle lin-
gue esaminate. Restano, peraltro, dubbi sia di carattere teorico
che di carattere pratico. Possiamo davvero tirare una linea preci-
sa di confine tra vocabolario basico e vocabolario culturale? Sia-
mo davvero in grado di cogliere interazioni e rapporti areali che
hanno storie plurisecolari e che a noi si presentano appiattiti,
storie di prestiti da lungo tempo grammaticalizzati, di modelli
44
Pare riassumersi nella domanda E se ci fosse un filone indoeuropeo nel cine-
se?: gi, ma perch sarebbe sospettabile la sua esistenza al di l delle assonanze
eventualmente producibili?
45
Ben diverso il problema di cercare eventuali tracce di presenze linguistiche
indoeuropee ad est di quelle che sono le aree storiche nelle quali tale famiglia
linguistica attestata: in definitiva la lingua tocaria documentata nel Turkestan
cinese occidentale. Il problema del (o dei?) focolaio di formazione del cinese,
anche tenuto conto della pi generale parentela sino-tibetana, va probabilmente
cercato nelle regioni meridionali dellattuale Cina, fatto questo che potrebbe complicare
la questione di eventuali contatti con il mondo di rapporti indoeuropeo.
Letimologia come processo di indagine culturale 89
che sono stati dominanti e che si sono persi nella dinamica della
storia culturale? Domande retoriche, beninteso, che trovano nel
rifiuto dellalbero genealogico la loro conseguenza ultima. In effetti,
molti studiosi sembrano subire una pericolosa tentazione, quella
di dimenticare che lalbero genealogico pu essere uno strumen-
to, anche se grossolano, per parlare di descrizione e di storia, ma
non la Storia.
La prova migliore di quanto qui sopra sostenuto e dellesi-
stenza di diversit di soglie di accettabilit forse fornita dal
fatto che lapplicazione di questo metodo ai dati della linguistica
romanza stata accolta dai romanisti con marcata ironia per levidente
ridicolaggine dei risultati ottenuti.
Mi pare si debba concludere che in questi casi letimologia si
limita ad un simulacro di forma o, in caso fortunato, alla mera
forma priva di qualsiasi connessione culturale: questultima,
dichiaratamente, non neppure considerata pertinente rispetto
ai fini proposti.
Lammissione che esistono soglie diverse di accettabilit, de-
terminate da diversit di condizioni della ricerca etimologica, implica
due fatti rilevanti, ed il primo la conseguente diversit di livel-
lo dastrazione. Entro certi limiti, la proposta etimologica com-
porta sempre un margine di astrazione perch non tutto docu-
mentato o documentabile nella storia linguistica (e culturale): ci
che, appunto, non lo , va ricostruito sono le forme precedute
da asterisco usate anche in questo libro. Il procedimento quello
di un ragionamento deduttivo del tipo se / dato che X vero allora
Y / potrebbe essere vero. Un esempio: nel papiro greco P. Erl.21
registrato linventario dellarredo cultuale di un tempio egiziano
e tra i vari nomi compare quello di un recipiente che si premu-
ra di precisare il redattore del testo era detto in egiziano cc:.
Ebbene, dato che in copto esiste la voce jees, hs col signifi-
cato di coppa, incensiere e che le regole di adattamento fone-
tico tra egiziano e greco consentono facilmente di ricondurre la
prima forma alle seconde, e dato che sappiamo che uno dei pro-
cessi formativi della parola egiziana consisteva in epoca tarda
Franco Crevatin 90
nellampliamento con il suffisso -s di un sostantivo pi antico,
allora possiamo ammettere che la parola jees risalga a jh piatto,
ciotola (< DAa ciotola per incensiere) tramite un non attestato
*DAas. Potremmo facilmente moltiplicare gli esempi e, per contro,
non occorre insistere sul fatto che dove ci fa difetto la documen-
tazione i se sono prevalenti sui dato che e richiedono costi di
fiducia che possono essere notevoli. Lastrazione dunque un
prezzo generale da pagare.
Il secondo fatto connesso alle diverse soglie di accettabilit
che pur essendo letimologia epistemologicamente una, nella pratica
quotidiana ne esistono molte. La mancata comprensione di tutto
ci pu portare il non linguista, quando non abbia una fede generosa
e con dubbi confini nel lavoro dei colleghi linguisti, a pensare
che nessuna etimologia vada presa troppo sul serio, contravve-
nendo a quanto ci siamo sforzati di dire sin dalle prime righe di
questo libro, ossia la fattualit del fatto linguistico.
Appunto, con Pirandello, una, nessuna, cento mila.
Letimologia come processo di indagine culturale 91
ETIMOLOGIA E CULTURA MATERIALE
Quando si pensa alletimologia risuona pressoch spontanea
uneco con larcheologia etimi di parole ed archeologia di cose:
ognuno d e riceve chiarimento dallaltro. Quando non si esage-
rino le aspettative, leco giustificata perch capire la storia di
una parola vuol dir capire la storia di un referente. In questo
capitolo non ci riproporremo dunque di argomentare a favore
della bont di questo assunto. Semmai, varr la pena mostrarne
i limiti e le trappole che esso tende alla nostra ingenuit.
Ci che noi cerchiamo nella storia archeologica ed ergologica
del referente la motivazione di un etimo dato. quanto face-
vano molti eruditi antichi, che raccoglievano documentazione sul
passato per spiegare la realt linguistica dellepoca loro, cos come
noi quando riflettiamo sul fatto che scriviamo con una penna che
solo anticamente era doca.
Perch il mese di febbraio (lat. Februarius) stato cos denomi-
nato? Ce ne parlano parecchi eruditi latini. Varrone (L.L. 6, 13) ci
dice che februus che purifica era antica parola propria della
lingua rituale sabina ma utilizzata anche a Roma: durante le fe-
ste dei Lupercali avveniva la purificazione dellantico oppidum
del Palatino. I Luperci giravano nudi, coperti solo da una pelle
caprina che, appunto, veniva detta februum. Pi o meno le stesse
cose ci dice Festo (-Paolo) 75, 23, il quale peraltro sottolinea non
solo la purificazione del popolo romano, ma in particolare quella
delle donne che avveniva tramite il mantello di Giunone, ossia
la pelle caprina dei Luperci. Censorino (22, 13, 14) sostiene inve-
ce che il februum era il salem calidum portato dai Luperci per fini
purificatorii. Forse le idee non erano del tutto chiare, perch si
trattava di riti ormai desueti nel primo secolo a.C., tuttavia a
tutti era chiaro che esisteva una o pi cose che contribuivano in
maniera determinante alla purezza e che potevano essere defini-
te februum. Come abbiamo detto, Varrone utilizzava spesso le
antiquitates romane per spiegare gli etimi delle parole.
Franco Crevatin 92
Ma veniamo ad alcuni esempi semplici e senza chiaroscuri.
Pu a tutta prima sembrare strano che parole come ital. settentr.
(im)bastire cucire grossolanamente con ampi punti, francese btiment
edificio ed ital. bastimento nave abbiano la stessa origine, ma
tutto si chiarisce quando si consideri che letimo ultimo il germanico
*bastjan intrecciare grossolanamente. Nel provenzale antico bastir
significa tessere ed i lavori di edificazione e costruzione hanno
dunque alla base il concetto di connettere: nel vocabolario del-
ledilizia il verbo stato impiegato originariamente per designa-
re i lavori di fortificazione (si pensi allitaliano ant. bastia, bastio-
ne ed alle analoghe forme ispanoromanze e francesi); ancora in
epoca franca, molti ripari fortificati erano composti da recinti
intrecciati e luso della pietra per queste opere pi tardo (IX
sec.). Una tecnica elementare dunque il presupposto di una
serie imprevedibile di sviluppi.
Una storia di sofferenze ci viene narrata dal tardo latino tripalium.
Originariamente esso era lo strumento entro il quale erano costret-
ti gli animali pi vivaci per procedere alla ferratura, conservato
inalterato sino a poco tempo fa nella Sardegna rustica. La ferratura
costava fatica e non sempre era bene accetta dagli animali: sul
modello del rurale tripalium venne costruito uno strumento di tortura,
definito allo stesso modo e che ebbe una sgradevole fortuna nel
mondo tardo antico, dato che il nome venne calcato nel greco tar-
do .vi cci` (IV sec. d.C.). Nei Glossari tardi (CGl 5, 624) si
dice che il trepalio () est locus in quo rei verberantur, il luogo nel
quale i condannati venivano percossi, ed il Concilio di Auxerre (a.
582) prescriveva che al prete ed al diacono era proibito stare ad
trepalium, ubi rei torquentur. La parola, nel suo senso originale,
conservata nel francese travail, ma probabilmente gi in et tardo
antica venne creato un verbo trpalire con il significato di tormen-
tare. Non necessaria troppa fantasia per comprendere come si
possa essere passati da un senso di tormento ad uno di fatica,
sforzo, entrambe attestati nel galloromanzo. Per capire invece il
concetto di lavoro, oggi dominante nellarea francese, necessa-
rio cogliere quella che era in et tardo antica ed alto medievale la
Letimologia come processo di indagine culturale 93
visione del lavoro. Ebbene, il lavoro non era dignit ma abbruttimento,
non nobilitazione delle energie costruttive dellindividuo bens con-
danna ed espiazione; su questo punto concordavano, pur parten-
do da posizioni ideologiche molto diverse, sia la Chiesa Cristiana
sia le lites dominanti germaniche. Si dimentica forse con troppa
facilit che il celebre motto benedettino ora et labora era concepito
come unione di preghiera e di sofferenza espiatrice. Il lavoro
dunque fatica e tormento. Ma non solo il lavoro: in quellepoca
in cui tutto ci che era esterno allo spazio dellinsediamento e del
campo coltivato era pericoloso ed inquietante, tormento lo stes-
so viaggiare (agn. traviler viaggiare) una preoccupazione che pi
non si coglie nel prestito inglese travel.
Potremmo, senza eccessiva pena, moltiplicare gli esempi di
spiegazioni fattuali di etimi. Aiace Telamonio, il poderoso eroe
omerico, reggeva uno scudo immenso, uno scudo particolare si-
mile ad una torre (ci -, u : vu ), che stato riconosciu-
to nelle raffigurazioni micenee (scudo a torre): fatto di pelle
bovina, era davvero grande e ricopriva tutto il corpo del guerrie-
ro. Letimo di ci -, facilmente individuabile tramite la com-
parazione con lantico indiano tvacas- spoglia animale, vello,
pelle e littito tuekka cadavere: esso ribadisce la natura del
materiale struttivo dellarma, ossia la pelle conciata.
Larcheologia e la storia delle cose possono esserci di molta
utilit nel prendere decisioni. Brevemente illustro un caso inte-
ressante e non ancora del tutto chiaro, quello dei nomi del caval-
lo in Egitto e Nubia nellantichit. NellEgitto il cavallo fa la sua
piena comparsa con gli Hyksos: i Re Pastori si impadronirono
dellEgitto sfruttando proprio le possibilit belliche dellanimale
aggiogato al cocchio da guerra (XVII sec. a.C.). Non si pu esclu-
dere che lanimale potesse esser noto anche prima tramite il com-
mercio con il Vicino Oriente e con la Nubia dove probabilmen-
te era endemica una razza particolare di cavalli , ma la piena
conoscenza e luso del cavallo appunto databile alla XVI-XVII
dinastia. Considerata la provenienza degli Hyksos, non stupisce
che la designazione egiziana pi antica sia ssm.t, un nome che
Franco Crevatin 94
connesso con lebraico susim, forse esso stesso prestito
46
. Nel corso
della XVIII-XIX dinastia entrarono in uso nuovi termini, alcuni
semplici neoformazioni egiziane, altri prestiti ancora da lingue
semitiche (jbr, cfr. ebr. abr possente, valoroso, detto di stallo-
ni) o da lingue non identificabili (gw
47
). Una delle neoformazioni
egiziane pi comuni Htr, letter. laggiogato, unico termine per
indicare il cavallo che si conserva in copto (xto): la voce egizia-
na entrata anticamente nella lingua dei Blemmii/Beja, gente
che occupava la fascia orientale del deserto tra Egitto e Nubia,
nella forma hataj, ma non riuscita ad affermarsi nel Nubiano
n, verosimilmente, nel meroitico. Ci probabilmente dipende dal
fatto che la Nubia ospitava da epoche piuttosto antiche una raz-
za encorica di tali animali: nel nubiano la voce che ci interessa
murti
48
, nubiano ant. murt, parola che ritroviamo in alcune lin-
gue del Kordofan (Tira E -mrta) e del Sudan meridionale (Kunjara
murta, Bagirmi morte). Non pare dubbio che tale diffusione vada
vista nella prospettiva del commercio dei cavalli Nubiani.
La storia del cavallo attende di essere meglio definita nei suoi
particolari, ma per certo quello che abbiamo potuto per ora affer-
mare sarebbe stato irragiungibile senza linterazione tra etimolo-
gia e archeologia/storia della referenza.
Talvolta lindicazione etimologica potr sembrare storicamente
ridondante, ma cionondimeno resta utile. Non abbiamo bisogno
dellarcheologia per capire che le genti dellItalia antica erano da
millenni dedite allagricoltura e dunque avevano sviluppato lop-
portuno strumentario. Il latino falx, diminuitivo falcula, pare a tutta
prima voce isolata, tuttavia letimologo potrebbe trovare qualche
conforto
49
dalla voce glossografica daculum falce (CGl 1, 84, 91),
46
Di origine ultima indoeuropea (ind. as va-)? Genti arie erano, come si detto,
presenti nel Vicino Oriente.
47
Se la pronuncia della parola , come parrebbe doversi desumere dalla grafia
sillabica, *gawa inutile speculare su eventuali connessioni con la parola indoeuropea
*ekwo-.
48
Solo in epoche alquanto recenti si affermato larabismo faras.
49
Luso del condizionale dobbligo perch il raffronto non pu dirsi al di sopra
di ogni sospetto.
Letimologia come processo di indagine culturale 95
parola che si continua nella Francia meridionale (daille, ecc.) e che
senza difficolt pu essere ricondotta ad un *dalculu-, e ci senza
far ricorso al siceliota i -` (= o: vi) che pare formalmente
pi lontano. Non ha molta importanza precisare qui se daculum sia
ligure o altro.
Se dunque vero che lassunto basico indiscutibile, resta
purtuttavia opportuno contenere nei limiti della cautela le nostre
aspettative: la storia della cultura materiale talora ci parla con
chiarezza, come abbiamo visto, talora balbetta, talaltra ancora
rimane ostinatamente muta. Vediamo come ci possa avvenire.
Poniamo che noi si voglia ricostruire larredamento domestico
dei Romani sulla base delle parole latine conservate nei dialetti
italiani settentrionali: ne emergerebbe un quadro che, a posteriori
ossia sulla base di quello che realmente sappiamo, sarebbe uno
stupefacente miscuglio di miseria e nobilt. Bene, i Romani dor-
mivano in un letto (lectus), sedevano su imponenti sedie con braccioli
e schienale, perlopi riservate a donne ed a persone di rango
(cathdra > *cathrda, ital. sett. ca(d)rega) o su panche che erano
anche poggiapiedi (scamnum): per contro mangiavano su povere
assi (tabula), servendosi di una scomoda brocca a collo lungo per
bere (guttus). Ovvio: il bicchiere lavrebbero conosciuto molto
pi tardi. Si servivano di una raffinata posata come il cochlearius
(cucchiaio), un cucchiaino per estrarre e mangiare le lumache,
ma la utilizzavano assolutamente fuori di luogo e comunque si
servivano delle pietanze con le mani. comunque certo che ave-
vano subito un pesante e a mala pena mascherato influsso in
cucina da parte della cultura greca, perch usavano recipienti
come la tgula (teglia), patna (it. sett. pidina), il tgnum (tega-
me) ed altri ancora il cui nome tradisce lorigine ellenica. Di loro
avevano inventato un recipiente per friggere, la frixoria (ital. sett.
farsora e sim.) ed uno speciale recipente che pare fosse desti-
nato a conservare i grassi (pignatta)
50
.
50
Se la voce deriva da ping(u)iata (olla).
Franco Crevatin 96
Il gioco potrebbe continuare, ma credo che sia chiaro il valore
cautelativo che gli attribuisco. Oltre tutto, potremmo pure am-
mettere che nei casi citati la specie andata perduta per succes-
sive modificazioni, ma il genere si conservato: difatti se aves-
simo fatto ricorso, a seconda del caso, a designazioni del tipo
un recipente e sim. non saremmo stati troppo lontani dalla
realt. Ma questa sarebbe opinione ancora venata di ottimismo:
abbiamo visto sopra che il nome dellelefante gode di una va-
sta comparazione allinterno delle lingue slave senza che per questo
si possa pensare che lanimale fosse davvero noto. Prima di pro-
cedere nellargomentazione, conviene prender atto di un fatto
alquanto semplice, ossia che levoluzione lessicale e quella cultu-
rale non sono omologhe, non hanno identici tassi di sviluppo:
questi ultimi possono coincidere solo nel caso del prestito.
Anche in questultimo caso, tuttavia, ci vero solo per i
prestiti definiti di necessit, parole cio che entrano nel lessi-
co di una lingua assieme ad un fatto culturale prima scono-
sciuto o molto diverso da quelli preesistenti. Tutti gli studiosi
concordano nel riconoscere nel greco i ci .), vasca da
bagno un prestito culturale da una lingua pregreca dellEgeo
ed in effetti vasche da bagno sono state trovate nella cultura
minoica cretese. Il marzapane, come nome di una pasta dolce
fatta di mandorle, stato cos definito perch era importato
in particolari vasi di porcellana (arabo marabn, it. antico [XIV
sec.] massapanus) che hanno preso il nome dalla citt indiana
di Martaban dove venivano prodotti. Ed ancora: un particola-
re tipo di cuoio veniva detto nellitaliano ant. mascaduus [XIV
sec.], dal nome del porto arabo (Oman) di Masqa, specializ-
zato anche nellesportazione di pellami. Abbiamo per visto
sopra che limportazione dellaratro pesante di tipo europeo
centro settentrionale non implic che in poche regioni roman-
ze lacquisizione del prestito linguistico langobardo: un
grammaticalizzato plovum attestato nellItalia settentrionale
solo marginalmente nellarea lombarda, trentina, istriana
settentrionasle ed emiliano romagnola (AIS 1434). Insomma,
non formulabile alcuna regola che possa generare aspettati-
ve certe: possiamo riconoscere un prestito di necessit ma non
prevederne lesistenza. Prestiti di necessit e prestiti dovuti
Letimologia come processo di indagine culturale 97
alla pressione di un modello culturale dominante sono di fatto
indistinguibili tra loro e convivono in ogni lingua: di volta in
volta dobbiamo usare altri saperi o il semplice buon senso. In
alcuni dialetti sloveni dellIstria settentrionale esiste, tra gli
altri, sia la voce doplr
51
candelabro sia kadna catena, desunti
dai dialetti veneti circostanti, ma solo il primo, legato com
allarredamento ecclesiastico ed a suo tempo alto borghe-
se, pu esser considerato prestito di necessit, non certo il
secondo.
C un ulteriore elemento che risulta evidente dal nostro exemplum
fictum, ossia il fatto che il dato offertoci dalla lingua, anche quando
reale, il prodotto di unevoluzione semantica pi o meno
accentuata per cui deve essere esso stesso interpretato prima di
poter esser produttivamente confrontato con la storia del referente
e ci fattibile con certezza solo se disponiamo di documenta-
zione diacronica: lalternativa il ricorso allipotesi (seallora),
sia pure confortata dallonomasiologia
52
, dallantropologia (v. cap.
7) o dal semplice buon senso euristico. Per introdurre il sguito
dellargomentazione possiamo avvalerci di un ulteriore esempio,
quello della terminologia copta del soldato, guerriero.
I termini a noi noti sono fondamentalmente
53
matoi e lemhhe
(akh. anche lemhse); lakhminico
2
qalaire, voce storicamente
molto interessante, a parte: corrisponde allerodoteo |i`i c..:,
(2, 164; = i .. guerrieri), documentato nel tardo egiziano
(ad es. demotico glSr), ma il suo significato copto mostra che la
continuit semantica venuta allentandosi. Pu indicare infatti
leroe dalla forza sovrumana o il mitico gigante. lemhhe inve-
ce parola neutra: nel greco dEgitto stata recepita come `::.ci
(P. HermLandl 18, 271; P. Tebt 1, 122, 1.1.1. r. 1; ecc.) ed nome di
professione. Letimo evidente ed altrettanto curioso, poich si
51
Si noter la conservazione del nesso -pl-, indizio di una certa antichit nella
recezione.
52
Lonomasiologia quella pratica empirica che si occupa in generale dei diversi
modi nei quali possono essere espressi linguisticamente i referenti.
53
Tralascio evidenti neoformazioni.
Franco Crevatin 98
tratta del tradizionale ed antico mr-mSa generale, letter. prepo-
sto allesercito: curioso che il generale sia stato ridotto al sem-
plice grado di fantaccino. matoi il risultato di una storia com-
plessa. Anchesso documentato nel greco dEgitto, dove usato
abbastanza frequentemente come nome proprio (Mi. ): solo in
un caso, almeno a mia conoscenza, si pu supporre qualche tra-
sparenza semantica, ossia nel P. Lond 4 v. 14, dove compare un
Mi. ci. u. Letimo ultimo di questa designazione
letnico mDAy, nome di una gente Nubiana che sin da epoche molto
antiche aveva fornito truppe ausiliarie allesercito Faraonico (cfr.
Beja bija nomade): nellepoca ramesside la parola veniva rego-
larmente usata per indicare le forze armate di polizia allinterno
dellEgitto. Tuttavia la forma fonetica della parola ci fa chiaramente
intendere che la continuit tra egiziano classico e copto non
completa e che c stato un incrocio lessicale, ossia limmissione
di altro lessema su quello pi antico; lincrocio avvenuto con
Mdy abitante della Media, soldato dellesercito persiano. Nella
coscienza storica degli Egiziani si erano impresse fortemente le
occupazioni dellEgitto assira e poi persiana, lorrore di un mon-
do tradizionale stravolto, occasionalmente la profanazione dei
templi pi sacri e lasportazione in Persia delle statue divine del
culto. Il Persiano sembrava imbattibile ed il Medo, il soldato
del suo esercito, pot essere preso come esempio tipico del sol-
dato. La gloria dellEgitto imperiale era davvero lontana e pochissimo
resta nel copto dellantica e ricca terminologia militare: soprav-
vive solo T(j)z.w comandante, copto joeis, ormai nel senso
generico di signore
54
.
Gli esempi che abbiamo addotto mostrano che le preoccupa-
zioni sopra espresse sono tanto pi acute quando tramite leti-
mologia vogliamo ricostruire fatti che riguardano un passato
raggiungibile solo tramite la comparazione linguistica, quanto
appunto si riproposta una parte consistente dellindoeuropeistica
54
Non forse casuale che nel demotico fosse penetrato, accanto ai tipi encorici
kalasiri e matoi, il greco ci. , (dem. zrtjtz).
Letimologia come processo di indagine culturale 99
e, sullesempio da essa offerto, altre filologie storico-comparati-
ve. Dobbiamo dire che il fine in se stesso insensato? No, natu-
ralmente: se la comparazione etimologica indizia lesistenza di
referenti concettuali o concreti doveroso, oltre che fatto di buon
senso, supporre la loro esistenza in un passato pi o meno remo-
to; se non lo facessimo, negheremmo il carattere fattuale delletimo.
Dunque la comparazione di teonimi come greco Z:u , (vi ),
ant. indiano Dyau" (pit), latino Iuppiter [genitivo (D)iovis], messapico
Zis, ed altri ancora, permette di ricostruire una forma *Dijus,
connessa con la radice verbale *dei- splendere e con il sostan-
tivo derivato *deiwos divinit (indiano deva", lat. deus, ecc.). La
conclusione si impone: molte genti di lingua e cultura indoeuropea
credevano in una divinit del cielo splendente alla quale attribu-
ivano lepiteto di padre: per antonomasia la divinit era il ce-
leste, in quanto tale contrapposto alluomo che il terrestre
(tale letimo di latino hom, dellirlandese duine e di altre lin-
gue ancora) e mortale (greco 3 ,, indiano marta", armeno
mard, ecc.). Analogamente la vasta comparazione istituibile per il
vocabolario dellallevamento del bestiame e la corrispettiva po-
vert del ricostruibile lessico agricolo ha portato allipotesi che
le genti indoeuropee praticassero un mixed farming nel quale lal-
levamento era di gran lunga il fattore principale di ordine econo-
mico e di prestigio sociale; siccome lallevamento implica spostamenti
da pascoli estivi a pascoli invernali si comunemente ammesso
che le genti in questione praticassero il nomadismo.
Tratteremo in un capitolo successivo alcuni dei problemi con-
nessi alla metodologia della ricostruzione, per cui qui ci limitia-
mo a poche osservazioni connesse alle preoccupazioni cautelative
sopra avanzate: poche, perch di fatto gli esempi scelti non rin-
vengono che marginalmente a fatti archeologici. Il primo proble-
ma la generalizzabilit del fatto ricostruito: che intendiamo,
infatti, con molte genti? Che tutte a suo tempo condividevano,
nel caso in questione, il teonimo e successivamente alcune lo
hanno perduto oppure che talune non lo hanno mai condiviso?
In ogni caso non ci sarebbe nulla di sorprendente, ma non sap-
Franco Crevatin 100
piamo scegliere la risposta giusta. Inoltre se *Dijus, il Cielo diurno,
padre possiamo supporre che la Terra sia madre? In molte
culture (e ritorniamo a questa imbarazzante dizione) religiose
esattamente cos (in quella greca e indiana, per esempio), ma il
fatto non sostenuto da equazioni comparabili per ampiezza e
spessore ideologico a quella che riguarda il Cielo. Da ultimo: la
comparazione indizierebbe un dio uranio partecipe del rapporto
col mondo e con i suoi fedeli (alla stregua dello Zeus greco, per
intenderci) o un deus otiosus, rispettato ma scialbo come il Cielo
vedico? Come si vede, le semplici e legittime domande che ci
siamo posti toccano in realt elementi davvero fondamentali che
la comparazione etimologica in se stessa non pu risolvere.
Unulteriore osservazione sulla povert del vocabolario agri-
colo e la netta prevalenza ideologica dellallevamento. Sia come
sia, il greco, le lingue slave, lirlandese, le lingue germaniche ed
il lituano consentono di ricostruire una radice verbale *ar- ara-
re
55
la quale ci mette di fronte ad una constatazione ineludibile:
laratura tecnica agricola avanzata, con notevoli implicazioni,
che supera di molto lorticoltura e lagricoltura della zappa.
francamente difficile pensare che unattivit come quella dellaratura
possa esser pensata come marginale e dunque letimologia ci
mette di fronte a problemi che essa stessa non pu lumeggiare.
Di fatto, tale situazione comune ogniqualvolta da un piano
meramente referenziale (un etimo: una cosa) si passa al livello
esegetico: la referenza pu offrirci una motivazione del perch
una parola stata formata con quel particolare materiale lessicale,
pu dirci se un referente o non attestabile in un determinato
orizzonte culturale o cronologico, ma impotente davanti alle
scelte di natura culturale.
55
Il sanscrito conosce il concetto ma ha altri tipi lessicali.
Letimologia come processo di indagine culturale 101
IL CONTRIBUTO DELLANTROPOLOGIA
Lantropologia studia gli esseri umani, anche se talora non
facile precisare il suo ambito specifico rispetto alle altre discipli-
ne umanistiche: personalmente preferisco credere che essa studi
i diversi modi nei quali possibile, con pari dignit, essere Umani.
In questo sorprendentemente vicina alla linguistica che vede
nelle lingue naturali il suo principale oggetto di interesse. Ambe-
due le discipline studiano dunque la variabilit. Se dovessi rias-
sumere il contributo che lantropologia pu dare alletimologia,
direi che essa ci aiuta a capire la dimensione del lessico che ha
dei referenti solo apparentemente oggettivi ed una dimensio-
ne considerevole. Si considerino i seguenti casi:
1. Questa maglia gialla.
2. Il sabato il pi bel giorno della settimana.
3. Giorgio un galantuomo.
4. Il sommaco un arbusto.
5. Il re emette un editto.
6. Passami il coltello.
1-5 hanno una realt che dipende da schemi culturali. Il gial-
lo riferito ad una tassonomia dei colori, arbusto una forma di
vita ed ambedue derivano da un sapere etnoscientifico non
generalizzabile. Sabato rinviene ad un computo calendariale de-
terminato, galantuomo a norme sociali e re ad assetti politici:
tutte e tre le parole presuppongono dei costrutti culturali entro
i quali diventano significative. Solo coltello (6) potrebbe esser
considerato una realt oggettiva; e sia pure, ma val la pena di
non dimenticare la capacit dellUomo di attribuire significati,
rapporti ed ordine alle cose materiali che lo circondano e che
egli produce, un ordine altres dal quale gli esseri umani in
quanto soggetti culturali vengono ordinati. A priori noi non
sappiamo quanta parte della cultura materiale sia di volta in
volta portatrice di significati e connessioni che includono e superano
la stessa, pur importante, materialit delloggetto. Vediamo qualche
caso.
Franco Crevatin 102
Nel circuito di scambio cerimoniale papua detto kula le con-
chiglie, opportunamente lavorate come parte di bracciali o di
collane, hanno una grande importanza, per cui esse sono classi-
ficate con estrema cura: le conchiglie per bracciale (mwari) si
suddividono in 5 categorie di pregio ed 1 di pregio minore e lo
stesso avviene per quelle per collana (vaiguwa). La distinzione
riguarda non tanto il tipo quanto la grandezza, il colore, numero
e tipo di altre conchiglie ad essa unite come ulteriore pendaglio:
singoli taxa delle classi superiori sono inoltre distinti per nome
proprio e per storia, ossia quella conchiglia, gi da epoca antica
parte del kula, ha una storia ed un nome a tutti noto. Le due
classi superiori del genere mwari sono dette mwarikau e mwaributu:
-kau vuol dire propriamente cecit ed essendo questultima cul-
turalmente associata alla tarda et, indica la grande antichit della
conchiglia stessa, la conchiglia dellepoca degli antenati. butu
indica invece la fama, il primo passo necessario per acquistare
un nome proprio. pertanto impensabile parlare semplicemente
di una conchiglia.
Nel greco esisteva lantica parola indeuropea per designare la
pecora, . , (lat. ovis), ma essa stata largamente soppiantata da
v 3i: letimo di questultima voce lo stesso del verbo 3i.
andare, per cui necessario concludere che la voce indicava
lanimale dallevamento come il bene mobile per eccellenza (si
veda Odissea 2, 75 -:. `.i : v 3ic. : i tesori ed i beni
mobili); la stessa metafora nota anche in altre lingue indoeuropee
e dunque conserva sicuramente un tratto ideologico molto anti-
co. In altre parole, ci che noi volentieri considereremmo come
una voce per indicare un referente biologico, invece legato a
concetti di natura economica.
Lantropologia soprattutto quella linguistica ci abitua da
una parte a ragionare con classificazioni e con tratti ideologici,
dallaltra a diffidare per principio di tutto quanto in apparenza
semplice, in quanto tratti non ovvii possono esser presenti in
Letimologia come processo di indagine culturale 103
quasi ciascun elemento del sapere linguistico. Eccone un altro
esempio.
Gli Egiziani antichi ebbero fama di aver fondato la geometria
(ad es. Herodot. 2, 109; Diod. Syc. 1, 69); i loro fini sarebbero stati
eminentemente pratici, ossia rimisurare i campi dopo linondazio-
ne, e da tale empiria sarebbero poi passati alla riflessione teoretica.
I papiri matematici e geometrici antichi (P. Rhind, P. Mosca) ci mettono
effettivamente di fronte ad argute soluzioni pratiche di problemi,
anche se non a teoresi, e purtuttavia dobbiamo riconoscere che
oltre a procedure induttive debbono esser esistite anche abitudini
deduttive basate su principi generali. Comunque sia, gli Egiziani
dovettero gradualmente costituire una terminologia che indicasse
le figure piane e solide e le loro dimensioni: i testi specialistici in
effetti usano coerentemente derivati del verbo Awj esser lungo
per indicare la lunghezza, del verbo wsx per la larghezza e il
nome qAw per laltezza. Di fatto nella storia della lingua egiziana
Awj indica spesso ambedue i concetti, lunghezza e larghezza, come
nel derivato copto wou. Nellegiziano tolemaico qAw pu valere
anche lunghezza, ed occasionalmente lo stesso significato pu
essere assunto dalla parola mDt che usualmente vale profondit.
La situazione pare molto confusa, ma tutto sommato non diffi-
cile ritrovare un ordine cognitivo. La coincidenza di altezza e
profondit dipende dalla collocazione ideale del parlante: se sia-
mo in barca, sotto di noi c lalto mare, se siamo su un prato
allora possiamo trovarci sotto un alto albero. Comprensibile
anche lequivalenza di lunghezza e di larghezza: evidentemente
nella lingua egiziana la prima implica una referenza lineare, men-
tre la seconda unampiezza spaziale: quando si volesse indicare la
linearit, pur nel senso della nostra larghezza, i due termini da
noi citati potevano esser scambiati. Resta un ultimo fatto, ossia il
ribaltamento dellasse, per cui si data la possibilit di far coin-
cidere la distanza verso lalto con la distanza verso il fondo. Per
tutti questi fatti possibile trovare conforti cognitivi in altre lin-
gue e culture: nel bawl (Costa dAvorio), ad esempio, N glo vale
sia in alto sia a nord.
Franco Crevatin 104
Il contributo dellantropologia ancora pi evidente quando
si affrontino concetti di ordine culturale specifico, quando cio la
referenza data da un costrutto culturale, confrontabile ma non
generalizzabile. Il primo caso che qui tratteremo il difficile concetto
di anima degli Egiziani antichi.
Gli usi che facciamo della parola anima e molte delle aspet-
tative che essa suscita in noi sono largamente condizionati dal-
la filosofia platonica ed aristotelica: dal platonismo dipendono
sia la tradizione Cristiana che la filosofia religiosa dellestremo
paganesimo antico. Per i Copti la questione era chiara e quindi
nel loro vocabolario religioso mutuarono per il concetto di ani-
ma la parola greca u
56
. Indubitabilmente la forte con-
trapposizione con la tradizione autoctona, contrapposizione
ideologica che port tra laltro a considerare opera diabolica gli
stessi geroglifici, determin sia censure che mutamenti semantici
in senso peggiorativo di parole pi antiche. Cos ad esempio i4
demone, divinit pagana non era pi lo spirito trasfigurato
di un defunto (< Ax, dem. ixj spirito; spettro), ma qualcosa di
terrificante e di negativo
57
; noun era non solo labisso, le
profondit della terra o del mare, ma anche lInferno; amNte
laldil soprattutto con valenze negative
58
; ecc. Per contro, non
stata abbandonata lantica parola per dio (noute
59
), e neppure
la designazione dellinfrazione alla norma religiosa, il peccato
(nobe, dem. nb.t sacrilegio, infrazione religiosa). In un caso
possiamo dirci sicuri dellintervento di una censura ideologica,
56
Di fatto, potremmo ammettere che il mutuo non sia stato determinato dallam-
biente Cristiano, bens dalla composita cultura religiosa e filosofica, di espressio-
ne linguistica greca, propria dellEgitto tolemaico e romano, nella quale si radic
non solo il Cristianesimo, ma anche lo gnosticismo, lermetismo e la teurgia
neoplatonica. Quanto qui assunto rimarrebbe peraltro inalterato.
57
Una sfumatura funeraria si conserva per in varper ix stregone, negromante,
u3 u,.
58
La parola significa Occidente; Plutarco (de Is. et Osir. 74) la conosce nella forma
i : ), e riporta linterpretazione paretimologica `i3i i -i. o. oi,
di fonte ultima egiziana (amoni prendere + + dare).
59
Il plurale enthr resta solidamente documentato, anche in nomi propri.
Letimologia come processo di indagine culturale 105
ossia nel caso di *bai (< bA, nome di una delle componenti della
persona umana; v. oltre). La voce, arrivata ad Horapollo (Hierogl.
I, 7; VI sec. d.C.), era parte importante del vocabolario della ma-
gia greco-egiziana, dove attestata in molti epiteti (ad es. 3i.)u
PGM XIII, 809 Anima dellAbisso < bA n pA Nwn; 3i. Anima
delle Tenebre < bA n kkw; etc.): troppo connotata per essere Cri-
stianizzata, la parola non sopravvisse al crollo ed alla persecu-
zione dellantico paganesimo. Neppure per il concetto di spiri-
to, concetto che conservava molti dei presupposti dellantropo-
logia israelitica, i Copti utilizzarono parole legate allantica reli-
gione del paese
60
.
Sia come sia, i Cristiani dEgitto percepirono benissimo la distanza
che intercorreva tra la concezione antica delle componenti della
persona umana e quella Cristiana. Le componenti pi frequente-
mente ricordate dai testi sono il kA ed il bA e per capire cosa
fossero ricorreremo ad unetimologia sincronica: prima per
necessario precisare che, come molte altre genti, gli Egiziani non
avevano una visione unitaria della persona umana ed inoltre tra
componente invisibile della persona (meglio evitare lambigua
dizione di anima) e componente visibile (il corpo) c continuit
e non contrapposizione. Esistono, per cos dire, gradi diversi di
materialit e tutti altrettanto importanti, non differenziazione op-
positiva tra spirito e materia. Lassenza di una concezione uni-
taria implica il fatto che le diverse componenti coesistono nella
stessa persona (lombra, il cuore, il kA) ma sono indipendenti luna
dallaltra: esse vengono tenute assieme non solo dalla fisicit
dellindividuo ma soprattutto dal nome; questultimo, che la
forma fonica dellintima essenza dellindividuo, lega assieme le
parti. Lindipendenza delle componenti si manifesta nel fatto che
ciascuna di esse pensata come una realt senziente, alla quale
lindividuo pu rivolgere preghiere o esortazioni.
60
Nel copto esiste unaltra parola che pu talora esser tradotta con anima,
ossia manthu, propriamente la sede del respiro. In se stessa la parola ricorda
la comune espressione antica circa il soffio della vita (TAw n anx), ma forse pi
verosimile ammettere che la voce copta riveli influssi religiosi ebraici.
Franco Crevatin 106
Cosa il kA? Ebbene, esso la forza vitale della persona, che
nasce (in qualche nobile caso, viene creata dal dio) assieme al-
lindividuo: cos come la persona nasce da un padre fisiologico,
il kA nasce dal kA del padre. Dopo la morte, il kA ha bisogno di
offerte alimentari per sopravvivere: da parte sua, il defunto per
sopravvivere nellaldil ha bisogno di riunirsi al suo kA, senza il
quale non potrebbe partecipare del mondo delloltretomba.
Il defunto si manifesta nellaldil spesso come unentit con
corpo di rapace e testa umana, il bA : quando il defunto visita il
corpo mummificato o si manifesta nel nostro mondo pressoch
sempre in tale forma
61
.
Due etimi sincronici mostrano il valore semantico centrale dei
termini kA e bA, etimi che possiamo esprimere come una propor-
zione:
kA:kA.w nutrimento
62
=bA:bA.w manifestazione terrifica di una potenza sovrumana
Per capire appieno il rapporto aggiungeremo che gli Egiziani
consideravano i morti qualcosa di pi affine agli dei che agli
esseri umani: abbiamo difatti attestazioni della parola nTr.w dei
impiegata nel senso di defunti.
Come si vede, il concorso di etimologia ed antropologia per-
mette in questo caso una lettura chiara e prospetticamente cor-
retta dei fatti culturali.
Sempre in tema di prospettiva, segnalo un caso decisamente
interessante che stato sempre frainteso, ossia come si debba
intendere la parola bawl wa wE . Tutti hanno tradotto la parola
con anima
63
, oltrech ed resa corretta ombra; riflesso.
I missionari hanno utilizzato la voce anche per tradurre lo Spi-
rito Santo cristiano. Teniamo per conto dei seguenti fatti:
1. il wa wE non unentit senziente;
61
Probabilmente anticamente lidea era che i defunti si manifestassero come rapaci
notturni, gufo o civetta.
62
Che si tratti di nutrimento in senso letterale provato dallespressione TpH.t n
kA.w esofago, letter. cavit del nutrimento.
63
A dire il vero, la parola bawl indica anche una farfalla, una curiosa coinciden-
za con il greco u , che vale appunto sia anima che farfalla.
Letimologia come processo di indagine culturale 107
2. esso pu esser divorato magicamente dagli stregoni, ed in
tal caso lindividuo si indebolisce e si ammala sino a ridursi ad
una larva e di conseguenza alla morte;
3. il wa wE non va nellaldil, il Villaggio della Verit nel quale
vivono gli antenati.
Ora, la situazione pare davvero curiosa: ammettendo pure il
che mi pare proprio corrispondere al vero che il wa wE sia,
come il kA egiziano, unanima - vita, e stante il fatto che i
Bawl credono nella sopravvivenza oltre la morte, cos dunque
che va nellaldil? Ogni Bawl risponderebbe prontamente Io!,
accrescendo il nostro imbarazzo e facendoci sospettare la presen-
za di una certa irrazionalit nella credenza. Non cos, perch,
come ho detto, tutto si riduce ad una questione di prospettiva. I
Bawl hanno una credenza che speculare rispetto alla nostra
intendo quella propria del Cristianesimo , per cui laldil il
punto di partenza, non il punto di arrivo. La realt quella del
Villaggio della Verit, ed da l che lindividuo si origina: l
conserva la sua reale famiglia, i suoi affetti, la sua reale fisicit, il
suo vero carattere. Dal Villaggio di tanto in tanto pu scegliere di
ritornare, reincarnandosi, nel nostro mondo, lasciando provviso-
riamente quanto ha di pi caro. Per vivere qui ha bisogno di un
wa wE , ma di esso non ha certo bisogno per ritornare a casa.
Soffermiamoci su un ulteriore caso concettualmente affine, quello
del greco )u ,, per il quale lantropologia linguistica ci fornisce
un ragionevole chiarimento. Il significato della parola sembra
alquanto complesso, perch sin dallepica omerica ci troviamo di
fronte a valori come principio vitale, animo in quanto sede
delle passioni e del desiderio, e quindi il coraggio, lardore,
lira, la brama. La complessit, tuttavia, pi apparente che
reale, poich in effetti nella maggior parte dei contesti )u ,
indica la sede e lempito della passione e del desiderio che
volont: la distinzione omerica -ii ): i -i. -ii )u
secondo il diaframma e secondo il thyms rinvia esplicitamente
alla distinzione tra razionalit (localizzata anche nel diaframma)
Franco Crevatin 108
ed emozione. Di conseguenza i passi nei quali la traduzione pi
appropriata parrebbe essere spirito vitale non vanno letti nella
prospettiva di una dimensione, per cos dire, animica, di una
componente della persona, ma solo di una capacit degli esseri
umani di volere e desiderare che, ultima, abbandona il morente.
Letimo della parola stato ben presto intravisto: )u , la stes-
sa parola del sanscrito dhm" fumo, vapore, del latino fmus,
dello slavo antico dym ed allinterno della stessa lingua greca
c il verbo )u.i che vuol dire produrre fumo e che presup-
pone un sostantivo `)u ,. Eppure gli etimologisti si sono mo-
strati dubbiosi, poich la distanza semantica tra i significati della
voce greca e quello di fumo, vapore parsa incolmabile, nono-
stante la perfetta corrispondenza formale.
Ebbene, il greco )u , indica uno stato interiore, uno stato di
forte passione, e contemporaneamente la sede di tale stato, alme-
no in parte in alternativa con il cuore. Una delle risultanze pi
semplici della semantica antropologica su base cognitiva che
per esprimere molti stati interiori vien fatto ricorso ad un proce-
dimento metaforico per cui il corpo umano viene considerato
contenitore, nel quale avvengono mutamenti, oppure un oggetto
fisicamente manipolato (non mi seccare!, Mi ha rotto lanima
e sim.). I mutamenti indotti hanno come una referenza legata,
caso per caso, alla pressione (Scoppio dalla gioia), al riempi-
mento/svuotamento (Sono pieno dansia, Traboccava dira), al
calore e probabilmente hanno un corrispettivo fisico reale (pres-
sione sanguigna, senso di calore e sim.). proprio il calore quel-
lo che qui ci interessa, perch la passione (e la collera) comu-
nemente associata al calore (fuoco, vampa, bruciare, ardere) ed il
fumo ovviamente collegato al calore. Esistono passi omerici
nei quali la collera o la passione sono associate al concetto di
calore (lira viene spenta, Il. 9, 678) ed in qualche caso (Il. 18,
110) avvicinata esplicitamente al fumo. Come si vede, in realt
non ci sono molti problemi nel sostenere letimo tradizionale della
parola: si tratterebbe di una metafora, e per di pi abbastanza
antica. Potremmo addurre paralleli indiani vedici, come ad es.
Letimologia come processo di indagine culturale 109
RV 10, 83-84, nei quali Manyu, la Collera, invocata assieme a
tapas, il calore, ed definita fiammeggiante, ma non necessario
pensare a conservazioni ideologiche indoeuropee, poich proba-
bilmente si tratta di semplici coincidenze tipologiche.
Lantropologia (linguistica) ci mette dunque in guardia dal
considerare i referenti come realt oggettive, naturali e ci inse-
gna invece che tutto pu essere culturalmente iscritto. Entro certi
limiti questo insegnamento non affatto nuovo, poich la buona
filologia ne ha sempre tenuto conto; ma ci che una buona
prassi persino alquanto ovvia quando si trattino temi etimo-
logici inseriti in un sapere documentato e condiviso (letimo la-
tino, poniamo, di una parola neolatina) diventa uno strumento
metodologico non altrimenti fungibile nel caso di utilizzo delletimo
come procedura ricostruttiva di processi culturali non altrimenti
raggiungibili (letimologia indoeuropea, ad esempio). Il caso che
ora tratteremo vuole illustrare appunto tale processo euristico.
Nel 1890 Delbrck scrisse un importante saggio sui rapporti
di parentela nel mondo di rapporti indoeuropeo alla luce delle
designazioni linguistiche ed i risultati ai quali giunse vennero
codificati nel Reallexicon der indogermanischen Altertumskunde di
O. Schrader ed A. Nehring (Berlin 1917-1929): da ultimo, con la
consueta finezza, sono stati ripresi ed approfonditi da E. Benveniste
nel 1969. In estrema sintesi, molti studiosi concordano sul fatto
che le genti di lingua indoeuropea riconoscevano come determinante
la discendenza patrilineare. Laffermazione in se stessa ambi-
gua, perch la generalizzazione di una risultanza molto pi
ristretta ed ambigua di quanto non si voglia ammettere, ma ac-
cettiamola pure, almeno come direzione esegetica. Ebbene, la
ricostruzione ha messo in luce le diverse cerchie concentriche
nelle quali lindividuo si riconosceva socialmente: esse erano *dem-
/ *domo- il segmento minimo di lignaggio, *weik- / *woiko- il
segmento di lignaggio, *genti- il lignaggio. Tre di queste cerchie
avevano una figura di riferimento, *potis, dal cui nome desumiamo
Franco Crevatin 110
che detenesse un potere coercitivo reale: ricordiamo lantico in-
diano dampati-, greco o:cv , e, pur se con formazione diver-
sa, il latino dominus; lantico indiano vis pati-, il lituano v pats.
Forme di responsabilit politica per la *genti- si incontrano solo
dove la parola ha ristretto nel significato la sua ampiezza sociale,
come nel gotico kindins capo di un gruppo di parentela (da un
*gentinos): un fatto logico, perch un lignaggio ha tale estensio-
ne e profondit che, pur allinterno di una parentela riconosciuta
ed entro certi limiti ricostruibile, non socialmente pensabile
una sola figura di riferimento al suo interno. Posta in questi ter-
mini, la situazione non dissimile da quella di molte altre socie-
t di lignaggi a discendenza unilineare ben conosciute nel mon-
do (ad esempio la societ somala). Certo, lo studio dei sistemi di
parentela e loro terminologie ha un rilievo notevole in se stesso,
e purtuttavia nellantropologo sorgerebbe spontanea unosserva-
zione, ossia che molto spesso le societ basate su lignaggi cono-
scono una limitata delega specificamente politica del potere co-
ercitivo e che ancor pi frequentemente sono politicamente non
centralizzate, acefale. questo il caso anche delle genti indoeuropee
(e prescindiamo ancora una volta dallambiguit dei termini lo-
gici e referenziali dellassunto)?
Ebbene, la risposta non pu che essere positiva, almeno per
quanto possiamo vedere. Partiamo dalla situazione riscontrabile
presso le genti slave: il concorso delletnografia, della filologia e
delletimologia prova al di l di ogni legittimo dubbio che quan-
to meno a partire dai primi secoli della nostra era la struttura
politica era data sostanzialmente dallinterazione dei diversi pia-
ni organizzati della parentela. Dai segmenti di lignaggio (gran-
de famiglia), fratrie, correlazioni matrimoniali tra lignaggi esogamici
sino al livello della trib (lignaggio con antenato comune) tutta
la vita sociale si svolgeva nel quadro della discendenza. Il villag-
gio era proiezione di strutture di parentela o di rapporti di vicinato
tra segmenti di lignaggio. La stessa spazialit della trib era intesa
non come una realt a se stante, ma come proiezione di linee di
discendenza. Siamo in grado di offrire un significativo esempio.
Letimologia come processo di indagine culturale 111
Come noto, nellantico slavo ecclesiastico la parola mir aveva
un significato apparentemente complesso: valeva infatti pace,
concordia, unanimit ed altres linsieme totale delle persone,
mondo. Alla variet soggiace una norma sociale, la necessit
del consenso totale dei partecipanti tutti a pieno titolo alle
assemblee deliberanti dei singoli snodi parentali e sociali (la grande
famiglia, la fratria, il villaggio, ecc.): il consenso pacifico ed unanime
riguarda sempre un universo totale di individui. Il mondo
dunque semplicemente linsieme totale dei rapporti di un indivi-
duo e non un concetto spaziale. Ma ancora una volta ci imbattia-
mo nel fatto fondamentale al quale sopra si accennava: se luna-
nimit un requisito indispensabile, legittimo sospettare che
non esistesse delega del potere. La filologia testuale prova la
fondatezza del nostro sospetto. Le fonti bizantine antiche (Procopio
7, 14; ps. Maurizio Tattico 11, 3; ps. Cesario Nazanz. 110) ci di-
cono che gli Slavi sin dai tempi antichi vivevano in democrazia,
senza capi, senza re, autonomi e non guidati da un potere centra-
le; le fonti medievali europee (ad es. Adamo di Brema 18, 225)
confermano regolarmente losservazione. Letimologia chiude lar-
gomento. Le parole che indicano nelle lingue slave il re (zar [<
csar], kralj) sono prestiti, di diversa trafila, dei nomi propri Caesar
e Karl, il Cesare probabilmente di Bisanzio (se non passato tra-
mite gotico) e Carlo Magno, il poderoso persecutore dei Sassoni
e degli Slavi pagani centro-europei. E possiamo risalire ancora di
pi nel tempo, poich il comune kne principe, titolo che peral-
tro stato di sovente usato come mera espressione di rispetto
(cos almeno presso gli Obodriti (Vita altera Kanuti ducis l. 5),
rinviene all(ostro)goto kunings ( la stessa parola di tedesco Knig)
e la upa, divisione territoriale alla cui guida sta un upan (con
attestazioni gi antico bulgare) pare proprio di origine avara.
Ritorniamo alla domanda posta sopra, ossia se le genti
indoeuropee erano politicamente acefale, ed osserviamo che in
alcune tradizioni si conservato un importante nome di funzio-
ne, *r- (latino rx, antico indiano rj-, gallico -rx, ant. irlandese
r), nome che siamo usi tradurre re. Ma qual era il suo conte-
Franco Crevatin 112
nuto socio-politico? Perch ragionare sulle sue eventuali connes-
sioni con il verbo latino rego dirigere, reggere, soprattutto se il
verbo valeva originariamente tendere in linea retta, e col verbo
greco : stendere pu essere, in assenza di ulteriori infor-
mazioni, alquanto avventuroso. Di una cosa possiamo dirci
filologicamente sicuri, ossia che il re che possiamo intravedere
ha molte pi connessioni con il mondo della religione che con
quello della politica, almeno come noi la intendiamo. Il re della
tradizione irlandese pre-Cristiana e vedica era sostanzialmente il
massimo garante del corretto ordine, quellordine che doveva regnare
allinterno del gruppo formato dallassociazione di diversi grup-
pi di discendenza e che doveva continuare a sussistere tra mon-
do umano e mondo divino. Il diritto irlandese arcaico era chia-
rissimo su questo punto: il re doveva essere fisicamente integro,
doveva essere vero, ossia corretto custode ed interprete della
tradizione, poich se non fosse stato cos lintero ordine del mondo
sarebbe stato a rischio, le terre sarebbero isterilite, le mandrie
non avrebbero figliato, le malattie avrebbero infuriato ed ogni
sorta di disgrazia si sarebbe abbattuta implacabilmente sul grup-
po. La conseguenza sarebbe stata inevitabile: quel re avrebbe dovuto
esser deposto ed un altro eletto al posto suo. Anche nel mondo
vedico il re era tale sintantoch il gruppo lo riconosceva effi-
ciente. Insomma, il re regnava ma non governava, non esercitava
alcun potere coercitivo, non aveva alcuna delega permanente. Il
potere risiedeva nei singoli gruppi di discendenza, non nella regalit.
Per la sensibilit di noi moderni una societ siffatta pare de-
stinata al malfunzionamento ed alla dissoluzione. Nel prossimo
capitolo riprenderemo il tema e vedremo che non cos.
Letimologia come processo di indagine culturale 113
ETIMOLOGIA E RICOSTRUZIONE
Letimologia molto spesso un processo ricostruttivo, e di ci
nessuno si stupisce: se nellIstria meridionale (Dignano) trovo il
verbo nig nitrire e in quella settentrionale (Pirano) nigi posso
tranquillamente ricostruire due forme latine, *hinnicre < hinnre ed
*hinntulre < hinntus nitrito, mai documentate nei testi scritti ma
sicuramente esistite nel parlato
64
. Letimologo abituato alle lacune
della documentazione e giustamente crede nella forza probante
delletimo e negli strumenti che la linguistica gli offre: davanti al
veneziano nsa nipote (femm.) ed allistriano meridionale nto (femm.)
id. non ha dubbi sul fatto che le forme dorigine *nptia e *npta
sono riformazioni del femminile nptis, interessanti per la storia lin-
guistica tardo-antica, anche se mai documentate nelle fonti.
Allo stesso modo, e con uguale certezza di metodo, si pu
sostenere che la coincidenza di parole appartenenti alla stessa
famiglia linguistica permette di ricostruire una parola pi antica
dalla quale sono derivate le forme storiche: il greco , luo-
go recintato, il latino hortus, losco hrz, il gallico gorto
65
ecc.,
permettono di ricostruire un *horto- con lo stesso significato,
sicuramente connesso con *ghordho- id. (slavo *gord citt)/
*hordho- (frigio Mane-zordum [toponimo], prussiano sardis re-
cinto). Le certezze assolute, per, finiscono qui, perch ogni altra
inferenza, pur se ragionevole in se stessa, sarebbe una
generalizzazione indebita. Una proposizione come gli Indoeuropei
conoscevano ed utilizzavano recinzioni per delimitare spazi par-
ticolari, basata su tali concordanze sarebbe condividibile in re,
ma non certo basabile su una comparazione che non includa la
totalit delle lingue comparate
66
. La concordanza tra greco v `.,,
64
Il tipo nigi potrebbe risalire anche ad *hinnicre, ammettendo un passaggio ga
> a di tipo friulano; il fenomeno attestato, pur se sporadicamente, nellIstria
settentrionale.
65
Presente nella toponomastica e affiancato da derivati nelle lingue celtiche.
66
Altre lingue o addirittura parte delle stesse possono avere anche altri tipi: nel
caso concreto basti pensare al gallico *dno- insediamento fortificato con una
palizzata e germanico *tna/u (nordico ant. tn, tedesco Zaun, inglese town).
Franco Crevatin 114
sanscrito pr e lituano pils, raggruppabili nel senso di fortezza,
Fluchtburg
67
, ci pone davanti al problema nella sua forma pi
concreta. Ci furono delle genti indoeuropee che conobbero /
costruirono fortezze e che ebbero un nome per definirle: ebbene,
quali genti? Solo quelle le cui lingue attestano la voce o anche
(tutte le) altre? Inoltre, a quale epoca ci rimanda la comparazione
istituita? purtroppo evidente che a tali domande raramente
possibile rispondere con accettabile precisione. La linguistica
comparata ha sviluppato dei metodi empirici, tutto sommato
affidabili, per affrontare tali problemi, ossia una sorta di dialettologia
della ricostruzione: si presume giustamente che la realt da
noi ricostruita limmagine di una rete diacronica di rapporti
linguistici e culturali allinterno di un mondo in costante evo-
luzione, con aree pi innovative ed altre conservative, con aree
isolate ed altre pi esposte alla comunicazione. Tutto ci in
qualche modo valutabile su una griglia cronologica che ci of-
ferta dallinserimento delle singole genti indoeuropee nei loro
contesti storici, che in pi di un caso ha portato allinterruzione
dei rapporti con il mondo pi antico. Se vero, ad esempio, che
i Greci hanno cominciato ad inserirsi nellambiente egeo a parti-
re dal 2400-2300 a.C. circa, dobbiamo forzatamente presumere
che le isoglosse che essi condividono con le genti Arie siano anteriori
a tale epoca.
Ho definito tale euristica una : v:.. i, una pratica che pu
portare a risultati affidabili quando sia applicata agli aspetti for-
mali della ricostruzione, ma la questione si complica notevol-
mente quando tramite letimo vogliamo ricostruire cultura, poi-
ch si crea il rischio di un Zirkel im Verstehen: dati desunti da
concordanze parziali possono diventare la griglia di riferimento
sulla quale commisurare nuove (o altre) concordanze altrettanto
parziali a giustifica b che giustifica a. In altre parole, tale al
fondo la critica di chi lamenta che la ricostruzione culturale del
67
Il fatto reso pressoch certo dallopposizione nel greco tra v `., e i cu,
la fortezza vs. linsediamento, come mostra anche la comparazione con il vedico
vstu insediamento, dimora, tocario wa@t id.
Letimologia come processo di indagine culturale 115
mondo di rapporti indoeuropeo privilegia troppo di frequente le
concordanze greco-arie.
La critica tuttaltro che insensata, ma non rende esplicito un
fattore condizionante piuttosto importante: se la ricostruzione
culturale basata su fatti linguistici implica il necessario esame
filologico del singolo dato per come esso inserito nella cultura
storica che gli propria, e se inoltre essa deve tener conto anche
dellantichit documentaria del dato stesso, diventa pressoch
inevitabile privilegiare le culture pi antiche e che, contempora-
neamente, ci hanno lasciato un corpus documentario qualificato,
come appunto quella greca, indiana, iranica, latina ed irlandese
pre-Cristiana: come potremmo, in effetti, trascurare il fatto che,
poniamo, le culture germaniche ci sono note a partire da Cesare
e Tacito e tra i due momenti si notano significativi mutamenti!
, che langlosassone Beowulf dellVIII secolo ed il corpus norreno
ancora pi tardo? Sulla cultura degli Slavi, poi, abbiamo una
messe di notizie e di dati archeologici interpretabili con buona
probabilit solo a partire dallalto Medioevo, quando cio gi era
in itinere avanzato la creazione del feudalesimo tedesco, ma per
contro non abbiamo corpora testuali
68
.
In linea di principio, tuttavia, la natura del problema altra.
Se, infatti, si sceglie un modello interpretativo generale che guar-
da allorigine ultima delle forme comparate alla stessa stregua del
modo in cui si guarda al latino per la comparazione romanza
lindeuropeo pensato come lingua naturale storicamente data ed
espressione di unaltrettanto specifica cultura le difficolt
interpretative non potranno che moltiplicarsi. Se invece ci attenia-
mo al modello del mondo di rapporti, non siamo tenuti a suppor-
re unit linguistiche e culturali, anzi dobbiamo a priori prender
atto che allinterno di tale mondo devono essere sempre esistite, in
sincronia, differenze rilevanti e quindi identit diverse. Il distacco
dalla rete in questione delle singole identit storicamente accertabili
68
La cultura degli Slavi orientali determinata in parte considerevole dalla pre-
senza vichinga.
Franco Crevatin 116
diventa uno strumento molto importante per tentare di capire quale
poteva a quellepoca essere almeno una parte delle istituzioni lin-
guistiche e culturali di quanto era ancora restato in reciproco rap-
porto. Non si utilizzeranno allora, poniamo, i rapporti tra grecit
e vedismo per ricostruire lIndoeuropeo, ma per capire alcune
delle concezioni, delle strutture sociali, dei fatti di lingua che an-
teriormente alla met del terzo millennio a.C. erano presenti, pur
senza essere i soli esistenti, nel mondo di rapporti indoeuropeo
69
.
Come si vede, la ricostruzione basata sulletimologia cosa
molto diversa se applicata a famiglie il cui archetipo noto o
comunque ragionevolmente ricostruibile oppure se applicata a
famiglie estese come quella indoeuropea.
Il modello che qui abbiamo scelto quello che ha il maggior
grado di economicit e quindi di possibile aderenza alla storia,
almeno allo stato attuale della ricerca. Ne possiamo vedere subi-
to un aspetto. Nel modello del mondo di rapporti la ricostruzio-
ne parte sempre da dati presenti nelle lingue e culture storiche,
i quali vengono analizzati nei loro contesti: la comparazione
contribuisce a chiarire i contesti anteriori dai quali derivano ed
a chiarire la loro struttura. Comunque, il quadro risultante non
pretende di essere sempre generalizzabile: le unit linguistiche e
culturali a noi note sono soltanto una parte delloriginario spet-
tro. Nel mondo di rapporti indoeuropeo devono essere esistite
genti e lingue delle quali oggi poco o nulla sappiamo, ed ora ne
forniremo una ragione stringente. La scoperta che due delle lin-
gue attestate nel Turkestan occidentale cinese tra il VI e lVIII
sec. d.C. sono di tipo indoeuropeo (tocario A e B) ha provocato,
allepoca della decifrazione dei documenti, una notevole sorpre-
sa, sorpresa tanto pi grande quando ci si resi conto che le
lingue in questione non erano vicine al tipo indo-iranico ma semmai
69
stata la cultura neogrammatica ad ipostatizzare lesigenza di un popolo originale
(Urvolk), parlante una lingua originaria (Ursprache) e dotato di una sua cultura,
esigenza che qui respingiamo: conserviamo invece la ineliminabile istanza di
collocare nello spazio il mondo di rapporti, per cui il concetto di proto-patria
(Urheimat), nonostante letichetta alquanto buffa, ineliminabile.
Letimologia come processo di indagine culturale 117
a quelli europei. La situazione davvero affascinante, poich abbiamo
prove certe dellesistenza di genti caucasoidi sin dal II millennio
a.C. in alcune regioni periferiche della Cina, come mostra il ri-
trovamento dei celebri corpi mummificati del bacino del Tarim.
Le fonti cinesi ci parlano degli Yue-zhi, il Popolo della Luna, che
nei primi secoli prima dellera volgare erano stati costretti a mi-
grare dalle loro sedi originarie (nellattuale regione del Gosan)
sotto la spinta della confederazione degli Xiong-nu
70
; il loro aspetto
fisico ci noto sia dalle fonti suddette sia dalle rappresentazioni
del I sec. d.C. del sito kushana di Khalkhayan (Battriana): fisico
slanciato, con capelli biondi o rossi ed occhi chiari, aspetto che
ha portato i sinologi a parlare di un popolo di origine indoeuropea.
Ovviamente cos, perch gli Yue-zhi sono semplicemente i Tocari,
noti nelle fonti greche con il nome di Tokharoi, Thguroi e nelle
fonti sogdiane come Twry.
Lo stesso vale per altre genti meno note
71
. Non occorre ricor-
dare che quella che stata definita lautostrada delle steppe
salda senza soluzione di continuit lUngheria (via Mar Nero
Caspio Tarim) alle regioni centro-asiatiche: su di essa si sono
mossi decine di popoli, alcuni dei quali ci sono noti (Sciti, Sarmati,
Avari, Bulgari, Turchi), di molti poco sappiamo (ad esempio gli
Unni
72
). Per certo si sono diffuse anche idee ed influssi culturali
sui quali vale la pena riflettere, come mostra la notevole unifor-
mit dellarte delle steppe spesso giudicata scitica che si estende
dalla regione degli Xiong-nu al mondo germanico.
70
Etnicamente mista, composta da genti sia paleo-asiatiche che proto-turche.
71
I Wu-suen, ad esempio. Le fonti cinesi descrivono in maniera simile i proto-
turchi Kirghisi, il che farebbe presumere che si tratti di genti indoeuropee turchizzate.
Non si sottolineer mai troppo limportanza del bacino del Tarim, vero punto di
giunzione tra Europa ed Asia interna: si tenga ad esempio conto del fatto che
tramite esso passarono le missioni manichee e nestoriane e la scrittura sogdiana
che fu per secoli la grafia di genti turche e mongole.
72
Non sappiamo chi fosse etnicamente llite che li guidava: i nomi propri paiono
inclassificabili secondo le attuali conoscenze, mentre le voci unne citate da Prisco
e da Jordanes sono germaniche (medos idromele), pannoniche (camum tipo di
birra; voce data dalle fonti greche anche come peonica) o incerta (strava rito
funebre; voce slava?).
Franco Crevatin 118
Abbiamo detto che letimologia ai fini della ricostruzione cul-
turale un procedimento che parte dal basso, per cos dire, e
solo per gradi attinge il livello, che anche cronologico, del mondo
di rapporti indoeuropeo. Qui lo ribadiamo con fermezza.
Sopra si visto che c una notevole concordanza tra alcune
lingue indeuropee sulla terminologia dellaratura. Restando li-
mitati al solo mondo germanico, possiamo dire che lagricoltura
ha sempre avuto una decisiva importanza nelleconomia di sus-
sistenza: possiamo rinforzare la constatazione ricordando la con-
cordanza tra il tedesco Furche solco lant. bretone rec, il latino
porca la terra tra due solchi e larmeno herk terra arata di
fresco e quella tra antico alto tedesco egida (= ted. Egge) erpi-
ce, lituano ekios, ant. pruss. aketes (ed inoltre cimrico og(ed),
latino occa
73
, greco [con formazione diversa] . i), concordanze
che mostrano la continuit del rilievo economico dellagricoltura
germanica. Larcheologia conferma, pur nelle inevitabili differen-
ze ecologiche regionali, il rilievo in questione. Se invece guardia-
mo alle fonti latine, riceviamo unimpressione diversa ed in qualche
modo confusa. Cesare (B.G. 6, 22; 29) dice che le popolazioni
trans-renane vivevano di allevamento ed afferma altres, come
altri autori antichi, che la dieta dei Germani era basata largamen-
te su carne, latte e formaggio (ad es. Posidonio fr. 22 Jacoby,
Pomponio Mela 3, 3), ma lo stesso Cesare (4, 1) dice che se le
scorrerie di un potente vicino avessero impedito ad una trib
germanica di seminare e raccogliere le messi, questultima sareb-
be dovuta senzaltro migrare per evitare la fame. Inoltre sia a
Varrone (R.R. 1, 7) che a Plinio (N.H. 17, 47) erano noti i progre-
diti sistemi di qualche gente germanica per fertilizzare i campi.
Cesare ha frainteso la natura della situazione: il bestiame era
soprattutto il bene mobile di maggior prestigio, era ci che il
gotico esprimeva con fahu, parola identica al latino pec bestia-
me, da cui deriva pecnia fortuna, denaro, al sanscrito vedico
pas u" bestiame ed ad altre parole ancora. Per lungo tempo le
73
La formazione per poco chiara.
Letimologia come processo di indagine culturale 119
genti germaniche hanno conservato lequivalenza culturale be-
stiame = ricchezza, come mostra lantico inglese foh ricchez-
za, beni mobili ed in definitiva lo stesso cattle propriet, be-
stiame (medio inglese catel, a. 1275) che prestito dallantico
francese settentrionale catel < lat. capitale.
Cesare ha dunque frainteso una situazione che era affine, ad
esempio, a quella irlandese pre-Cristiana: la base delleconomia
era agricola, ma era il bestiame a dare prestigio ed ad esser con-
siderato la vera ricchezza, era il bestiame per il quale si batteva
leroe gaelico C Chulainn, era la razzia di bestiame (tin b)
latto guerriero per eccellenza.
Lagricoltura e la percezione della ricchezza in termini di be-
stiame (greggi e mandrie) sono dunque state parte del mondo di
rapporti indoeuropeo. La communis opinio ha spesso accolto un
modello secondo il quale gli Indoeuropei erano gruppi tribali di
allevatori nomadi, contando sulla variet e stabilit del vocabola-
rio ricostruibile relativo agli animali domestici e su qualche coin-
cidenza ideologica: nel greco omerico comune lespressione v.
`i pastore di genti
74
, attribuita a capi dellesercito acheo, sintagma
che in senso lato equivalente del vedico gopatir janasya il mandriano
75
della stirpe, della gente (ad es. RV 9, 35, 5: epiteto del Soma).
doveroso chiedersi se il modello sia o no giustificato. Per certo
non lo se pensiamo al pastoralismo come ad un modo di produ-
zione arcaico ed originario, poich sappiamo bene che esso inve-
ce una specializzazione ecologicamente determinata di gruppi umani
dediti allagricoltura; con altrettanta sicurezza, non lo se lo vin-
coliamo al nomadismo, appiattendolo su quelle che sono state le
societ proto-turche e mongole della Siberia meridionale. Pro-
babilmente molto ha giocato nellimmaginario il fatto che in molti
casi sappiamo per certo che le singole genti indoeuropee non era-
no originarie delle sedi nelle quali le troviamo in epoca storica,
ma la mobilit di gruppi un fatto eminentemente sociale che non
74
Per la voce `i , ha spesso una connotazione militare, gi micenea.
75
Letter.: protettore delle vacche.
Franco Crevatin 120
necessariamente indizio di nomadismo
76
. Neppure la percezione
della ricchezza in termini di bestiame un fattore decisivo a soste-
gno del modello trdito. ben vero che il tratto non pu che esser
sorto in un ambiente che era dedito (anche) allallevamento, ma
bene non dimenticare che lo stesso concetto di ricchezza cultu-
rale: in molte societ ricchezza non semplicemente il possedere
di pi, ma il possedere per fare qualcosa di specifico, qualcosa che
comunque obbedisce a paradigmi e valori socialmente condivisi.
Si aggiunga il fatto che se concordiamo sul fatto che il ricostruito
*peku valeva bene mobile, forzatamente esso doveva opporsi a
un bene immobile che altro non pare poter essere se non il pos-
sesso terriero
77
.
Se c un fine chiaramente riconoscibile della ricchezza nella
cultura di molte genti indoeuropee il fatto che essa doveva es-
sere redistribuita, non accumulata. Sopra (p. 68) labbiamo visto
per il mondo germanico e lo stesso vale per linsieme delle genti
celtiche, per il mondo greco arcaico e per quello indo-iranico: in
tutte queste culture e questo un elemento importante sono gli
animali di allevamento (pecore e buoi) a rappresentare lunit di
valore e, nella fase culturale pi antica, ad esser oggetto tradizio-
nale di redistribuzione. Si potrebbe fare unulteriore constatazio-
ne: perch un bene sia visto come prezioso e dunque valutato
appieno nel circuito delle (contro)prestazioni esso deve essere, nella
migliore delle ipotesi, limitatamente accessibile o accessibile solo
a prezzo di un impegno non irrilevante del singolo.
Riassumiamo: pare difficile credere alla bont del modello del
pastoralismo nomadico applicato al mondo di rapporti indoeuropeo
perch sono troppi gli elementi che militano a suo sfavore: se
76
Altrettanto peso ha avuto la collocazione di una parte centrale dello spazio
indoeuropeo nelle regioni a nord del Mar Nero.
77
Personalmente credo che il concetto di possesso terriero sia reso dal sintagma
vedico sadas pati" signore della sede ed al composto verbale latino *potis sedre
> possidre esser stanziato come signore > possedere. Naturalmente non biso-
gna credere che il concetto di possesso sia coincidente con quello moderno o,
peggio che mai, si pensi ad una propriet individuale della terra. Su questi temi
non tuttavia possibile soffermarsi qui.
Letimologia come processo di indagine culturale 121
invece partiamo da situazioni economiche di mixed farming i pro-
blemi interpretativi si attenuano sino a sparire e ci aiuta a ca-
pire meglio il concetto di ricchezza che stato presente almeno
in una parte non irrilevante del mondo in questione
78
.
Letimo, studiato filologicamente nel suo contesto storico (e
dunque anche tramite testi), porta, tramite la comparazione delle
forme geneticamente connesse e dei rispettivi contesti, ad attin-
gere il mondo di rapporti dal quale esso deriva: si ricostruiscono
cos aspetti di ideologia e di cultura, per parziali che essi siano.
Su tale possibilit della ricerca c vasto consenso, anche se non
unanimit. Ma limportante prospettiva cos acquisita deve fare
i conti con una tentazione generosa e nel contempo pericolosa. In
parole semplici la questione sta in questi termini: se noi sappia-
mo, come sappiamo, che concretamente esistito un mondo di
rapporti (indoeuropeo, semitico, bantu, o altro) al quale arrivia-
mo tramite etimi e contesti collegati, perch non tentare la rico-
struzione, quando non ci soccorrano etimi specifici, soltanto at-
traverso contesti ossia istituzioni culturali, fatti di ideologia
sociale o religiosa e sim.? La questione parrebbe, sulla base del
buon senso, ammettere una risposta positiva e tuttavia almeno
in questo caso il senso comune ingannevole: la comparazione
linguistica non pu essere estesa con la stessa legittimit e le
stesse competenze disciplinari in mbiti che non le sono propri.
In effetti la comparazione di tratti culturali, che non siano con-
temporaneamente linguistici, allo scopo di ricostruire situazioni
comuni precedenti non considerata una procedura ovvia da
altri specialisti di scienze umane: pu essere legittima ed utile in
sede tipologica, ma non lo di necessit in sede storica
79
.
78
Ancora una volta affermo che non possiamo pretendere di applicarlo allinterezza
del mondo in quanto tale.
79
Lobbiezione del buon senso alquanto prevedibile, ossia che esistono casi
documentabili nei quali alcuni (o parecchi, o molti; certo, per, non tutti e nep-
pure la maggior parte) tratti della cultura A diventano chiari e comprensibili
storicamente tramite la comparazione con quelli presenti nella cultura B, quando
Franco Crevatin 122
La ricostruzione culturale che abbia come referenza linguisti-
ca il solo fatto che le culture poste a confronto siano (state) pro-
prie di parlanti lingue pi o meno strettamente imparentate
sempre una ricostruzione rischiosa, nella quale pressoch sempre
difficile distinguere quanto davvero storicamente connesso e
quanto invece pu essere ascritto a coincidenza tipologica.
Un esempio pertinente di confronto culturale del tipo sopra
delineato quello istituito da qualche studioso tra il dio greco
dellamore, |,, e lequivalente indiano antico Kma. Ambe-
due sono personificazioni (e la personificazione pare esser stato
un tratto caratteristico della cultura poetica sia greca arcaica
sia indiana) della forza di attrazione che spinge alla generazione
e dunque che ha in quanto tale un posto talora non irrilevante
nelle concezioni cosmogoniche delle due culture (si veda da una
parte Esiodo, Theog. 120 e dallaltra RV 10, 129). Colpisce il fatto
che in ambedue i casi (il dio del)lAmore pensato come arciere,
che con le sue frecce colpisce, facendole innamorare, le persone.
Nel mondo greco Eros non ha grande personalit, ma il fatto che
sia attestato un suo culto aniconico (una pietra non lavorata, i ,
`. ),) a Thespi in Beozia, dove pare essere stato presente da
tempi immemorabili (Paus. 9, 27), ci mette in guardia dal consi-
derare il dio una mera personalit della poesia. La raccolta di
formule magiche vediche, lAtharvaveda, ci conserva la formula
di un rito di magia amorosa (AV 3, 25), nel quale appunto la
terribile freccia dellAmore quella che deve colpire lamata: nel
commentario pi tar do, ma basato su materiale genuinamente
le culture, beninteso, siano proprie di genti linguisticamente imparentate. quel-
lo che spesso accade grazie alla comparazione tra cultura indiana vedica e cul-
tura iranica antica. Sarebbe tuttavia un salto logico ammettere che in questo modo
arriviamo al livello di una cultura genealogicamente sovraordinata, poich siamo
sempre di fronte a due storie culturali distinte, tra le quali lo scambio comu-
nicativo lato sensu stato di tale qualit e quantit da essere accessibile facilmen-
te ai nostri mezzi di indagine. Al fondo il problema resta sempre lo stesso, o si
sceglie un modello genealogico e di conseguenza si suppone lesistenza di figliazioni
culturali, oppure si preferisce il modello della rete di rapporti, come sopra abbia-
mo ripetutamente fatto, e la scelta porta a conseguenze molto diverse.
Letimologia come processo di indagine culturale 123
antico KauStra 35, 22 ci viene spiegato che la formula andava
recitata mentre con le dita (= frecce) si picchiava una statuetta
che simboleggiava lamata. Il comune epiteto classico del dio
dellAmore, pacab>a" o pace@u" dalle 5 frecce, dimostra chia-
ramente lantichit e tradizionalit del rito, trasposizione erotica
di un originale rito di caccia.
La coincidenza greco-indiana inviterebbe a credere che tali
idee siano state presenti gi nel mondo di rapporti indoeuropeo
80
.
Possiamo, in assenza di comparazioni lessicali precise e nono-
stante la sua verosimiglianza, dimostrarlo? Temo di no.
Uno dei casi pi complessi ed elaborati della tradizione
indoeuropeistica di studi costituito dallinsieme delle ricerche
di G. Dumzil. Lo studioso francese ha dedicato praticamente
lintera vita ad esplorare in tutti i suoi risvolti lintuizione che le
societ indoeuropee sarebbero state caratterizzate da unideolo-
gia ad esse propria, ossia la tripartizione funzionale: la singola
societ cio avrebbe pensato se stessa come una struttura divisa
in tre classi funzionali, la classe nobiliare di re e guerrieri, quella
sacerdotale ed infine quella dei produttori. Esiste un fatto dal
quale ha preso le mosse la ricerca, ossia la divisione ideologica
della societ vedica in tre diversi var>a colori brhma>a la
classe sacerdotale, rjanya la classe nobile e guerriera (k@atriya),
vaiya la classe dei coltivatori ed allevatori. Tale classificazione
attestata solo in un inno rigvedico tardo (RV 10, 90), mentre pi
anticamente il colore veniva impiegato per contrastare, proba-
bilmente in senso proprio, gli Arii con le genti autoctone dellIn-
dia. La questione dei colori tardo vedici molto complessa ed
stata a lungo discussa, soprattutto in connessione con il ben
pi tardo sistema castale
81
, poich molte cose ci sono note solo
da accenni fuggevoli o da allusioni
82
. molto probabile che le
80
Si aggiunga il fatto che nelle due tradizioni la freccia utilizzata spesso come
metafora della parola che colpisce nel segno, sia essa poetica o magica.
81
Il quale non esisteva neppure allepoca della redazione dei Brhmaa.
82
Per quanto non paia dubbia lesistenza ab antiquo di esperti della correttezza
del rito e del sacro in generale, non assolutamente detto che nella protostoria
Franco Crevatin 124
societ iraniche antiche abbiano conosciuto una distinzione mol-
to simile, basata su mestieri, pitra, parola che etimologicamen-
te vale colori: ravan il sacerdote, raat il guerriero (com-
battente dal cocchio), vstry fuyant il produttore, eminentemente
un allevatore; la classificazione secondo colore motivata, per-
ch nellIran il bianco si associava al sacerdozio, il rosso alla
guerra ed il blu allallevamento. Questi sono i fatti; il resto, quanto
meno nella sterminata produzione di G. Dumzil, interpreta-
zione di miti, di leggende o di tradizioni lette nellottica dellin-
tuizione fondamentale, interpretazioni che non di rado generano
limpressione della circolarit del ragionamento o dellonere di
prova: se vera la tesi, questa potrebbe esserne una prova /
questa prova sostiene la tesi emessa. Non necessario discu-
tere oltre la tesi della tripartizione funzionale
83
: qui si voleva
semplicemente portarla ad esempio di un modo di affrontare la
ricostruzione.
Abbiamo pi volte nel corso di questo libro parlato di un tipo
sociale che doveva avere una certa diffusione nel mondo di rap-
porti indoeuropeo, una struttura politicamente non centralizzata,
con un re che regna ma non governa, nella quale il potere coer-
citivo risiede nei gruppi di discendenza (lignaggi e segmenti di
lignaggio), con uneconomia basata sul mixed farming e nella quale
il bene di prestigio erano gli animali dallevamento e la ricchezza
non era prioritariamente accumulata bens redistribuita. Ora possiamo
fare un ulteriore passo in avanti.
Il latino daps banchetto, spesso sontuoso entra in una serie
di confronti lessicali sicuri ma in parte sconcertanti: ad esso in-
degli Arii i sacerdoti avessero il rilievo al quale ci hanno abituato i testi brahmanici:
tra laltro chiaro che il rito privato era anticamente gestito dal pater familias.
83
Personalmente e lo si capisce dal testo non la condivido, e non perch la
giudichi prioritariamente errata o controfattuale, bens perch nella sua formula-
zione mi pare semplicemente inaccessibile alla prova in positivo o in negativo.
una tesi che ha portato a moltissimi risultati collaterali, ma che nel suo nucleo
indimostrabile.
Letimologia come processo di indagine culturale 125
fatti si associano il greco oi v divorare, consumare e oivi
spesa, lantico islandese tafn animale sacrificale la cui carne si
consuma nel banchetto religioso e larmeno tawn festa solen-
ne. Il *dap-no- presunto da alcune di queste forme si ritrova nel
latino damnum, ma il senso quello di danno. Qual il nesso
logico che pu collegare una comunione alimentare, di carattere
pubblico e spesso religioso, al concetto negativo di danno? La
risposta semplice, quando si consideri che in molte culture il
banchetto pubblico unoccasione non solo di redistribuzione
della ricchezza, ma addirittura di distruzione, di sperpero della
medesima: quello che gli antropologi definiscono potlatch.
chiaro che in una societ quella latina che ha perduto il senso
sociale di tali occasioni solenni ed importanti pu rimanere vivo
solo il ricordo della perdita economica che tali banchetti compor-
tavano. Gi; ma qual era il loro senso culturale?
In tutte le culture dove attestato, il potlatch si collega stret-
tamente ad una competizione per lo status sociale: lindividuo
distribuisce ricchezza sino ad arrivare talora alla distruzione di
essa per migliorare il proprio status e cos acquistare capacit di
azione sociale, attirando a s sostenitori in grado di appoggiarlo
in tutte le occasioni pubbliche. Orbene, questo quadro compa-
tibile con quanto abbiamo detto sopra circa la redistribuzione
della ricchezza; e non solo: ammettere una societ con forte di-
namica degli status sociali rende ragione anche di parecchi altri
fatti. Una delle concordanze pi celebri e sicure della lingua
poetica del mondo di rapporti indoeuropeo il sintagma rela-
tivo al concetto della gloria che non si corrompe (greco -`: ,
i )). = vedico s ravo k@itam) ed esso non va letto come una
bella immagine metaforica, bens come espressione di un deside-
rio molto concreto, quello di veder sottratta la propria fama alla
perenne dinamica degli status sociali. Usualmente le societ ca-
ratterizzate da una forte e perenne dinamica degli status sono
politicamente non centralizzate, ed anche questo un fatto riscon-
trabile nel mondo indoeuropeo (si veda sopra la discussione sul
lat. rx e voci connesse).
Franco Crevatin 126
La dinamica degli status implica un elemento perenne di ten-
sione nella societ, dovuto alla costante ricerca di mantenere e
migliorare la propria posizione. questo il modo pi semplice di
spiegare, in societ acefale come quella irlandese pre-Cristiana e
indiana vedica lagonismo, il contrasto verbale, la lotta per la
precedenza a banchetto ( il tema molto noto del Heldenbiss, il
boccone migliore riservato alleroe), quelloccasione pubblica nella
quale la precedenza e il tipo delle parti distribuite riflettono lat-
tuale e momentanea situazione degli status.
Societ instabili? Entro certi limiti s, essendo che lautorit
84
divisa tra gruppi di discendenza, individui dotati di ricono-
sciuto prestigio che legano a s grazie alla perenne redistribuzione
di beni un sguito di sostenitori ed un re che regna e non gover-
na, tuttavia, come ci insegnano gli antropologi, nessun equilibrio
sociale statico. Inoltre societ come quelle che qui ci occupano
hanno un poderoso fattore che limita e controlla indirettamente
contrasti e faide, ossia la fama, che nullaltro se non il riflesso
della pubblica opinione: ancora in Esiodo (Op. 763) la )
considerata non deperibile e quasi divina. Contro la pubblica
opinione a nulla vale lagire del singolo o del gruppo, poich chi
osasse schierarsi contro di essa ricadrebbe nella vergogna
85
, nellonta,
o nel pi totale isolamento. Autorevole rappresentante della vox
publica il poeta, capace di lodare il meritevole ma di ferire il
colpevole con la satira e la disapprovazione violenta: questa la
posizione formale, ad esempio, del bardo irlandese e del poeta
vedico, un produttore di testi che proprio in quanto riflettono i
paradigmi culturali non sono discutibili o ignorabili.
Torniamo ora al big man, allindividuo che grazie al suo pre-
stigio ed alla redistribuzione di ricchezza riesce ad acquisire social
competence, capacit di agire sociale. Abbiamo detto che questul-
tima si basa sul sguito che egli sempre comunque pro tempore
84
indispensabile tener distinto il semplice potere, ossia la possibilit concreta
di agire, dallautorit, ossia il potere esercitato come diritto riconosciuto.
85
Molto spesso, difatti, tali culture sono definite culture della vergogna.
Letimologia come processo di indagine culturale 127
in grado di raccogliere attorno a s. Il sguito non solo lo
sostiene nelle occasioni pubbliche, ossia nelle assemblee, ma gli
pu alloccorrenza fornire aiuto guerriero. Tipologicamente tale
fedelt personale la stessa che si crea tra un prestigioso capo
militare ed i suoi seguaci in occasione di scorrerie belliche. Il
sguito struttura nota presso molte genti indoeuropee (Indiani,
Greci, Latini, Germani, Celti, Slavi
86
), confortata da qualche pun-
tuale rapporto etimologico, ad es. vedico sakhi" lindividuo che
dipende da un patrono, spesso con funzioni militari, sakh amico,
compagno, persiano haa-, ant. nord. seggr compagno, lat. socius:
tali forme sono dei derivati dalla radice verbale *sek
w
- seguire,
che ha dato anche il nome del seguace nel greco miceneo (e-qe-
ta : -: i,), nome di funzionario dellamministrazione palaziale.
Epper il sguito in quanto tale non gode di una qualche rag-
giungibile concordanza etimologica, il che potrebbe farci credere
che in quanto istituzione non abbia la stessa antichit del rapporto
fattuale e transeunte tra un individuo o un capo militare e dei
seguaci, visto che questi ultimi sono invece raggiungibili etimo-
logicamente. La situazione non sarebbe del tutto sorprendente,
perch quella che troviamo tra le genti slave
87
. Ma su questul-
timo punto inutile per ora accumulare ipotesi.
Cercheremo ora di trarre qualche conclusione dai casi studiati
in questo capitolo. Letimo, si detto, ha natura fattuale e forza
probante, e la ricostruzione linguistica non pu credibilmente
esser revocata in dubbio. Neppure la ricostruzione culturale su
base linguistica, in particolare quella etimologica, svalutabile
come mera opzione di possibilit. E tuttavia non possiamo na-
sconderci il fatto che la ricostruzione tanto pi pertinente ed
affidabile quante pi informazioni storiche o, quanto meno,
tipologiche abbiamo gi in nostro possesso. Se nulla possediamo,
86
Esclusivamente militare sembra essere stata la druina slava comune.
87
E, aggiungo, le genti germaniche allepoca di Cesare: allepoca di Tacito, infat-
ti, il sguito tende ad essere una vera istituzione con carattere di permanenza.
Franco Crevatin 128
poco pi di nulla possiamo dire. Letimo in questo caso la con-
quista faticosa in un processo nel quale nulla viene regalato e
dove talora ci si deve accontentare di unipotesi economica, nella
quale appunto soprattutto leconomia ermeneutica a tentare di
compensare le inevitabili imprecisioni ed ambiguit dei dati lin-
guistici.
Il poeta latino Marziale (Ep. 1, 16, 2), nel dedicare ad un amico
il suo nuovo volume di epigrammi, riassunse mirabilmente la
situazione:
Ci sono alcune cose buone e parecchie cose cattive, o Avito,
che leggi qui: non possibile fare un libro in un altro modo
Letimologia come processo di indagine culturale 129
ETIMOLOGIA E SOSTRATO LINGUISTICO
La lingua ha una dimensione areale perch chi la parla occupa
un territorio. Non detto per che in quello spazio si sia parlata
solo e sempre una determinata lingua: potevano esser esistite
lingue in sguito scomparse o lingue portate da nuovi occupanti
che sono stati riassorbiti gradualmente nella compagine preesistente.
Queste sono le situazioni che i linguisti definiscono rispettiva-
mente con i termini di sostrato e di superstrato. Concretamente,
e facendo riferimento allItalia (neo)latina, letrusco lingua di
sostrato ed il langobardo lingua di superstrato.
Rintracciare lorigine delle parole di superstrato non nel com-
plesso troppo difficile, poich siamo guidati dalla storia
evenemenziale. Sappiamo che in Italia, poniamo, ci sono state
importanti presenze germaniche (Goti, Langobardi, Franchi),
bizantine (Esarcato, Italia meridionale, Istria), arabe (soprattutto
in Sicilia), albanesi (Calabria e Sicilia) e ci limitiamo a quelle
pi importanti: da questo sapere riceviamo un utile caveat
ogniqualvolta in quelle aree linguistiche troviamo una parola che
non ci sembra spiegabile tramite le comuni trafile neolatine.
Nonostante ci, non tutto ci chiaro; anzi, importanti proble-
mi attendono ancora una soluzione definitiva, primo tra tutti quello
della continuit tra grecit linguistica megaloellenica e grecit
medievale e moderna nellItalia meridionale: lantica grecit
stata assorbita da quella bizantina o invece c soluzione di continuit
determinata da una fase di latinizzazione delle parlate in que-
stione e seguita da una successiva bizantinizzazione? Propugna-
tore della continuit stato il grande linguista tedesco G. Rohlfs,
oppositori alcuni studiosi italiani, in primis G. Alessio. La deci-
sione pu esser presa solo sulla base delletimologia, poich se
nella grecit medievale e moderna su suolo italiano sopravvivo-
no tracce degli antichi dialetti megaloellenici ci significa che di
massima la continuit va ammessa.
Ebbene, questo ci pare un caso storico ed etimologico quasi da
manuale: la bibliografia sul tema sterminata, la polemica scien-
Franco Crevatin 130
tifica stata dura, a volte spietata, e tuttavia gli studiosi non
discutono oggi quasi pi sul tema, appagati del loro convinci-
mento morale, qualunque esso sia. Eppure rimangono spazi per
unulteriore riflessione. Vediamo innanzi tutto i dati generali.
La colonizzazione greca storica inizi grosso modo nella prima
met dellVIII sec. a.C. Essa mirava al popolamento, ossia al tra-
sferimento di coloni dalla Grecia metropolitana alle terre dOcci-
dente, e non alla semplice creazione di scali mercantili: allepoca
la pressione sulle terre agricole produttive era in buona parte
della Grecia molto forte sia per ragioni politiche (diffusa presen-
za di ordinamenti politici aristocratici che favorivano loccupa-
zione dei terreni migliori da parte di piccole lites) sia per que-
stioni ambientali
88
. Con la fondazione di Cuma si apr dunque
una stagione che dur parecchi secoli, durante i quali nuclei
consistenti di Greci si insediarono in Italia meridionale ed in Sicilia,
fondando citt, creando empori, diffondendo la lingua e la cul-
tura elleniche. Pur tra difficolt talora notevoli (la pressione etrusca
in Campania, cartaginese in Sicilia ed italica in tutto il sud), lIta-
lia meridionale merit il nome di M:i ` |``i ,, Magna Graecia,
venendo considerata da tutti i Greci alla stregua dello stesso territorio
metropolitano. La pressione italica ridusse progressivamente lim-
portanza delle citt stato greche e, in tempi e modi diversi, Roma
pose fine alla loro ormai fragile indipendenza.
Quando dunque parliamo di grecit italiota ci riferiamo ad
una presenza umana multiforme e complessa, ricca produttrice
di cultura spirituale e materiale e demograficamente tuttaltro
che irrilevante.
Poco possiamo dire su base documentaria delle dinamiche di
interazione linguistica tra Greci ed ambiente latino nei secoli che
88
Le rotte verso lOccidente erano state aperte almeno cinque secoli prima, quan-
do i Greci Micenei stabilirono una serie di empori importanti nellItalia meridionale
(soprattutto Puglia e Lucania). In seguito le rotte per loccidente furono a lungo
in mano di Fenici e Ciprioti, e sicuramente tra gli equipaggi cerano anche dei
Greci.
Letimologia come processo di indagine culturale 131
vanno dalla conquista romana alla guerra gotica del VI sec. d.C.
Per quanto Roma non avesse mai avuto una politica linguistica
volta al sostegno del latino
89
, non si pu dubitare del fatto che la
pressione della lingua dellUrbe sia stata molto forte. Al volgere
dellera volgare alcune citt conservavano la loro caratterizzazio-
ne ellenica, come Pozzuoli, dove ambientato il Satyricon di Petronio,
Taranto, Napoli, Reggio, ma lellenismo, stando a Strabone (6, 1),
era in forte regresso. Eppure lepigrafia privata in lingua greca si
continua sino a tutto il V sec. e quanto meno nella Sicilia orien-
tale cerano parecchi ellenofoni anche prima della conquista del
generale bizantino Belisario (a. 535). La constatazione di Strabone
va dunque riferita allimbarbarimento della antica cultura ellenica
ed alla contrazione dello spazio linguistico greco, ma non come
atto di morte definitivo della grecit. C un episodio, accaduto
durante la guerra gotico-bizantina e riferitoci da Procopio (6, 17,
8 ss.), che abbastanza significativo: a causa delle devastazioni
belliche, delle epidemie e della fame, molte zone dellItalia cen-
tro meridionale erano diventate spopolate. Presso la citt picena
di Urbisalia un bambinello, rimasto senza madre, venne allattato
da una capra. Quando la gente del posto, che pure era di stirpe
romana, scoperse tale fatto prodigioso diede al bambino il nome
di Egisto (A. .c),), evidentemente giocando sullassonanza con
il nome greco della capra (i. , greco moderno ega). lepisodio
mostra che nellItalia centro meridionale esisteva competenza nella
lingua greca, fatto da non trascurare quando si ragioni sulla continuit
megalo ellenica.
Nel VII secolo Bisanzio rivolse molte cure allItalia meridiona-
le: la Sicilia, assieme alla Calabria meridionale e poi Otranto e
Napoli, venne eretta a thema (unit amministrativa di impronta
ed importanza militare) ed inizi un lungo processo di trasferi-
mento di monaci bizantini e di privati dalla Grecia allItalia
meridionale; nellVIII sec. le diocesi di Sicilia e Calabria vennero
89
Le istituzioni e la lingua punica continuarono ad esempio indisturbate in alcu-
ne localit della Sardegna sino al II sec. d.C.
Franco Crevatin 132
staccate dalla giurisdizione romana e passarono alle dipendenze
dirette del Patriarcato di Costantinopoli. In epoca normanna il
greco godette di un elevato status alla corte reale ed i documenti
conservatici tra il X ed il XIII sec. mostrano unarea di estensione
che copre lintera Sicilia, Calabria, buona parte della Lucania fino,
forse, a saldarsi con larea otrantina.
Bisanzio, come Roma, non aveva una politica linguistica e dunque
non era interessata allellenizzazione linguistica: tenuto pure conto
dellimportante influenza della religione e della ricchezza dei modelli
proiettati dal Corno dOro, ragionevole pensare che tutta
lellenizzazione sia secondaria? E perch Bari, che per due secoli
fu la capitale bizantina in Italia, non fu mai grecizzata?
Insomma, per quanto con molte zone dombra lidea che lan-
tica grecit megaloellenica sia sopravvissuta a macchia di leopar-
do sino al VI secolo per poi confluire in quella bizantina non ,
come si vede, affatto inverosimile.
I dialetti grichi parlati oggi nel Salento ed in Calabria sono
indubitabilmente bizantini nella loro struttura: e questo un fatto
ovvio, perch le eventuali sopravvivenze non potevano che esser
inserite in un contesto linguistico bizantino.
Vediamo ora quali sono gli elementi che indiziano una so-
pravvivenza lessicale megaloellenica. A rigore di logica (lingui-
stica), essa ha due particolarit: caratterizzata da anteriorit
linguistica rispetto alla koin ellenistica ed dialettalmente con-
notata come dorica, propria cio di quel dialetto che non fece
parte della koin e che era largamente parlato nella Magna Graecia.
La compresenza dei due fattori ci permette ragionevolmente di
attingere livelli linguistici anteriori allepoca bizantina. Infatti,
larcaismo e persino lisolamento di una voce grica allinterno
dei dialetti neoellenici odierni non sono elementi dirimenti, poi-
ch si potrebbe dire, appunto come sostengono a buon diritto gli
oppositori della tesi della continuit, che quanto appare oggi arcaico
ed isolato poteva ben non esserlo nel VII sec.
Letimologia come processo di indagine culturale 133
Vediamo dunque i casi lessicali che sono i pi meritevoli dat-
tenzione
90
.
Dorismi
bovese samo senza marchio, riferito a capra, < i ci,
senza segni; palesemente dorico (v. anche Anth. Pal. App.
678); si noti larcaico tipo aggettivale in -, a due terminazioni.
otrantino lhri felce < 3`i (Esichio), forma dorica per
il comune 3` . Qualche dubbio pu esser indotto dallat-
testazione della forma 3i ` a Corf, il che potrebbe indur-
re a credere che si tratta di una concordanza dialettale speci-
fica e tutto sommato moderna.
bovese e sic. mediev. lan palmento < `i ,, dorico per il
comune ` ,.
bovese nasida, messinese nasita striscia di terra coltivabile
presso un corso dacqua, dal diminuitivo di i c,, dorico
per c, isola. La voce, con il significato che ci interessa,
attestata solo nel greco dEgitto
91
(P. Hib. 1, 90, 7 [III sec.
d.C.], P. Giss. 60, 1,1,1,4,12 [II d.C.], P. Oxy 1445, 13 [II d.C.]),
nel quale molto probabilmente calco dellegiziano jw isola;
terreno vicino ad un fiume, e nel dialetto dorico delle tavole
di Eraclea (1, 38: i c, terreno alluvionale).
bovese past e varianti pasta di latte rappreso, < dorico vi
-i equivalente al v- della koin.
Regionalismi specifici:
bovese anpordo tipo di cardo, reggino npordu < vo
tipo di cardo (letter.: peto dasino). La voce, oltre che in
Esichio s.v., compare in Epicarmo, commediografo siciliano
(fr. 161); latinismo occasionale in Plinio (27, 110; lezione mi-
gliore rispetto ad onopradon). Laccento del siciliano naprdu
probabilmente una refezione.
bovese flaco tralcio di vite; stelo delle leguminose, < `)u `i-
= )u `i custode, calco di un latino custos con lo stesso
significato (in Plinio N.H. 17, 181).
90
Lelenco sin troppo severo: non si troveranno voci per le quali pu sussistere
anche un minimo legittimo dubbio ermeneutico ovviamente, a mio avviso. Per
questo motivo non includo voci come il sic. ed il calabrese casntaru e sim.
lombrico che pure sicuro dorismo (< i , : :) perch sospettabile di
mediazione latina.
91
attestata anche in Strabone, ma solo nei passi dellopera che riguardano la
realt geografica egiziana.
Franco Crevatin 134
bovzse vddia vespa, comune in tutta la Calabria meridio-
nale, < o: ``.):, (Esichio), o: ``.), (Erodiano, Cherobosco,
Epimerismi, Lexika).
Anche tralasciando le decine di arcaismi e quei casi che po-
trebbero generare qualche dissenso, le voci sopra ricordate sono
di notevole forza probante se viste nel loro insieme. Decisivo il
caso di isola nel senso di terreno alluvionale, caso che era
sfuggito allattenzione degli studiosi: se vero ed vero che
nelle migliaia di testi greci a noi giunti la parola c,/i c,
presenta il doppio significato solo in Egitto, dove per quasi
certamente calco dallegiziano
92
, e nelle tavole italiote di Eraclea,
il senso sopravvissuto nella grecit italiana meridionale non pu
che essere un regionalismo megaloellenico.
Alcuni studiosi italiani hanno sostenuto che dorismi ed arcaismi
possono essere stati importati negli spostamenti umani di et
bizantina, in linea di massima unipotesi possibile: essa per perde
la propria ragion dessere quando diventa una giustificazione
sistematica: comunque il caso qui discusso sembra aver ragione
credo di ogni possibile riserva
93
.
Non sempre, dunque, le cose sono facili quando si parla di
superstrato; per contro la situazione sempre difficile quando si
indaga su voci appartenenti al sostrato linguistico. La ragione
presto detta: perch siamo costretti a giocare una partita al buio.
Parole di lingue che non conosciamo, adattate in una forma fo-
netica approssimativa che obbedisce alle regole della lingua di
arrivo
94
, con attribuzioni di significato spesso generiche e larga-
mente decontestuate rispetto al loro originale habitat culturale,
92
Si badi che legiziano parte di unarea coerente che comprende parte del
mondo semitico (cfr. arabo jazra) e del nubiano.
93
Va riconosciuto, tuttavia, che quanto qui affermato circa la continuit vale per
la grecit calabrese, ma non detto che debba valere anche per quella salentina.
94
C da dubitare che molte persone, pur colte, riconoscerebbero nel tedesco
Pfingsten il nostro Pentecoste.
Letimologia come processo di indagine culturale 135
trasformano il paesaggio in un mondo nel quale la distinzione
tra miraggi e realt spesso illusoria. Anche se possiamo ragio-
nevolmente dire che la parola x non propria dello strato lingui-
stico di superficie e se possiamo affermare con certezza che sotto
quello strato ci sono strati precedenti, la partita rimane dura.
Sopra (p. 94) abbiamo visto che la voce greca per indicare la
vasca da bagno un prestito da una lingua della Creta Minoica.
Restiamo per una volta ancora nello stesso mbito.
Favoleggiavano i Greci det storica che Dedalo avesse costru-
ito a Creta per Minosse, re di Cnosso, un palazzo dalla pianta
incredibilmente complessa: al suo interno era stato rinchiuso il
Minotauro, mostruosa creatura met toro e met uomo. Gi i
nomi dei protagonisti (M. ,, M. iu,) e la localizzazione
del monumento rinviano alle culture cretesi pregreche: una volta
preso atto che il suffisso con il quale formata la parola `i3u -
.), caratteristico di molte voci preelleniche, che la bipenne
un simbolo cultuale tipico di tali culture religiose e che il nome
lidio di tale oggetto era `i 3u,, era pressoch inevitabile con-
cludere che il labirinto era originariamente il Palazzo della Bipenne,
qualcosa di connesso al mondo religioso: le tavolette greche micenee
ci hanno conservato lespressione teonimica da-pu
2
-ri-to-jo po-ti-
ni-ja Ai3u. ). l .i la Signora del Labirinto, confer-
mando cos che il Labirinto era effettivamente un edificio, co-
munque si debba intendere tale espressione, con significato reli-
gioso. Cos almeno hanno convenuto molti studiosi. Effettiva-
mente la tesi del Palazzo della Bipenne allettante: una parola
pregreca, comune a Creta e Lidia, un palazzo con un andamento
dei corridoi come le spirali di una conchiglia (come pi volte
precisano le fonti antiche), perdipi situato secondo la saga a
Cnosso, dove in epoca storica ancora si dovevano vedere gli
imponenti ruderi del palazzo minoico, un simbolo religioso ben
documentato. Eppure non tutto va per il suo verso. C una tra-
dizione tarda, daccordo che vede nel labirinto un sistema di
caverne (ad es. Eust. Comm. Od. 1, 421), e c stato qualche stu-
dioso che ha argomentato a favore di tale esegesi; cos come c
Franco Crevatin 136
stato chi ha preferito rinviare la voce `i3u .), a `iu i viuz-
za stretta, incassata o, in definitiva, a `i i, pietra, roccia,
una parola di etimo indoeuropeo molto dubbio che assona con
lalbanese ler pietra (< *l
e
r?) e con il neolatino italiano di
nord-est lv(a)ra pietra (piatta)
95
. Questa frastornante serie
di accostamenti non solo il segno di unaporia esegetica speci-
fica, ma quanto regolarmente avviene quando di una parola
abbiamo conservata pi o meno approssimativamente la forma
ma ignoriamo pressoch tutto sul suo significato. Tra laltro, a
voler esser pedantemente legati ad aspettative morfologiche, do-
vremmo dire che `i3u .), presuppone verosimilmente una parola
``i3u - o ``i3u .- che non coincide appieno con quella suppo-
sta come etimo
96
.
In altri casi la situazione pi confortante.
Lambra era detta in greco `:- o `u-u .: in epoca
ellenistica veniva detta anche cu -., prestito dal latino scinum,
a sua volta prestito da qualche lingua del Baltico, da dove pro-
veniva lambra pi pregiata (cfr. lit. skas resina). La parola
`u-u . era trasparente nel greco e significava urina di lin-
ce: si supponeva cio che lambra fosse il prodotto fossile del-
lurina di tali animali, come aveva supposto, forse per primo,
Demostrato. Zenotemide, un celebre scrittore greco di naturali-
stica, sostenne per che essa era la deiezione di certi animali che
vivevano vicino al Po e che si chiamavano langa, opinione che
altri anonimi studiosi antichi, evidentemente pi esperti della
realt linguistica italiana settentrionale, corressero: tali animali
non si chiamavano langa, bens languri (Pl. N.H. 37, 33). Zenotemide,
ed altri con lui, ritenevano dunque a ragione che la designazione
greca `u-u . fosse un rifacimento paretimologico di tale voce
italiana settentrionale. Ci troviamo di fronte ai seguenti fatti: 1)
95
Questultimo confronto molto meno credibile.
96
Certo, si possono emettere ipotesi non irragionevoli per congiungere comun-
que laburinthos a labrus, ma questo non rientra qui nei nostri interessi.
Letimologia come processo di indagine culturale 137
i Greci sin da et pre-ellenistica ritenevano che lambra fosse il
prodotto fossile di certi animali; 2) tali animali erano comuni
vicino al Po e 3) dal loro nome indigeno era stata tratta per
paretimologia la voce greca. Nei fatti qui esposti implicita una
questione: perch lItalia settentrionale padana? Per quale moti-
vo e come, cio, i Greci avevano desunto da una regione cos
lontana dallEllade una teoria (pseudo)naturalistica ed un nome
locale? E quale animale era il languro?
Alla prima domanda possiamo rispondere con facilit: perch
sin dalla fine del II millennio a.C. i Greci sapevano che nellItalia
settentrionale, proprio alle foci del Po (e come dimostrano recen-
ti scavi archeologici) esistevano importanti centri di lavorazione
e commercializzazione dellambra, anche di quella proveniente
dal Baltico
97
.
E probabilmente siamo in grado di rispondere anche alla se-
conda domanda: dietro la designazione languri si nasconde il ramarro.
Se si guarda infatti alle designazioni italiane settentrionali di tale
rettile (AIS 3, 450) si vedr che lItalia settentrionale percorsa
da un tipo prelatino languro, spesso attratto per incrocio da
legare, con il quale entrato secondariamente in concorrenza il
latino lacerta lucertola.
La corrispondenza formale e la situazione areale sono talmen-
te puntuali da non lasciare spazio a molti dubbi: dunque, molte
genti dellItalia settentrionale preromana ritenevano che il ramarro,
il languro, producesse in qualche modo la preziosa ambra.
Ritorniamo al concetto di sostrato per ribadire ancora una volta
che esso non ha in se stesso nulla di ontologicamente complesso:
prima della lingua x si parlava la lingua y ed il linguista studia
97
Mi riferisco al sito di Frattesina nel Polesine, dove la marineria mercantile
orientale e cipriota dal XII sec. a. C. ebbe un importante punto di riferimento: ivi
si lavorava su commissione lavorio e persino le uova di struzzo. I Greci, forse
gi micenei, erano certamente informati di tali rotte, pur se non le percorrevano
in proprio, tant vero che nellarea del Caput Adriae conoscevano lesistenza di
isole dellambra (|`:-. o:, c.), la cui posizione corografica incerta
(isole del Quarnaro?).
Franco Crevatin 138
le tracce che la situazione pi antica ha lasciato nello strato pi
recente. Tutte le cose davvero difficili, tuttavia, si presentano con
presupposri semplici: il diavolo si nasconde nei particolari. Par-
tiamo dunque da un fatto apparentemente ovvio: se c una lin-
gua ci sono dei parlanti, i quali hanno una loro cultura e defi-
niscono in qualche modo se stessi: la ricerca sul sostrato dunque
contribuisce a definire realt etniche e a classificare da un punto
di vista linguistico, possibilmente con lausilio di documentazio-
ne storica, tali genti. Non forse quello che facciamo quando
mettiamo assieme il francese arpent nome di misura terriera e
linformazione dello scrittore latino Columella (5, 1, 6) secondo il
quale i Galli chiamavano arepenne il semi-iugero? Non stiamo
forse, tramite letimologia, ristabilendo una categoria etnica?
cos, ma questo rimane vero solo quando il contesto areale
e storico nel quale si incontra il prestito nettamente definibile,
altrimenti lassunto, pur restando formalmente vero, di fatto
irrilevante, non precisabile o comunque rimane al di l di qual-
siasi possibilit di accertamento.
Vediamo brevemente qualche altro caso di attribuzione certa.
Nel sardo campidanese laneto detto tsikkira ed il rosmarino
tsppiri: si tratta di parole risalenti alla presenza punica in Sarde-
gna, una presenza largamente accertabile nelle fertili campagne
del Campidano e storicamente documentabile da iscrizioni, noti-
zie di et romana e da numerosi toponimi. La prima parola
documentata dallo studioso greco di botanica Dioscoride Pedanio,
il quale attribuisce agli A).
98
la voce c.--.. i id. (cfr. ebraico
ekar); la seconda riportata dallerbario latino dello Pseudo Apuleio,
nel quale leggiamo che il rosmarino detto zibbir dai Punici. La
ruta nel sardo centro-orientale detta kruma, ed anche questa
voce punica, perch ancora una volta Dioscoride attribuisce ai
Cartaginesi la voce ui dallidentico significato; , da ultimo,
ancora lo Pseudo Apuleio a darci la spiegazione delloscuro nome
dellequiseto palustre sntsiri / sintsurru, ossia il punico zunzur,
98
Linterpolatore di Dioscoride usa regolarmente Africani per Cartaginesi.
Letimologia come processo di indagine culturale 139
nome del poligono aviculare, una pianta che pu esser scambiata
con lequiseto.
E purtuttavia, come si detto, attribuzioni di questo tipo non
sono frequenti. Le voci di sostrato ci sono note in quanto sono
state assunte dalla lingua che si imposta e che ci nota: parole
del sostrato cretese minoico sono passate nel greco e parole
cartaginesi (o galliche, o etrusche, alpine o altro) sono passate
nel latino; la loro successiva fortuna e diffusione sono dunque
parte della storia linguistica e culturale della lingua che le ha
recepite. La categoria etnica loro soggiacente non meno vera,
ma la parola latina ha avuto, nel prosieguo del tempo, la sua
storia. Lesemplificazione di questo dato di fatto sarebbe sin troppo
facile, per cui mi limito a ricordare il nome dellontano, verna,
concordemente ritenuto di origine celtica: esso documentato
nellarea italiana nord-occidentale, mentre altrove prevalente il
tipo alnus (e derivati). Nel Medioevo per, stando ai dati della
toponomastica, era diffuso pi ampiamente ed oggi fatto cu-
rioso sopravvive nellIstria meridionale (Gallesano verna). Sa-
rebbe palesemente assurdo voler attribuire la diffusione antica
(quanto meno quella istriana) del tipo alla presenza di Celti cisalpini:
la voce, infatti, non pu che esser stata diffusa dal latino regio-
nale dellItalia settentrionale.
La voce di sostrato giunge a nostra conoscenza tramite la
lingua veicolare che lha recepita dunque per noi essa cicatrice
di distribuzioni linguistiche pi antiche. Dobbiamo presumere
che essa abbia seguito la normale trafila di ogni prestito ch,
allorigine, essa altro non era se non un prestito , che sia stata
motivata da situazioni sociali e culturali specifiche, che linguisti-
camente sia stata grammaticalizzata, ossia adattata foneticamen-
te e morfologicamente al sistema della lingua ricevente, che spesso
abbia subito mutamenti semantici pi o meno rilevanti. Insom-
ma, la voce in questione unapprossimazione, non una copia
delloriginale. Se, infatti, un elemento lessicale trova il suo posto
in unarchitettura culturale data, chiaro che larchitettura origi-
Franco Crevatin 140
nale del prestito di sostrato va di norma perduta o comunque
pi o meno ampiamente riformulata. In conclusione, il lessema ci
informa su situazioni storiche perlopi di seconda istanza, pro-
prie cio della lingua darrivo.
Comunque sia, di estrema importanza poter accertare larea
di distribuzione (sopravvisssuta, daccordo, e verosimilmente ben
diversa da quella originale) di un tipo etimologicamente di sostrato:
rivediamo tramite essa le reti di comunicazione preferenziale,
siano esse il latino locale, poniamo, quello regionale od interregionale,
e possiamo tentar di capire la ratio che ha determinato lassun-
zione del prestito o la sopravvivenza di usi lessicali precedenti al
processo di latinizzazione.
Ovviamente qui partiamo dallassunto che una parola sia sta-
ta riconosciuta con ragionevole certezza come appartenente al
sostrato. Tuttavia molto delicato decidere cosa sia ragionevole
e cosa non lo sia, e c il rischio, come si spesso detto, di co-
prire semplicemente la nostra ignoranza con la pudica e falsifi-
cante etichetta di SOSTRATO.
Partiamo scegliendo come mbito linguistico quello neolatino,
in quanto ricco e ben documentato da documentazioni moder-
ne. Nel tipo dialettale della zona x sono documentati termini che
non possibile spiegare tramite il latino: ad esempio, nellIstria
meridionale sono attestati i tipi *ARNO anfratto tra le rocce e
*KARMA buca rocciosa che non sono latini; non solo: la loro
forma attuale (rovignese arno, carma) presuppongono quella e
nessunaltra forma originale. Ne consegue che lipotesi pi econo-
mica, accertato che non si tratta n di slavismo n di germanismo,
far risalire etimologicamente le voci al sostrato
99
. Lipotesi
corretta, ma in moltissimi altri casi il problema molto pi complesso.
NellItalia settentrionale (soprattutto in Lombardia e Ticino)
attestata una base *BORD(A) i cui significati variano da quello di
strega a maschera, nebbia, suono basso (v. LEI s.v.): possibile
99
Tralascio qui di indagare lipotesi se il tipo karma non sia in qualche modo una
voce di origine indoeuropea, < *ker- tagliare, incidere con suffisso in nasale.
Letimologia come processo di indagine culturale 141
recuperare una certa coerenza semantica (e pare proprio che il
senso di mascher(atur)a sia quello che consente di dare unit
semantica ai derivati), ma nulla ci autorizza ad attribuire la pa-
rola al sostrato, semplicemente non sappiamo quale mai sia lori-
gine della parola. Si rischia sempre di procedere, come diceva
Virgilio, per incertam lunam sub luce maligna. Ad esempio la ca-
valletta ha nomi che nel Ticino rinvengono ad un *SALIPPU, in
Lombardia a *SALIUTTULA ed a *SALIUCCU nel ladino dolomitico,
tutte formazioni sconcertanti, ma non al punto da far trascurare
lipotesi che la base soggiacente altro non sia se non il latino
salre nel senso di saltare
100
. Il tipo lessicale kadolka / gadolka
bevanda, diffusa in zona ticinese, a base di acqua e latte stato
spesso ritenuto preromano,la spiegazione pi economica rite-
nerlo un composto, alquanto recente, di acqua ([a]ga) + dolca
dolce (< lat. dulcre addolcire), ossia un acqua dal gusto
dolciastro. Anche i nostri insuccessi etimologici congiurano dunque
per creare ulteriori miraggi.
Il riconoscimento di una voce di sostrato implica lestraneit
della stessa alletimologia interna ed esterna (una parola non
spiegabile n allinterno del latino, poniamo, n nella logica
indoeuropeistica allinterno della quale il latino viene classifi-
cato come tale
101
); pu implicare altres una forma della parola,
una tipologia, che mal si adatta a quella canonica nota nella lin-
gua di superficie. Talora possono essere i suffissi formativi a suggerirci
un etimo di sostrato: labbiamo visto per -)- greco e potremmo
spesso ammetterlo per formazioni in -p- o -r- neolatine.
Comunque sia, non possibile stabilire criteri che valgano
sempre e comunque per definire a priori cosa debba e possa es-
sere una voce etimologicamente di sostrato, criteri che superino
100
Semmai si potrebbe chiederci se almeno nel caso del suffisso -ippu- non si sia
davanti ad una sopravvivenza morfologica di lingue del sostrato.
101
In questo senso possiamo parlare di voci di sostrato ad esempio italico o
celtico o altro ancora, indoeuropeo s ma non latino.
Franco Crevatin 142
l: v:.. i del quotidiano o del caso legato alla singola lingua.
Forse, per paradossale che possa sembrare poich in effetti esso
crea altrettanti problemi di quanti non contribuisca a risolvere
un elemento indicativo la ricomparsa (e dunque la comparabilit)
della voce in zone diverse e contigue
102
. Affronteremo questo
problema partendo da qualche esempio.
Le carte AIS 7, 1482 e 1484 ci forniscono la distribuzione dei
vari tipi lessicali italiani per i concetti di vaglio da grano e di
setaccio, attrezzi agricoli importanti e tecnologicamente molto
poveri. Il vaglio, in unarea che va dalla Galloromania al lombar-
do alpino, grigionese, ladino centrale, trentino e friulano, ha un
nome che presuppone *DRAGIU / *DRAGIA, per il quale stata sup-
posta, per ragioni areali, unorigine celtica. Il nome del setaccio,
invece, in area galloromanza, veneta, trentina, ladino dolomitica,
istriana ed in buona parte del Friuli, risale al tipo *TAMSIU, ed
anche per esso si supposta, con verosimiglianza, unorigine celtica.
Sicuramente i tipi sono dunque preromani, ma la storia com-
plessa: sicuramente una parte della loro fortuna va ascritta ai
rapporti tra Cisalpina e Galloromnia, in un continuum cronolo-
gico che si scala dalla tarda antichit al basso medioevo.
Di diffusione molto pi ristretta il tipo *TAMA RO recinto per
animali, presente in area alpina centrale ed orientale, probabil-
mente in origine qualsiasi costruzione provvisoria fatta con rami
o pali (cfr. friulano tmar stabbio, gardenese tambra capanna
di montagna). La base potrebbe essere affine a *TAMUSKJA (-O - ?),
anchessa di diffusione alpina centro orientale e dal significato di
capanna, tettoia, fienile (friulano tamosse fienile di montagna).
Ma come saldare queste basi al ricostruito *KAMO KJO (-SK- ?), esso
pure parola che indica una costruzione di pali in montagna e con
102
Ci che qui volutamente tralascio la possibilit di connettere basi (di sostrato)
ricostruite, con un senso generico altrettanto ricostruito, a toponimi (che per definizione
hanno perso qualsiasi trasparenza semantica): questa una prassi, perigliosissima,
che stata spesso seguita. Non si tratta di dichiarare linaffidabilit assoluta
delle connessioni proposte, e parecchie potranno pure corrispondere al vero
etimologico, ma quale strumento, che non sia la fede, ci consente di falsificare
lipotesi emessa?
Letimologia come processo di indagine culturale 143
la stessa distribuzione areale? E come rapportare il tutto a quel
*KAM- / *GAM-, voce lombarda alpina e dolomitica che sembra
indicare la capanna (camanna), che pure arieggia il tipo italiano
capanna, attestato per la prima volta da Isidoro di Siviglia?
I due esempi ci insegnano pi cose: innanzi tutto il ricompa-
rire del tipo su distanze notevoli mostra che effettivamente la
ricostruzione di un tipo lessicale operazione legittima, poich
da una singola attestazione poco si pu dedurre; dalla certezza
di legittimit ricaviamo la necessaria certezza di un origine non
latina. Inoltre il fatto che *TAMSIU sia noto anche in area francese
conforta lidea che si tratti di un celtismo. Di pi, poco possiamo
dire: erano i due diversi tipi lessicali per indicare lo staccio tipi
concorrenti oppure si riferivano a realt ergologiche diverse (per
funzione o materia struttiva)? Non lo sappiamo. In particolare il
secondo esempio ci mostra in quali labirinti di ipotesi possa condurci
il tentativo di esegesi. Ma anche se restassimo aderenti allinfor-
mazione minimale, ossia lesistenza del tipo alpino *TAMA RO do-
vremmo forse concludere che in epoca preromana la zona com-
presa tra le Alpi centrali e quelle orientali era linguisticamente
unitaria? difficile ammetterlo, per cui parrebbe prudente con-
cludere che gi in epoca preromana il tipo era una voce di cul-
tura, legato ad una specifica cultura materiale ma slegato da un
presupposto etnico.
Altri due esempi ci portano a considerazioni in parte diverse.
Le designazioni del mirtillo dal Ticino alla Carnia sono dei
derivati da un *GLASTO (*glasna
103
, *glast(i)ne), voce celtica attestata
anche da Plinio (N.H. 22, 2) e designazione del guado, pianta che
serviva come colorante e che dava un colore blu scuro. La certez-
za di trovarsi di fronte ad un celtismo sostanziata anche da
fatti fonetici: celtico infatti il passaggio -st- > -ts-.
Altrettanto sicuro il caso del tipo benna, che Paolo Diacono
definisce parola gallica per indicare un tipo di veicolo: la parola
attestata dalla Spagna allItalia settentrionale. Probabilmente si
103
Con passaggio fonetico sicuramente celtico -st- > ts- > -(s)s-.
Franco Crevatin 144
trattava di un carro con cestone di vimini intrecciati, dato che i
derivati italiani mostrano spesso il senso di cesto, civea.
La certezza etimologica non va disgiunta dalla consapevolez-
za che il tipo *GLASTO, proprio perch legato ad una tecnica tin-
toria, originariamente parola di cultura; alla fin fine lo stesso
mirtillo pu esserlo, come ci mostra il fatto che il tipo gisena
mirtillo attestato nel dialetto di Capodistria (Istria settentrio-
nale), dove i mirtilli non esistono per cui siamo di fronte ad un
prestito, anche se non recentissimo, dallarea dialettale veneta.
Nel caso di benna evidente che abbiamo a che fare con una voce
propria del latino parlato: lunico problema semmai sarebbe quello,
filologico, di capire come Paolo Diacono sapesse che la voce era
di origine celtica, ma problema che qui a noi non interessa.
Dobbiamo dunque esser molto attenti nel valutare larea di
distribuzione di un tipo lessicale etimologicamente di sostrato,
poich esso sempre passato attraverso la lingua dominante. Questo
fatto pu ingenerare situazioni equivoche. In alcuni dei casi so-
pra citati, pur essendo probabile che i tipi citati siano stati parte
anche del latino cisalpino, sarebbe pericoloso ignorare le strette
connessioni intercorrenti tra Galloromnia ed Italia settentrionale,
connessioni che si sono create gi nel IV sec. d.C., quando lan-
damento del sistema viario romano assunse sempre pi un anda-
mento latitudinale rispetto a quello precedente e basato sulla
centralit di Roma. I rapporti si sono continuati, sempre molto
intensi, nellalto Medioevo e talora sino alla fine del Medioevo
stesso. Partiamo dunque da una situazione di latino interregionale
prima, internazionale poi (la Gallia tardo antica ed alto medieva-
le era un formidabile centro irradiatore) per giungere a situa-
zioni di interferenza decisamente neolatina. Insomma, letimo di
sostrato non ci garantisce mai che la distribuzione della voce sia
esclusivamente antica.
Per incertam lunam sub luce maligna, come sopra si diceva, una
luce spettrale che talvolta ci fa dar corpo alle ombre e talaltra con-
fonde ai nostri occhi anche ci che in piena luce sarebbe semplice.
Letimologia come processo di indagine culturale 145
Potremmo facilmente continuare, con casi pi o meno eviden-
ti, pi o meno problematici, pi o meno diffusi
104
. In genere i tipi
lessicali di sostrato si incontrano nel mondo neolatino (ed il fatto
resta vero anche in generale) nelle tassonomie vegetali ed anima-
li a livello del taxon specifico o varietale oppure nellidentificazione
di aspetti dellambiente fisico: potremmo sussumere questa
fenomenologia allinterno del particolarismo locale, le cui etichettature
linguistiche non sempre hanno equivalenti ovvii in lingue diver-
se. Lo stesso vale, in definitiva, anche per nomi di oggetti legati
a tecniche o strutture economiche specifiche. C da stupirsi se in
mbito alpino i nomi della slitta *LEUDIA, *SKLODIA, *SLE(N)ZULA
sono quasi sempre di origine preromana?
Tuttavia, sarebbe riduttivo e spesso errato guardare al proble-
ma generale in termini di salienza del singolo elemento x un
elemento importante o caratterizzante, che attira la mia attenzio-
ne perch non lo conosco o migliore di quello a me gi noto: la
salienza riguarda un insieme culturale coerente entro il quale si
collocano i singoli elementi. Leconomia di montagna, per restare
nel tema del sostrato alpino, era un quadro di riferimento in
buona parte estraneo al mondo romano ed entrare in quel mondo
di rapporti implicava conoscerne e continuarne i singoli insiemi:
le piante utili o pericolose, la lavorazione del latte ed attrezzi
connessi, la lavorazione del legno e quanto altro. Tuttavia non si
trattava di un accettare o respingere in toto, cos come non si
trattava, ovviamente, di sostituire un certo numero di etichettature
della lingua x con quelle della lingua y, bens di una delicata
operazione culturale: via il bilinguismo, linterazione port in primo
piano tali insiemi salienti e contemporaneamente port a sele-
zionare quegli elementi che nella rete (inter)regionale di comunica-
zione erano indispensabili per ragioni di volta in volta economi-
che (lo scambio mercantile), ergologiche (attrezzi e tecniche), culturali
104
Di enorme estensione ad esempio il tipo *BALMA (riparo sotto) roccia, che
va dalla Spagna allItalia alpina, e del quale pressoch impossibile precisare il
centro dorigine.
Franco Crevatin 146
e di adattamento ambientale. opportuno insistere su tali reti
non solo perch sappiamo che questo concretamente avvenne quando
il dominio romano si stabilizz definitivamente nella Cisalpina,
ma anche perch diviene allora evidente che prima del latino
erano altre le lingue veicolari (non di necessit legate alletnicit,
si badi) che avevano tenuto il campo, qualche lingua celtica, in
alcune zone il venetico, e prima ancora altre lingue, diverse re-
gione per regione (potremmo dire letrusco, il ligure, se sapes-
simo dar corpo a tale designazione, e cos via). Adesso, per cos
dire, possiamo farci unidea leggermente pi realistica dei pro-
cessi avvenuti: il latino regionale diffuse voci di sostrato cos
come prima di esso avevano fatto altre lingue veicolari il gallico,
poniamo, diffuse celtismi assieme a voci pre-celtiche e cos via.
La straziante complessit della situazione che oggi constatiamo
deriva proprio da questa sovrapposizione continua ed a questo
punto evidente la riduttivit di qualsiasi discorso sul sostrato
meramente in termini di categorie etniche.
Ci resta un ultimo tema da affrontare brevemente, quello del-
la rete di reti. La terminologia potr parere bizzarra e tuttavia
non inopportuna: in sostanza il problema di base quello dei
prestiti a distanza. abbastanza comune che in una lingua si
grammaticalizzino prestiti provenienti come origine ultima da
lingue non a contatto: ci avviene tramite il contatto, determina-
to da ragioni commerciali, politiche o altro, di una serie di sin-
gole reti locali di comunicazione. Un esempio molto opportuno
ci offerto dallo slavo comune *kniga libro (russo kniga ecc.).
La voce nasce in Cina, juan libro, rotolo, e da l passa alle
lingue proto-turche: ben vero che allinizio dellVIII sec. d.C. le
genti Turche dellOrkhon avevano una propria scrittura (di ori-
gine ultima aramaica, fattualmente una forma di sogdiano non
corsivo e loro trasmessa da genti iraniche settentrionali) ed era-
no in contatto con parecchie tradizioni alfabetizzate
105
, ma era la
105
E basti pensare alle missioni manichee e nestoriane in Asia centrale.
Letimologia come processo di indagine culturale 147
Cina a costituire il vero e proprio impero dello scritto. La parola
per rotolo librario si diffuse cos con una certa rapidit, passan-
do anche a genti uraliche (ad es. mordvino koov carta) ed
arrivando alle soglie delle steppe pontiche nella lingua dei Bulgari
(turchi), dove aveva la forma *kjnig). Limportante formazione
statuale Bulgara port la parola sia nel Caucaso (dove attestata,
tra laltro, nellosseto kinuga e sim.), sia nella lingua dei Magiari
(cfr. ungherese moderno knyv) sia nel cuore del territorio slavo
antico. Passo passo, dunque possibile ricostruire un percorso
che a tutta prima pare sterminato. Ma abbiamo davvero bisogno
di dimostrare che la via delle steppe collegava Asia centro-orien-
tale ed Europa? Naturalmente essa non era ununica rete di comunica-
zione, non cera una lingua comune che consentisse lo scambio,
ma lingue che sono state diverse nei diversi periodi storici: la via
era in sostanza la congiunzione di una serie ininterrotta di reti
locali ed interregionali. Solo in questo modo possiamo compren-
dere come una popolazione centro-asiatica
106
come gli Unni sia
potuta affacciarsi temibilmente in Europa centrale. Non basta infatti
dire che gli Unni erano nomadi, essi non si spostavano casual-
mente, visto che non avevano cavalli resistenti
107
, in parte perch
di razza diversa da quella europea in parte perch nutriti sempli-
cemente al pascolo, bens si muovevano su percorsi dei quali,
pur non avendoli praticati, conoscevano lesistenza. Su vie di
questo genere si muovevano uomini, beni, idee e parole
108
. Reti
di reti di questo tipo sono ben note (le rotte monsoniche tra
106
Non sappiamo a quale ceppo linguistico apparteneva la loro lingua, ma, per
il poco che possiamo vedere, molti loro usi trovavano riscontri precisi in mbito
altaico: per tutti ricordo i riti funebri in onore di Attila, la corsa sfrenata sino allo
sfinimento dei cavalieri attorno alla tenda funebre che coincide coi riti funebri
turchi e mongoli.
107
La norma mongola voleva che un cavallo da guerra non poteva essere utiliz-
zato per pi di tre giorni.
108
Larte delle steppe collega lEuropa germanica e celtica alla periferia del-
lAsia orientale (larte Xiong-nu uno degli ultimi anelli); su tale via si spostato
il manicheismo, il nestorianesimo e poi lIslam; una parte importante dal punto
di vista linguistico lhanno avuta le genti iraniche, prima gli Sciti e poi i Sogdiani,
ed in seguito (ed in parte contemporaneamente) le genti turche; ecc.
Franco Crevatin 148
Africa Orientale ed India, inclusive degli scali arabi e persiani; i
rapporti Mesopotamia - India gi nellet del bronzo; i legami
Vicino Oriente - Anatolia - Egeo, sia per via di terra che per mare
[Cipro], e Vicino Oriente - Caucaso meridionale; ecc.) e di esse
gli studiosi hanno trovato tracce linguistiche. Perch citarle nel
contesto del problema del sostrato? Ebbene, perch sono state
avanzate due tesi la tesi cosiddetta indomediterranea e quella
del sostrato iberico-africano che forse meglio si capiscono pro-
prio a partire dalla rete di reti.
La tesi indomediterranea sostiene che, anteriormente allarri-
vo delle genti indoeuropee e semitiche, lo spazio geografico tra
Mediterraneo ed India era intercomunicante, pur nelle differenze
di lingue e culture presenti: le interconnessioni sarebbero visibili
sia a livello di parole itineranti (Wanderwrter) sia sul piano cul-
turale, tutti fatti che noi a posteriori percepiamo come elementi di
sostrato. La tesi affascinante e da un punto di vista generale
credibile, nonostante le argomentazioni linguistiche e culturali
addotte non siano sempre di sicura evidenza. Non si pu infatti
dubitare che larea in questione sia stata largamente attraversata
da reti di comunicazione, e di ci sopravvivono cicatrici lingui-
stiche. Ad esempio la parola sanscrita ngam piombo, stagno
(attestata dallepoca classica) appartiene al medesimo circuito nel
quale compaiono voci semitiche (accadico anku, arabo nuk, etiopico
nik), larmeno anag e probabilmente gi il sumerico nagga. Un
altro caso, di sovente citato, quello della parola che vale (tipo
di) scimmia: nel mondo semitico si pu ricostruire una forma
*qp (cfr. ebraico qf), non senza aspetti foneticamente aberranti
(accadico uqpu) passata in ambiente egeo (greco - 3,, dorico
-i 3,) e probabilmente in armeno (kapik). Evidentemente con-
nessa la voce indiana kap. Nellegiziano antico la forma gyf e
sim. (copto sah. qapi) pare indipendente
109
. In questo, come nel
109
Pi distante, e comunque di pertinenza incerta, mi pare il berbero marocchino
aba\us. Tralascio qui le connessioni proposte con voci celtiche, germaniche (ad es.
tedesco Affe) e slave e che comunque indizierebbero, nella migliore delle ipotesi,
un /ap-.
Letimologia come processo di indagine culturale 149
caso precedente, siamo evidentemente di fronte a prestiti di ne-
cessit, dei quali non sappiamo precisare n la cronologia n il
centro di irradiazione, e che tuttavia illustrano bene quanto ampia
potesse essere lestensione della rete di reti.
Il problema del sostrato iberico-africano forse di altra natu-
ra. Lo riduco qui allessenziale: alcune proposte etimologiche paiono
connettere Africa settentrionale Iberia e Sardegna in un circuito
coerente. Ancora una volta, noi percepiamo come fatto di sostrato
quelli che possono essere stati fenomeni di prestito legati a
spostamenti di gruppi umani. Sia come sia, gli studiosi hanno
pi volte attirato lattenzione sulla possibilit di spiegare fatti
linguistici e culturali preromani della Sardegna con la docu-
mentazione berbera. Pausania (10, 17) riferisce inoltre che il pri-
mo colonizzatore della Sardegna era stato un certo Sardo alla
guida di genti libiche (informazione ripresa da Isid. Or. 14, 6, 39)
e connessioni con la Libia mostrano anche pretesi colonizzatori
greci (ad es. Diod. Syc. 4, 82). Norax invece, altro colonizzatore
mitico, sarebbe giunto in Sardegna con degli Iberici (Paus. 10,
17). Gli indizi sembrano davvero convergenti, anche se in se stes-
si nulla ci dicono di diretto sulla cronologia di tali rapporti. Se
prescindiamo dalle notizie che collegano paretimologicamente il
nome degli Ilienses, gente sarda dellinterno dellisola, con il nome
di Ilio (= Troia) e dunque collegano una parte del popolamento
alle vicende seguite a tale conflitto, potremmo pensare che di
massima si tratti di informazioni, vaghe ma non infondate, che i
Greci avevano raccolto in loco allepoca dei loro primi tentativi di
colonizzazione della Sardegna, tentativi bloccati dalla presenza
Cartaginese. Abbiamo tuttavia il diritto di porci unaltra domanda,
ossia se sia lecito staccare tali notizie proprio dalle informazioni
queste s, sicure che riguardano unaltra popolazione della
Sardegna, i Balari (sui quali v. Paus. 10, 17): essi erano, secondo
la tradizione, disertori dellesercito cartaginese che si sarebbero
insediati parte in Corsica e parte, appunto, in Sardegna. diffi-
cile staccare il nome dei Balari da quello delle Baleari, isole la cui
popolazione era stata di sovente reclutata dai Cartaginesi per
Franco Crevatin 150
formare truppe ausiliarie: nelle Baleari i Cartaginesi avevano
importanti basi
110
ed almeno in parte vi si erano insediati, come
prova, tra gli altri, il nome di localit Mago (a Minorca?) e che
rinviene al fenicio-punico maqm insediamento. Insomma, la
presenza cartaginese in Sardegna pu esser ritenuta responsabile
non solo delle presenze linguistiche iberiche, ma anche di quelle
libiche, ossia berbere, perch, com noto, Cartagine si serv quasi
esclusivamente di truppe libiche come alleati o mercenari per il
proprio esercito.
Forse di tutto ci ci rimasto un indizio significativo. Il nome
dialettale sardo dello sparto, graminacea dal fusto molto resi-
stente utilizzata per intrecciare canestri o funi, inna nel nuorese,
tinna nel logudorese e tsinnga nel campidanese: letimo quasi
certamente il berbero tsennt dallo stesso significato. Plinio (N.H.
19, 26) ci d tuttavia una notizia essenziale: lo sparto africano era
pianta piccola e di quasi nessuna utilit, mentre era molto ap-
prezzata dai Cartaginesi la variet che essi importarono ed ac-
climatarono nella regione di Cartagena, una variet che consen-
tiva di preparare corde e gomene che resistevano anche allacqua
marina. Luso dello sparto precisa Plinio non era anteriore
alle prime conquiste cartaginesi in Spagna e da ci dobbiamo
concludere che anche la voce sarda non risale ad una remota ed
imprecisa antichit, ma stata importata allepoca delloccupa-
zione di parte della regione da parte dei Cartaginesi.
Insomma, il circuito iberico - berbero - sardo preromano po-
trebbe non essere altro che un fatto legato allespansione militare
e commerciale dei Cartaginesi. E questo non significa sottovalu-
tare il ruolo fortemente dinamico avuto dalle genti Berbere anche
anteriormente alla presenza di Cartagine: se esse hanno avuto la
capacit di varcare un notevole tratto di mare e di occupare le
Canarie (il cui sostrato, il cosiddetto guancio, appunto berbero),
nulla vieta di pensare che abbiano attraversato anticamente lo
stretto di Gibilterra. In definitiva la Spagna meridionale presen-
110
molto probabile che le basi fossero gi fenicie.
Letimologia come processo di indagine culturale 151
tava, quanto meno dalla fine del II millennio a.C. molte ragioni
di interesse: ci stavano arrivando i Fenici e le miniere dargento
della zona tartessia dovevano gi essere attive.
Franco Crevatin 152
Letimologia come processo di indagine culturale 153
STORIE DI FRONTIERA
Abbiamo pi volte parlato in questo libro di prestiti, soste-
nendo che di norma essi ci informano su situazioni di natura
culturale: cicatrici di rapporti storici occasionali o segno di mode
che essi siano, prestiti sono presenti in ogni lingua ed in ogni suo
stile. noto il convincimento religioso dei musulmani riguardo
al Corano: esso coeterno e coesistente con Dio stesso
111
ed
stato rivelato sotto dettatura al Profeta: e tuttavia anche nellara-
bo del Corano ci sono prestiti, sia dal greco che dal latino: sir
strada (principale), presente addirittura nella Fatiha, viene dal
latino strta e qar (s. 22, 45) da castrum accampamento fortifica-
to; qalam strumento per scrivere viene dal greco -i `i,.
Nonostante la natura culturale del prestito sia in se stessa ov-
via, non sempre essa immediatamente leggibile e talora per ca-
pirla necessario servirsi di un quadro di riferimento semantico
ben pi ampio della singola parola, come qui ci insegna un caso
che a prima vista sembra sconcertante. Come noto, il movimento
vichingo invest largamente, tramite il sistema fluviale, la Russia
europea. I Variaghi costituirono con la forza delle armi una com-
plessa rete politica e sociale: Novgorod era, tra le altre, una loro
citt, da dove le genti nordiche tessevano i loro rapporti con Bi-
sanzio (Variaga fu per un certo periodo la guardia palatina del-
limperatore romano dOriente, i cosiddetti 3i i.), con le re-
gioni islamiche del Vicino Oriente e con i potenti regni Bulgari e
Kazaki delle steppe. Memori dellinvocazione medievale A furore
Normannorum libera nos Domine!, non ci stupiamo del significato
guerriero, persona forte e disciplinata dellucraino varjag, ma ci
imbarazzano i significati del russo dialettale varjag straccione
vagabondo, cestaio, merciaio ambulante, che ci sembrano inde-
gni dellonore del capo variago Rjurik e di quella memoria guer-
riera storica che arriva al Canto della schiera di Igor
112
. Eppure esiste
una buona ragione per questo stato di cose: il movimento vichingo
111
Per questo motivo il Corano (latter.: la Lettura) inimitabile e perfetto (ijz).
112
Mi riferisco al color rosso dello scudo dei guerrieri di Igor.
Franco Crevatin 154
fu s un terribile momento militare, ma fu altrettanto una impor-
tantissima rete mercantile di commerci. I Vichinghi erano dei grandi
commercianti, in perenne movimento, che spostavano merci di ogni
tipo e provenienza da un capo allaltro delle loro reti mercantili
113
.
Certo, nei derivati dialettali russi siamo alla miserevole caricatura
del commercio vichingo, ma, come si vede, il nocciolo dellidea
originaria (il commercio itinerante) rimasto inalterato.
Sarebbe facile proporre una classificazione generale dei pre-
stiti, distinguendo tra quelli di necessit (nomi per referenti sco-
nosciuti o di qualit decisamente superiore a quelli gi noti) e
quelli che vengono accolti in sostituzione di unetichetta lingui-
stica gi esistente, e dunque determinati dalla pressione di un
modello linguistico e culturale dominante; tra prestiti dovuti ad
effettivo contatto e Wanderwrter, parole migratorie che passano
di lingua in lingua; tra prestiti sistematici, ossia inseriti in un
interscambio pi o meno regolare, e prestiti occasionali. Il fatto
fondamentale, per, resta il processo socio-culturale del prestito,
dalla recezione alla condivisione: gruppi sociali sono entrati in
contatto, con bisogni comunicativi comuni e spesso con identica
comunanza di interessi. Chi erano socialmente tali gruppi, che
cosa li muoveva, quali modelli portarono alla diffusione delle
nuove parole? Guardiamo ad alcuni casi concreti.
Il Canto della schiera di Igor, un poema russo antico verosimil-
mente del XIV secolo, celebra la sfortunata e, tutto sommato,
sciocca impresa bellica di Igor Svjatoslajevi contro i Polovesiani:
il precipitoso Igor venne infatti battuto e catturato. Lanonimo poeta
che ha redatto il testo si ripropone di cantare il soggetto con nuo-
vo spirito, non secondo quella che era la prassi antica del mitico
veggente-poeta (veij) Bojan, il figlio del dio Veles
114
, il quale
113
Una schiera di Vichinghi tent di saltare la mediazione commerciale kazaka con
lAsia centrale, spingendosi nel mare delle steppe, dal quale non fece pi ritorno.
114
Divinit slava antica chiamata anche Xrs e Da(d)bog.
Letimologia come processo di indagine culturale 155
3. ()
se per qualcuno componeva un canto
allor fatto pensiero
trabordava il bosco
lupo grigio in terra
aquila cinerea
sotto le nubi.
4. Se gli accadeva
disse
di rievocar le lotte
dei tempi andati
dieci falchi
scioglieva
sul branco dei cigni:
chi per primo ghermiva
quello per primo cantava
115
.
(traduzione E. Saronne)
Il testo difficile ed ambiguo. Drvo vale sia albero che
bosco ed il verbo che lo regge pu essere interpretato come
estendersi; altrettanto ambiguo quanto qui reso con fatto
pensiero: il confronto con la successiva strofe 14 pare mostrare
che corretto intendere con il pensiero. Ci rende possibili
traduzioni ed interpretazioni diverse; ma a quale specificit,
evidentemente arcaica, allude lignoto poeta russo?
Bojan non un nome proprio slavo, bens altaico, documenta-
to anche come nome avaro
116
: un tipo culturale altaico dunque
diventato, pur integrato nella Slavia tramite la discendenza da
Veles, il prototipo divino del produttore russo antico di poesia
orale. Bojan palesemente uno sciamano, come mostra ine-
quivocamente ci che gli viene ascritto, ossia linerpicarsi sul-
lAlbero (cosmico) e la capacit, propria anche dei suoi confratelli
altaici, di far entrare la sua anima nel corpo di un animale
115
immagine figurata: il poeta poneva le dieci dita sulle corde armoniose della
gusla, lo strumento ad arco con il quale accompagnava il proprio canto.
116
Cfr. mongolo bayan ricco.
Franco Crevatin 156
perch cos che il testo interpretabile con massima economia
ermeneutica. Ne consegue allora che i Russi sono stati esposti
anticamente alla cultura sciamanica di genti altaiche
117
e ne han-
no recepito modelli e figure; tanto possiamo dire con certezza
ed conseguenza di non poco conto proprio perch il prestito
onomastico ci ha rischiato la strada.
Un nome proprio ci fa da guida anche in un altro caso: il
nome dellantico eroe sumerico Gilgame. Lepopea che lo vede-
va protagonista ebbe unenorme diffusione nel Vicino Oriente
antico: fu letta nelloriginale e tradotta in pressoch tutte le lin-
gue della macro regione. Leroe dalla forza sovrumana, che ave-
va rapporti con gli dei, con mostri ed esseri altrettanto eccezio-
nali, che discese negli Inferi e tent, senza successo, di trovare il
mezzo per assicurarsi la vita eterna, era figura che fondeva in s
lumano ed il meraviglioso. Gilgame sopravvisse nei secoli: lo
ritroviamo nello scrittore greco di mirabilia Cl. Eliano (de nat.
anim. 12, 21) nella figura di un giovane principe di nome |. `i,;
figure collegate al suo ciclo come Utnapitim, il No della Bibbia,
era citato nella forma Atamb nel perduto Libro dei Giganti del
profeta iranico Mani (III sec. d.C.). Ma qui vorremmo attirare
lattenzione sul Libro dei Giganti di Enoch, conservatoci in fram-
menti nei Rotoli esseni del Mar Morto. Sotto il nome di Enoch
sono stati tramandati diversi testi che ebbero larga fortuna nel
mondo ebraico tra il II sec. a.C. ed i primi secoli dellera volgare:
i testi, basati su miti e visioni, affrontavano diverse problemati-
che di ordine spirituale e religioso e non furono considerati ca-
nonici per lopposizione sviluppata contro di essi dalle scuole
teologiche farisaiche. Nel Libro dei Giganti lignoto autore aveva
raccolto pie leggende e tradizioni popolari dellarea siro-palestinese
117
Fermo restando il fatto che anche le culture uraliche sono caratterizzate dallo
sciamanesimo, se dunque proprio altaica linfluenza prima e decisiva sulla cultura
russa antica, possiamo fissare un terminus ante quem non, ossia la met del V sec.
d.C., quando appunto per la prima volta compaiono genti Ogure nelle steppe a
nord del Mar Nero.
Letimologia come processo di indagine culturale 157
relative agli eredi degli angeli precipitati sulla terra e negli inferi
a causa della loro ribellione a Dio, e tra questi figurava anche
Gilgame. C una particolarit: oltre alla forma dotta, fedele alla
grafia originale (G]lgmj 4Q 531 fr. 17, 12), compare una forma
Glgmjs (4Q530 col. 2, 2) che con il suo adeguamento aramaico
s / accadico - ci mostra che il nome delleroe era entrato nel
semitico di nord-ovest molto tempo prima. Antichit di prestito,
dunque, che conviveva con una mai spenta tradizione dotta dellepos.
Abbiamo visto nei due casi sopra riportati come fili apparen-
temente esili ci permettano di ricostruire storia e cultura. Il pros-
simo esempio, il commercio delle spezie, incensi e prodotti loca-
li, tra Mediterraneo greco-romano ed Oriente, ci imbarazza sem-
mai per la ricchezza dei casi etimologici che ci offre.
Il Periplo del Mar Eritreo un manuale per i mercanti greci e
romani che si spingevano con i loro commerci sul mar Rosso,
nellArabia meridionale e, doppiando il Corno dAfrica, viaggia-
vano sino alle coste dellodierna Dar es Salam; oppure, sfruttan-
do le rotte monsoniche, approdavano sulle coste dellIndia occi-
dentale e di l scendevano sino alla punta estrema del subcontinente
per risalire occasionalmente lIndia orientale sino alle foci del
Gange. Una vastit e regolarit di traffici marittimi che danno
davvero la misura mondiale dellimportanza di Roma, unimpor-
tanza ben colta dai coevi imperatori Cinesi.
Lanonimo autore del manuale
118
era un capitano greco dEgit-
to: in un passo (29) egli parla degli alberi che abbiamo in Egit-
to; in un altro (49) usa legizianismo
119
c. . nero dantimonio
(copto sthm, < dem. stm, classico sdm truccarsi di nero gli oc-
chi). Per quanto la marineria greco-egiziana dellepoca avesse
capacit autonome, chiaro che essa aveva appreso molto dai
capitani arabi dellArabia meridionale. Lopera che lAnonimo
118
Purtroppo il testo ci giunto in un unico manoscritto, il cui copista ha avuto
diversi problemi di lettura dal manoscritto in suo possesso, per cui dobbiamo
sempre tener presente la possibilit che le letture siano corrotte.
119
La parola peraltro ben diffusa nel mondo greco e latino.
Franco Crevatin 158
scrisse, grosso modo nella met del I sec. d.C., rivolta a mercanti,
ai quali spiega quali siano i porti, cosa vi si commerci, in quale
contesto politico essi si collochino, quali sono i problemi che si
possono incontrare e precisa, com ovvio, distanze in termini di
misure marittime o giorni di navigazione.
Il Periplo ci porta odore di mare e profumi di incensi e spezie,
alcune delle merci pi ricercate ed apprezzate nei mercati del
Mediterraneo e designate con i nomi che esse avevano nel com-
mercio internazionale. Il nostro capitano ci conserva nomi di luoghi,
di popoli, di regioni, e talora singole parole, mostrando sempre
una grande attenzione. Parlando della regione detta Ai.i3i o,
(lattuale Deccan, dal sanscrito dk@i>patha la regione del sud)
ci dice che nella lingua del posto oi i, vale sud, il che
perfettamente vero (cfr. pracrito dhi>a- idem). Descrivendo la
regione del golfo di Scizia (odierno Sind), detto cos perch a suo
tempo aveva fatto parte del regno dei Saka, genti scitiche di cep-
po Iranico, egli cita non solo lIndo in forma fonetica indiana
(Sinthos; la forma greca usuale deriva da fonti linguistiche iraniche),
ma anche serpenti marini detti i i., una parola che corrisponde
ad un derivato medio indiano del sanscrito grh- nel senso, docu-
mentato, di animale marino pericoloso che afferra e divora gli
uomini.
In un solo caso peraltro molto importante il capitano ci
d uninformazione di carattere religioso: il capo estremo dellIn-
dia lodierno Capo Comorin detto |i o |i:. : ivi
esisteva egli ci dice un importante tempio, dove molti face-
vano sacre abluzioni e si dedicavano alla vita ascetica. Tempio ed
usanza continuano a tuttoggi in onore di Durga, la divinit fem-
minile definita kumr la fanciulla e proprio da questo epiteto
deriva il nome geografico.
Il capitano ci ha tramandato molte parole che egli stesso co-
nosceva e che dovevano essere usuali negli scali e negli empori
da lui frequentati. Alcune, che forse per carenza di documenta-
zione ci paiono attestate per la prima volta, avrebbero avuto grande
fortuna nei secoli a venire: il caso di `i --, lacca (v. anche
Letimologia come processo di indagine culturale 159
P. Lond. 2, 191, 10; II sec. d. C.), dal pracrito lakkha (< sanscrito
lk@), e di ci -i. zucchero di canna (< medio indiano sakkhar
< sanscrito s rkar). Non facile recuperare letimo di tutte le
voci citate, poich, soprattutto nellmbito delle spezie e dei profumi,
molte parole si riferivano a variet locali ed altre avevano nomi
che, appunto perch legati al commercio, erano ormai largamen-
te di uso internazionale (cfr. ad es. Dioscor. mat. med. 1, 14).
probabile che in futuro saremo in grado di capire ancor meglio
il valore documentario del Periplo, ma sin dora possiamo consta-
tare lesattezza di molte informazioni. Al mondo sud arabico ci
rinviano ad esempio nomi come -i -i, nome di pianta aro-
matica, nota anche a Dioscoride ed a Plinio ed originaria del-
lArabia meridionale, il cui essudato resinoso veniva esportato:
prestito da un dialetto arabo, cfr. kamkam lentisco (Dozy); come
-u tipo di incenso, cfr. yemenita mu\urt, Jibb. m\irot, Mehri
m\rt; usi ergologici come la costruzione di barche il cui fascia-
me fissato da fibre di palma (le barche cucite dellOman, dhow).
Davvero ricca la documentazione linguistica sullIndia. Tra
i tanti termini ricordo v: , nome delle foglie del cinnamomo,
evidentemente il derivato dialettale medio indiano (*pattra-) del
sanscrito patram, foglia, da una parlata che non ha condiviso
levoluzione comune tr- > -tt-. Il nome ricompare nella designa-
zione del cinnamomo, i`i 3i), da tamala-patram con discrimina-
zione della sillaba iniziale perch confusa con larticolo neutro
del greco. -`io.)i nome di unimbarcazione di grandi
dimensioni usata per il commercio marittimo tra le coste dellIn-
dia sudorientale ed il delta del Gange. certamente un compo-
sto con il medio indiano pta- imbarcazione, ma la prima parte
di interpretazione incerta: forse si tratta di un derivato dalla
radice indiana *kla- curvo, ossia *k

l>6 a- o sim., forma


dialettalmente nota, dunque una nave ricurva in opposizione
alle imbarcazioni piatte adatte ai bassi fondali. Nel testo del Periplo
si incontrano altri nomi medio indiani di imbarcazioni, ossia --
u 3i = pracr. ko66imba, i vvii = pracr. tappaka < *tarpa- zattera,
cii i = pli (-)sagh6a- tipo di canoa. Potremmo continua-
Franco Crevatin 160
re con i nomi di alcuni pregiati legni orientali, ma nel Periplo, ov-
viamente, non troviamo tutto quello che vorremmo o ci aspetterem-
mo: non il legno profumato di sandalo
120
, attestatoci da Cosma
Indicopleuste (11, 15) nella forma ioi i, da sanscr. candana", non
la noce di cocco
121
, il cui nome ci conservato dallo stesso Cosma (11,
11 i : ``., < medio indiano nrgl da sanscr. narikela-). interes-
sante notare che il legno usato nelle imbarcazioni dellOman il
legno di palma da cocco importato, evidentemente sin da epoche
molto antiche, dallIndia assieme al suo nome: nel dialetto arabo
locale infatti esso si chiama nr=l.
Possiamo ricordare brevemente un altro caso meritevole dat-
tenzione. Gli Egiziani antichi disprezzavano profondamente i popoli
e le culture della Nubia, la miserabile (Xzy) Nubia popolata
nellimmaginario collettivo di pericolosi stregoni, ma non pote-
rono mai farne a meno: essi rappresentavano per lEgitto lacces-
so a materie prime (pietre da costruzione, pietre dure, metalli) ed
a preziose merci esotiche delle regioni africane. Rari sono i pre-
stiti lato sensu nubiani nellegiziano, anche occasionali, anche se
possiamo dirci certi che nomi per alberi dal legno pregiato come
lebano (hbnj, da cui il greco : 3:, e varie voci semitiche), da
sempre importato, o nomi di animali ormai estranei alla fauna
egiziana sono, appunto, di origine nubiana. Insomma, spesso
funzion un filtro culturale che imped ai nubianismi di inse-
diarsi nel lessico egiziano. La Nubia era anche uno dei necessari
luoghi di transito di un bene sommamente prezioso per il culto
divino giornaliero che si svolgeva nei templi dEgitto, ossia le
120
Il prestito entrato anticamente in tutte le lingue connesse alle rotte monsoniche,
arabo incluso (@andal).
121
Cosma ci conserva anche il nome di un liquore ottenuto dal succo fermentato
della noce di cocco, cu i, una bevanda molto dolce ed inebriante che gli
Indiani usavano al posto del vino (11, 11). La parola certamente un composto
con un derivato del sanscrito sur bevanda inebriante, la la prima parte non ,
a mio parere, di chiara derivazione: sospetto si tratti di un derivato medio india-
no del sanscrito rk@- di gusto forte, aspro (forme attestate del tipo hindi rokh
e sim.), e si veda il derivato gi sanscrito rk@a>ya" distillato di melassa.
Letimologia come processo di indagine culturale 161
resine aromatiche: sappiamo che sin dallepoca dellAntico Re-
gno gli Egiziani erano in grado di raggiungere via mar Rosso i
locali mercati degli aromi la favolosa Terra di Pwnt , ma il
viaggio era lungo e difficile ed il commercio terrestre non si in-
terruppe mai. Non dunque un caso che lantica parola antjw
mirra (documentata nel greco nella forma i : .; Esichio)
abbia possibili riscontri in lingue cuscitiche (somalo anaad in-
censo di prima qualit). Due elementi, molto distanti tra di loro
nel tempo, ci confortano. Sin dai Testi delle Piramidi ci noto un
dio dal nome non egiziano e che non sembra aver mai avuto
alcun culto in Egitto, il dio Ddwn: era una divinit originaria
della bassa Nubia e di essa si diceva, con espressioni formulari
(Pyr. 803; il soggetto logico il Faraone defunto)
a te appartiene laroma di Dedun, il giovane dellAlto Egitto,
che proviene da tA-stj
122
.
Egli ti d lincenso con il quale vengono fatti incensamenti agli dei
Dedun, come Nubiano, poteva ben garantire al Faraone le preziose
resine.
Nei testi redatti in Nubia in lingua egiziana per conto di prin-
cipi e re nubiani affiorano, come naturale, nubianismi linguisti-
ci
123
e tra questi compare ldn(y) in uniscrizione dellanno 2 del
Faraone sudanese Taharqa (iscriz. III, 6 Kawa; 688 a.C.), una voce
che etimologicamente si rivela essere un prestito dal sud arabico
ladan oleoresina aromatica di cisto e che mostra, una volta ancora,
la diretta connessione nubiana coi mercati delle resine.
Nei casi che sin qui abbiamo visto, la frontiera attraversata da
prestiti stata sempre visibile, talora con una sua oggettivit
quasi fisica. Spesso tuttavia le cose sono pi sfumate, complesse
e la frontiera ha natura socioculturale, non priva di connotazioni
psicologiche, e potremmo documentare molti casi nei quali la
122
La regione della prima cateratta e nome del primo nomo dellAlto Egitto.
123
Ad es. ks ciotola (iscrizione di Nastasen) = nubiano ks id., tgr collare
(iscr. Harsijotef) = tgli anello, ecc.
Franco Crevatin 162
contrapposizione culturale o sociale ha portato a deformare
spregiativamente il significato della parola mutuata
124
. Ma tor-
niamo alla frontiera socioculturale. Abbiamo visto sopra che il
disprezzo che gli Egiziani nutrivano nei confronti del mondo nubiano
funzion da filtro nei confronti dei prestiti, un filtro che non ci
fu nei confronti delle culture semitiche del Vicino Oriente: gli
Egiziani potevano disprezzare gli Asiatici, considerando se stessi
il centro del mondo ordinato, ma sapevano bene che essi aveva-
no espresso, pur talora nella frammentazione politica, culture di
alto livello con le quali non era degradante anzi! confrontarsi.
Di semitismi formicolava nel Nuovo Regno la cultura scolastica
e lambiente militare, semitismi erano presenti nel vocabolario
della tecnica e dellartigianato e nella lingua di ogni giorno: genti
di lingua semitica di tutti i livelli vivevano numerose in Egitto,
spesso in posizioni sociali prestigiose ed una lingua del Vicino
Oriente, laccadico, era la lingua della diplomazia e dei rapporti
internazionali.
Se guardiamo ai rapporti con la grecit, constatiamo non
senza qualche momentanea sorpresa un altro fatto: lEgitto, pur
essendo stato considerato dai Greci la patria di ogni sapere e
della riflessione religiosa, ha lasciato solo pochissime tracce lin-
guistiche nella lingua greca prestiti legati a singole realt cul-
turali e naturali (ad es. . 3., ibis = copto [boh.] xip) o occasio-
nali prestiti legati al commercio, come il caso dell: v., vino
(egiziano) di Ipponatte fr. 79 (copto hRp < jrp). E non basta:
nelle molte centinaia di testi greci scritti nellEgitto greco prima
e romano poi e giuntici su papiro o su ostrakon i prestiti dallegi-
ziano si limitano a poche voci, il nome di qualche oggetto (ad es.
3 cc. tipo di secchio = copto bhse, -i 3, tipo di vaso =
124
Un esempio solo: litaliano trincare bere smoderatamente ovviamente un
germanismo, anche se non troppo antico. Ma la contrapposizione tra cultura la-
tina e cultura germanica veniva colta aspramente gi in epoca tardo antica e val
la pena di ricordare lanonimo epigramma di un poeta dellAfrica vandalica il
quale afferma (Anthologia Latina 285 Riese): Inter <h>eils gothicum scapia<m> mazia<n>
ia<h> tri<n>can | non audet quisquam dignos educere versus Tra il gotico Salve
procuriamoci da mangiare e bere nessuno osa produrre versi degni
Letimologia come processo di indagine culturale 163
copto [boh.] kabi), delle imbarcazioni fluviali 3i ., = copto baare
e (v. sotto), di qualche unit di misura (. . = copto xin,
i i 3, copto artab, che peraltro nellegiziano prestito dal
persiano), alcuni nomi legati allamministrazione o alla religione
(ad es. `::. ci capo militare = copto lemhhe, `:c ., preposto
di un tempio, probabilmente lo stesso di copto laane < jmy-
rA-Sn(y.t), v:3 -., preposto ai sacri falchi < pA wr n bjk).
Materiale linguistico egiziano si trova, spesso frainteso, nelle voces
magicae dei testi magici, ed in tal caso lmbito specifico a
determinare la loro comparsa, e del tutto occasionalmente come
trascrizione di parole effettivamente pronunciate in determinate
circostanze (UPZ 79) o come citazioni fornite di glossa in greco
(ad es. cc: tipo di vaso liturgico = copto jhhs ciotola o
(copto rams) glossato con barca di papiro.
Per contro nel copto Cristiano i grecismi sono circa il 30% del
vocabolario totale, almeno di quello della lingua scritta. Come
dobbiamo interpretare queste situazioni? Un elemento unificante
facilmente individuabile, ossia il fortissimo senso di identit
linguistica e culturale che ha da sempre caratterizzato la grecit:
per quanto si potessero apprezzare le culture diverse, esse erano
pur sempre culture di 3i 3i.
125
. Il mondo ellenistico non mut
di molto questo atteggiamento. I sovrani tolemaici continuarono
a considerarsi Greci, specificamente Macedoni, in un paese con-
siderato preda bellica e fu solo Cleopatra la Grande ad essere
capace di parlare e di intendere la lingua locale. La campagna,
linguisticamente e culturalmente egiziana, viveva con proprie leggi
a raccolta attorno ai tempi locali e provinciali, abbastanza distin-
ta dalla componente ellenica: coloro che al suo interno desidera-
vano in qualche modo farsi strada nellamministrazione o nella
cultura del tempo dovevano forzatamente esser formati nella vi.o:. i
greca.
125
Quando la cultura straniera era giudicata oggettivamente importante, era usuale
che gli Elleni la collegassero tramite genealogie mitiche alla propria: cos ad esempio
i Persiani potevano esser pensati come discendenti di Perse, i Romani come par-
lanti un dialetto eolico e cos via.
Franco Crevatin 164
La situazione per gli Egiziani encorici sotto il governo roma-
no peggior da almeno un punto di vista, ossia da quello religio-
so: i templi infatti persero praticamente ogni autonomia econo-
mica e finanziaria, impoverendosi gradualmente e perdendo cos
la loro capacit di proporsi come centri di trasmissione culturale.
LEgiziano diventava cos sempre pi esclusivamente, eccezion
fatta per colui che, a prescindere dalla nascita, era di educazione
greca, il contadino dellimmenso granaio dellImpero romano.
Sarebbe molto interessante approfondire lesame del com-
portamento linguistico e culturale del sacerdozio egiziano,
cosa che qui non possiamo fare se non per cenni molto ge-
nerali. Il sacerdozio dei grandi templi dEgitto conosceva
certamente il greco. Ad essi dobbiamo molti lavori di tradu-
zione dallegiziano, sia di testi ufficiali della cancelleria tolemaica
sia di testi letterari e va detto che sono stati ottimi lavori.
In definitiva, lesempio pi autorevole di apertura al nuovo
mondo era stato dato da Manetone di Sebennytos, sacerdote
ad Eliopoli con la sua storia delle dinastie egiziane: dopo di
lui, il clero di Ptah di Memfi fu sempre leale sostenitore
della monarchia tolemaica, mentre il clero tebano di Amon
non solo rimase ostile e chiuso, ma non manc di appoggia-
re i tentativi armati di pretendenti locali al trono dEgitto
contro i Tolomei. Una delle prove pi curiose della compe-
tenza linguistica in greco offerta dalla traslitterazione di
nomi greci in geroglifici, nella quale sono state rispettate
alcune regole ortografiche greche (ad esempio il nome di
Roma scritto hrm, con la h- che riproduce lo spirito aspro
della trascrizione greca del nome).
significativo che il sistema grafico copto altro non sia se non
lalfabeto greco, integrato da un certo numero di segni alfabetici
che erano stati desunti dal demotico e che indicavano foni non
presenti nel greco: con questo agile sistema, evidentemente con-
cepito da Egiziani di educazione greca, venne prodotto un nume-
ro verosimilmente elevato di traduzioni, in primo luogo dal gre-
co, ed anche da lingue del Vicino Oriente: testi religiosi gnostici,
manichei, magici ed astrologici. Lo stesso sistema venne impie-
gato da scribi, ancora operosi nei templi tradizionali dEgitto,
Letimologia come processo di indagine culturale 165
per glossare trattati e testi scritti in ieratico o demotico
126
. La
traduzione implicava forzatamente la vi.o:. i greca: come altri-
menti si sarebbe potuto comprendere la filosofia (neo)platonica e
rendere quei concetti religiosi, cosmologici ed antropologici che
erano ormai divenuti il patrimonio di buona parte dellOriente
mediterraneo? E spesso comprensione ed utilizzo di tali idee favoriva
inevitabilmente il prestito; prestito di cultura, beninteso, che poco
poteva riguardare il contadino del villaggio agricolo, e tuttavia
anche questultimo aveva davanti a s ben poche possibilit di
resistere alla pressione del modello dominante linguistico e cul-
turale ellenico. Durante il periodo del dominio romano troviamo
numerose tracce dellultima, disperata resistenza della cultura
egiziana: false ricostruzioni storiche di matrice nazionalistica, visioni
apocalittiche che prevedevano il degrado etico e culturale del-
lEgitto, pur annunciandone una rinascita lontana nel tempo. Cos
si esprime Ermete Trismegisto, figura del dio egiziano del sapere
Thot, nel trattato ermetico intitolato Asclepio
127
(cap. 24):
Verr un tempo in cui sembrer che gli Egiziani abbiano ono-
rato invano i loro di con la devozione del loro cuore e un
culto assiduo; tutta la loro pia venerazione si riveler ineffica-
ce e vana. Gli di, infatti, lasceranno la terra e risaliranno verso
il cielo, lEgitto sar abbandonato e la terra che fu sede dei riti,
spogliata dei suoi di, sar privata della loro presenza. E gli
stranieri che popoleranno questo paese, non solo non avranno
pi cura della religione, ma, e ci ancor pi triste, si avr
limposizione, mediante leggi e con la prescrizione di pene, di
astenersi da ogni pratica religiosa, da ogni atto di piet o di
culto verso gli di. Allora questa terra santissima, sede dei santuari
e dei templi, sar piena di sepolcri e di morti.
O Egitto, Egitto, dei tuoi culti non resteranno che leggende, le
quali saranno considerate incredibili persino dai tuoi posteri, e
rimarranno solo parole incise sulle pietre a narrare le tue pie azioni.
(traduz. B.M. Tordini Portogalli)
126
La necessit derivava dal fatto che le scritture egiziane tradizionali non segna-
vano il vocalismo delle parole.
127
Figura dellantico santo guaritore egiziano Imhotep.
Franco Crevatin 166
Non dunque strano che lestrema resistenza culturale egizia-
na, documentataci allinizio del VI secolo d.C. da Horapollo, lautore
di un trattato sui geroglifici, fosse di cultura largamente greca ed
ignorasse sostanzialmente lantica lingua del paese.
Il Cristianesimo egiziano, altrettanto debitore dellEllenismo
dal punto di vista testuale e liturgico, segn una svolta molto
importante dal punto di vista dellidentit linguistica, poich riusc
a ridare unit, almeno locale, alle genti dEgitto. Dopo leditto di
tolleranza di Galerio (a. 311) e i provvedimenti di Costantino, la
chiesa egiziana si rafforz sia dal punto di vista organizzativo
che economico, diventando una forza sociale di rispettabile enti-
t, attiva al punto da organizzare non solo la propria difesa ma
altres lattacco nei confronti dei culti pagani.
Come abbiamo detto, il debito linguistico nei confronti della
grecit rimase alto: il copto era s una lingua ufficiale, utilizza-
bile nella liturgia e nellamministrazione della Chiesa, in epigrafi
pubbliche e private, nella corrispondenza e negli affari, ma era
comunque una lingua subordinata al greco, lingua questultima
conosciuta ed utilizzata anche in Nubia e nel regno etiopico di
Axum
128
. Il concilio di Calcedonia (a. 451) stabil la doppia natu-
ra di Cristo, posizione teologica che fu fatta propria dalla corte
imperiale di Bisanzio (melkitismo), mentre la Chiesa egiziana si
schier per il monofisismo (giacobismo). Lo scisma avenne in un
periodo nel quale la Chiesa copta era in forte crescita e si stava
proiettando con slancio missionario in Nubia, per cui essa sub il
sospetto imperiale e la lotta di fazione con il melkitismo ancora
ben presente in Egitto. Teniamo conto di tale sorda contrappo-
sizione tra il Patriarcato di Alessandria e Patriarcato e corte di
Bisanzio ed assommiamoci la dura esosit delle richieste fiscali
bizantine
129
: otterremo un quadro molto indicativo entro il quale
128
Nelle lingue dellEtiopia letnico egiziano spesso un derivato dal greco
A. u v.,, ad es. geez gb, bileno gib, saho gibse; da una forma collaterale
viene lebraico talmudico gph.
129
LEgitto era certamente una delle pi ricche provincie dellImpero e dovette
largamente sostenere le spese delle costose guerre (e delle forse ancor pi one-
rose paci) dellet giustinianea.
Letimologia come processo di indagine culturale 167
collocare il problema che ora ci occuper, ossia larabizzazione
dellEgitto.
Se guardiamo allarabo egiziano ed ai suoi dialetti non possia-
mo che rimaner sorpresi dalla povert dellinflusso copto, poi-
ch, nonostante le affermazioni di dilettanti mossi da malinteso
spirito religioso o nazionalistico, la conquista araba non port ad
alcun sommovimento etnico: gli Egiziani autoctoni furono per
lungo tempo la grande maggioranza del paese: poco pi di un
centinaio di parole restano a testimoniare loriginario strato lin-
guistico copto, incluse quelle che si riferiscono specificamente
alla religione. Nomi legati al calendario (nomi di mesi come baans,
copto paans [greco li ])
130
ed a realt del paese (barsm
erba alfalfa = barsim; damra tempo dellinondazione = t-
emhre inondazione; mars (vento) del sud = marhs regio-
ne meridionale dellEgitto; br tipo di pesce del Nilo (mugil
cephalus) = bwre; ands tipo di lucertola = xantous; ecc.),
un discreto numero di termini agricoli (nf giogo = naxb; raf6w
quarta parte della misura per granaglie = raftoou un quar-
to) e a singole voci non riportabili ad unit (tra queste cito amandi
inferno, aldil [solo in espressioni ingiuriose] = amNte). Poco,
troppo poco, se si pensa alla storia millenaria della lingua e della
cultura egiziana
131
. Vedremo subito almeno nelle linee generali
del processo che ci potuto accadere perch esisteva una frontiera
socioculturale tra mondo arabo e mondo copto che fungeva da
filtro.
130
Utilizzati regolarmente anche nellEgitto greco-romano, noti ed usati in Nubia
ed in Etiopia.
131
Non dubitiamo che nuove ricerche potranno mettere in luce ulteriori prestiti,
ma il quadro generale non pare destinato a cambiare sensibilmente. Un caso
potrebbe essere ad esempio il dialettale bittaw focaccia di mais (collettivo),
parola che certamente araba non : a titolo di ipotesi vien fatto di pensare ad un
nome con articolo maschile pi- e dunque la base lessicale potrebbe essere tA pane.
Tale voce non sopravvissuta nel copto a noi documentato, ma possibile rico-
struire un *to; il dittongo arabo sembrerebbe alludere ad un plurale *twou ed
esistono casi nel copto nel quale un nome plurale determinato con larticolo
singolare in quanto nome di insieme.
Franco Crevatin 168
La conquista araba dellEgitto ad opera di aAmr ibn al-aA(a.
641) fu percepita largamente dagli Egiziani come la liberazione
da un esosissimo ed eretico padrone: non tardarono a capire che
il rimedio era solo apparente, specialmente dopo la repressione
di alcune rivolte contadine e successivamente, alla fine dellVIII
sec., dopo la pesante tassazione di tutti i Cristiani
132
e la forte
immigrazione di trib arabe dallesterno. Molti particolari ci sono
oscuri, ma resta stupefacente che la lingua copta in pochi secoli
venne ridotta ad uno stato di sempre pi difficile sopravvivenza
in quanto lingua parlata (non cos la Cristianit dEgitto, pur se
venne fortemente ridimensionata): in definitiva nel XII secolo il
copto era ormai quasi esclusivamente lingua della liturgia e del-
lo studio. Conosciamo, tuttavia, i seguenti fatti:
a. Il copto, in quanto lingua dello scritto, capace di proporsi
come modello e strumento per la produzione dellattivit lato sensu
letteraria era da poco tempo costituito allepoca della conquista
araba. Certo, essa era la lingua di vasta parte del paese, ma non
era la lingua n dellamministrazione n lo strumento comunica-
tivo di importanti citt greche, come ad esempio Alessandria.
b. Il greco rimase lingua amministrativa anche dopo leditto
del califfo aAbd al Malik b. Marwn (fine del VII sec.) che riser-
vava tale funzione allarabo: il greco era destinato a perdersi, ma
il copto non poteva crescere.
c. Per quanto la situazione possa esser stata socialmente ed
arealmente differenziata, nel X sec. larabo la lingua di gran
lunga dominante anche nei documenti privati dei Cristiani dEgitto:
significativo che lultimo documento privato redatto in copto
sia della prima met dellXI sec. Eppure ancora a quellepoca
dovevano esistere sacche nel paese nelle quali la conoscenza
dellarabo doveva essere molto superficiale se non addirittura
assente
133
.
132
Che spinse a molte conversioni allIslam.
133
Lo sappiamo per certo per (parte?) della popolazione di Tebtynis della met
del X sec.
Letimologia come processo di indagine culturale 169
d. ben vero che la chiesa Copta riusc a dare unit alle co-
munit locali e si propose anche come presenza economica, tut-
tavia essa, per quanto importante, rimase sempre subordinata,
prima al potere imperiale e poi a quello arabo.
Le tassazioni dei Cristiani in quanto sudditi di una religione
protetta, la caratteristica culturale musulmana di non tollerare
che un non musulmano potesse ricoprire, senza esser lui stesso
un dipendente strettamente controllato, posizioni di potere su
dei musulmani limit fortemente la mobilit sociale dei Copti ed
indebol vieppi il prestigio della loro lingua: vantaggi si pote-
vano ottenere solo assimilandosi linguisticamente e religiosamente
alla componente araba. La diffusione crescente dellarabo, la scom-
parsa del greco, la chiusura in se stessa della comunit copta
port ad assumere larabo come lingua di cultura: una parte
notevolissima della produzione teologica copta stata scritta diret-
tamente in arabo e dallarabo stata tradotta la maggior parte
dei testi Cristiani giunti alla chiesa dEtiopia
134
. Il copto era la
lingua del passato, un nobile passato che non poteva pi ritorna-
re. Per questi motivi troviamo pochi presttiti copti nellarabo egiziano:
filtri culturali e sociali ne hanno impedito passaggio e sopravvivenza.
134
E difatti pochissimi sono i prestiti copti nel geez; due tuttavia si segnalano
pech evidentemente collegati a pratiche liturgiche, ossia kopu profumo, da
una forma nominale del verbo copto antico kep (P. Mimaut) fare fumigazioni
dincenso < qAp; e santaw profumo < sonte incenso < snTr.
Franco Crevatin 170
Letimologia come processo di indagine culturale 171
LA BISACCIA DEL VIANDANTE
Nel nostro percorso abbiamo toccato temi diversi, accomunati
tuttavia da un elemento la cultura. Con cultura abbiamo inte-
so quel ventaglio di possibilit che lUomo, in quanto animale
sociale, ha di costruire e gestire la realt. Ci sono per aspetti
culturali che non dipendono da scelte volontarie, esplicite o con-
sapevoli, e sono aspetti profondi, saldati alla cognizione, ai pro-
cessi umani del conoscere e del trasmettere la conoscenza acqui-
sita. Li individuiamo spesso dal fatto che, una volta identificato
letimo, in definitiva non ne sappiamo pi di prima circa la motivazio-
ne che lo ha espresso: non possiamo cio credibilmente motivare
letimo ricorrendo alla metafora, allestensione/restrizione del si-
gnificato o a quanto la semantica generale pu offrirci.
Sono molte le lingue del mondo, ad esempio, nelle quali il
concetto formale di diritto indica ci che onesto, corretto ed
allopposto storto, curvato indica concetti con valenza negativa.
Come ovvio, non sono invocabili ragioni intrinseche di caratte-
re linguistico o culturale per spiegare questa situazione. Ce ne
sono per di ordine neuro-psicologico: la linea retta la forma
ottimale che si oppone a tutte le possibili linee storte e curve.
Nellunicit ed immediatezza consiste il suo formidabile potere
di potenziale simbolo potenziale, perch non obbligatorio as-
sumerlo ed per contro disponibile e facilmente accessibile nel
repertorio dei caratteri fondamentali. Allimmediatezza della ret-
ta corrisponde lottimalit del cerchio in quanto forma chiusa
culturalmente non determinata
135
: il cerchio include e delimita
senza soluzione di continuit.
Limitiamoci a ricordare qualche fatto linguistico: lantico egi-
ziano Snj vale incantare, ma il suo significato fondamentale
quello di circondare (v. anche Sn anello); la stessa indicazio-
135
Intendiamo cio quelle forme reperibili in natura e non condizionate da altri
saperi culturali (come ad es. la geometria euclidea).
Franco Crevatin 172
ne fondamentale presente nel sanscrito abhicara>a- stregone-
ria, letteralmente lazione di andare attorno, circondare. Se il
circoscrivere in casi come questi unazione aggressiva, come
quella espressa dal latino circumvenre ingannare o dal sanscrito
cakra- mezzo fraudolento (cerchio), in altri pu indicare inve-
ce una delimitazione a protezione contro lesterno ed essere dunque
un concetto positivo: il latino circumstare vale servire, assiste-
re ed il greco i ). v`, serva, ancella letteralmente la
persona che va attorno (a qualcuno).
Caratteri o elementi fondamentali, si diceva: caratteri a se stanti
o in opposizioni, come alto / basso o luce / tenebra, caldo /
freddo e potenti codici di riferimento come quello corporale si
incontrano nel patrimonio motivazionale di tutte le lingue del
mondo e dunque possono ben esser pensati come patrimonio arcaico
e costantemente vitale dellumanit. affascinante seguire, pur
in maniera discontinua, le vie che essi hanno tracciato nelle cul-
ture: talvolta possono essere vie ampie, percorse da secoli di storia,
come il caso di espressioni come quella slava comune *svt
luce, mondo o sanscrita loka" mondo (letter.: lucore), talaltra
piccoli sentieri nascosti. Si pensi ad espressioni come quella la-
tina lmen (oculrum), la luce degli occhi, che parrebbe tanto
semplicemente motivata attraverso gli occhi entra la luce
136
: la
spiegazione potrebbe essere per meno ovvia e la connessione
tra luce ed occhio di altra natura. Noi siamo ormai abituati a
considerare la tenebra e lombra come assenza di luce e locchio
come un semplice recettore di luminosit, ma facile constatare
quanto diversi possano essere gli atteggiamenti in molte culture
tradizionali. La tenebra ha una sua sostanza materiale esatta-
mente come la luce basti pensare al pensiero religioso del pro-
feta Mani ed in molte culture lombra proiettata pu esser
vista come qualitativamente diversa a seconda che sia proiettata
da un essere animato o inanimato; nel primo caso essa spesso
136
Nellitaliano e nei suoi dialetti luce vale spesso fessura, derivati di *lminle
indicano labbaino attraverso il quale entra la luce.
Letimologia come processo di indagine culturale 173
vista come una componente autonoma della persona umana. Per
gli Egiziani del Nuovo Regno, per i quali lombra era una com-
ponente non deperibile della persona umana, lOmbra del (dio
del sole) Ra (Sw.t-Raw) era anche il nome di santuari solari, dove
per ombra si deve intendere sia lombra in senso stretto sia, in
un certo qual modo, la radianza, perch lombra come la luce
sono entrambe proiezioni indipendenti del dio. Tornando alla
luce, non infrequente trovare trovare associati ad essa gli occhi
nel senso di produttori, e non semplici recettori, di luce. Era cos
per gli Egiziani: la demiurga latopolitana Neith nel buio acqueo
del mondo increato rese luminoso lo sguardo dei suoi occhi ed
(allora) si manifest la luce (Esna 206, 2; Dendera 5, 95, 1).
Un esempio e forse non ce n bisogno con il calore: esso
fortemente legato a stati interiori, allagitazione, alla collera,
alla pulsione amorosa. Nel mondo indiano il concetto di calore
(tapa") legato alla devozione ed alla pratica ascetica: lindi-
spensabile iniziazione / consacrazione del sacrificante prima di
iniziare i riti sacrificali (dk) semplicemente una forma di ca-
lore, il quale in quanto tale teme lacqua e la pioggia perch
sono in grado di smorzarlo e spegnerlo (TaittS 3, 1, 1, 2 ss.).
Coerentemente, in molte lingue ci che lopposto dellagitazio-
ne rientra nella categoria del freddo.
Come si vede, al di sotto di etimi di apparente semplicit possono
nascondersi storie arcaiche e complesse.
Molte sono le provviste che il viandante delletimologia deve
portare nella sua bisaccia e non abbiamo neppure accennato a
quelli che sono gli strumenti tecnici che un etimologo deve possedere
ed ai quali dovrebbe esser dedicato un altro libro.
Letimologo accompagnato dalla coscienza dellerrore come
possibilit permanente. Anche quando si sia consapevoli dei pericoli
del passato facile cedere alla tentazione di un confortante con-
fronto esegetico con il presente: letnocentrismo pu ben essere
una malattia della ragione, ma innanzi tutto una comoda pro-
spettiva, il paio di occhiali impostoci dalla nostra cultura. Per
Franco Crevatin 174
questo motivo lerrore il convitato di pietra di ogni ricerca eti-
mologica. Confortiamoci, perch sempre stato cos da che mon-
do mondo.
I sacerdoti egiziani erano gli specialisti del sapere, potendo
accedere alla sapienza degli antenati racchiusa nei rotoli di papi-
ro conservati nelle biblioteche templari, eppure anchessi sba-
gliavano. Quando il nuovo Faraone veniva ufficialmente consa-
crato, egli assumeva una titolatura che comprendeva 5 nomi, il
terzo dei quali era quello definito
^
Horus doro: esso origi-
nariamente ricordava che il Faraone era il falco divino, le cui
carni erano costituite dal metallo pi prezioso ed incorruttibile;
egli era il falco Horus, salito di diritto sul trono di suo padre
Osiride. Con il tempo si era per perduta la trasparente sempli-
cit della motivazione e quando in et tolemaica si tradusse in
greco la titolatura reale ormai si interpretarono i segni come se
anticamente si fosse voluto alludere al falco sacro posto in posi-
zione di dominio sul geroglifico che indicava loro, ma che era
usato altres per scrivere il nome di Ombo, la citt sacra al mal-
vagio dio Seth, oppositore alla lunga sconfitto del legittimo so-
vrano Horus. Il nome venne reso in demotico ntj Hr pAj-f DADAj
(stele di Rosetta) colui che sopra il suo nemico ed in greco
i .vi ` u v: :, superiore ai suoi oppositori, uninterpreta-
zione che arriv sino al trattato di Horapollo sui geroglifici (I, 6).
La consapevolezza del sempre possibile errore contiene in s
una sicura speranza: grazie ai nostri errori che i futuri etimologi
costruiranno un sapere pi sicuro.
La ricerca della semplicit deve sempre trovar posto nella bi-
saccia delletimologo. Talora la ricchezza delle produzioni cultu-
rali dellUomo ci potrebbe portare a credere che la complessit
sia la norma. Di fatto, le cose non stanno cos: la complessit pu
essere, forse, facilmente prodotta, ma certo molto difficile da
gestire, da apprendere e da ritrasmettere; lingua e cultura sono
governate dalleconomia, dalla necessit di ottenere il massimo
dei risultati con il minimo sforzo. La complessit si pu trovare
Letimologia come processo di indagine culturale 175
in tutti quei casi culturali nei quali un gruppo di specialisti ha
prodotto una teoria, unorganizzazione particolare e volutamente
coerente
137
di un dato sapere, o una pratica con accesso riser-
vato. E non dobbiamo credere che la teoria sempre e dovunque
sia stata basata su definizioni verbalizzate o verbalizzabili, come
noi ci attenderemmo per abitudine culturale, con unit logiche
discrete di immediata evidenza. Dal punto di vista delletimolo-
gia, baster citare un solo esempio, quello offertoci dai teonimi.
evidente che in sincronia il nome di una divinit, come qual-
siasi nome proprio
138
, ha soprattutto un valore denotativo, poi-
ch distingue quel dio da tutti gli altri, ma nellimprecisato mo-
mento in cui il nome stato attribuito esso aveva un forte valore
ideologico, adeguato non solo alla realt sovrumana alla quale si
riferiva, ma anche coerente con una teoria, pur se non di neces-
sit consapevolmente verbalizzabile, dellintero pantheon divino.
Recuperare tutto ci tramite letimologia davvero materia di
fede. Gli Egiziani tentarono questa strada pi volte: a lungo ri-
tennero che il nome del massimo dio tebano Amun (jmn) valesse
il nascosto (jmn; Manetone fr. 75 M.; Plut. de Isid. Osir. 354 d)
e che il nome di Osiride (wsjr, originariamente As.t-jrj) volesse
dire il vigoroso (wsr) o quello dai molti occhi (paretimologia
basata su un composto ormai con fonetica copto antica, *o-iri;
Plut. l. cit. 355a); e tante altre ne proposero, ricavandole da gio-
chi di scrittura tramite i segni geroglifici. Appunto, erano scelte
dettate dalla fede, una fede analoga a quella di chi, oggi, volesse
credere che una teoria sia sussumibile da un solo nome e pensas-
se che una volta chiarito che il nome del dio creatore mongolo
TNri significa cielo si sia per ci stesso compresa la natura
della religione di tale gente. Naturalmente, non stiamo dichia-
rando lillegittimit della ricerca etimologica sui teonimi o li-
nutilit dellinformazione che comunque ricaviamo dal compren-
137
Beninteso, nei limiti della fragilit umana.
138
Ci sono tuttavia importanti differenze, tra le altre il fatto che mentre possiamo
immaginare linsieme delle persone che, poniamo, nel villaggio si chiamano Kofi,
il teonimo una classe con un solo elemento.
Franco Crevatin 176
dere che teonimi indoeuropei come Z:u ,, latino Iuppiter, indiano
vedico Dyau (< *Dyus) si riferiscano ad una divinit urania (lo
Splendente), ma solo tentando di limitare le aspettative che
lecito nutrire su indagini di questo tipo.
Difficolt analoghe si incontrano nelle pratiche linguistiche
con accesso riservato: gerghi professionali, lingue di iniziati, lin-
gue di specialisti hanno in genere motivazioni contestualizzate
non facilmente accessibili, spesso perdute o aggiornate nel corso
del tempo. Molti Italiani usano lespressione fregare per dire
imbrogliare, ma solo persone di mezza et ricordano che essa
era a suo tempo considerata proibita a livello scolastico e tra la
gente per bene, ed ancor meno persone sanno che il suo primo
significato aveva valenza sessuale, al pari di espressioni, anchesse
oggi oscurate semanticamente, come non capire un tubo. Le
pratiche linguistiche con accesso riservato sono di difficile esegesi
etimologica perch la motivazione che soggiace al loro lessico
spesso basata sullallusione, sullammiccamento, non di rado sul-
lironia con riferimento a contesti ormai da tempo perduti o oscurati.
In molti gerghi professionali dellItalia settentrionale compare
una parola a prima vista molto strana, strzek pane (ad esem-
pio nel gergo dei pastori bergamaschi e camuni), parola che di-
venta etimologicamente pi chiara quando si confronti con la
sua variante strdek: il confronto immediato fornito dal dialetto
bormino trdek grano, che viene direttamente dal latino trtcum
con lo stesso significato. I continuatori italiani del lat. trtcum
sono degli arcaismi, poich nel passaggio tra tarda antichit ed
alto Medioevo ci fu, per il generale immiserimento della vita
agricola, una forte recessione dei cereali nobili e la parola si conserv
solo in aree neolatine marginali o isolate (ad esempio nel sardo).
Ora, proprio la forma strzek con la sua immotivata -z- interna ci
fa capire che c stato un incrocio tra i derivati dialettali di trtcum
e quelli di trsus triturato (talora noti proprio in area lombarda
per indicare tipi di farina), per cui possiamo dire che strzek ori-
ginariamente doveva essere una parola propria del dialetto nor-
Letimologia come processo di indagine culturale 177
male, non del gergo, resuscitata e rimotivata proprio per fini di
occultamento semantico.
In altri casi la soluzione ancora pi semplice. Gli Egiziani
ritenevano che il nome di una persona ne racchiudesse la pi
intima essenza, per cui agire magicamente sul nome equivaleva
ad agire sullindividuo: da ci provenne lidea che gli dei, pur
noti tramite un nome, avessero altres un nome segreto, ineffabi-
le. Il nome segreto veniva detto nr ed facile vedere che la
voce era semplicemente il palindromo di rn (*rn), la parola co-
mune per nome.
Lultimo esempio etimologico che offriamo in questo libro vorrebbe
riassumere, quasi iconicamente, i caratteri della semplicit. Nel
dialetto milanese usata una parola, sifolina, che viene quasi re-
golarmente riferita alla gamba zoppicante. Accanto ad essa sono
presenti anche forme del tipo sfola, talora anche al maschile e
riferite ad altre realt, per cos dire, traballanti. Verrebbe fatto di
credere che sifolina sia dunque un diminuitivo, ma con questa
esegesi grammaticale e con la presunzione di una parola genui-
namente popolare non si fa molta strada e la parola dovrebbe
esser riposta tra quelle di origine ignota. Ed invece la soluzione
molto semplice: si tratta di un derivato semidotto di Luciferina
(*lusiforina o sim.), propria di Lucifero, il diavolo, con discrezio-
ne della prima sillaba perch ad un certo punto scambiata con
larticolo. Ed il diavolo, dai piedi caprini, si presenta come zop-
po in moltissime leggende popolari: quando si traveste per non
farsi riconoscere e viene in questo basso mondo, spesso tradito
dallandatura zoppicante. Il suo piede caprino mal si adatta alle
scarpe.
Parziali successi, questi, in mbiti aspri e pericolosi, che ci
ricordano quanto da ultimo dovrebbe trovar posto nella bisaccia
delletimologo, ossia il senso del limite, il senso che letimologia
non pu procedere allinfinito e che non tutto le permesso, la
percezione del limite dellimportanza stessa della lingua (e quin-
Franco Crevatin 178
di della linguistica) nella definizione dellesperienza umana. Sunt
denique fines, alla fin fine ci sono dei confini, come in tutte le cose
create: al di l dei confini c solo il consapevole silenzio. Do-
vremmo ispirarci ad un autorevole esempio, Febo Apollo, il dio
delloracolo di Delfi che ha segnato lintera storia della cultura
greca. I messi dellimperatore Giuliano imperatore filosofo a
torto definito lApostata erano venuti per interrogare loracolo,
come tanti avevano fatto prima di loro, ma quel mondo era ormai
finito ed un altro ne stava sorgendo con il vigore impetuoso di
tutto ci che nuovo. Apollo ne era ben consapevole e cos fece
rispondere al sovrano:
:. vi: 3ic.` ., ii. v: c: oi. oi`, iu `i
u -: . 1. 3, : :. -i`u 3i, u i .oi oi )i,
u vii `i`: uci i v: c3: -i. `i ` u o.
Dite al re che a terra crollata la splendida dimora:
Febo non ha pi il riparo, non lalloro del vaticinio,
non la fonte chiacchierina: si spenta lacqua loquace.
(Passio S. Artemii 35)
Letimologia come processo di indagine culturale 179
QUESTIONI PARTICOLARI E NOTE BIBLIOGRAFICHE
Queste pagine non aggiungono nulla di necessario al testo: sono una
mantssa, sperabilmente non deteriore ed inutile (Festo 119, 9).
Capitolo I
La storia linguistica dellIstria stata da me analizzata in molti lavo-
ri e per tutti rimando a Lexikon der Romanistischen Linguistik, edd. G.
Holtus, M. Metzeltin, Chr. Schmitt, Tbingen 1989, III, p. 555 ss. e Rap-
porti culturali e linguistici tra i popoli dellItalia antica, a cura di E. Cam-
panile, Pisa 1989, pp. 45-109. Linteresse per la regione in questione
dato, in sintesi, dalla compresenza di dialetti neolatini e dialetti slavi
sin dal VII secolo, dalla sovrapposizione di diversi strati romanzi, da
complessi processi di interazione con modelli dominanti (il dialetto di
Venezia) e da una storia che ha visto anche interazioni langobarde e
bizantine. Alla lingua bawl (Costa dAvorio) ho dedicato ricerche sul
campo da ventanni: alcuni risultati complessivi sono raccolti in Lexique
Baoul-Franais, a cura di G. De Franceschi e F. Crevatin, Trieste 2001 e
Il frasario Bawl di p. V. Gurry, a cura di F. Crevatin ed Ilaria Micheli,
Trieste 2001. Sullinformazione egittologica in Macrobio ho scritto in
IncLing 23, 2001 (in stampa). Il problema della cosmologia aria molto
complesso: le mie posizioni sono largamente quelle di F.B.J. Kuiper (IIJ
8, 1964, p. 106 ss. e spesso ribadite): le ho fatte mie in IncLing 2, 1975,
p. 51 ss., ed altrove, e non ho motivo di cambiare. Sulla geomanzia
somala ho scritto in IncLing 9, 1984, p. 167 ss.
Le fonti antiche sulle lingue straniere
Il problema delle fonti nella ricerca etimologica in parte questione
di epistemologia ed in parte un fatto di buon senso e questultimo non
si pu insegnare. Potremmo limitarci a dire che lutilizzo di una fonte
pone sempre problemi di economia interpretativa e gli emendamenti
proposti hanno un costo che bene limitare al massimo. Epistemologica-
mente, per principio e ceteris paribus, necessario credere alla fonte:
anche nel caso di informazione fattualmente errata, potrebbe essere ragio-
nevolmente possibile capire perch essa tale. Nel caso delle lingue
antiche, evidente che i problemi si aggravano sia perch le trascrizioni
sono impressionistiche sia perch la tradizione testuale pu essersi cor-
rotta. Il fatto che sono alquanto rare le fonti antiche che si sono espres-
samente occupate di parole straniere, o almeno, nel naufragio della tra-
dizione antica, a noi sembrano infrequenti. Il filologo Panfilo, ad esem-
pio, si era occuparo di terminologia botanica plurilingue (excerpta della
Franco Crevatin 180
sua opera ci sono giunti nelle integrazioni a Dioscoride Pedanio [Wellmann]
e nellerbario latino dello Pseudo-Apuleio [Corpus Med. Lat. IV, ed. Howald-
Sigerist]), e le raccolte lessicali erano funzione dellidentificazione certa
della pianta usata per la terapeutica e la magia. Abbiamo qualche glos-
sario greco-copto (J.-L. Fournet-M. Pezin Cahiers Rech. Instit. Papyr. gyptol.
de Lille, 12, 1990, pp. 97-99 [P. Sorbonne inv.] e H. Quecke ZPE 116,
1997, p. 67 ss. [P. Heid. inv.-n. G 414]; cfr. anche J. Kramer, Glossaria
bilinguia in papyris et membranis reperta, Bonn 1983], che ci fornisce pre-
ziose equivalenze (ad es. i . = -`3:. [kelebin], c. o:<,> =
3:.v. [benipe], i i.i = c). [shfe], ecc.), ma nel complesso si
deve dire che le informazioni linguistiche nelle fonti greche e latine
sono sempre funzione di altri interessi.
Sulle liste di parole vicino orientali abbiamo discusso nel testo. Il
frammento vocabolaristico egiziano-accadico stato edito da S. Smith e
C.J. Gadd, JEA 11 (1925) p. 230 ss. Ricordo almeno altri due vocabo-
lari antichi, quello sumero-accadico-hurrico di Ugarit (B. Abdr-Salvini,
M. Salvini, Studies on the Civilization and Culture of Nuzi and the
Hurrian 9, 1998, p. 3 ss.) e quello accadico-hittito (Das akkadisch-hethitische
Vokabular, SBT 7, Wiesbaden 1968.
Ma, ribadisco, il problema non mai la semplice identificazione fo-
netica, perch i linguisti sono scaltriti e capaci di ardite interpretazioni:
la questione resta culturale. Cosa esattamente ha capito la fonte? Quali
erano i suoi intendimenti nel citare la parola straniera? Quali i
condizionamenti?
Un esempio non linguistico. Il Paedagogium era la scuola dei servi
imperiali destinati ai vari compiti amministrativi nella reggia degli imperatori
romani: situata sulle pendici occidentali del Palatino, nelle vicinanze
della Domus Augustana, la scuola stata scavata e ci ha restituito un
certo numero di graffiti di et domizianea gli studenti da sempre imbrattano
le pareti. Uno celebre ed impressionante: un uomo in atteggiamento
di adorazione di fronte ad un uomo crocefisso con la testa dasino; sotto
riportata la frase beffarda
A`:i:, c:3:: (sic!) ):
Alessameno prega dio
Che si volesse irridere un giovane Cristiano pare difficilmente dubitabile:
ma perch la testa dasino? Unespressione metaforica di stupidit come
segno di disprezzo pensabile, ma non suffragabile da riscontri: nella
nostra cultura la stupidit pu essere asinina, e non detto che ci valesse
anche per chi redasse il testo. Meglio attenersi al fatto che gli Ebrei,
secondo una calunnia ben documentata da Flavio Giuseppe (contra Apionem
Letimologia come processo di indagine culturale 181
2, 80), adoravano una forma asinina (cfr. anche Tacito Hist. 5, 3 ss.),
calunnia poi estesa ai Cristiani (Tertull. Apol. 16); allepoca di Domiziano
i Cristiani erano certo in prevalenza Ebrei.
Un esempio linguistico. Manetone (in Flavio Giuseppe contra Apionem
1, 14; fr. 42 Waddell) ha fornito il celebre etimo del nome degli Hyksos,
le genti che invasero lEgitto fondando le dinastie XV e XVI: il nome
un composto da u - che -i) . :i ` cci significa re e c c che
-ii -. o.i `:- significa pastore, i Re Pastori dunque.
Ma in altro i . i) Flavio Giuseppe ha trovato nel testo di Manetone
che non si tratterebbe di re bens di prigionieri di guerra, in quanto
questo il senso di i -, che andrebbe letto al posto di u -. Laspetto
tecnico delletimologia semplice: huk rende legiziano HqA capo (

=
U!
)
e ss SAsw (

Us2
!

) beduino, copto ws pastore; hak invece


va connesso con HAq catturare, saccheggiare, HAqw (

=
-
) prigio-
nieri. Linformazione di Manetone tinta di nazionalismo egiziano e,
tutto sommato, non neppure sicuro che sia davvero ascrivibile a Manetone:
la sua opera venne infatti largamente rimaneggiata ed interpolata dalle
fazioni alessandrine filo ed anti Ebree. Ma lelemento pi interessante
dato dalla distinzione tra huk, proprio della lingua sacra, e ss tipico
invece del parlare comune: questa finezza certo manetoniana. Il sacer-
dote di Eliopoli difatti allude al bilinguismo dotto det tolemaica tra
medio-egiziano, lingua dei testi sacri, e lingua parlata, profana (da
ultimo v. K. Jansen-Winkeln, WZKM 85, 1995, p. 85 ss.); effettivamen-
te HqA non si continua nel copto.
Capitolo II
Molto numerose sono le liste di parole vicino orientali: si veda la
voce Listen nel Reallexikon der Assyriologie und vorderasiatischen Archologie,
ed. Ebeling, Erich, Berlin 1932 e ss. Le lettere dellarchivio diplomatico
di el Amarna sono state riedite in traduzione da Mario Liverani (Le
lettere di el-Amarna, Brescia 1998). La teoria egiziana della lingua stata
da me esposta in IncLing 16, 1993, p. 105 ss. Il Libro della Vacca
Celeste stato riedito da E. Hornung (Der gyptische Mythus von der
Himmelskuk, Freiburg 1982). Sul Cratilo di Platone e sulla filosofia stoica
la bibliografia sterminata: si ricordi almeno lopera fondamentale di
M. Pohlenz, Die Stoa. Geschichte einer geistigen Bewegung, 1971-72
3
; su
Varrone v. Varron, Entretiens Hardt IX, 1963, soprattutto il lavoro di R.
Schroeter (del quale v. anche il contributo in AAWM 12, 1959, p. 769
ss. Sul Nighau vedico ho scritto in Bandhu. Scritti in onore di Carlo Della
Casa, Torino 1997, p. 69 ss.
Franco Crevatin 182
Capitolo IV
Sulla concezione germanica della ricchezza si vedr E.A. Thompson,
The Early Germans, Oxford 1965, un classico che si pu aggiornare con le
singole voci del Reallexikon der germanischen Altertumskunde, ed. J. Hoops,
Berlin 1973 ss., e A.Ja. Gurevi, Le categorie della cultura medievale, Torino
1983 (trad. dalloriginale russo Mosca 1972). Oltre al saggio classico di
E. Benveniste citato nel testo, il lettore italiano pu utilmente leggere il
libro di R. Lazzeroni, La cultura indoeuropea, Bari 1998.
Capitolo VIII
Sulle conchiglie del kula v. S.F. Campbell in H.W. Leach e E. Leach
edd., The Kula, Cambridge 1983 p. 229 ss. Le componenti della persona
umana secondo gli Egiziani sono state riassunte in maniera piacevol-
mente divulgativa da A. Bongioanni e M. Tosi, La spiritualit dellantico
Egitto, Rimini 1997.
Capitolo IX
Il riferimento classico per la linguistica cognitiva G. Lakoff, Women,
fire and dangerous things: what categories reveal about the mind, University
of Chicago Press, 1988; v. anche A. Bonazza, Arbitrariet e motivazione :
un panorama della linguistica cognitiva , Trieste, Scuola superiore di lingue
moderne, 1995.
Capitolo X
Ho avanzato in parecchie sedi una proposta di lettura di uno dei tipi
sociali diffuso nel mondo di rapporti indeuropeo: si veda ad es. IncLing
Capitolo XI
Le migliori e pi pacate rassegne sul problema del sostrato sono
state offerte da D. Silvestri, La teoria del sostrato: metodi e miraggi, Napoli,
3 voll. 1977-1982; La nozione di indomediterraneo in linguistica storica, Napoli
1974; sul tema ho esposto recentemente il mio punto di vista in Variet
e continuit nella storia linguistica del Veneto (Atti del Convegno della
S.I.G.), Pisa 1999, p. 11 ss.
Capitolo XII
Sul movimento vichingo resta un classico G. Jones, A History of the
Vikings, Oxford 1973; v. anche F. Barbarani, Lespansione dei Vichinghi,
Verona 1979. Le proposte di lettura dello Slovo sono state da me avan-
zate in IncLing 11, 1986, p. 188 ss.; si veda altres la bella edizione
commentata italiana a cura di E. Saronne (Il cantare di Igor, Parma 1988).
Letimologia come processo di indagine culturale 183
Ledizione commentata del Periplo del Mar Rosso che sta alla base delle
nostre letture quella di L. Casson, Periplus maris Erythraei: text with
introduction, translation, and commentary, Princeton Univ. Press, 1989. V.
anche A. Avanzini, ed., Profumi dArabia, Roma 1997 (in particolare lim-
portante contributo di G. Banti e R. Contini, p. 169 ss.Le sopravvivenze
copte nellarabo egiziano sono state studiate da W.B. Bishai, JNES 23
p. 39 ss. e da P. Behnstedt, Welt des Orients 12, 1981, p. 81 ss.; la tesi
di E. Mer Is, The Phonetics and Phonology of the Bohairic Dialect of
Coptic and the survival of Coptic Words in the Colloquial and Classic Arabic
of Egypt, Ph.D. thesis, Oxford 1975, va utilizzata con la massima cautela.
Utile gypte / Monde Arabe 27-28, 1996, con sintesi di vari specia-
listi.
Capitolo XIII
Sui primordial characters (uso non a caso il titolo del libro di R. Needham,
Univ. Press of Virginia 1985) non si lavorato molto: la tematica rinvie-
ne alla semantica cognitiva (sulla quale v. ad es. Cognitive semantics:
meaning and cognition, edited by Jens Allwood, Peter Grdenfors, Benjamins,
1999; Kognitive Semantik : Ergebnisse, Probleme, Perspektiven, Monika Schwarz
(Hrsg.), Tbingen 1994; Historical semantics and cognition, edited by Andreas
Blank, Peter Koch, Berlin 1999) e molto resta da fare.
Nel corso del testo ho fatto spesso riferimento alle interpretazioni di
Horapollo sui Geroglifici ed in generale alla cultura egiziana di et tar-
da: molto materiale si trover nelledizione con traduzione e commento
del testo di Horapollo ad opera mia e di G. Tedeschi, attualmente in
stampa. Sui problemi posti dalla storia delle lingue e popoli centro-
asiatici la bibliografia sterminata: sui rapporti Indoeuropei-Cina il saggio
sempre citato (ed altrettanto discusso) quello di T. Chang, Indo-European
Vocabulary in Old Chinese, Sino-Platonic Papers 7, Philadelphia 1988. In
generale la sintesi pi recente ed equilibrata quella di P.B. Golden, The
Turkic Peoples: a historical sketch, London 1998.
Tecnica linguistica e linguistica culturale
Letimologia, come tutti i saperi specialistici, si basa su una tecnica
che lindispensabile presupposto di ogni proposta; tuttavia la tecnica
in quanto tale non esaurisce i problemi posti dal sapere, fatto questo che
pare spesso dimenticato dallodierna galassia linguistica. Ognuno sa,
credo, reperire gli esempi di quanto dico. Al fondo la questione mi pare
riconducibile alla teleologia delle scienze: lenunciato La linguistica spiega
i problemi posti dal linguaggio umano in quanto tale e dalle lingue
Franco Crevatin 184
naturali come reificazione dello stesso pu legittimamente essere inte-
grato dalla domanda Per farne che?. Proprio in quanto si occupa di
uno dei fattori che pi e meglio caratterizzano lUomo, la linguistica ha
una particolare responsabilit allinterno delle scienze umane, dalla quale
non pu evadere: sarebbe pericolosamente riduttivo pensare esclusiva-
mente allhomo loquens, perch lUomo ununit non suddivisibile, se
non per mera comodit, di fondanti strutture biologiche, cognitive e
culturali. Insomma, la linguistica dovrebbe contribuire teleologicamente
alla comprensione dellUomo. probabile che ci sia colto, magari come
nostalgia, da molte scuole; certo che il successo del paradigma chomskyano,
ad esempio, dovuto molto pi alle prospettive teleologiche che esso
include (il funzionamento della mente) che ai suoi successi esplicativi
nella tecnica linguistica. Nella prospettiva di una linguistica culturale,
largamente dipendente dal cognitivismo e dallantropologia, si sono messi
alcuni studiosi (ad es. G.B. Parker, Toward a Theory of Cultural Linguistics,
Univ. of Texas Press 1996) ed probabile che nei prossimi anni assiste-
remo ad un espandersi di questo filone: ci che in esso per ora manca
la dimensione storica, ed unassenza rumorosa. Essa dipende in parte
dalle singole storie disciplinari: il cognitivismo in s metastorico e
lantropologia ha sempre avuto un atteggiamento sospettoso nono-
stante i caveat espressi da illustri studiosi nei confronti della storia.
Comunque sia, lassenza dovr essere compensata: lUomo percepito in
una visione solo sincronica non pu che essere incompleto.
Letimologia come processo di indagine culturale 185
Prodotto nel 2002
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I.U.O. Napoli

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